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Abuso d'ufficio: condannato il dirigente comunale per omessa vigilanza sull’attività edilizia


Tribunale di Cassino

La massima

In tema di abuso di ufficio, integra la violazione di specifiche regole di condotta previste dalla legge, come richiesto dalla nuova formulazione dell' art. 323, c.p. ad opera dell' art. 16 d.l. 16 luglio 2020, n. 76 , conv. nella l. 11 settembre 2020, n. 120 , l'inosservanza, da parte del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale, del dovere di vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia, in quanto l' art. 27 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 , ne impone l'osservanza onde assicurare la conformità dell'anzidetta attività alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici e alle modalità fissate nei titoli abilitativi (Cassazione penale , sez. III , 08/06/2022 , n. 30586).


La sentenza integrale

Cassazione penale sez. III, 08/06/2022, (ud. 08/06/2022, dep. 03/08/2022), n.30586

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 18/05/2021, la Corte di appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza pronunciata in data 22/03/2018 dal Tribunale di Palermo, dichiarava non doversi procedere nei confronti degli imputati in relazione ai reati di cui ai capi 1),4), 5) 6) 7) 8) per essere estinti per intervenuta prescrizione e revocava la disposta confisca dei terreni e delle opere edili realizzate; revocava, inoltre, le statuizioni civili con riferimento ai capi 1) 4) 5) e le riduceva in relazione ai capi 6) 7) 8).


2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione A.P., V.L.M., L.C.M., D.G.S., A.L., a mezzo dei rispettivi difensori chiedendone l'annullamento ed articolando i motivi di seguito enunciati.


A.P. propone quattro motivi di ricorso, premettendo di avere interesse ad impugnare al fine di conseguire una pronuncia assolutoria nel merito rilevante per la non applicazione dell'ordine amministrativo di demolizione delle opere.


Con il primo motivo di ricorso deduce violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30 e art. 44, lett. c), art. 129 c.p.p., comma 2 e vizio di motivazione.


Argomenta che la Corte di appello aveva emesso sentenza di non doversi procedere rilevando che il reato di lottizzazione abusiva si era estinto per prescrizione in data antecedente all'esercizio della azione penale; la motivazione era illogica e contraddittoria in relazione alla sussistenza degli elementi costituitivi del reato, in quanto affermava la sussistenza dell'elemento oggettivo e sembrava escludere la sussistenza dell'elemento soggettivo, con conseguente violazione dell'art. 129 c.p.p., comma 2; gli atti processuali (atto di acquisto stipulato innanzi al Notaio D.G., presenza di tutti i pareri ed autorizzazioni necessarie, complessità e farraginosità della normativa urbanistica; Delib. Consiglio comunale n. 125/2006 che consentiva l'edificazione nelle zone territoriali omogenee B in lotti compresi tra 2.500 e 5000 mq mediante piano planivolumetrico) comprovavano lo status di terzo acquirente in buonafede della ricorrente, sicché non poteva configurarsi in capo alla predetta alcun profilo di dolo o colpa nell'eventuale lottizzazione abusiva realizzata da altri.


Con il secondo motivo di ricorso deduce violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30 e art. 44, lett. c), art. 129 c.p.p., comma 2, e vizio di motivazione.


Argomenta che in ordine all'elemento oggettivo del reato di lottizzazione abusiva emergeva in maniera chiara dalla documentazione in atti e dalle dichiarazioni testimoniali l'insussistenza dello stesso, in quanto l'intervento edilizio (tre corpi di fabbrica ad uso residenziale su un più ampio lotto di terreno di complessivi 3.082 mq) risultava preventivamente autorizzato dagli organi preposti al controllo del territorio -pareri dell'Assessorato Regionale ed alla Soprintendenza- e conforme alla normativa urbanistica vigente o adottata, che consentiva per un area inferiore a mq 5.000 l'edificazione attraverso la redazione di planivolumetrico; la Delib. Consiglio comunale n. 125/2006, mai impugnata né annullata, facente parte del testo unico della N. T.A. prescriveva in zona Bob per aree fino a 5.000 mq l'obbligatorietà del piano planivolumetrico.


Con il terzo motivo di ricorso deduce mancata applicazione della L.R. n. 71 del 1978 e dell'art. 129 c.p.p., comma 2, e vizio di motivazione, lamentando che, nonostante motivo di appello, non aveva valutato la questione del cd lotto intercluso, emergente dagli atti, ai fini dell'esclusione del reato di lottizzazione abusiva; la L.R. n. 71 del 1978, art. 21 prevedeva che in zona territoriale B (parti di territorio completamente o parzialmente edificato) e con opere di urbanizzazione già presenti era possibile edificare mediante singola concessione edilizia, senza necessità di un piano di lottizzazione; la giurisprudenza amministrativa e quella di legittimità escludevano la fattispecie lottizzatoria in situazioni di zone completamente urbanizzate, come nel caso della (OMISSIS) ove era stato realizzato l'intervento edilizio.


Con il quarto motivo di ricorso deduce mancata applicazione della L.R. n. 19 del 2020, art. 30, comma 11, e vizio di motivazione.


