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Abuso d'ufficio: la compresenza di una finalità pubblicistica non esclude l'intenzionalità del dolo.

La Suprema Corte, con la sentenza in argomento, ha affermato che in tema di abuso d'ufficio ex art. 323 c.p., l'intenzionalità del dolo dell'agente non è esclusa dalla compresenza di una finalità pubblicistica nella condotta del pubblico ufficiale, dovendosi ritenere necessario, perché venga meno la configurabilità dell'elemento soggettivo, che il perseguimento del pubblico interesse costituisca l'obiettivo principale dell'agente, con conseguente degradazione del dolo di danno o di vantaggio da dolo di tipo intenzionale a mero dolo diretto od eventuale (sez. VI, 24/03/2022).

Cassazione penale sez. VI, 24/03/2022, (ud. 24/03/2022, dep. 21/04/2022), n.15624

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Napoli ha confermato la condanna di C.V. e S.G. alla pena di anni due e mesi cinque di reclusione ciascuno ed alla pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. Gli imputati, agenti presso la Sezione Polizia Stradale di Napoli e, quindi pubblici ufficiali, sono stati ritenuti responsabili dei reati di cui agli artt. 56 e 319-quater c.p., sub capo A), reato commesso il 2 maggio 2016 quando fermavano il conducente di un veicolo, rimasto non identificato, e, abusando della loro qualità e dei loro poteri, ponevano in essere atti idonei diretti in modo non equivoco ad indurlo a dare loro denaro o altra utilità prospettandogli, dapprima, le conseguenze pregiudizievoli della rilevata contravvenzione stradale e poi indicandogli la possibilità di risolvere in altro modo la questione; di due condotte di abuso in atti di ufficio (art. 323 c.p.), commesse rispettivamente in (OMISSIS). In questi casi, nel corso del controllo al quale avevano sottoposto gli automobilisti in transito e a fronte di palesi violazioni al codice della strada, i ricorrenti avevano omesso di contestare le relative contravvenzioni e di redigere il verbale delle operazioni di controllo, intenzionalmente procurando un indebito vantaggio al conducente ed ai proprietari del veicolo.


2.Con i motivi di ricorso, di seguito sintetizzati ai sensi dell'art. 173 disp. att. c.p.p. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione.


2.1 C.V. denuncia:


2.1.1 violazione di legge (art. 8, art. 12, lett. b) e art. 16 c.p.p.) per la ritenuta competenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in relazione ai reati di abuso cui ai capi B) e C) dell'imputazione, commessi in (OMISSIS) e, quindi di competenza del Tribunale di Nola. Ai fini della competenza dell'autorità giudiziaria del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, contestata fin dal primo grado, è stato ritenuto sussistente il medesimo disegno criminoso fra i reati, continuazione che presuppone una unitaria deliberazione criminosa, non integrata da un generico programma delinquenziale,dovendo configurarsi i singoli episodi come tasselli di una programmazione dall'inizio unitaria;


2.1.2 cumulativi vizi della sentenza di primo grado per carenza di motivazione sugli elementi strutturali del reato di cui agli artt. 56 e 319-quater c.p.. La sentenza di appello è inficiata da evidente contraddittorietà nella parte in cui ha ritenuto la proposta dell'imputato "accolta dal trasgressore" e per altro verso assume che non si è registrato il consenso del privato alla proposta del pubblico ufficiale, avuto, invece, riguardo al contenuto della intercettazione, manca la prova che il privato abbia materialmente percepito l'espressione e il comportamento induttivo del pubblico ufficiale; la sentenza impugnata si limita alla replica degli elementi costitutivi della fattispecie ma non ne individua il fondamento probatorio;


2.1.3 violazione di legge e vizio di motivazione per assenza, nella sentenza di primo grado, della individuazione degli elementi costitutivi del reato di tentativo di induzione indebita di cui al capo A). Le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata sono inidonee ed insufficienti non essendosi accertata, ex ante, la idoneità degli atti la cui sussistenza è stata affidata alla circostanza postuma della mancata elevazione della contravvenzione e mancata annotazione, sui fogli di servizio, del controllo;


