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Cogne: La revoca della misura cautelare per carenza dei gravi indizi di colpevolezza.

Tribunale Torino sez. riesame, 30/03/2002

 

PREMESSO

che F.A. è indagata per omicidio volontario ai danni del proprio figlio S.L. di anni tre perpetrato in data 30 gennaio 2002;


che più in particolare, dagli Atti trasmessi a questo Organo ex art. 309 comma 5 c.p.p., emergono le seguenti circostanze in ordine alle modalità di svolgimento dei principali fatti di causa:


alle ore 8 28/17 del 30 gennaio 2002 F.A. chiamava il servizio medico di pronto intervento 118 di Aosta dicendo all'operatrice C.N. che il proprio figlio vomitava sangue dalla bocca;


alle ore 8 e 41 veniva inviato un elicottero presso il luogo da cui era partita la chiamata, che perveniva a destinazione verso le ore 8 e 51- 8 e 52;


sul posto già si trovavano, oltre alla madre di S.L., la dottoressa S.A. (convocata telefonicamente dalla stessa F.A. a partire dalle ore 8 e 27 minuti primi e 30 minuti secondi), intenta prestare le prime cure al bambino detergendo le ferite e praticandogli una iniezione di cortisone, nonché il suocero di questa S.M., la vicina di casa F.D. ed alcune persone che si trovavano a passare nei paraggi e che erano state attirate dall'improvvisa animazione creatasi attorno alla villetta abitata dai coniugi L.S-F.A.;


il medico di servizio a bordo dell'elicottero, tale I.L., trovava il piccolo S.L. in condizioni disperate, adagiato su di un giaciglio allestito nella zona esterna della predetta abitazione su precisa indicazione di tale P.A., operatore al servizio sanitario, pur rilevando che il piccolo versava in stato comatoso terminale, tentava comunque di effettuare un intervento di rianimazione inserendo una cannula nel cavo orale, onde evitare la retroflessione della lingue, e somministrando ossigeno;


alle ore 9 e 19 minuti il bambino veniva caricato sull'elicottero, ove proseguivano i tentativi di rianimazione, e giungeva in ospedale alle ore 9 e 47 minuti in condizioni di assoluta assenza di parametri vitali;


alle ore 9 e 55 minuti primi il dott. B.N. del Pronto Soccorso di Aosta ne constatava il decesso per: trauma cranico maggiore con ferite di verosimile natura da punta e taglio regione frontale destra e regione fronto-orbitaria sinistra e regione parietale destra e sinistra, con sottostanti sfondamenti ossei e pluriframmentazioni ed affossamento delle ossa frontale e parietale destra e sinistra, con perdita di sostanza parenchimale cerebrale;


il dott. I.L., al suo arrivo presso l'abitazione dei L., rilevava immediatamente che le lesioni riportate dal piccolo S.L. erano del tutto incompatibili con la diagnosi di aneurisma cerebrale prospettata in un primo tempo dalla dott. S.A. e, su sua indicazione, tale G.E., intervenuto esso pure per prestare soccorso, chiamava i Carabinieri della stazione di Cogne il cui comandante, alle ore 9 e 6 minuti primi, allertava la centrale operativa del Comando Gruppo Carabinieri di Aosta, riferendo in merito all'intervento compiuto dal servizio di pronto soccorso 118;


alle ore 10 veniva eseguito un primo accertamento urgente su8llo stato dei luoghi e nel corso di tale operazione venivano rinvenute all'esterno dell'abitazione numerose tracce ematiche riconducibili al fatto oggetto d'indagine;


le immagini dell'interno dell'abitazione venivano immediatamente riprodotte per mezzo di riprese cinematografiche;


dalle dichiarazioni rese nell'immediatezza della indagata, dalla dott. S.A. r dalla vicina di casa F.D. (reciprocamente concordanti ed almeno in questa parte integralmente attendibili) emergeva che il corpo del piccolo S.L. si trovava, al momento del suo rinvenimento, nella camera da letto dei genitori, sita al piano seminterrato dell'abitazione, posizionato, come può anche evincersi dalle fotografie scattate all'interno di tale camera, nella parte alta del letto, sulla sinistra (guardando dai piedi dello stesso), con il capo poggiato sul cuscino;


in sede di esame autoptico venivano rilevate 17 ferite lacero-contuse, distribuite in regione fronto-parietale bilateralmente;


la causa della morte veniva quindi ricondotta dal professor Francesco Viglino, consulente tecnico del P.M., ad un trauma cranico aperto con edema cerebrale acuto;


