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Abuso d'ufficio: concorre il reato di falso in atto pubblico se la condotta è strumentale all'abuso


Corte di Cassazione

La massima

Sussiste concorso materiale, e non assorbimento, tra il reato di falso in atto pubblico e quello di abuso d'ufficio nel caso in cui la condotta di abuso non si esaurisce nella falsificazione, e la falsità in atti è strumentale alla realizzazione del reato di cui all'art. 323 c.p., di cui costituisce una parte della più ampia condotta.

Fonte: CED Cassazione Penale 2018



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La sentenza integrale

Cassazione penale , sez. V , 07/07/2017 , n. 45992

RITENUTO IN FATTO

La Corte d'Appello di Firenze con la sentenza impugnata, resa il 24.10 - 11.11.2016, ha confermato la decisione di condanna emessa dal Tribunale di Lucca a carico dello J. in ordine a delitti di abuso, falso, calunnia, lesioni e violenza privata ai danni di C.L.G., B.G. ed S.E..


La Corte gigliata aveva ritenuto che effettivamente ricorressero elementi fattuali lumeggianti la colpevolezza dei delitti ipotizzati in capo allo J. ed adeguata la pena inflitta e, così, rigettati i gravami mossi dall'imputato e dal P.M..


Avverso la decisione resa dalla Corte toscana ha proposto ricorso per cassazione il difensore fiduciario dello J., rilevando i seguenti vizi di legittimità:


Concorreva vizio motivazionale in ordine al mancato accoglimento dell'istanza di assunzione di prove sopravvenute, poichè la Corte territoriale non aveva valutata la loro ammissibilità alla luce delle normativa posta dall'art. 495 c.p.p..


Infatti dette acquisizioni probatorie apparivano indispensabili per lumeggiare la credibilità dei testi, che la Corte, invece, ha ritenuto privi di ragioni di ostilità verso l'imputato nonostante l'emersione di valide ragioni in senso contrario, sempre correlate all'attività di servizio del reo quale vigile urbano;


inoltre la Corte fiorentina non aveva valutate tutte le emergenze fattuali acquisite circa la sua personalità e comportamento in servizio, lumeggianti una sua condotta professionale irreprensibile assolutamente contrastante con l'atteggiamento ai limiti del comprensibile tenuto, secondo i testi, nel frangente; testi le cui dichiarazioni avevano palesate numerose incongruenze confliggenti con lo stato dei luoghi ed i tempi di svolgimento dell'azione, incongruenze non affrontate e superate dalla Corte territoriale;


concorreva violazione di legge in quanto la Corte toscana non aveva ritenuto assorbita nella fattispecie del falso anche l'ipotesi di abuso poichè la condotta commissiva risultava essere la medesima;


concorreva vizio motivazionale in ordine alla valutazione delle emergenze probatorie in relazione ai ritenuti delitti di lesioni, minacce e calunnia poichè la sua azione tesa all'identificazione del soggetto, ritenuto autore d'infrazione amministrativa, era legittima ed alcuna prova sussisteva in atti che le lesioni palesate dalla vittima fossero la conseguenza della sua azione,mentre con relazione al delitto di calunnia lo stesso svaporava una volta ricostruite adeguatamente le modalità di accadimento dell'episodio.


All'odierna udienza pubblica, intervenivano ed il difensore dell'imputato che delle parti civili, i quali concludevano come dianzi ritrascritto, mentre il P.G. concludeva per l'inammissibilità del ricorso.


RITENUTO IN DIRITTO

Il ricorso proposto dallo J. s'appalesa privo di pregio giuridico e va rigettato. Privo di fondamento appare il primo mezzo d'impugnazione centrato sull'omessa acquisizione di prove sopravvenute, poichè ritenute immotivata la richiesta di rinnovo istruttorio ed irrilevanti le prove proposte.


Difatti l'acquisizione delle foto aeree dei luoghi non può definirsi prova sopravvenuta giacchè all'evidenza esistente anche prima e durante il corso del dibattimento di prime cure.