2.1.4. violazione di legge (artt. 56,319 quater e 322 c.p.) sulla configurabilità del reato di induzione indebita piuttosto che di istigazione alla corruzione. In difetto dell'elemento della induzione nei confronti del privato, prodotta dal pubblico ufficiale con abuso della qualità o dei poteri, il delitto di cui all'art. 319-quater c.p. non appare configurabile venendo altrimenti strutturato sulla mera richiesta, anche reiterata, che venga comunque rifiutata. In tal caso si è di fronte ad una mera sollecitazione potendo, invece, ravvisarsi il delitto di cui all'art. 319-quater c.p. solo su forme di pressione o di suggestione sul privato. Nel caso in esame si è in presenza di mere sollecitazioni al privato a indicare una utilità idonea a determinare la ingiusta locupletazione di entrambi e non della individuazione della effettiva incidenza sulla libertà di autodeterminazione del privato attraverso la prospettazione di conseguenze sfavorevoli o, comunque, un pregiudizio effettivo; dalla richiesta si è occasionata una mera trattativa, della quale non si conosce l'esito, che non ha determinato uno stato di soggezione del privato;


2.1.5 violazione di legge in relazione alla mancata applicazione della circostanza di cui all'art. 323-bis c.p. in relazione a tutti i fatti contestati. La particolare tenuità del fatto non va individuata nella sostanziale inoffensività. Il giudizio di tenuità nel caso in esame discende dalla valutazione atomistica dei singoli episodi rispetto ai quali non vi è stato il conseguimento di un vantaggio economico;


2.1.6 violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ricorrenza dei presupposti soggettivi per la configurabilità del reato di abuso di ufficio di cui ai capi B) e C). Il dolo intenzionale è strutturato sulla scorta della mera previsione, da parte deli agenti, di un vantaggio patrimoniale derivante dalla mancata elevazione delle contravvenzioni al codice della strada ma non vi è la prova che la volontà dell'imputato fosse orientata proprio a procurare il vantaggio patrimoniale o il danno ingiusto, che deve ricadere nel fuoco del dolo intenzionale. Con riferimento al reato sub capo C), inoltre, era ravvisabile la sussistenza di un fine pubblicistico ulteriore, quello della regolarizzazione amministrativa del mezzo sottoposto a controllo sicché, al fine di sottoporlo a revisione è consentita la "circolazione" del mezzo.


Con i motivi aggiunti denuncia:


2.1.7 violazione di legge e vizio di motivazione, incentrata sulla valutazione dell'espressione proferita (...se volete risolvere...) oggetto di valutazione apodittica e indimostrata in relazione alla violazione della regola dell'oltre ogni ragionevole dubbio che deve contrassegnare la pronuncia di colpevolezza, non rispettata in presenza di una valutazione e ricostruzione del fatto fondata sulla logica e su massime di esperienza;


2.1.8 violazione di legge e vizio di motivazione contrassegna anche la qualificazione dell'episodio di cui al capo A) nella fattispecie di tentativo di induzione indebita, piuttosto che di abuso poiché, a fronte dell'impossibilità di riscontrare quale fosse stato il comportamento del privato, la condotta accertata - l'omessa elevazione del verbale per violazione del codice della strada - potrebbe essere sussunta nella fattispecie di cui all'art. 323 c.p.: le argomentazioni spese a proposito della qualificazione del fatto come induzione indebita sono sovrapponibili a quelle che la stessa Corte di merito ha posto a fondamento delle condanne per abuso, in relazione ai capi B) e C);


2.1.9 mancanza di motivazione sul trattamento sanzionatorio che avrebbe dovuto essere contenuto nel minimo del reato; massima diminuzione per il tentativo e minimo aumento per la continuazione: nel periodo in contestazione l'imputato aveva svolto numerosi servizi e le captazioni in corso, a meno che per gli episodi descritti, non avevano condotto ad accertare ulteriori episodi. I fatti sono, quindi, episodici e ascritti a soggetto incensurato. Le condotte rivelano una minima intensità del dolo e l'imputato si è adoperato per risarcire il danno al Ministero degli Interni a inteso procurare ai destinatari non un vantaggio economico ma solo quello di regolarizzare la posizione degli automezzi.


2.2 S.G. denuncia.


2.2.1 violazione di legge per erronea applicazione della legge penale (artt. 56 e 319-quater c.p.) e vizio di motivazione della sentenza impugnata che, rispetto alla denunciata carenza di motivazione della sentenza di primo grado sulla mancanza di prova della sussistenza di una violazione del codice della strada (non provata vista la brusca interruzione della conversazione intercettata) e che costituiva il presupposto della richiesta al privato, non ha fornito adeguata risposta ai rilievi difensivi richiamando l'omessa annotazione del controllo, che non può costituire un equipollente della violazione stessa;


2.2.2 violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di tentativo di induzione indebita non essendo provata la oggettiva idoneità prevaricatrice abusiva, che costituisce mezzo imprescindibile dell'induzione;