tale consulenza portava gli inquirenti ad escludere una prima serie di ipotesi alternative quali trauma accidentale, aggressione da parte di un animale, cause di natura organica e, in considerazione del numero, della localizzazione e della natura delle ferite, veniva imputata l'azione lesiva all'aggressione dolosa di un terzo;


dagli esiti della suddetta consulenza autoptica, e segnatamente dall'assenza di ipostasi sul cadavere, oltre che dall'assenza in altri luoghi della casa di significative tracce ematiche emergeva che l'omicidio era stato consumato all'interno della camera da letto dei coniugi L.;


veniva in particolare constatato che la vittima era stata aggredita mentre si trovava nel letto matrimoniale, in posizione supina sulla parte sinistra (sempre per chi guarda dai piedi dello stesso);


tale assunto risultava anche suffragato dalla presenza di un'estesa chiazza ematica con frammenti ossei e materia cerebrale, proprio sul cuscino e sulla zona sottostante del materasso, in detta parte del letto, oltre che dalla circostanza che, all'esito degli accertamenti urgenti ivi effettuati, i militari operanti attestavano: in tutto lo stabile non abbiamo trovato tracce evidenti di avvenuta colluttazione o segni comunque riconducibili ad episodi violenti; vistose macchie di sangue venivano per contro rinvenute sul lenzuolo e sul piumone posti sul suddetto letto, sulla parte di muro alla sinistra dello stesso, sulla testiera e sul muro retrostante ad essa, sul muro e sul comodino posti alla destra, sulle due abatjour poste sui comodini ai due lati sul calorifero ubicato sopra la finestra e sulle tende della finestra stessa ed addirittura sul soffitto, in prossimità della lampada ubicata in posizione centrale;


venivano pertanto escluse tutte le ipotesi alternative di perpetrazione dell'omicidio in altri locali della casa, od in zona esterna;


il teatro del delitto si presentava sostanzialmente ordinato: l'arredamento e le suppellettili apparivano in ordine e non interessate dall'azione aggressiva esercitata sul corpo del piccolo S.L., non erano visibili segni di confusione, o di colluttazione, non risultava essere stato sottratto nulla dalla camera;


la mano sinistra della piccola vittima presentava sulle prime falangi delle dita indice e medio, alcune ferite lacero-contuse;


dalla natura della lesione e dalle valutazioni svolte dal consulente tecnico del P. M. prof. Viglino emergeva una priorità temporale di tali ferite rispetto a quelle inferte sul capo della vittima, sintomatiche, ad avviso degli inquirenti, della circostanza che il bambino, prima di venire colpito al capo, era stato colpito alla mano sinistra, mentre cercava di difendersi, ed aveva conseguentemente visto il proprio assassino;


il che, unitamente alla già rilevata assenza di tracce di colluttazione o di tentativo di fuga da parte della vittima, portava a ritenere che il piccolo S.L. conoscesse l'assassino, che non si aspettasse nessuna azione violente da parte di questa persona e che, soltanto in extremis, avesse cercato di difendersi di fronte alla feroce aggressione;


durante lo svolgimento degli accertamenti tecnici venivano due sequestri poi rilevatisi di particolare importanza al fine della ricostruzione dei fatti;


nell'angolo inferiore sinistro del letto (sempre per chi guarda dai piedi dello stesso) veniva rinvenuto un pigiama femminile di colore azzurro con disegni a fantasia;


in particolare la casacca era posta, rivoltata, tra il lenzuolo e il materasso mentre i pantaloni si trovavano nel giusto verso tra le falde del piumone parzialmente ripiegato su se stesso al momento del rinvenimento;


inoltre nella zona giorno sita al piano terreno poste nel disimpegno che da accesso al bagno, venivano rinvenute un paio di zoccoli in plastica di colore bianco appartenenti all'indagata;


anche tali ulteriori effetti personali venivano sequestrati in quanto presentavano delle tracce ematiche sulla suola;


le numerosissime informazioni sommariamente raccolte dagli inquirenti attraverso le sommarie escussioni delle varie persone informate sui fatti evidenziavano che la scoperta del corpo della giovanissima vittima era stata segnalata dalla madre dopo che la stessa era uscita per accompagnare allo scuola bus l'altro figlio, D.L., di sei anni;


al rinvenimento del corpo erano seguite svariate richieste di aiuto da parte della donna;


