La massima
Tra le attività speculative contemplate dalla norma di cui all'art. 648-ter.1 c.p., si rientra anche il gioco d'azzardo e le scommesse e ciò in quanto i i proventi illeciti vengono reinvestiti, così da mascherarne la provenienza delittuosa.
Fonte: Studio Legale del Giudice
Vuoi saperne di più sul reato di abuso d'ufficio?
La sentenza integrale
Cassazione penale sez. II, 27/06/2023, (ud. 27/06/2023, dep. 14/07/2023), n.30642
RITENUTO IN FATTO
1. F.A., a mezzo del suo difensore, propone ricorso per cassazione avverso la sentenza del 4 ottobre 2022 con la quale la Corte di Appello di Genova, in parziale riforma della sentenza emessa, in data 18 marzo 2021, dal Giudice per le indagini preliminari Tribunale della Spezia, lo ha condannato alla pena di cinque anni e quattro mesi di reclusione ed Euro 14.000,00 di multa in relazione ai reati di cui agli artt. 81,640, 648-ter.1 c.p. e D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 166.
2. Con il primo motivo, si deduce l'inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 648-ter.1 c.p., poiché la Corte territoriale avrebbe ritenuto la condotta rubricata idonea a perfezionare il reato di autoriciclaggio, aderendo all'orientamento della giurisprudenza di legittimità in virtù del quale le attività di scommesse e gioco di azzardo rientrerebbero nella nozione di attività speculativa utilizzata dall'art. 648-ter.1 c.p..
Secondo la difesa tale orientamento si porrebbe in contrasto con il dato normativo e con il divieto della analogia in malam partem, non essendo dubitabile che la norma in esame punisca le condotte indicate nella fattispecie incriminatrice solo ed esclusivamente allorquando i proventi delle condotte delittuose vengano immessi nel sistema economico finanziario, laddove invece il gioco d'azzardo non rientrerebbe ontologicamente tra le attività economico-finanziarie, stante il carattere prettamente ludico e del tutto estraneo da qualsivoglia connotazione economico-imprenditoriale.
La motivazione sarebbe, inoltre, carente in ordine all'idoneità delle condotte poste in essere dal ricorrente ad ostacolare concretamente l'identificazione della provenienza delittuosa dei beni, posto che il pagamento delle giocate avveniva mediante bonifici bancari effettuati direttamente dal conto corrente dell'imputato (che consentirebbe di tracciare il percorso compiuto dal denaro e di accertarne i suoi frutti con conseguente irrilevanza penale delle condotte rubricate, in assenza di un mutamento della formale titolarità o della disponibilità del bene mediante la reimmissione del bene nel circuito economico).
Le condotte del ricorrente non sarebbero poi contraddistinte dal necessario elemento soggettivo, F. si limitava a pagare le giocate, trasferendo le somme necessarie direttamente dal conto corrente con modalità evidenti e tracciabili ed agiva per soddisfare il proprio bisogno di gioco e non certo al fine di rendere difficile l'identificazione dei proventi degli illeciti.
2.2. Con il secondo motivo, si lamenta violazione degli artt. 192 e 533 c.p.p. e vizi della motivazione, in ordine alla sussistenza del reato di autoriciclaggio.
La motivazione sarebbe contraddittoria laddove afferma che l'imputato agiva per occultare i proventi del delitto commesso piuttosto che per soddisfare il proprio bisogno di gioco. Sarebbe altresì illogico affermare che il ricorrente si sia determinato a impiegare nel gioco d'azzardo la sola somma di Euro 99.500 al fine di occultarne la provenienza illecita mentre i restanti 3.600.000 Euro venivano dissipati in spese voluttuarie. Il fatto che le giocate siano state direttamente bonificate dal conto corrente nel quale erano confluiti i proventi illeciti, l'esiguità dell'importo impiegato nel gioco d'azzardo rispetto all'ammontare delle somme di provenienza delittuosa e il mancato occultamento del maggiore importo dimostrerebbero, a giudizio del ricorrente, l'insussistenza del reato di autoriciclaggio e la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
2.3. Con il terzo motivo, ci si duole della violazione l'inosservanza ed erronea applicazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 166.