Argomenta che in base alla L.R. n. 19 del 2020, art. 30, comma 11, norma sopravvenuta, il fatto contestato non era più previsto dalla legge come reato: tale norma prevede la possibilità di edificare in lotti compresi tra i 1.000 e 5.000 mq con il semplice permesso di costruire convenzionato; la Corte di appello ne aveva escluso l'applicabilità con motivazione erronea ed illogica affermando che il permesso di costruire convenzionato non poteva equipararsi al piano planovolumetrico, che non costituiva uno strumento urbanistico attuativo.


V.L.M. propone quattro motivi di ricorso, premettendo di avere interesse ad impugnare al fine di conseguire una pronuncia assolutoria nel merito rilevante per la non applicazione dell'ordine amministrativo di demolizione delle opere nonché di sanzioni disciplinari essendo pendente un procedimento disciplinare a suo carico in relazione alla presente vicenda cautelare.


Con il primo motivo di ricorso deduce violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30 e art. 44, lett. c), art. 129 c.p.p., comma 2, e vizio di motivazione.


Argomenta che la Corte di appello aveva emesso sentenza di non doversi procedere rilevando che il reato di lottizzazione abusiva si era estinto per prescrizione in data antecedente all'esercizio della azione penale; la motivazione era illogica e contraddittoria in relazione alla sussistenza degli elementi costituitivi del reato, in quanto affermava la sussistenza dell'elemento oggettivo e sembrava escludere la sussistenza dell'elemento soggettivo, con conseguente violazione dell'art. 129 c.p.p., comma 2; gli atti processuali (atto di acquisto stipulato innanzi al Notaio D.G., presenza di tutti i pareri ed autorizzazioni necessarie, complessità e farraginosità della normativa urbanistica; Delib. Consiglio comunale n. 125/2006 che consentiva l'edificazione nelle zone territoriali omogenee B in lotti compresi tra 2.500 e 5000 mq mediante piano planivolumetrico; dichiarazioni testimoniali) comprovavano lo status di terzo acquirente in buonafede della ricorrente, sicché non poteva configurarsi in capo alla predetta alcun profilo di dolo o colpa nell'eventuale lottizzazione abusiva realizzata da altri.


Con il secondo motivo di ricorso deduce violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30 e art. 44, lett. c), art. 129 c.p.p., comma 2, e vizio di motivazione.


Argomenta che in ordine all'elemento oggettivo del reato di lottizzazione abusiva emergeva in maniera chiara dalla documentazione in atti e dalle dichiarazioni testimoniali l'insussistenza dello stesso, in quanto l'intervento edilizio (tre corpi di fabbrica ad uso residenziale su un più ampio lotto di terreno di complessivi 3.082 mq) risultava preventivamente autorizzato dagli organi preposti al controllo del territorio -pareri dell'Assessorato Regionale ed alla Soprintendenza- e conforme alla normativa urbanistica vigente o adottata, che consentiva per un area inferiore a mq 5.000 l'edificazione attraverso la redazione di planivolumetrico; la Delib. Consiglio comunale n. 125/2006, mai impugnata né annullata, facente parte del testo unico della N. T.A. prescriveva in zona Bob per aree fino a 5.000 mq l'obbligatorietà del piano planivolumetrico.


Con il terzo motivo di ricorso deduce mancata applicazione della L.R. n. 71 del 1978 e dell'art. 129 c.p.p., comma 2, e vizio di motivazione, lamentando che, nonostante motivo di appello, non aveva valutato la questione del cd lotto intercluso, emergente dagli atti, ai fini dell'esclusione del reato di lottizzazione abusiva; la L.R. n. 71 del 1978, art. 21 prevedeva che in zona territoriale B (parti di territorio completamente o parzialmente edificato) e con opere di urbanizzazione già presenti era possibile edificare mediante singola concessione edilizia, senza necessità di un piano di lottizzazione; la giurisprudenza amministrativa e quella di legittimità escludevano la fattispecie lottizzatoria in situazioni di zone completamente urbanizzate, come nel caso della (OMISSIS) ove era stato realizzato l'intervento edilizio.


Con il quarto motivo di ricorso deduce mancata applicazione della L.R. n. 19 del 2020, art. 30, comma 11, e vizio di motivazione.


Argomenta che in base alla L.R. n. 19 del 2020, art. 30, comma 11, norma sopravvenuta, il fatto contestato non era più previsto dalla legge come reato: tale norma prevede la possibilità di edificare in lotti compresi tra i 1.000 e 5.000 mq con il semplice permesso di costruire convenzionato; la Corte di appello ne aveva escluso l'applicabilità con motivazione erronea ed illogica affermando che il permesso di costruire convenzionato non poteva equipararsi al piano planovolumetrico, che non costituiva uno strumento urbanistico attuativo.


L.C.M. propone quattro motivi di ricorso, premettendo di avere interesse ad impugnare al fine di conseguire una pronuncia assolutoria nel merito rilevante per la non applicazione dell'ordine amministrativo di demolizione delle opere.


Con il primo motivo di ricorso deduce violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30 e art. 44, lett. c), art. 129 c.p.p., comma 2 e vizio di motivazione.


