top of page

Abuso d'ufficio: rilevano le condotte riconducibili ad un potere astrattamente discrezionale


Corte di Cassazione

La massima

È configurabile il delitto di abuso di ufficio di cui all' art. 323 c.p. , come modificato dal d.l. 16 luglio 2020, n. 76 , convertito nella l. 11 settembre 2020, n. 120 , non solo nel caso in cui la violazione di una specifica regola di condotta è connessa all'esercizio di un potere già in origine previsto dalla legge come del tutto vincolato, ma anche nei casi in cui l'inosservanza della regola di condotta sia collegata allo svolgimento di un potere che, astrattamente previsto come discrezionale, sia divenuto in concreto vincolato per le scelte fatte dal pubblico agente prima dell'adozione dell'atto (o del comportamento) in cui si sostanzia l'abuso di ufficio.


Vuoi saperne di più sul reato di abuso d'ufficio?


La sentenza integrale

Cassazione penale sez. VI, 16/02/2021, n.33240

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, confermava la pronuncia di primo grado del 26 luglio 2018 con la quale il Tribunale di Nuovo aveva condannato A.F. in relazione al reato di cui all'art. 323 c.p., per avere nel mese di agosto del 2012, quale responsabile della polizia municipale del comune di San Teodoro, in violazione di legge, affidato, con procedura diretta e senza alcuna preventiva determinazione della giunta municipale (intervenuta solo successivamente) alla s.a.s. Service Net il servizio di misurazione elettronica della velocità media dei veicoli lungo la strada statale (OMISSIS) tra (OMISSIS): in particolare, per avere omesso di inserire - sia nel contratto del 4 agosto 2012, sia nella determinazione del 10 agosto 2012 - un bilancio preventivo degli ulteriori costi di servizio (consistenti nella tariffa prevista a favore della Service Net fissata in 24,00 Euro più 6,00 Euro, oltre iva, per ciascun verbale contestato) che, in ragione della prevedibile generazione di un alto numero di verbali di contestazione, da sommare al costo del canone annuo di noleggio delle apparecchiature di 30.000 Euro oltre iva, avrebbero reso necessario un bando di gara; in tal modo l' A. aveva procurato alla predetta società un ingiusto vantaggio patrimoniale derivante dall'affidamento diretto dell'appalto, con conseguente danno per la pubblica amministrazione.


2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso l'imputato, con atto sottoscritto dal suo difensore, il quale ha dedotto i seguenti due motivi.


2.1. Violazione di legge, per avere la Corte territoriale erroneamente confermato la sentenza di condanna di primo grado, benché non fosse risultata violata la disciplina legislativa in materia di appalti, tenuto conto che l'allora vigente D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, art. 125, escludeva la necessità di un bando di gara, prevedendo la possibilità per appalti di servizi del valore non superiore a 200.000 Euro di affidare il relativo appalto sulla base di una gara informale e in applicazione del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa: gara informale che all'epoca l' A. aveva effettuato formulando un invito di offerta a nove aziende del settore e ricevendo una risposta da tre di esse, tra cui quella della società Service Net; appalto che, in ragione del servizio avviato in via sperimentale e del numero non prevedibile di sanzioni che sarebbero state elevate, non era possibile immaginare potesse superare il valore soglia comunitario di 200.000 Euro che in quel periodo imponeva l'avvio di una procedura di evidenza pubblica.


2.2. Violazione di legge, per avere la Corte distrettuale erroneamente applicato la disciplina dell'art. 323 c.p., senza chiarire in che termini si fosse concretizzato il requisito della ‘doppia ingiustizia e quali fossero gli elementi idonei a provare che l'imputato avesse agito con il necessario dolo intenzionale, cioè allo scopo di favorire la società aggiudicataria dell'appalto ovvero di danneggiare la pubblica amministrazione, e non anche realizzare un interesse pubblico, qual era quello di assicurare la sicurezza pubblica lungo una strada ad altra percorrenza di veicoli.


3. Il procedimento é stato trattato nell'odierna udienza in camera di consiglio con le forme e con le modalità di cui al D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, commi 8 e 9, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Ritiene la Corte che il ricorso vada rigettato.


2. Va preliminarmente rilevato come per il reato oggetto del presente processo non sia decorso il termine di prescrizione massimo.