2.2.3 illogiche e contraddittorie sono le argomentazioni con le quali la Corte di merito ha respinto le obiezioni della difesa in merito alla ricostruzione dell'episodio di cui al capo A), al fine di ritenere integrata la condotta illecita. Contrasta, rispetto alla prospettazione del S. (di non avere contravvenzionato l'utente "per benevolenza"), avere valorizzato la mancata redazione del verbale di controllo: l'affermazione della Corte è contraria ad ogni massima di esperienza poiché la benevolenza verso il fermato comportava la necessità di non verbalizzare il controllo, che si era concluso negativamente. Le considerazioni della Corte sono, poi, contraddette, dalla ricostruzione degli ulteriori episodi di cui ai capi B) e C), rispetto ai quali è contestata, come abuso di ufficio, proprio la mancata compilazione del verbale di controllo. In relazione al reato sub capo A) l'accertata insussistenza di ogni forma di resistenza del privato vale ad integrare l'ipotesi di desistenza;


2.2.4 erronea applicazione dell'art. 319-quater c.p. in relazione ai fatti di cui al capo A) che andavano ricondotti al delitto di abuso di atto di ufficio per la mancata annotazione del controllo, suscettibile di integrare una violazione di legge e/o di regolamento eventualmente rilevante, ricorrendone gli altri requisiti, ai fini della configurabilità del reato di abuso;


2.2.5 mancanza di motivazione sulla ritenuta configurabilità del concorso del S. che non interloquisce con il destinatario della cd. proposta di cui al capo A); inidonee a configurare il contributo partecipativo sono le ulteriori espressioni pronunciate dall'imputato, in relazione ai reati sub capi B) e C);


2.2.6 erronea applicazione dell'art. 323-bis c.p. e vizio di motivazione per la mancata applicazione della circostanza della tenuità del fatto in ragione della "ripetitività" delle condotte e omessa valutazione dei criteri di cui all'art. 133 c.p..


2.2.7 mancanza di motivazione sul trattamento sanzionatorio che avrebbe dovuto essere contenuto nel minimo; massima diminuzione per il tentativo e minimo aumento per la continuazione: nel periodo in oggetto l'imputato ha svolto numerosi servizi e le captazioni in corso, a meno che per gli episodi descritti, non hanno condotto ad accertare ulteriori episodi. I fatti sono, quindi, episodici e ascritti a soggetto incensurato. Le condotte rivelano una minima intensità del dolo e l'imputato si è adoperato per risarcire il danno al Ministero degli Interni ed ha intesto procurare ai destinatari non un vantaggio economico ma solo quello di regolarizzare la posizione degli automezzi


2.2.8 carenza di motivazione, perché di mero stile e apparente, sul diniego di applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. E' fondato il motivo di ricorso, relativo alla qualificazione giuridica del fatto contestato al capo A) come delitto di tentato induzione indebita (artt. 56 e 319 quater c.p.) piuttosto che come delitto di istigazione alla corruzione, di cui all'art. 322 c.p., comma 4, ampiamente svolto al punto 2.4.1 del ricorso C. e diffusamente trattato all'odierna udienza. I ricorsi devono essere rigettati nel resto per la infondatezza, talora manifesta, dei motivi.


2. Manifestamente infondato è il primo motivo di ricorso, comune ad entrambi i ricorrenti.


I giudici di merito, sulla base della ricostruzione del presupposto della sussistenza tra i fatti di un medesimo disegno criminoso, hanno fatto corretta applicazione delle regole in materia di competenza territoriale. Non solo il Tribunale aveva valorizzato la "vicinanza spaziale e temporale delle condotte" ma, elementi questi pretermessi dall'analisi dei ricorrenti, ulteriori aspetti, quali l'unitarietà del contesto e della spinta a delinquere, l'identica natura dei reati, l'analogia del "modus operandi" e la costante compartecipazione dei medesimi soggetti che componevano la pattuglia preposta ai controlli su strada e che avevano creato, fra loro una sinergia nelle modalità delle condotte. Correttamente, pertanto, sulla scorta di questi elementi, non controversi in fatto, sono state valorizzate le modalità assolutamente ripetitive della condotta quali elementi idonei a comprovare il medesimo disegno criminoso.