Argomenta che la Corte di appello aveva emesso sentenza di non doversi procedere rilevando che il reato di lottizzazione abusiva si era estinto per prescrizione in data antecedente all'esercizio della azione penale; la motivazione era illogica e contraddittoria in relazione alla sussistenza degli elementi costituitivi del reato, in quanto affermava la sussistenza dell'elemento oggettivo e sembrava escludere la sussistenza dell'elemento soggettivo, con conseguente violazione dell'art. 129 c.p.p., comma 2,; gli atti processuali (atto di acquisto stipulato innanzi al Notaio D.G., presenza di tutti i pareri ed autorizzazioni necessarie, complessità e farraginosità della normativa urbanistica; Delib. Consiglio comunale n. 125/2006 che consentiva l'edificazione nelle zone territoriali omogenee B in lotti compresi tra 2.500 e 5000 mq mediante piano planivolumetrico) comprovavano lo status di terzo acquirente in buonafede della ricorrente, sicché non poteva configurarsi in capo alla predetta alcun profilo di dolo o colpa nell'eventuale lottizzazione abusiva realizzata da altri.


Con il secondo motivo di ricorso deduce violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30 e art. 44, lett. c), art. 129 c.p.p., comma 2, e vizio di motivazione.


Argomenta che in ordine all'elemento oggettivo del reato di lottizzazione abusiva emergeva in maniera chiara dalla documentazione in atti e dalle dichiarazioni testimoniali l'insussistenza dello stesso, in quanto l'intervento edilizio (tre corpi di fabbrica ad uso residenziale su un più ampio lotto di terreno di complessivi 3.082 mq) risultava preventivamente autorizzato dagli organi preposti al controllo del territorio -pareri dell'Assessorato Regionale ed alla Soprintendenza- e conforme alla normativa urbanistica vigente o adottata, che consentiva per un area inferiore a mq 5.000 l'edificazione attraverso la redazione di planivolumetrico; la Delib. Consiglio comunale n. 125/2006, mai impugnata né annullata, facente parte del testo unico della N. T.A. prescriveva in zona Bob per aree fino a 5.000 mq l'obbligatorietà del piano planivolumetrico.


Con il terzo motivo di ricorso deduce mancata applicazione della L.R. n. 71 del 1978 e dell'art. 129 c.p.p., comma 2, e vizio di motivazione, lamentando che, nonostante motivo di appello, non aveva valutato la questione del cd lotto intercluso, emergente dagli atti, ai fini dell'esclusione del reato di lottizzazione abusiva; la L.R. n. 71 del 1978, art. 21 prevedeva che in zona territoriale B (parti di territorio completamente o parzialmente edificato) e con opere di urbanizzazione già presenti era possibile edificare mediante singola concessione edilizia, senza necessità di un piano di lottizzazione; la giurisprudenza amministrativa e quella di legittimità escludevano la fattispecie lottizzatoria in situazioni di zone completamente urbanizzate, come nel caso della (OMISSIS) ove era stato realizzato l'intervento edilizio.


Con il quarto motivo di ricorso deduce mancata applicazione della L.R. n. 19 del 2020, art. 30, comma 11, e vizio di motivazione.


Argomenta che in base alla L.R. n. 19 del 2020, art. 30, comma 11, norma sopravvenuta, il fatto contestato non era più previsto dalla legge come reato: tale norma prevede la possibilità di edificare in lotti compresi tra i 1.000 e 5.000 mq con il semplice permesso di costruire convenzionato; la Corte di appello ne aveva escluso l'applicabilità con motivazione erronea ed illogica affermando che il permesso di costruire convenzionato non poteva equipararsi al piano planovolumetrico, che non costituiva uno strumento urbanistico attuativo.


A.L. propone due motivi di ricorso.


Con il primo motivo deduce violazione dell'art. 323 c.p. e art. 129 c.p.p. e vizio di motivazione.


Argomenta che il patrimonio processuale aveva dato chiara ed evidente prova dell'innocenza della ricorrente e che la motivazione della Corte territoriale non evidenziava chiaramente quali fossero gli elementi di criticità che avrebbero impedito l'accoglimento dei motivi di appello finalizzati all'assoluzione con la formula più liberatorio; la motivazione era astratta ed apparente e non adeguata alla posizione specifica della ricorrente; inoltre, la Corte territoriale aveva ignorato uno dei testi escussi in primo grado, l'arch. D.B., che aveva dichiarato che nessuna censura poteva essere mossa agli imputati impiegati della PA comunale che avevano istruito le pratiche di sanatoria; neppure era stato considerato che le tre concessioni rilasciate dalla ricorrente erano valide, perché mai annullate né sospese in autotutela e che anche la circolare interna del 20.05.2009 era ancora applicata dagli uffici comunali preposti alle attività edili; ancora il teste prof. G. aveva dichiarato che analizzando le norme di PRG nessuno abuso poteva essere contestato.


Con il secondo motivo deduce violazione dell'art. 323 c.p. e vizio di motivazione.