la prima ad essere stata interpellata era la vicina di casa F.D., che si trovava sul balcone della propria abitazione;


poi, per mezzo del telefono, la dott. S.A. (alle ore 8, 27 minuti primi e 30 minuti secondi), il servizio sanitario di pronto intervento 118 (alle ore 8, 28 minuti primi e 17 minuti secondi) ed infine il marito (alle ore 8, 29 minuti primi e 30 minuti secondi), chiamato non direttamente ma per mezzo della segretaria;


l'arrivo dei soccorritori determinava un irreversibile mutamento della scienza del delitto: il corpo del bambino veniva, come già ricordato, spostato dal letto e portato all'esterno dell'abitazione, per cui la posizione in cui lo stesso si trovava al momento dell'aggressione poteva poi essere desunta esclusivamente sulla scorta delle dichiarazioni rese dalle tre uniche persone che ebbero modo di vedere il piccolo quando si trovava ancora disteso sul letto, e cioè la madre, la dott. S.A. e la vicina di casa F.D.;


la F.A., premettendo di aver portato il figlio maggiore alla fermata dell'autobus, dichiarava in particolare: ... sono tornata a casa velocemente ho aperto la porta ho ritrovato la mia borsa per terra dove l'avevo lasciata con il portafoglio sono scesa di sotto da S.L. ed ho visto che si era girato a pancia in su e tirato la coperta sopra il capo.


Ho creduto che volesse giocare a nascondino come era solito fare con il fratello quindi ho tirato giù la coperta e l'ho visto in un lago di sangue che respirava affannosamente ed era pallido.


A quel punto ho iniziato a chiamarlo ho sentito che respirava (...) dopo aver tirato giù le coperte ed aver scoperto la pozza di sangue dove si trovava S.L. ho guardato e ho iniziato a vedere che c'erano chiazze di sangue dappertutto;


il breve trasferimento della F.A. presso la fermata dello scuolabus utilizzato dal figlio D.L. poteva essere con buon margine di approssimazione ricostruito cronologicamente attribuendo allo stesso un intervallo di tempo dell'ordine di 6-8 minuti primi, compreso fra le ore 8 e 16-17 minuti primi e le ore 8 e 23-24 minuti primi;


la F.D. dichiarava di essere stata chiamata tra le ore 8 e 25 minuti primi e le ore 8 e 30 minuti primi dalla F.A., la quale le aveva comunicato che S.L. perdeva sangue dalla testa, rientrando poi nella propria camera da letto attraverso la porta- finestra sita al piano terra;


aggiungeva di essere a quel punto entrata a sua volta nella casa dei L., descrivendo la scena del delitto nei seguenti termini: sono entrata in camera da letto, quella di A. e S., ed ho visto il bambino S.L. era supino sul letto, con indosso il pigiama, con tutta la faccia e la testa piena di sangue (...) ho notato che c'era del sangue sulla parete dietro il letto. Il bambino aveva la testa sul cuscino ed era scoperto, sentivo che si lamentava emetteva dei suoni apriva e chiudeva gli occhi;


altresì precisato che: S.L. era disteso sul letto matrimoniale in posizione supina sulla parte sinistra del letto, guardandolo dalla finestra, e si presentava con il viso coperto di sangue. Il bambino indossava il pigiama ed era completamente scoperto, almeno sino alle ginocchia, non ricordo se proprio fino ai piedi. Il piumone che copriva il letto si presentava scostato sulla parte destra del letto matrimoniale, sempre secondo la mia visuale;


tale vicina di casa risultava essere stata la prima persona, dopo F.A., a penetrare all'interno dell'abitazione di quest'ultima ed a scorgere il teatro del delitto;


riferiva in proposito di essere stata immediatamente invitata dalla F.A. a recarsi dalla dott. S.A. e precisava: F.A. era in piedi vicino al letto; aveva le mani lungo i fianchi e non toccava il bambino, non piangeva, forse era sotto shock e mi diceva di andare a chiamare S.A., la dott. S.A., che abita li vicino perché venisse subito; ricordava infine di essersi subito dopo allontanata dalla casa dei L. per dirigersi verso casa della S.A. e di aver poco distante incontrato quest'ultima che stava raggiungendo a bordo della propria autovettura, accompagnata dal suocero S.M.;