Ed infatti, il delitto oggetto del presente processo risulta commesso il 10 agosto 2012, data dell'adozione della determina dirigenziale; nel corso dei due gradi di merito vi sono state sospensioni della decorrenza di quel termine di prescrizione, dovute a rinvii computabili - dal 12 aprile 2017 al 14 giugno 2017, dal 14 giugno 2017 al 20 ottobre 2017, e dall'11 dicembre 2019 all'11 marzo 2020 - per un totale di 9 mesi e 8 giorni; occorre poi aggiungere l'ulteriore periodo di sospensione ex lege dovuto al rinvio dell'udienza di trattazione del processo in secondo grado (disposto con decreto del 9 marzo 2020 dal presidente della Corte di appello, D.L. 17 marzo 2020, n. 18, ex art. 83, commi 4 e 9, convertito dalla L. 24 aprile 2020, n. 27), per l'intervallo dal 9 marzo 2020 alla data della nuova udienza del 9 giugno 2020, pari ad altri 3 mesi. Il termine massimo di prescrizione di sette anni e mezzo scadrà, dunque, il 18 febbraio 2021.


3. Sempre in via prioritaria occorre chiedersi se il fatto contestato al ricorrente non sia più previsto dalla legge come reato a seguito della parziale abolitio criminis conseguente alle modifiche apportate all'art. 323 c.p. dal D.L. 16 luglio 2020, n. 76, art. 23, convertito dalla L. 11 settembre 2020, n. 120, disposizione con la quale le parole "di norme di legge o di regolamento" contenute nell'art. 323 sono state sostituite con quelle "di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità".


Le novità sono tre.


Fermi restando l'immutato riferimento all'elemento psicologico del dolo intenzionale e l'immodificato richiamo alla fattispecie dell'abuso di ufficio per violazione, da parte del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio, dell'obbligo di astensione in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti (ipotesi di reato che non é variata nei suoi elementi costitutivi), il delitto é ora configurabile solamente nei casi in cui la violazione da parte dell'agente pubblico abbia avuto ad oggetto "specifiche regole di condotta" e non anche regole di carattere generale; solo se tali specifiche regole sono dettate "da norme di legge o da atti aventi forza di legge", dunque non anche quelle fissate da meri regolamenti ovvero da altri atti normativi di fonte subprimaria; e, in ogni caso, a condizione che quelle regole siano formulate in termini da non lasciare alcun margine di discrezionalità all'agente, restando perciò oggi escluse dalla applicabilità della norma incriminatrice quelle regole di condotta che rispondano, anche in misura marginale, all'esercizio di un potere discrezionale (in questo senso v. Sez. 6, n. 442 del 09/12/2020, dep. 2021, Garau, non massimata; Sez. 5, n. 37517 del 02/10/2020, Danzé e altri, non massimata).


Tali indicazioni legislative - che, destinate all'evidenza a restringere sotto l'aspetto oggettivo la rilevanza penale di talune condotte, sono operanti in via retroattiva giusta il principio di cui all'art. 2 c.p., comma 4, - non sono applicabili al caso di specie. E ciò perché all'odierno ricorrente é stata addebitata la violazione di una specifica regola di condotta prevista da una norma di legge, quella contenuta nel D.Lgs. aprile 2006, n. 163, art. 125 (c.d. Codice degli appalti) che all'epoca dei fatti disciplinava il metodo che l'ente pubblico appaltante avrebbe dovuto seguire per l'individuazione del soggetto cui affidare l'esecuzione di opere e lavori pubblici, servizi e forniture; disposizione che dettava criteri tecnici che vincolavano la stazione appaltante ad adottare un criterio di scelta invece che un altro sulla base del risultato di quell'accertamento, senza lasciare al funzionario responsabile alcuna possibilità di scelta discrezionale.


Né a differenti conclusioni é possibile giungere laddove si volesse sostenere che la scelta del metodo di individuazione dell'affidatario dell'appalto dipendeva dal superamento di determinate soglie di valore calcolate sulla base di dati tecnici suscettibili, almeno in parte, di essere valutati con un qualche margine di opinabilità: dunque, di elementi che potevano costituire oggetto di una discrezionalità tecnica.


Tale circostanza risulta, invero, irrilevante in tutti i casi di abuso di ufficio come quello oggi in esame, per quanto si chiarirà nel prosieguo della presente decisione - in cui la violazione di una regola di condotta prevista da una norma di legge dovesse sostanziarsi nella preventiva totale rinuncia da parte del pubblico agente dell'esercizio di ogni potere discrezionale; ovvero laddove la violazione della regola di condotta dovesse intervenire in un momento del procedimento nel quale é possibile affermare che ogni determinazione dell'amministrazione é oramai espressione di un potere caratterizzato dall'essere in concreto privo di qualsivoglia margine di discrezionalità.