Argomenta che difettavano ictu oculi sia l'elemento oggettivo che quello soggettivo del contestato reato di cui all'art. 323 c.p., in quanto la colpa ascrivile alla ricorrente era consistita nell'aver dato applicazione ad una circolare amministrativa interna all'ufficio ed applicata da anni e, quindi, alla luce della nuova formulazione della norma incriminatrice, veniva meno ogni profilo di responsabilità; inoltre, andava considerato che il teste arch. D.B. aveva dichiarato che nessuna censura poteva essere mossa agli impiegati che si erano limitati a dare seguito ad una consolidata prassi amministrativa.


D.G.S. propone tre motivi di ricorso, premettendo che l'interesse ad impugnare deriva dalle conseguenze disciplinari, civili e amministrative ex D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30, commi 7 e 8 derivanti dalla sentenza.


Con il primo motivo deduce violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30 e art. 44, lett. c), art. 129 c.p.p., comma 2.


Argomenta che la Corte territoriale, nel dichiarare estinto il reato di lottizzazione cartolare per prescrizione maturata prima dell'esercizio dell'azione penale, aveva affermato che sotto il profilo soggettivo doveva evidenziarsi che era stata la stessa amministrazione comunale ad orientare le condotte di tutti i soggetti interessati, così risultando evidente che il fatto non costituiva reato.


Con il secondo motivo deduce violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30 e art. 44, lett. c), art. 129 c.p.p., comma 2.


Argomenta che risultava dagli atti e dalla L.R. n. 71 del 1978 che il fatto non sussiste; in particolare, la Delib. Consiglio comunale n. 125/2006, in virtù del richiamo previsto nell'art. 27, comma 3, delle norme tecniche di attuazione, consentiva l'utilizzo dello strumento plano-volumetrico, la cui adozione, essendo la zona urbanizzata, era consentito anche dalla L.R. n. 71 del 1978, art. 21.


Con il terzo motivo deduce violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30 e art. 44, lett. c), art. 129 c.p.p., comma 2.


Argomenta che la Corte territoriale non aveva considerato che ai sensi della L.R. n. 19 del 2020, art. 30, comma 11, che prevedeva che per estensioni inferiori a 5 mila metri quadrati si applicava il permesso di costruire convenzionato di cui alla L.R. n. 16 del 2016, art. 20, comma 1, e che, quindi, il fatto non era più previsto come reato.


3. Il difensore dei ricorrenti A.P., L.C.M. e V.L. ha depositato memoria difensiva nella quale ha insistito nelle conclusioni rassegnate.


Le difese dei ricorrenti hanno chiesto, a norma del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8, conv. in L. n. 176 del 2020, la trattazione orale del ricorso.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I primi tre motivi dei ricorsi di A.P., V.L.M. e L.C.M. ed i primi due motivi di ricorso di D.G.S., che si trattano congiuntamente perché oggettivamente connessi, sono infondati.


Va osservato che, in presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'art. 129 c.p.p., comma 2, soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di "constatazione", ossia di percezione "ictu oculi", che a quello di "apprezzamento" e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009 Tettannanti, Rv. 244274; Sez. 6, n. 10284 16 del 22/01/2014, Culicchia, Rv. 259445; Sez. 1, n. 43853 del 24/09/2013 Giuffrida, Rv. 258441; Sez. 5, n. 39220 del 16/07/2008 Pasculli, Rv. 242191). E' necessario, quindi, che la prova dell'innocenza dell'imputato emerga positivamente dagli atti stessi, senza ulteriori accertamenti, dovendo il giudice procedere non ad un "apprezzamento", ma ad una mera "constatazione".


Nel giudizio di cassazione, inoltre, relativo a sentenza che ha dichiarato la prescrizione del reato, non sono rilevabili né nullità di ordine generale, né vizi di motivazione della decisione impugnata, anche se questa abbia pronunciato condanna agli effetti civili, qualora il ricorso non contenga alcun riferimento ai capi concernenti gli interessi civili, dal momento che il rinvio, da un lato, determinerebbe, comunque, per il giudice l'obbligo di dichiarare immediatamente la prescrizione, dall'altro, sarebbe incompatibile con l'obbligo dell'immediata declaratoria di proscioglimento (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009 Tettamanti Rv. 244275; Sez. U, n. 28954 del 27/04/2017, Rv.269810; Sez. 2, n. 32577 del 27/04/2010, Preti, Rv. 247973; Sez.6, n. 23594 del 19/03/2013, Rv.256625; Sez.5, n. 588 del 04/10/2013, dep.09/01/2014, Rv.258670 Sez.F, n. 50834 del 04/09/2014, Rv.261888).


Ribaditi tali principi, va rilevato che i motivi dedotti propongono una serie di censure che non sembrano tenere conto che la sentenza ha dichiarato l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione, con la conseguenza che il proscioglimento nel merito può derivare solo dall'evidenza dell'innocenza dell'imputato, così come richiesto dall'art. 129 c.p.p., comma 2 evidenza che i Giudici d'appello hanno escluso mentre i ricorrenti non propongono specifiche deduzioni sulla mancata applicazione dell'art. 129 c.p.p., comma 2.