3.Vanno esaminati per la loro natura pregiudiziale rispetto alle questioni in diritto, i motivi di ricorso (il secondo e terzo motivo di ricorso del C. e il primo e terzo motivo del ricorso del S.) nella parte in cui contestano la valenza probatoria degli elementi descrittivi esaminati nella sentenza di primo grado e la omessa risposta ai motivi di impugnazione da parte del giudice di appello prospettando, con i motivi nuovi depositati dal C., anche la violazione della regola di cui all'art. 533 c.p.p.. Il tema e', inoltre, connesso alla denuncia dei ricorrenti, anche questa comune, della lacunosità della motivazione della sentenza di primo grado in quanto versata nella ricostruzione in fatto e priva dell'indispensabile enunciazione, al di là della enfatizzazione di massime di esperienza non dotate di univoco valore indiziante, degli elementi di prova che rinviano alla condotta di abuso induttivo, quanto al reato sub capo A), e alla sussistenza delle violazioni del codice della strada, in relazione a tutti i reati. Anche questi motivi si rivelano manifestamente infondati oltre che generici.


Le condotte materiali degli imputati sono state inequivocabilmente ricostruite sulla scorta del contenuto delle intercettazioni che riproducono le conversazioni intrattenute dai due agenti in occasione dei servizi, tra loro e con le persone fermate per i controlli su strada (rimaste non identificate). I giudici del merito hanno ritenuto accertate le riscontrate violazioni al codice della strada da parte degli automobilisti (nel primo caso la presenza di un gancio di traino non omologato all'autovettura; nel secondo il mancato aggiornamento della carta di circolazione, a seguito di installazione di g.p.l., oltre alla circostanza che il conducente, senza cintura, parlava a telefono cellulare; nel terzo la mancata revisione del veicolo). Pacifica, inoltre, risulta sia la circostanza che non erano state elevate le contravvenzioni sia che le operazioni di controllo non erano state neppure annotate sui fogli di servizio, sui quali devono essere registrate, a prescindere dall'esito, tutte le operazioni svolte durante il servizio.


Le conversazioni intercettate, collegate con i descritti esiti documentali, secondo le convergenti sentenze di merito, efficacemente documentano sia i controlli eseguiti dagli odierni ricorrenti che la configurabilità delle sottostanti violazioni del codice della strada -ammesse dagli automobilisti fermati - e, in relazione al reato di tentata induzione indebita, anche le pressioni esercitate sul conducente dell'autovettura che recava un gancio di traino non omologato prospettandogli le conseguenze di legge previste per la contravvenzione stradale rilevata e i vantaggi derivanti da una possibile mancata elevazione del verbale di contravvenzione e tali senz'altro da poter indurre il destinatario a dare o promettere denaro o altre utilità, evento che non vi è prova essersi verificato (scusate, vedete voi... se volete risolvere, secondo la frase proferita dal C.).


A meno che per tale aspetto, sul quale si tornerà nel prosieguo, la ricostruzione in fatto e le conseguenze che sul punto della ricostruzione delle condotte materiali ne sono state tratte da parte dei giudici di primo grado sono ineccepibili e così la valutazione della Corte di merito che ne ha confermato la valenza probatoria e l'efficacia sul piano ricostruttivo non scalfita dal rilievo che, invece, la benevolenza degli imputati verso le persone fermate per controllo implicava quella della mancata annotazione delle operazioni dal momento che, se effettivamente il controllo fosse risultato negativo - come si assume nei ricorsi - non aveva alcuna valenza negativa, se non di natura regolamentare.


Le censure svolte con i motivi di ricorso, a ben vedere, contestano in via astratta la valenza dei mezzi di prova costituiti dalle intercettazioni e dagli esiti documentali (rivelatisi negativi) ma, da qui la loro genericità, non si confrontano con il risultato di prova che i giudici di merito ne hanno tratto sulla base dell'apprezzamento del contenuto delle conversazioni intercettate, contenuto parziale, quanto alla riproduzione degli eventi perché incompleto, come meglio si dirà in prosieguo, ma chiaro ed intellegibile nella parte in cui le conversazioni riproducono la prima parte degli avvenimenti, cioè le operazioni di fermo e controllo dell'autovetture e il comportamento degli agenti e che va necessariamente messo in correlazione con la mancata elevazione della contravvenzione e annotazione del controllo., non potendo, sul piano fenomenico prima ancora che su quello giuridico, essere letta in chiave frammentaria e atomistica la sequenza evincibile dagli accadimenti storici. Non è superfluo, a questo riguardo, ricordare che quando, come nel caso in esame, le intercettazioni riproducano un'attività illecita dell'imputato, il contenuto della conversazione integra, anche in assenza di riscontri, i gravi indizi di colpevolezza, contenuto che, cionondimeno, deve essere attentamente interpretato sul piano logico ai fini delle inferenze che possono trarsene nella ricostruzione attraverso un'operazione che, sul piano probatorio non è soggetta ai canoni di cui all'art. 192 c.p.p., comma 3, (cfr. Sez. 5, n. 4572 del 17/07/2015, dep. 2016, Ambroggio, Rv. 265747).