In tal senso é possibile fondatamente ritenere che il legislatore della novella, stabilendo che l'abuso di ufficio sia configurabile solo nel caso di "violazione di specifiche regole di condotta (...) dalle quali non residuino margini di discrezionalità", abbia inteso far riferimento non solamente ai casi in cui la violazione ha ad oggetto una specifica regola di condotta connessa all'esercizio di un potere già in origine previsto da una norma come del tutto vincolato (cioè di un potere del quale la legge abbia preordinato l'an, il quomodo, il quid e il quando dell'azione amministrativa); ma anche ai casi riguardanti l'inosservanza di una regola di condotta collegata allo svolgimento di un potere che, astrattamente previsto dalla legge come discrezionale, sia divenuto in concreto vincolato per le scelte fatte dal pubblico agente prima dell'adozione dell'atto (o del comportamento) in cui si sostanzia l'abuso di ufficio.


Tale linea interpretativa del nuovo art. 323 c.p. appare, peraltro, coerente con le conclusioni cui é pervenuta la più attenta giurisprudenza amministrativa che, valorizzando il dettato della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 21-octies, ha riconosciuto che il provvedimento amministrativo é annullabile, per violazione delle norme sul procedimento o sulla forma degli atti, non solo quando sia espressione di un potere vincolato in astratto, cioé disciplinato da disposizioni che non contemplano alcuno spazio di discrezionalità demandato all'amministrazione, ma anche quando esso sia esplicazione di un potere, in astratto discrezionale, che sia divenuto vincolato in concreto: vale a dire di un potere che, per le scelte che il pubblico agente ha compiuto nell'ambito di quello stesso procedimento amministrativo, non poteva che essere quello indicato dalla legge perché oramai caratterizzato da un avvenuto esaurimento di ogni spazio di discrezionalità (in questo senso, tra le altre Cons. Stato, n. 4089 del 17/06/2019).


4. Alla luce delle considerazioni innanzi esposte, il primo motivo del ricorso va giudicato infondato.


Nel caso in esame ha trovato applicazione il già richiamato D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 125 che stabiliva che le pubbliche amministrazioni potessero effettuare acquisizioni in economia di beni, servizi, lavori mediante procedura di cottimo fiduciario (qual era quella che il comune di San Teodoro aveva deciso di appaltare, affidando a terzi la gestione del servizio di misura elettronica della velocità dei veicoli lungo una strada ricadente nel territorio municipale) per importi inferiori a 40.000 Euro mediante affidamento diretto da parte del responsabile del procedimento; per importi da 40.000 a 200.000 Euro "nel rispetto dei principi di trasparenza, rotazione, parità di trattamento, previa consultazione di almeno cinque operatori economici, se sussistono in tale numero soggetti idonei, individuati sulla base di indagini di mercato ovvero tramite elenchi di operatori economici predisposti dalla stazione appaltante"; e, per importi superiori a 200.000 Euro, mediante bando di gara ad evidenza pubblica (con ulteriori prescrizioni di rilevanza comunitaria nel caso di superamento della soglia di cui all'art. 28 D.Lgs. cit.).


Inoltre, l'art. 29 dello stesso D.Lgs. prevedeva che "il calcolo del valore stimato degli appalti pubblici e delle concessioni di lavori o servizi pubblici é basato sull'importo totale pagabile al netto dell'IVA, valutato dalle stazioni appaltanti"; e che, comunque, "la scelta del metodo per il calcolo del valore stimato di un appalto pubblico non può essere fatta con l'intenzione di escluderlo dal campo di applicazione delle norme dettate per gli appalti di rilevanza comunitaria".


Di tali norme amministrative, integratrici del precetto penale dettato dall'art. 323 c.p., la Corte di appello ha fatto corretta applicazione, osservando come nel caso di specie solo formalmente l' A., comandante della polizia municipale di San Teodoro e responsabile del procedimento in argomento, avesse rispettato quelle indicazioni legislative in ordine al metodo da seguire per la scelta del privato cui affidare il servizio in argomento: avendo, invece, egli deliberatamente sottostimato in 36.300 Euro il valore dell'appalto di servizi che si stava accingendo ad assegnare, così utilizzando il metodo dell'affidamento diretto, riferendosi solo all'importo fisso annuale di noleggio della apparecchiature; senza tenere in un alcun conto e neppure menzionare - sia nel contratto che nella successiva determina dirigenziale - gli ulteriori costi che sarebbero gravati sull'ente comunale per la gestione, da parte della società affidataria, del servizio di gestione dei verbali di accertamento, costi pari a 32,50 Euro oltre IVA per ciascuna violazione e verbale generato.