Secondo i giudici di merito, sarebbe stata raggiunta la prova che l'imputato offriva servizi di investimento, ma, a giudizio della difesa, tale affermazione sarebbe erronea, non tenendo conto del fatto che la fattispecie criminosa in esame sanziona soltanto il soggetto che svolga professionalmente l'attività di intermediazione finanziaria senza esserne autorizzato e non colui che, come nel caso di specie, si limiti a creare una mera apparenza al solo fine di farsi consegnare l'altrui denaro.
2.4. Con il quarto motivo, la difesa deduce violazione degli artt. 192 e 533 c.p.p., contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza del reato di cui al D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 166.
La motivazione sarebbe contraddittoria in quanto i giudici di appello da un lato affermano che il ricorrente svolgeva attività di intermediazione investimento e dall'altro affermano che l'imputato avrebbe formato documenti falsi e dato informazioni su investimenti inesistenti. Di conseguenza apparirebbe evidente il mancato svolgimento di attività di intermediazione.
2.5. Il ricorrente, con il quinto motivo di impugnazione, eccepisce inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 62-bis c.p., nonché contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
La Corte territoriale avrebbe erroneamente negato la concessione delle generiche senza tenere conto degli elementi favorevoli alla mitigazione della pena dedotti dalla difesa (parziale risarcimento del danno, ammissione di responsabilità e incensuratezza dell'imputato).
2.6. Con il sesto motivo, si rileva l'inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 132 c.p. e dell'art. 442 c.p.p. La Corte territoriale avrebbe applicato la riduzione per il rito in misura inferiore a quella prevista dall'art. 442 c.p.p..
2.7. Il settimo motivo è diretto a sollecitare sentenza di non doversi procedere per essere venuta meno la condizione di procedibilità in relazione ai capi L17 ed L18.
3. Si è proceduto con trattazione scritta, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8, convertito nella L. 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile in forza di quanto disposto dal D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, art. 94, comma 2, come modificato dal D.L. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato, limitatamente alla mancata considerazione della sopravvenuta improcedibilità dei due episodi di truffa sopra accennati e alla mancata completa riduzione per il rito abbreviato, ed è complessivamente infondato nel resto.
1. La Corte di appello ha ritenuto sussistere il delitto di autoriciclaggio, coerentemente con la giurisprudenza di questa Corte regolatrice, secondo cui integra la condotta punita dall'art. 648-ter.1 c.p. il reinvestimento dei proventi illeciti nel gioco d'azzardo e nelle scommesse, così da mascherarne la provenienza delittuosa, poiché l'alea tipica di quei giochi è assimilabile a quella propria delle "attività speculative" contemplate dalla norma incriminatrice, implicando l'accettazione di un rischio correlato all'impiego delle risorse (Sez. 2, n. 11325 del 18/01/2023, Sambrotta, Rv. 284290; Sez. 2, n. 13795 del 07/03/2019, Sanna, Rv. 275528).
1.1. L'esegesi e', con ogni evidenza, pienamente rispettosa della lettera della legge e intende il sintagma "attività speculativa" quale investimento ad alto rischio, estendibile - poiché il concetto di alea non risulta ontologicamente diverso o inconciliabile con quello di rischio calcolabile - anche al gioco d'azzardo, attività comunque idonea a rendere non tracciabili i proventi del delitto presupposto e tale da ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa.
Il profilo di censura è dunque infondato.
1.2. Dalle considerazioni che precedono discende altresì la manifesta infondatezza della doglianza - peraltro espressa in termini meramente reiterativi e aspecifici - relativa alla pretesa inidoneità delle suddette condotte a ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa dei beni.