Consegue che correttamente sono stati posti a fondamento del giudizio di colpevolezza degli imputati il contenuto delle conversazioni captate, rispettivamente, il 2 maggio 2016, il 6 maggio 2016 e il 5 maggio 2016 (integralmente riportate nella sentenza di primo grado alle pagg. da 4 a 13) e sono ineccepibili le conseguenze che i giudici di merito ne hanno tratto nel ritenere accertate sia le violazioni al codice della strada che la omessa illegittima verbalizzazione delle contravvenzioni e delle operazioni sui fogli di servizio: la lettura convergente di tali dati probatori non si presta a rilievi di sorta né sul piano fattuale e né su quello logico.


4.Le descritte circostanze di fatto non consentono, tuttavia, di pervenire alla conclusione che i ricorrenti abbiano esercitato pressioni sul conducente dell'autovettura che avrebbe dovuto essere sanzionato perché il gancio di traino montato sul veicolo non era stato omologato, in relazione al reato di cui al capo A).


Ad avviso del Collegio la dinamica dei fatti e le parole proferite dall'imputato C., che dirottava sul collega S. le operazioni materiali di verbalizzazione, poi omesse, riconducono alla configurabilità del fatto nella fattispecie incriminatrice di cui all'art. 322 c.p., comma 4.


Tale qualificazione comporta l'assorbimento delle questioni svolte con i motivi di ricorso sub 2.1.3 del C. e 2.2.3 del ricorso S., motivi strutturati sulla configurabilità e sussistenza del reato di tentativo di induzione indebita, essendo pacifico nella giurisprudenza di legittimità che l'art. 322 c.p. prevede una figura autonoma di reato; un reato di semplice condotta consumato alla verificazione dell'offerta o della promessa (o della loro sollecitazione, se l'agente sia il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio) e che, nelle diverse ipotesi che lo realizzano, è del tutto estraneo alla figura di reato bilaterale alla quale sono invece, riconducibili le fattispecie previste dagli artt. 318 e 319 c.p., reato bilaterale al quale, secondo la prospettazione posta a fondamento della sentenza impugnata, è riconducibile anche il delitto di tentativo di induzione indebita.


E' indiscutibile che il contenuto della conversazione intercettata il 2 maggio 2016 documenta solo un frammento della vicenda, che ha avuto il suo epilogo fenomenico nella mancata elevazione della contravvenzione riscontrata al conducente dell'auto: ed è su questo frammento, sia pure parziale, che va ricostruita la condotta degli imputati che, del resto, è riprodotta nella conversazione intercettata nella parte in cui, dopo la "contestazione" verbale della contravvenzione e l'ammissione del conducente (che altro posso fare, dichiarava appena conosciuto l'importo della contravvenzione che si era meritato) riproduce la condotta degli agenti, il rimpallo per le operazioni di verbalizzazione (dal C. al S.) e la frase proferita dal C. che, dopo avere ricostruito la trafila legale per il rinnovo della carta di circolazione, esclamava "scusate, vedete voi... se volete risolvere": null'altro e', infatti, dato sapere sulla reazione dell'automobilista perché a tali parole la intercettazione si interrompe. Da qui i rilievi delle difese dei ricorrenti sulla impossibilità di configurare, rispetto a quella che anche verbalmente si prospetta come una mera sollecitazione, il delitto di cui all'art. 319-quater c.p. nella forma tentata, segnalando la intrinseca contraddittorietà nella parte in cui la motivazione della sentenza impugnata rinvia ad una sorta di mediazione sul paradigma dogmatico della fattispecie di reato. La condotta, così sinteticamente ricostruita, è stata ricondotta, infatti, all'abuso induttivo esercitato dagli agenti e, in mancanza di prova dell'accettazione del conducente dell'autovettura, alla fattispecie legale di tentativo di induzione indebita, dopo avere affermato la natura di reato bilaterale di tale fattispecie, conclusione, questa, in generale tutt'altro che pacifica.


Ritiene il Collegio che operazione preliminare, anche rispetto alla ricostruzione dogmatica del reato di induzione indebita (se reato bilaterale o meno che, tuttavia, sarà superflua), è quella della individuazione della condotta dell'agente pubblico che deve presentare i connotati di un abuso induttivo. Premesso che la condotta dell'agente, in relazione al reato di induzione indebita, non si esaurisce e identifica nella finalità dell'agente e nella violazione dei poteri e/o della funzione, si è posto il problema di individuare i criteri che consentono di discernere rispetto alla condotta di induzione - che richiama alla mente una condotta di persuasione, suggestione e allusione - la condotta a questa prossima di sollecitazione che è elemento costitutivo del reato di istigazione alla corruzione di cui all'art. 322 c.p., commi 3 e 4 e che evoca, anche sul piano del linguaggio comune, una richiesta di stimolo ed incentivo.