Quanto al teste - investigatore privato che su incarico dell'imputato ebbe ad osservare l'abituale condotta della parte lesa circa il governo del suo cane dopo il fatto - la Corte gigliata ebbe a ritenere la prova manifestamente irrilevante poichè generica e non afferente ai fatti d'imputazione.


A fronte di detta puntuale motivazione l'impugnante si limita a rilevare come la Corte non ebbe a valutare l'istanza alla luce del criterio direttivo ex artt. 190 e 495 c.p.p., mentre come visto citando l'irrilevanza un tanto hanno fatto i Giudici d'appello.


Inoltre lo J. reputa rilevante il teste - pacificamente non a conoscenza di particolari afferenti le condotte d'imputazione - al fine di lumeggiare l'inaffidabilità dei testi-parti civili.


Ma all'evidenza, se anche abitudinariamente la C. usava lasciar libero il cane anche nella pineta, ciò non comporta necessariamente che un tanto fece anche il giorno d'accadimento dei fatti in imputazione e così, necessariamente, che i testi oculari ebbero a dichiarare il falso.


Anzi la Corte fiorentina s'è fatta carico di valutare la credibilità delle parti offese della calunnia, assunti a testi, rilevando come proprio l'assurdità della condotta tenuta dal reo li indusse subito a recarsi a denunziar l'accadimento presso il Comando dei vigili urbani, così palesando la genuinità della loro condotta.


Dunque la motivazione esposta dalla Corte territoriale a sostegno della sua decisione di non procedere alle ulteriori acquisizioni probatorie, chieste dalla difesa, non appare viziata siccome denunziato dall'impugnante, bensì esercizio della facoltà assegnata al Giudice dalla legge.


Quanto al vizio motivazionale denunziato in relazione all'inadeguata valutazione delle emergenze probatorie acquisite in atti, la difesa si limita a contrapporre la propria ricostruzione probatoria a quella operata dai Giudici di merito e supportata da specifica argomentazione di confutazione delle censure portate con il gravame.


Con relazione al secondo mezzo di impugnazione, centrato sull'assorbimento del reato di abuso d'ufficio nel più grave reato di falso ideologico quando unica fu l'azione, lo stesso non appare fondato in relazione alla peculiarità della fattispecie.


Difatti la difesa evoca insegnamento maggioritario di questa Suprema Corte - da ultimo Cass. sez. 6 n. 13849/17 rv. 269482 - che si fonda sulla clausola di salvaguardia posta all'incipit delle disposizione in art. 323 c.p. e l'esigenza di non vanificare il principio di sussidiarietà - inutile proliferazione di condotte criminose - riducendolo alla mera specialità, sicchè la condotta di falso assorbe in sè anche il delitto di abuso quando la condotta risulti essere stata unica.


A detto insegnamento si contrappone altro indirizzo - da ultimo Cass. sez. 2 n. 5546/14 rv 258205 - che reputa non possa concorrere assorbimento poichè i beni giuridici protetti sono diversi; opinione che tuttavia incontra l'ostacolo delle recenti indicazione della Corte E.D.U. in tema di omologia della condotta materiale per le fattispecie tese alla difesa di beni giuridici diversi.


Tuttavia osserva questo Collegio - dando così continuità all'opinione di questo Sezione Cass. N. 1491/06 rv 233044 - come l'insegnamento maggioritario, che reputa concorrere l'assorbimento, specifichi che un tanto si verifica quando l'azione posta in essere dal Pubblico Ufficiale sia materialmente unica.


Nel caso, come specificatamente indicato nel capo d'imputazione sub capo a) della rubrica in cui viene sottolineata la condotta di inoltro di verbale e rapporto al Comandante il Corpo, indubbiamente la condotta materiale risulta configurata dal perseguimento, principalmente, della condotta di abuso, configurandosi la confezione del verbale di accertamento d'infrazione, ideologicamente falso, quale atto strumentale confezionato dal Pubblico Ufficiale specificatamente per danneggiare la C..