Le doglianze, infatti, hanno ad oggetto, in sostanza, vizi della motivazione, mentre, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata dal momento che il rinvio, da un lato, determinerebbe comunque per il giudice l'obbligo di dichiarare immediatamente la prescrizione, dall'altro, sarebbe incompatibile con l'obbligo dell'immediata declaratoria di proscioglimento.


Ne' colgono nel segno le dedotte violazioni del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30 e art. 44, lett. c).


Va ricordato che la lottizzazione abusiva si individua, quanto al suo contenuto, secondo quanto dispone l'art. 44, comma 1, lett. c), D.P.R. cit., alla luce della previsione di cui all'art. 30, comma 1, del medesimo testo normativo. Il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30, comma 1, recita: "Si ha lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabiliti dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione; nonché quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l'ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio".


La prima ipotesi, quella costituita dalla realizzazione di opere comportanti trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni, è definita "lottizzazione materiale"; l'altra ipotesi, quella integrata dal frazionamento dei suoli, è invece definita "lottizzazione negoziale".


Inoltre, secondo l'elaborazione giurisprudenziale di questa Corte, integra il reato di lottizzazione abusiva anche la cosiddetta lottizzazione "mista", consistente nell'attività negoziale di frazionamento di un terreno in lotti e nella successiva edificazione dello stesso (Cfr Sez.3, n. 6080del 26/10/2007, dep. 07/02/2008, Rv. 238979 - 01); tale terza tipologia della lottizzazione abusiva e', quindi, caratterizzata dalla compresenza delle attività negoziali e materiali integranti le prime due ipotesi di lottizzazione abusiva.


Questa Corte ha precisato che la trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, ossia la "lottizzazione materiale", si ha quando l'intervento è idoneo a pregiudicare la riserva pubblica di programmazione territoriale (così Sez. 3, n. 15404 del 21/01/2016, Bagliani, Rv. 266811-01), presupponendo la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria (cfr., in proposito, Sez. 3, n. 9446 del 21/01/2010, Lorefice, Rv. 246340-01), o comunque quando si verifica un mutamento dell'assetto territoriale che implica la necessità di predisporre nuove opere di urbanizzazione o di potenziare quelle esistenti (v., per questa puntualizzazione, Sez. 3, n. 2352 del 13/12/2018, dep. 2019, Evita s.a.s., Rv. 275475-01, e Sez. 3, n. 44946 del 25/01/2017 Giacobone, Rv. 271788-01).


Quanto alla lottizzazione negoziale, si è osservato che il frazionamento di un terreno non deve necessariamente avvenire mediante apposita operazione catastale che preceda le vendite o comunque gli atti di disposizione, ma può realizzarsi con ogni altra forma di suddivisione fattuale dello stesso, dovendosi ritenere che il termine "frazionamento" sia stato utilizzato dal legislatore in modo atecnico, con riferimento a qualsiasi attività giuridica che abbia per effetto la suddivisione in lotti di una più ampia estensione territoriale, comunque predisposta od attuata ed anche se avvenuta in forma non catastale, attribuendone la disponibilità ad altri al fine di realizzare una non consentita trasformazione urbanistica o edilizia del territorio (Sez. 3, 29.2.2000, n. 3668, Pennelli). Può configurarsi, perciò, lottizzazione negoziale anche nell'ipotesi in cui venga stipulato un solo atto di trasferimento a più acquirenti, i quali pervengano nella disponibilità e/o nel godimento di quote di un terreno indiviso (Cfr.Sez.3, n. 6080 del 26/10/2007, dep. 07/02/2008, Rv. 238979 - 01, cit.).


Con riferimento, poi, al fatto che l'area oggetto dell'intervento di lottizzazione sarebbe stata in parte già urbanizzata - circostanza che peraltro la sentenza impugnata esclude -, deve ribadirsi il consolidato principio secondo cui il reato di lottizzazione abusiva è configurabile con riferimento a zone di nuova espansione o scarsamente urbanizzate relativamente alle quali sussiste un'esigenza di raccordo con il preesistente aggregato abitativo e di potenziamento delle opere di urbanizzazione (Sez. 3, n. 6629 del 07/01/2014, Giannattasio e aa., Rv. 258932), sicché deve escludersi con riferimento a zone completamente urbanizzate, laddove è invece configurabile sia con riferimento a zone assolutamente inedificate, sia con riferimento a zone parzialmente urbanizzate in cui sussista un'esigenza di raccordo con il preesistente aggregato abitativo (Sez. 3, n. 37472 del 26/06/2008, Belloi e a., Rv. 241097); si e', inoltre, precisato che la lottizzazione abusiva è configurabile, in difetto di pianificazione attuativa, anche in quelle zone ove preesistono opere di urbanizzazione proporzionalmente insufficienti, sia qualitativamente sia quantitativamente, a soddisfare i bisogni abitativi dei residenti, presenti e futuri (Sez.3, n. 12426 del 07/02/2008, Rv. 239343 - 01); ed è stato più di recente precisato che è configurabile il reato di lottizzazione abusiva anche nel caso di interventi realizzati, in difetto di uno strumento pianificatorio di dettaglio, in zone già urbanizzate o parzialmente urbanizzate, purché di consistenza e complessità tali da costituire una notevole trasformazione del territorio, inammissibile in mancanza di un piano per la realizzazione degli interventi infrastrutturali, che garantisca il raccordo della nuova edificazione a quella preesistente (Sez.3, n. 36616 del 07/06/2019, Rv.277614 - 02).