Il tema era già noto nella giurisprudenza precedente alla introduzione dell'art. 319-quater c.p. come ipotesi autonoma di reato e, a questo riguardo, la giurisprudenza successiva alla sentenza Maldera aveva affermato, al fine di individuare sulla base di più precisi indici ricostruttivi la differenza tra le figure di reato, che la sollecitazione del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio rivolta al privato a dare o promettere denaro o altra utilità, pure se espressa con la prospettazione di evitare un pregiudizio derivante dall'applicazione della legge mediante un atto contrario ai doveri di ufficio integra, nel caso sia rifiutata, il delitto di istigazione alla corruzione punito dall'art. 322 c.p., o, se accolta, quello di corruzione punito dall'art. 319 c.p.; la medesima sollecitazione integra, invece, il delitto induzione, punito dall'art. 319-quater c.p., quando sia preceduta o accompagnata da uno o più atti che costituiscono estrinsecazione del concreto abuso della qualità o del potere dell'agente pubblico (Sez. 6, n. 16154 del 11/01/2013, Pierri, Rv. 254540).


Si tratta di un principio ribadito in tempi recentissimi spiegando come, nell'intento di coprire tutta la vasta gamma di comportamenti umani attraverso i quali si articolano le relazioni interpersonali, la condotta di sollecitazione di cui al reato di istigazione alla corruzione, si distingue sia da quella di costrizione, cui fa riferimento l'art. 317 c.p., che da quella di induzione, caratterizzante l'ipotesi delittuosa di cui all'art. 319-quater c.p., in quanto si qualifica come una richiesta formulata dal pubblico agente al privato senza esercitare pressioni, risolvendosi nella prospettazione di un mero scambio di "favori", connotato dall'assenza di ogni tipo di minaccia diretta o indiretta (Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019, dep. 2020, Bolla, Rv. 279555). Si è altresì precisato che il tentativo di induzione indebita a dare o promettere utilità si differenzia dall'istigazione alla corruzione attiva di cui all'art. 322 c.p., commi 3 e 4, per la diversa natura del rapporto tra le parti, in quanto, nel primo caso, il pubblico agente, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, pone potenzialmente il privato in uno stato di soggezione mediante una richiesta perentoria, mentre, nel secondo caso, gli rivolge la sollecitazione ad un mero scambio di favori, senza estrinsecazione di alcuna condotta intimidatoria (Sez. 6, n. 3750 del 21/10/2020, dep. 2021, Terracciano, Rv. 280834).


Chiarissimi gli enunciati delle più recenti pronunce nelle quali si è ribadito che nella individuazione del confine tra induzione indebita tentata e istigazione alla corruzione ricorre l'induzione indebita a dare o promettere utilità nella forma tentata in tutti quei casi in cui il pubblico agente, abusando della sua qualità e dei suoi poteri, esercita sull'extraneus una pressione di tipo psicologico sicuramente superiore rispetto a quella conseguente alla mera sollecitazione ed idonea a determinare nell'extraneus uno stato di soggezione che dovrà sempre essere in rapporto di "causa ed effetto" con la condotta induttiva. Si è di fronte, invece, alla mera "sollecitazione" (e si versa, quindi, nell'ipotesi della istigazione alla corruzione attiva), quando l'agente, nell'ottica di instaurare un rapporto paritetico tra le parti diretto al mercimonio dei pubblici poteri, propone al privato, in maniera esplicita o implicita, un "semplice" scambio di vantaggi o favori, senza ricorrere a particolari argomenti di persuasione e soprattutto senza alcun tipo di prevaricazione diretta o indiretta, prodotta dall'intraneus con l'abuso della sua qualità o dei suoi poteri.


L'applicazione di questi principi alla vicenda in esame consente di ricondurre la condotta degli imputati al delitto di istigazione alla corruzione, di cui all'art. 322 c.p., comma 4, non essendo ravvisabile nei fatti l'abuso induttivo.