emergeva infine dalle attestazioni della S.A. che l'indagata, nel corso della concitata conversazione delle ore 8 e 27 minuti primi e 30 minuti secondi (protrattasi per 45 minuti secondi) le aveva detto: di andare immediatamente a casa sua, di fare prestissimo perché c'era S.L. che stava perdendo sangue dalla bocca, tanto sangue, esclamando subito dopo, gli sta scoppiando il cervello oppure gli è scoppiato il cervello;


la sanitaria aggiungeva poi di essere penetrata a sua volta nell'abitazione dei L., sempre accompagnata dal suocero, precisando: appena giunta ho trovato il bambino collassato in una pozza di sangue con una ferita importante a livello dell'osso frontale sulla parte destra, una lesione molto importante aperta da cui usciva della materia cerebrale e altre piccole lesioni sulla parte alta del viso;


precisava poi ulteriormente la descrizione della scena del delitto riferendo: dopodiché prestavo le prime cure del caso al bambino. Lo stesso si presentava disteso sul letto, supino, immobile e gemeva sommessamente ed era parzialmente coperto, ma non ricordo se era coperto fino all'inguine o fino alla cintola, quello di cui sono certa era che il tronco dallo sterno all'insù era visibile e indossava il pigiama. Il viso era completamente imbrattato di sangue, il cranio era imbrattato di sangue, erano visibili di primo acchitto due importanti ferite aperte, una sulla fronte a livello del lobo frontale del cranio da cui emergeva la massa cerebrale e l'altra a sinistra con partenza all'occhio sinistro e diretta verso l'alto con tendenza a portarsi verso il lobo frontale di sinistra. (...) Ho successivamente avvicinato al bordo del letto il bambino per poterlo avere più vicino a me e ho chiesto alla madre di fornirmi una bacinella con dell'acqua ed un fazzoletto per poter liberare il volto del bambino dal sangue. (...) Resami conto che l'acqua della bacinella che aveva usato per sciacquare il fazzoletto era eccessivamente sporca di sangue sono andata nel bagno accento alla camera in cui c'era il bambino, ho vuotato la bacinella nel wc, non ho tirato l'acqua ed ho riempito nuovamente la bacinella con dell'acqua pulita. (...) A questo punto decido di portarlo all'esterno chiedo alla madre un cuscino ed una coperta per poter appoggiare e coprire il piccolo (...) allestita questa sommaria barella sollevo da terra il bambino e a braccia lo porto all'esterno sull'angolo dell'abitazione più prossima all'elicottero. Durante questo trasporto il bambino perde sangue dalle ferite, avviene il gocciolamento e chiedo alla madre di aiutarmi a tamponare le ferite;


il dott. I.L., medico di servizio presso il servizio di pronto intervento 118 di Aosta, descriveva nei seguenti termini la scena notata al suo arrivo: il bambino si trovava appoggiato a terra sopra il marciapiede antistante casa sopra un cuscino ed avvolto da una coperta. La dott. al mio arrivo scopriva una ferita sulla fronte del bambino che aveva provveduto a tamponare. Sono rimasto sconvolto dalla lesione, questa aveva bordi netti, era ampia e si vedeva materia cerebrale fuoriuscire (...) entravo allora in casa e raggiunta la camera da letto mi trovavo davanti una scena impressionante, vi erano spruzzi di sangue sulla parete del capezzale del letto che continuavano sul soffitto. Il letto stesso era ampiamente sporco nella zona centrale. Sullo stesso letto, lato destro entrando nella stanza, vi era una bacinella per i panni rotonda con all'interno dell'acqua rosa sicuramente mischiata a sangue;


altra persona penetrata nella camera da letto dei coniugi L. dopo l'arrivo dell'elicottero veniva individuata in certo P.V., residente a breve distanza, il quale riferiva: io ricordo che vi era il letto sporco di sangue ed anche i muri, e il pavimento ed il soffitto erano pieno di macchie ematiche; aggiungendo di essere nuovamente penetrato in detta camera dopo la partenza dell'elicottero, insieme alla S.A., e descrivendo la circostanza nei seguenti termini: la S.A. mi chiedeva se l'accompagnavo a riprendere la propria borsa che aveva lasciato in camera da letto. Io entravo nella casa dall'ingresso principale e cioè quello sito al primo piano, unitamente alla dottoressa sono sceso in camera da letto ed a quel punto il sanitario prelevava una borsa che conteneva dei medicinali e l'altra quella che conteneva il materiale da pronto soccorso (...) ricordo che la dottoressa S.A. quando ha ripreso le sue borse si è fermata nel bagno sito vicino alla camera da letto dove è stato trovato il bambino, per lavarsi le mani;