Ne', infine, osta alla configurabilità del reato di lottizzazione abusiva la presenza di titolo abilitante, in quanto è pacifica la configurabilità del reato di lottizzazione abusiva nonostante il rilascio di provvedimenti amministrativi abilitanti allorché questi - come nella specie - siano contrari alle norme di legge statale, regionale, agli strumenti urbanistici ovvero alle norme tecniche di attuazione dei medesimi.


Va ricordato, infatti, che, secondo l'orientamento che può dirsi consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, il rilascio della concessione edilizia non esclude l'affermazione della responsabilità penale per i reati di edificazione abusiva o di lottizzazione abusiva ove si riscontri la difformità dell'opera realizzata, o realizzanda, rispetto agli strumenti normativi urbanistici ovvero alle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale, e non impone nemmeno una "disapplicazione" dell'atto amministrativo, limitandosi, il giudice, ad accertare la conformità del fatto concreto alla fattispecie astratta descrittiva del reato, poiché una volta che constati il contrasto tra la lottizzazione e la normativa urbanistica, giunge all'accertamento dell'abusiva realizzazione di opere edilizie prescindendo da qualunque giudizio sull'atto amministrativo (cfr. Sez. U, n. 11635 del 12/11/1993, Borgia, Rv. 195359, nonché, più recente, Sez. 3, n. 55003 del 16/0672016, Sottillaro, Rv 269288; Sez. 3, n. 36366 del 16/06/2015, Faiola, Rv. 265034, e Sez. F, n. 33600 del 23/08/2012, Lo Vullo, Rv. 253426)


E si è precisato che la contravvenzione di lottizzazione abusiva si configura come reato a consumazione alternativa, potendo realizzarsi sia quando manchi un provvedimento di autorizzazione, sia quando quest'ultimo sussista ma contrasti con le prescrizioni degli strumenti urbanistici, in quanto grava sui soggetti che predispongono un piano di lottizzazione, sui titolari di concessione, sui committenti e sui costruttori l'obbligo di controllare la conformità dell'intera lottizzazione e delle singole opere alla normativa urbanistica e alle previsioni di pianificazione (Sez.3, n. 33051 del 10/05/2017, Rv.270645 - 01).


La sentenza impugnata, nel confermare e richiamare la valutazione del Tribunale (vedi pagg 10-27 e 54-57 della sentenza impugnata), si è attenuta a tali principi, evidenziando, con motivazione congrua e logica, che gli imputati, secondo i ruoli e le condotte accertate, avevano realizzato una lottizzazione abusiva del lotto di 3.080 mq sito a Palermo nella borgata marinara di (OMISSIS) in (OMISSIS), sia negoziale che materiale ( A.P., V.L.M. e L.C.M., in qualità di acquirenti di porzioni dell'originario appezzamento di terreno ed il D.G. quale notaio rogante gli atti pubblici di compravendita costituenti parte di una complessa operazione contrattuale che fungeva da paravento cartolare alla abusiva lottizzazione), essendo stato accertato sia il frazionamento e la vendita del terreno finalizzato alla trasformazione edilizia che l'inizio delle opere di edificazione dell'area (edificazione di dieci unità abitative e una strada interna di collegamento tra le stesse, in contrasto con le prescrizioni del PRG di Palermo e delle norme tecniche di attuazione).


In particolare, i Giudici di appello hanno rimarcato che le opere erano state realizzate in violazione dell'art. 7 comma 6 delle NTA del PRG del Comune di Palermo, che prevede che l'area di (OMISSIS) deve essere sottoposta a piano particolareggiato al fine di verificare le superfici da standard e riordinare il tessuto edilizio esistente nelle zone BOb e che, nelle more della redazione del piano particolareggiato, è consentita l'edificabilità senza la preventiva approvazione di piano attuativo nei lotti liberi, ricadenti in tale zona, di estensione non superiore a 1.000 mq); inoltre, si era determinata una trasformazione urbanistica od edilizia del terreno a scopo edificatorio attraverso il conferimento all'area di un diverso assetto urbanistico, con realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria (in particolare, nel lotto di 3.080 mq veniva inglobato, attraverso la chiusura con due grandi cancelli, uno a valle e l'altro a monte, il tratto di strada prospiciente sull'unico lato di ingresso al fondo, strada previsa dal PRG come pubblica; tale opera costituiva un'opera di notevole incidenza urbanistica, in quanto stravolgeva l'assetto e la fruibilità dei luoghi); da tanto discendeva l'assoluta irrilevanza della presentazione di un Planivolumetrico, non costituente uno strumento urbanistico attuativo, come richiesto, invece, dall'art. 7 comma 6 delle NTA del PRG del Comune di Palermo,.