La scelta di non considerare tali ulteriori costi per determinare il valore dell'appalto fu il frutto non di una consentita valutazione discrezionale, ma di una deliberata decisione dell'imputato di non osservare le innanzi esaminate vincolanti prescrizioni di legge, che si sarebbero dovute tradurre in una mera attività di accertamento tecnico cui avrebbe fatto seguito l'esercizio di un potere vincolato.


Né é possibile sostenere che l'imputato avesse operato quella scelta esercitando in precedenza un potere di valutazione discrezionale dei dati tecnici a disposizione: considerato che - come convincentemente chiarito dai giudici di merito - la gestione di quel servizio, in appena due mesi di attività, avrebbe poi generato 51.000 verbali, per importi pari ad oltre 1.900.000 di Euro; che già nel maggio del 2012 l' A. aveva sottoscritto e trasmesso all'ufficio ragioneria comunale un documento contenente i risultati di uno "studio sperimentale" che aveva permesso di accertare che il numero dei verbali di contestazione delle norme del codice della strada, redatti sulla base di quel sistema di rivelazione della velocità dei veicoli, sarebbe stato elevatissimo (tanto che il prevenuto aveva persino ritenuto necessario sollecitare il ragioniere comunale ad aprire un apposto conto corrente postale); e che altre amministrazioni pubbliche della zona, che si erano interessate di appaltare un analogo servizio per i territori di loro rispettiva pertinenza, si erano significativamente già regolate nel senso di utilizzare la diversa procedura di selezione mediante pubblicazione di un bando di gara ad evidenza pubblica.


5. Anche il secondo motivo del ricorso é privo di pregio.


Costituiscono ius receptum nella giurisprudenza di legittimità i principi secondo i quali, per la configurabilità del reato di abuso di ufficio, é necessaria la prova della cd. doppia ingiustizia, che postula un duplice distinto apprezzamento, concernente sia la condotta che deve essere connotata da violazione di norme di legge o di regolamento, sia l'evento di vantaggio patrimoniale in quanto non spettante in base al diritto oggettivo, non potendosi far discendere l'ingiustizia del vantaggio o del danno dall'accertata illegittimità della condotta (così, tra le molte, Sez. 6, n. 17676 del 18/03/2016, Nodo, Rv. 267171; e, più di recente, Sez. 6, n. 19929 del 22/02/2019, Bernardi, non massimata); e nel reato di abuso di ufficio la prova del dolo intenzionale non presuppone l'accertamento dell'accordo collusivo con la persona che si intende favorire, potendo tale prova essere desunta anche dalla macroscopica illegittimità dell'atto, essendo però necessario che tale valutazione non discenda dal mero comportamento non iure dell'agente, ma risulti anche da elementi ulteriori concordemente dimostrativi dell'intento di conseguire un vantaggio patrimoniale o di cagionare un danno ingiusto (in questo senso, tra le altre, Sez. 6, n. 12974 del 08/01/2020, Zanola, Rv. 279264; Sez. 6, n. 52882 del 28/09/2018, Pastore, Rv. 274580).


Di tali criteri interpretativi la Corte distrettuale ha fatto buon governo, sottolineando come la palese violazione, da parte dell'imputato, delle considerate regole di condotta avesse finito non solo per determinare un ingiusto vantaggio patrimoniale per l'ente affidatario, ma anche un danno per l'ente comunale, che si era visto costretto ad avviare dispendiosi procedimenti per l'annullamento di quel contratto di appalto e per l'invalidazione in autotutela dei numerosi verbali di accertamento per contravvenzioni elevate.


Per altro verso, si é puntualizzato come il fatto che il prevenuto avesse agito con il chiaro consapevole intento di favorire il titolare della azienda alla quale quell'appalto era stato illegittimamente affidato, fosse stato dimostrato da plurime circostanze. Quella che l' A. aveva stipulato il contratto e adottato la collegata determina dirigenziale ancor prima che la pratica venisse esaminata, in relazione al significativo impegno di spesa che quel servizio avrebbe comportato per il comune, dalla giunta municipale; nonché quella che l'imputato aveva permesso al responsabile della società appaltatrice (che, peraltro, aveva la sua sede nello stesso immobile dell'ufficio comunale) di installare e di iniziare ad utilizzare le apparecchiature per la rilevazione della velocità diversi giorni prima di stipulare il contratto, che non era stato neppure registrato; nonché di emanare la citata determina dirigenziale senza alcun preventivo rilascio della necessaria autorizzazione da parte dell'ente pubblico, l'Anas, cui era affidata la gestione della strada interessata dal collocamento dei rilevatori di velocità dei veicoli.


6. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.


Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2021.


Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2021

bottom of page