Difatti l'imputato si risolse a confezionare l'atto ideologicamente falso di accertamento d'infrazione per avviare, come fatto inoltrandolo unitamente al rapporto al Comandante, il procedimento amministrativo sanzionatorio contro la C..


Quindi l'azione materiale non fu unica, bensì la condotta di falso, fondata su autonomo dolo generico, assunse la funzione di necessario strumento per portare a compimento la condotta materiale più ampia dell'abuso, sorretta dal richiesto autonomo dolo specifico.


Difatti lo J. non si limitò a confezionare l'atto falso, ma lo fece per inoltrarlo al Comandante e così avviare il procedimento amministrativo sanzionatorio ai danni della parte lesa.


Nella presente fattispecie non si verifica la situazione propria dell'insegnamento maggioritario poichè non concorre esclusivamente l'azione tipica del delitto di falso, ma tale reato si inserisce, quale strumento, nella più ampia condotta principale, messa in essere dal Pubblico Ufficiale per danneggiare il privato.


La soluzione adottata nemmeno configura adesione alla soluzione prospettata dall'insegnamento minoritario, fondato sulla diversità del bene giuridico protetto, poichè viene assegnato assoluto rilievo alla coesistenza di due distinte condotte, non coincidenti materialmente, così evitando di incorrere nell'ostacolo rappresentato dall'attuale insegnamento della C.E.D.U..


Dunque non si verifica assorbimento tra il reato di falso in atto pubblico ed il delitto di abuso d'ufficio ogni qualvolta, l'azione materiale principale sia quella tipica dell'abuso, sorretta dal prescritto dolo specifico, nella quale la condotta di falso, sostenuto dal richiesto autonomo dolo generico, si inserisce come incidente strumentale alla realizzazione dell'abuso.


Anche il terzo mezzo d'impugnazione s'appalesa privo di fondamento.


Difatti la Corte fiorentina esamina partitamente l'obiezione critica afferente il meccanismo di produzione della lesione palesata dalla C. - distorsione del rachide - e rileva come la stessa sia compatibile con gli strattonamenti posti in essere dall'imputato, non mancando di sottolineare che comunque l'agitazione del cane, tenuto al guinzaglio, era stata provocata proprio dall'azione violenta del reo.


A fronte di detta puntuale motivazione l'imputato si limita a riprodurre la propria tesi difensiva disattesa con apposita argomentazione dai Giudici d'appello.


Anche in punto qualificazione giuridica dell'ipotesi fattuale inquadrata come violenza privata, la critica portata appare generica poichè la Corte territoriale ha ben evidenziato come l'azione del Vigile urbano fu integralmente illegittima, in quanto fondata sul presupposto che il cane fosse stato libero, mentre - come confermato dai testi - era sempre rimasto al guinzaglio.


Dunque non vi poteva essere situazione di supposto esercizio legittimo delle proprie facoltà inerenti l'accertamento di un illecito amministrativo, poichè non solo l'imputato non poteva "arrestare" la persona offesa, ma nemmeno aveva valida ragione per identificarla al fine di accertare un illecito amministrativo inesistente.


Del tutto generica s'appalesa, infine, la critica portata alla statuizione di conferma della decisione in punto calunnia poichè la stessa si fonda sul presupposto - non verificatosi - che non sussistessero gli altri delitti contestati. Al rigetto segue, ex art. 616 c.p.p., la condanna dello J. al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione in favore delle parti civili intervenute in questo giudizio di legittimità,tassate in complessivi Euro 2.800,00 - tenuto conto della pluralità dei soggetti rappresentati da unico difensore - oltre accessori di legge e rimborso forfetario secondo regola di tariffa forense.


P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili, che liquida in Euro 2.800,00 oltre accessori di legge.


Così deciso in Roma, il 7 luglio 2017.


Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2017


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