Hanno, poi, evidenziato, con apprezzamento di fatto congruamente motivato, come sussistesse anche l'elemento soggettivo del reato contestato, ascrivibile alla condotta colposa degli imputati alla luce dei numerosi vizi procedurali riscontrabili nella pratica edilizia, finalizzati ad orientare le condotte di tutti i soggetti interessati alla vicenda.


Va ricordato che è stato ripetutamente affermato che il reato di lottizzazione abusiva, sia nella forma negoziale che materiale, è configurabile a mero titolo di colpa, potendosi realizzare sia per il difetto di autorizzazione a lottizzare sia per contrasto con le prescrizioni di legge o con gli strumenti urbanistici (cfr. Sez. 3, n. 36940 dell'11/05/2005, Rv. 232189; Sez. 3, n. 17865 del 17/03/2009, Rv. 243750; Sez. 3, n. 38799 del 16/09/2015, Rv. 264718); risulta, infatti, da tempo superato il contrario e non condivisibile principio affermato in un risalente precedente delle Sezioni unite (Sez. U, n. 2720 del 03/02/1990, Cancilleri, Rv. 183493), che non teneva conto della regola generale codificata nell'art. 42 c.p., comma 4.


2. Il quarto motivo di ricorso di A.P., V.M.L. e L.C.M. ed il terzo motivo di ricorso di D.G.S. sono infondati.


La Corte territoriale ha correttamente rilevato, in aderenza al dato normativo, che alcun rilievo poteva avere ai fini della valutazione di sussistenza del reato di lottizzazione abusiva, la sopravvenuta L.R. n. 19 del 2020, art. 30, comma 11), che prevede la possibilità di edificare nei lotti compresi tra 5.000 mq e 1.000 mq con permesso di costruire convenzionato, senza necessità di approvazione da parte del consiglio Comunale della convenzione di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 28 bis (norma regionale disciplinante i contenuti del Piano particolare attuativo, che recita:" L'estensione minima dei PPA non può essere inferiore a 10 mila metri quadrati per consentire il raggiungimento dell'unità minima funzionale delle opere di urbanizzazione secondarie da cedere previa stipula di convenzione.


Tuttavia, se per documentati motivi, l'estensione è compresa tra 10 mila e 5 mila metri quadrati, a titolo di flessibilità compensativa, le aree da cedere sono ragguagliate a 10 mila metri quadrati. Per estensioni inferiori a 5 mila metri quadrati e fino alla soglia minima di mille metri quadrati, si applica il permesso di costruire convenzionato di cui alla L.R. n. 16 del 2016, art. 20, comma 1, ove ne ricorrano le condizioni,) attesa la non equiparabilità tra tale strumento di pianificazione urbanistica attuativa con modalità semplificata ed il Planivolumetrico, che non ha, invece, né la funzione né i contenuti di uno strumento urbanistico attuativo (vedi pag 57 della sentenza impugnata nonché pag 12, ove, richiamando le valutazioni del Tribunale, la Corte di appello sottolinea che il planivolumetrico previsto dall'art. 2 punto 16 del Regolamento edilizio di Salerno non è un piano di urbanizzazione ma un semplice grafico che rappresenta le altimetrie del suolo, le sagome e i volumi degli edifici oggetto della richiesta di approvazione del progetto).


3. I due motivi di ricorso di A.L. sono infondati.


Ribadito il principio di diritto enunciato al paragrafo 1, secondo cui in presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'art. 129 c.p.p., comma 2, soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, deve rilevarsi che le critiche mosse dalla ricorrente avverso la ritenuta insussistenza del reato di cui all'art. 323 c.p., hanno ad oggetto doglianze che non dimostrano affatto che la sentenza avrebbe dovuto prosciogliere nel merito l'imputata, ma si limitano a proporre censure del tutto generiche che prescindono dalla prospettiva imposta dall'art. 129 c.p.p., comma 2, prospettando la ricorrente vizi di motivazione della decisione impugnata; neppure può ritenersi che le doglianze riguardino i capi della sentenza sugli interessi civili, non contenendo alcun riferimento ad essi.


Ne' coglie nel segno la doglianza relativa alla mancata specificazione della condotta antigiuridica addebitata alla ricorrente, che, secondo la prospettazione contenuta in ricorso, sarebbe ascrivibile unicamente all'esecuzione di un provvedimento amministrativo e, dunque, priva di rilievo penale, soprattutto alla luce della novella legislativa dell'art. 323 c.p..


Deve, infatti, osservarsi che, contrariamente all'assunto difensivo, i Giudici di appello hanno specificamente individuato la condotta rilevante ai fini dell'integrazione de reato di cui all'art. 323 c.p. che non è quella di aver dato applicazione ad una circolare amministrativa interna all'ufficio ma di aver violato specifici doveri di legge (la concessione in sanatoria emessa il 10/10/2011 era contraria al PRG sotto il profilo della mancanza del prescritto PPE e dello sforamento dei limiti di densità edilizi ed emessa in violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36 e del vincolo paesaggistico; la concessione in sanatoria del 14/10/2021 veniva emessa in violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36; la concessione in sanatoria del 13/4/2012 veniva emessa in violazione degli strumenti urbanistici, alla stregua di una artificiosa rappresentazione della realtà e degli ampliamenti di superficie che sforavano i limiti delle cubature e delle superfici assentibili e che rendevano, quindi, gli abusi insanabili dal punto di vista urbanistico ed incompatibili sotto l'aspetto paesaggistico ai sensi del D.Lgs. n. 42 del 2004, artt. 146,164 e 181; risultava, infine, sempre omessa l'attivazione dei provvedimenti sanzionatori ex D.P.R. n. 380 del 2001, art. 27 (vedi pagg. 95 - 100, 110414, 121-124 della sentenza impugnata).