Il ricorrente, infatti, neppure si misura con l'ampia argomentazione con cui la Corte genovese sottolinea come la possibilità di identificazione prevista dalla norma incriminatrice non abbia ad oggetto l'autore della condotta, ma i beni di provenienza illecita (nel caso di specie somme liquide, fungibili per antonomasia, cambiate in fiches presso il casinò di Campione di Italia, salva la successiva riscossione delle eventuali vincite, con effetto implicito di money laundering).
2. La ludopatia o comunque la passione per il gioco d'azzardo che, secondo la difesa, sarebbero alla base di tale destinazione del denaro, con conseguente insussistenza dell'elemento soggettivo, anche alla luce della ridotta percentuale dei proventi destinata all'utilizzo nella casa da gioco e alla mancanza di precauzioni rispetto alle residue somme, rappresentano una mera lettura alternativa del dato processuale, inammissibile in questa sede di legittimità, a fronte di una congrua motivazione dei giudici di appello (che, in punto di diritto, evidenziano comunque correttamente come la norma richieda semplicemente il dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di tenere una condotta che concretamente ostacoli gli accertamenti sulla provenienza delle somme).
3. Le doglianze contenute nel terzo e nel quarto motivo di impugnazione, relative ad asserite violazioni del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 166, sono del pari prive di pregio e non si confrontano concretamente con le ragioni illustrate dai giudici di appello.
Il reato di abusivismo finanziario è un reato di pericolo presunto a tutela del corretto funzionamento del mercato, avente ad oggetto lo svolgimento di servizi o attività di investimento o di gestione di risparmi altrui, che esclude dall'area penalmente sanzionata solo il compimento di singoli atti occasionali, richiedendo una serie coordinata di atti rientranti nelle tipologie previste, secondo un concetto di professionalità in senso ampio, e indirizzati al pubblico, nel limitato senso di soggetti quantitativamente non predeterminati (Sez. 5, n. 37528 del 22/10/2020, Kluzer, Rv. 280109). Il delitto in esame, d'altronde, ben può concorrere con quello di truffa, attesa la sostanziale differenza esistente tra le due fattispecie, in quanto l'abusivismo è reato di pericolo, inteso a tutelare l'interesse degli investitori a trattare soltanto con soggetti affidabili nonché l'interesse del mercato mobiliare, nel suo complesso e nei suoi singoli operatori, ad escludere la concorrenza di intermediari non abilitati, mentre la truffa è reato istantaneo di danno, che, per la sua esistenza, richiede l'effettiva lesione del patrimonio del cliente, per effetto di una condotta consistente nell'uso di artifizi o raggiri e di una preordinata volontà di gestire il risparmio altrui in modo infedele, e si consuma al momento della produzione dell'effettivo pregiudizio del raggirato e del conseguimento dell'ingiusto profitto dell'agente (Sez. 5, n. 32514 del 16/10/2020, Mazzoni, Rv. 279873).
In ossequio a questi principi di diritto, la sentenza impugnata rileva, con motivazione immune da vizi logico-giuridici, come la raccolta di capitale da una platea vastissima di investitori - ai quali, in difetto delle autorizzazioni previste, era stata proposta la conclusione di un contratto avente ad oggetto operazioni su strumenti finanziari - integri appieno la fattispecie punita dal testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, restando irrilevante la destinazione poi data al denaro dei clienti sottoscrittori e la stessa inesistenza dello strumento finanziario prospettato (viceversa artificio diretto all'induzione in errore, nei concorrenti delitti di truffa).
4. La Corte di appello giustifica la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, a fronte della gravità degli addebiti, con la tardività della confessione (resa solo quando gli elementi a carico avevano assunto significativa solidità), la parzialità dei risarcimenti e l'indifferenza della scelta del rito (già premiata con una diminuente ad hoc), in difetto di altri elementi soggettivi o oggettivi utilmente apprezzabili pro reo.