Deve rilevarsi, infatti, che la condotta degli imputati, contrassegnata da una mera richiesta, non si contraddistingue né per carattere ultimativo né per la perentorietà e/o un grado di reiterazione necessario per qualificarla come "pressione" idonea a generare una suggestione nel destinatario. La concreta dinamica del rapporto tra le parti, evincibile dalla conversazione intercettata e dalla preliminare rappresentazione al conducente fermato delle conseguenze alle quali si esponeva per la constatata violazione ma che non sono enfatizzate;corrispondendo esattamente a quelle previste dal Codice della Strada, consente di escludere che nella condotta degli imputati ricorra una forma di induzione, anche tenuto conto della pianezza del linguaggio: anche la disponibilità del privato a pagare la contravvenzione (...e che altro posso fare), non può essere univocamente letta in chiave costrittiva potendo, viceversa, individuarsi come una rassegnata adesione alle conseguenze che potevano derivare dalla riscontrata infrazione stradale. E', invece, impossibile - stante la interruzione della conversazione intercettata proprio al momento in cui viene formulata la proposta - individuare un eventuale effetto induttivo della richiesta sul privato, anche se, effettivamente, non risulta elevata contravvenzione.


4.1 Diversamente dalle ipotesi di reato ascritte agli imputati ai capi B) e C), la espressa (e come detto documentata) sollecitazione rivolta all'automobilista osta a ritenere configurabile nel fatto una mera condotta di abuso, ai sensi dell'art. 323 c.p., qualificazione alternativa prospettata nei motivi di ricorso sia del C., anche nei motivi aggiunti, che del S. e che sono, pertanto, manifestamente infondati.


Non solo il delitto di abuso in atti di ufficio costituisce una fattispecie residuale - come enunciato nell'incipit della fattispecie incriminatrice - ma, soprattutto, il reato di abuso di ufficio si configura quando un pubblico ufficiale, nello svolgimento della propria attività, procura intenzionalmente per sé o per altri un ingiusto vantaggio patrimoniale (cioè stimabile economicamente) o arreca un danno ingiusto dalla condotta dal quale esula ogni forma di allettamento - se riguardata con riferimento alle fattispecie di corruzione - o di violenza e minaccia- se rapportata alla fattispecie della concussione e dell'induzione, e la condotta illecita dell'agente si esaurisce nella mera violazione di norme di legge al fine di avvantaggiare sé o altri, sollecitazione che, diversamente dagli altri episodi, qui vi è stata,avendo il C. sollecitato all'automobilista ("scusate, vedete voi... se volete risolvere") una soluzione alternativa e che sottende una richiesta economica.


5.Sono manifestamente infondati anche i comuni motivi di ricorso degli imputati sulla sussistenza dei reati di abuso contestati ai capi B) e C). Si è innanzi richiamato il presupposto della configurabilità del reato di abuso in atti di ufficio in presenza di atti volti ad avvantaggiare il privato. La giurisprudenza di questa Corte - richiamata nel ricorso ma affatto pertinente - ha precisato che l'intenzionalità del dolo dell'agente non è esclusa dalla compresenza di una finalità pubblicistica nella condotta del pubblico ufficiale, dovendosi ritenere necessario, perché venga meno la configurabilità dell'elemento soggettivo, che il perseguimento del pubblico interesse costituisca l'obiettivo principale dell'agente, con conseguente degradazione del dolo di danno o di vantaggio da dolo di tipo intenzionale a mero dolo diretto od eventuale (Sez. 6, n. 51127 del 17/09/2019, Camastra, Rv. 278938): esula dalla perimetrazione dell'elemento soggettivo e della sua intenzionalità, nella descritta accezione, anche la sola concorrente finalità del pubblico agente di avvantaggiare il privato, nel caso se stessi, i conducenti degli autoveicoli o i loro proprietari. La sentenza impugnata, ai fini della sussistenza del dolo intenzionale ha valorizzato, enucleandoli dal contenuto delle intercettazioni nelle quali si faceva riferimento chiarissimo a successive visite degli imputati presso l'esercizio commerciale, non solo la effettiva "ratio" ispiratrice del comportamento, rapportata anche alla specifica competenza professionale dei ricorrenti, ma anche il tenore del contatto che veniva a realizzarsi tra gli imputati e i beneficiari, affatto riconducibile alla finalità pubblicistica di regolarizzare le situazioni di illegittimità riscontrate e ben evidenziato dal contenuto delle intercettazioni.