Va ricordato che, in tema di abuso di ufficio è stato più volte affermato che dalla violazione della norma cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 13, che rinvia espressamente agli strumenti urbanistici, discende che il titolo abilitativo edilizio rilasciato senza rispetto del piano regolatore e degli altri strumenti urbanistici integra, una "violazione di legge", rilevante ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 323 c.p. (cfr. Sez. 6, n. 11620 del 25/01/2007, Rv. 236147, che ha affermato che la violazione degli strumenti urbanistici, pur non potendosi questi configurare come norme di legge o di regolamento, integra, nei congrui casi, il reato di abuso di ufficio, in quanto rappresenta solo il presupposto di fatto della violazione della normativa legale in materia urbanistica, alla quale deve farsi riferimento quale dato strutturale della fattispecie delittuosa prevista dall'art. 323 c.p.; nonché (Sez.6, n. 35856 del 06/05/2008, Rv. 241248 - 01, che ha ribadito che integra la violazione di legge, rilevante ai fini della configurabilità del reato, il rilascio, da parte del responsabile del settore urbanistico del Comune, di una concessione edilizia in sanatoria per un'opera non conforme agli strumenti urbanistici generali in vigore nel territorio comunale; e successivamente Sez. 3, n. 39462 del 19/06/2012, Rv. 254015, che ha osservato che l'inosservanza del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 13, secondo il quale "il permesso di costruire è rilasciato dal dirigente o responsabile dello sportello unico nel rispetto delle leggi, dei regolamenti e degli strumenti urbanistici" integra il requisito della violazione di legge rilevante ai fini della configurabilità del reato di abuso di ufficio).


Tale orientamento è stato ribadito, in maniera condivisibile, anche a seguito della nuova formulazione dell'art. 323 c.p. ad opera del D.L. 16 luglio 2020, n. 76, art. 16 convertito nella L. 11 settembre 2020, n. 120 (cfr Sez.6, n. 31873 del 17/09/2020, Rv.279889 - 01, che ha affermato che, in tema di abuso di ufficio, il rilascio del titolo abilitativo edilizio avvenuto senza il rispetto del piano regolatore generale o degli altri strumenti urbanistici integra la violazione di specifiche regole di condotta previste dalla legge, così come richiesto dalla nuova formulazione dell'art. 323 c.p. ad opera del D.L. 16 luglio 2020, n. 76, art. 16, convertito nella L. 11 settembre 2020, n. 120, atteso che il D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 12, comma 1, prescrive espressamente che il permesso di costruire, per essere legittimo, deve conformarsi agli strumenti urbanistici ed il successivo art. 13 detta la specifica disciplina urbanistica che il direttore del settore è tenuto ad osservare).


Deve aggiungersi che integra la violazione di specifica regola di condotta prevista dalla legge, così come richiesto dalla nuova formulazione dell'art. 323 c.p. ad opera del D.L. 16 luglio 2020, n. 76, art. 16, convertito nella L. 11 settembre 2020, n. 120, anche l'inosservanza dello specifico dovere di vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia previsto dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 27 -specificamente contestato alla ricorrente - posto a carico del dirigente o responsabile del competente ufficio comunale per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità fissate nei titoli abilitativi.


Quanto all'elemento soggettivo del reato, la Corte di appello ha rimarcato la grossolana evidenza dei vizi procedurali e sostanziali condensati nelle pratiche di sanatoria, riportando le argomentazioni della sentenza di primo grado, che davano effettiva contezza della obiettiva macroscopicità delle violazioni di legge, della loro reiterazione, della evidenza che i provvedimenti erano stati emessi senza un accurato previo esame, della mancata adozione dei provvedimenti sanzionatori di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 27, indici plausibili della volontà di violare specifici doveri di legge per favorire i destinatari della concessione.


Va ricordato che la prova del dolo intenzionale, che qualifica la fattispecie di cui all'art. 323 c.p., prescinde dall'accertamento dell'accordo collusivo con la persona che si intende favorire, potendo essere desunta anche dalla macroscopica illegittimità dell'atto, sempre che tale valutazione non discenda in modo apodittico e parziale dal comportamento "non jure" dell'agente, ma risulti - come nella specie - anche da elementi ulteriori concordemente dimostrativi dell'intento di conseguire un vantaggio patrimoniale o di cagionare un danno ingiusto (tra le tante, Sez. 3, n. 57914 del 28/09/2017, Di Palma, Rv. 272331).


Da tanto discende l'infondatezza delle doglianze proposte.


4. Consegue, pertanto, il rigetto dei ricorsi e, in base al disposto dell'art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.


Così deciso in Roma, il 8 giugno 2022.


Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2022

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