Questa argomentazione non può essere confutata, restando irrilevante lo stato di incensuratezza, dalla sola allegazione - relativa a valutazioni prettamente fattuali - che le restituzioni sono state comunque assai consistenti.
5. E' fondato il sesto motivo, poiché la Corte di appello, dopo avere indicato la pena complessiva, prima della diminuente ex art. 442 c.p.p., di sei anni di reclusione ed Euro 21.000 di multa, procede poi a una riduzione minore del terzo previsto dalla legge per quanto attiene alla pena detentiva (cinque anni e quattro mesi di reclusione, invece di quattro anni).
6. Del pari fondato è il settimo motivo, dal momento che alla rimessione della querela da parte delle persone offese R.G. e B.K. consegue la sopravvenuta improcedibilità dei delitti di truffa contestati ai capi L17 ed L18, ai sensi del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, art. 2, comma 1, lett. o).
7. La sentenza impugnata deve dunque essere annullata senza rinvio, limitatamente ai soli capi L17 e L18, estinti per remissione di querela, e al trattamento sanzionatorio.
Le riduzioni della pena nei termini indicati sub 5 e 6, possono essere determinate direttamente da questa Corte, ai sensi dell'art. 620 c.p.p., lett. l), mediante semplici operazioni aritmetiche e senza che sia necessaria un'ulteriore valutazione di merito.
L'aumento a titolo di continuazione per tutti i trentasei episodi di truffa è stato quantificato dai giudici di appello in complessivi due anni di reclusione ed Euro 11.000 di multa, di modo che deve ritenersi che ogni singolo episodio abbia comportato un aumento di venti giorni di reclusione e di Euro 306 di multa. Il mancato computo degli ulteriori aumenti per i delitti D.Lgs. n. 166 del 1998, ex art. 166, in difetto di impugnazione della Parte pubblica, resta coperto dal giudicato.
All'esito dell'espunzione del trattamento sanzionatorio per i due reati non più procedibili, la pena complessiva di cinque anni, dieci mesi e venti giorni di reclusione ed Euro 20.388 di multa deve quindi essere ridotta di un terzo ex art. 442 c.p.p., sino alla pena finale di tre anni, undici mesi e tre giorni di reclusione ed Euro 13.592 di multa.
In tal senso deve essere rideterminata la pena inflitta all'imputato.
8. Il ricorrente, pure soccombente per quanto qui rileva, non deve essere condannato al pagamento delle spese processuali sostenute dalle parti civili, dal momento che nessuna di esse ha offerto alcun concreto elemento di dibattito centrato sulle questioni oggetto del ricorso, idoneo a offrire una valida piattaforma argomentativa di contrasto alle avverse ragioni; viceversa, le conclusioni scritte e la comparsa conclusionale di tutte le parti civili si limitano ad insistere per la declaratoria di inammissibilità o il rigetto del ricorso e per la condanna al risarcimento e alla rifusione delle spese legali del presente grado.
Nel giudizio di legittimità, infatti, quando il ricorso dell'imputato viene rigettato o dichiarato, per qualsiasi causa, inammissibile, la parte civile ha diritto di ottenere la liquidazione delle spese processuali, senza che sia necessaria la sua partecipazione all'udienza, purché abbia effettivamente esplicato, anche solo attraverso memorie scritte, un'attività diretta a contrastare l'avversa pretesa a tutela dei propri interessi di natura civile risarcitoria, fornendo un utile contributo alla decisione (cfr. Sez. 4, n. 36535 del 15/09/2021, A., Rv. 281923; Sez. 3, n. 27987 del 24/03/2021, G., Rv. 281713; Sez. 2, n. 12784 del 23/01/2020, Tamborrino, Rv. 278834).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ai capi L17 e L18 per essere detti reati estinti per remissione di querela e limitatamente al trattamento sanzionatorio e ridetermina la pena inflitta nella misura di anni tre, mesi undici e giorni tre di reclusione ed Euro 13.592,00 di multa.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 27 giugno 2023.
Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2023