6. Non sono fondati, infine, i motivi di ricorso del S. in merito alla prova del concorso nei reati. La sentenza impugnata non ha mancato di rilevare che l'imputato C. si era assunto ogni responsabilità in merito ai fatti cionondimeno ha confermato il giudizio di responsabilità dei S. evidenziando precise circostanze di fatto - la pattuglia era solita fermare, contemporaneamente più automobilisti; le concrete modalità dei controlli con un vero e proprio rimpallo tra C. e S. in merito alla redazione dei verbali, in ciascun caso omessi - che ben denotano la sussistenza di un previo concerto tra gli imputati ai fini ed in vista della commissione delle condotte illecite e da cui emerge, al di là delle particolari modalità in fatto, la serialità dei comportamenti degli agenti. Significativa, senza cadute logiche, è stata ritenuta dai giudici di merito, in relazione al reato sub A) ai fini della prova del concorso, la circostanza che, a fronte delle osservazioni del conducente del veicolo, C. chiamava il S. per fargli descrivere le conseguenze, sul piano amministrativo, della infrazione rilevata, rinviando, poi, al compagno di pattuglia le operazioni di verbalizzazione e prospettava al conducente dell'auto la possibilità di risolvere diversamente il problema.


7. I rilievi degli imputati sulla mancata applicazione della circostanza di cui all'art. 323-bis c.p. non sono fondati né la qualificazione giuridica del reato sub capo A) come fattispecie di istigazione alla corruzione ne implica il riesame non essendo modificata la ricostruzione in punto di fatto sulla cui base la Corte di appello ha espresso il motivato diniego di applicazione della circostanza attenuante, incentrato sulla comprovata ricorrenza di condotte illecite. La sentenza impugnata ha valorizzato, infatti, la ripetitività delle condotte e la tendenza degli imputati a predisporre le condizioni per realizzare gli illeciti e, quindi, ha individuato precisi elementi di fatto - che prescindono dalla qualificazione giuridica dell'illecito - ritenendoli significativi di abitualità e, quindi, incompatibili con la circostanza attenuante speciale prevista per i fatti di particolare tenuità di cui all'art. 323-bis c.p.. La scelta della Corte di appello, benché parziale, non è censurabile in questa sede per erronea applicazione della legge o manifesta illogicità essendo incentrata su elementi estremamente significativi ai fini dei giudizio di complessiva gravità dei fatti e sulla personalità degli imputati con un giudizio che non è inciso, ai fini della sua rilevanza, dalle osservazioni dei ricorrenti che sollecitano, anche a questo fine, una valutazione "atomistica" dei singoli episodi e la circostanza che gli imputati non hanno tratto vantaggi economici dalle condotte illecite, irrilevante ai fini della consumazione e perfezionamento dei reati.


8. Neppure sono suscettibili di revisione le conclusioni in punto di trattamento sanzionatorio.


La pena inflitta agli imputati per il reato di cui all'art. 319-quater c.p. (che per effetto della L. n. 69 del 2015 era quella della reclusione da sei a dieci anni e sei mesi) è stata diminuita della metà (anni tre di reclusione) per l'ipotesi di tentativo, pena sulla quale è stata operata la diminuzione per le circostanze attenuanti generiche (anni due) aumentata all'inflitto per la continuazione fra reati, pari a mesi cinque per ciascuna violazione. Il delitto di istigazione alla corruzione di cui all'art. 322 c.p., comma 4, rinvia alla pena - da sei a dieci anni di reclusione - prevista per il reato di corruzione, ridotta di un terzo e prevede, dunque, il minimo edittale di anni quattro di reclusione, insuscettibile di riduzione fino alla pena in concreto inflitta che, in concreto, è più favorevole (e immodificabile in mancanza di impugnazione della parte pubblica).


9. Si sottraggono a rilievi in questa sede le valutazioni della Corte sulla misura dell'aumento di pena per la continuazione fra reati espresse sulla base di considerazioni che esulano dalla possibilità di rivalutazione a seguito della riqualificazione venendo evocata - attraverso un giudizio di valore alternativo a quello fatto proprio del tutto logicamente dai giudici del merito - la circostanza che nel periodo di osservazione gli imputati non avevano commesso altri reati, prospettando enunciati ermeneutici - sulla intensità del dolo - già disattesi in sede di motivazione in punto di responsabilità.


I motivi di ricorso involgono, dunque, una richiesta di rivalutazione in fatto non consentita in questa sede.


10. La pena inflitta al S. è ostativa all'applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena e, pertanto, irrilevante è il mancato esame di tale (inammissibile) motivo di censura devoluto ai giudici di appello.


11. La Cancellaria è incaricata degli adempimenti di legge, precisati nel dispositivo.


PQM

Riqualificato il reato di cui al capo A) ai sensi dell'art. 322 c.p., comma 4, rigetta nel resto i ricorsi.


Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 154-ter disp. att. c.p.p..


Così deciso in Roma, il 24 marzo 2022.


Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2022

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