anche E.A., dopo aver visto l'elicottero atterrare, penetrava nella camera da letto dei L. e in merito dichiarava: sono entrato anch'io nella camera dove dormiva il bambino e ho visto che c'era sangue sul cuscino, sulla parete a mo' di spruzzo e poi materiale che sembrava vomito e invece la dottoressa diceva essere stata materia cerebrale. La mamma era disperata e diceva che a S.L. era esplosa la testa;


la guida alpina di servizio a bordo dell'elicottero inviato sul luogo dei fatti, B.I. dichiarava: ... in attesa che il medico terminasse di medicare il bambino entravo in caso per verificare che cosa fosse successo effettivamente e chiamare il centro operativo attraverso la radio in dotazione affinché chiamasse i Carabinieri. Mentre entravo la madre mi ha seguito e allora, per non farmi sentire da lei sono entrato nel bagno e da lì ho fatto la chiamata. Per andare nel bagno sono passato attraverso la camera da letto e la mia attenzione veniva attirata dal letto che si presentava cosparso di sangue, mi sembra anche con della materia cerebrale sulle lenzuola. Ho notato una striscia di gocce di sangue che da metà del letto, lato sinistro entrando dall'esterno, andavano verso la porta che dall'interno della camera accede alla casa. Ricordo un tappeto verde sul pavimento del bagno, mi sembra uno scendi doccia, non disteso ma come mosso dal passaggio di qualcuno. Nella camera da letto c'era sangue un po' dappertutto;


infine G.E., guida alpina della zona che aveva coordinato le operazioni d'atterraggio del velivolo, riferiva: io sono entrato nella camera, appena un passo dentro e notando sangue sul letto sul soffitto, sul muro e mi sembra anche sulla tenda ho pensato che fosse successo qualcosa di strano, quindi sono uscito e ho chiamato con il mio cellulare la Stazione di Carabinieri di Cogne;


avvenuto il caricamento del bambino sull'elicottero e l'allontanamento di quest'ultimo, la F.A., il marito, la S.A. ed altre persone facevano ancora una volta ingresso nell'abitazione dei primi due;


in particolare F.D. e L.S. si recavano nella camera da letto e la donna chiudeva la porta-finestra che da sul prato;


la stessa persona, su questa particolare sequenza dell'episodio, e premettendo che i coniugi L. stavano partendo per l'ospedale di Aosta, riferiva: in quella circostanza F.A. mi diceva di tenere le chiavi di casa (...) dopo aver preso le chiavi, siccome la dottoressa S.A. ha detto di aver dimenticato la borsa all'interno della casa, restituisco le chiavi ad uno dei presenti, non ricordo chi, dopo di che scendevo le scale esterne e ritornavo a casa dai miei figli;


per quanto attiene all'ora del delitto il consulente medico legale nominato dal P.M. prof. Francesco Viglino, dopo aver analizzato le dichiarazioni dei sanitari che avevano avuto occasione di visitare il piccolo S.L. nella mattinata del 30 gennaio 2002, nonché i riscontri obiettivi del referto autoptico concludeva affermando: si può tranquillamente affermare che la morte sia ragionevolmente avvenuta qualche attimo prima o nel contesto dell'inizio dei soccorsi in quanto le condizioni del piccolo che sembrano trasparire dalle dichiarazioni sono quelle di un paziente in condizioni terminali di morte clinica sottoposte a manovre di tipo rianimatorio con conseguenti possibili fenomeni di reminescenza;


più in particolare secondo le argomentazioni del consulente, il piccolo S.L. versava già in stato di morte clinica al momento in cui ebbe a visitarlo la S.A. (che, come poc'anzi ricordato, prestò per prima i soccorsi alla vittima), e cioè tra le ore 8 e 31 minuti primi e le ore 8 35 minuti primi;


il pigiama ed il paio di ciabatte appartenenti all'indagata e rinvenuti all'interno dell'abitazione con evidenti tracce di sangue nonché il piumone ritrovato sul letto dei coniugi L. venivano sottoposti ad una approfondita ed elaborata consulenza tecnica disposta dal P.M. con incarico conferito ai militari del Ra. C.I.S. di Parma, in esito alla quale si appurava che dette tracce ematiche erano riferibili alla vittima;


a sua volta la difesa dell'indagata nominava un collegio di consulenti tecnici e depositava poi una relazione di consulenza tecnica di parte contenente valutazioni sugli accertamenti eseguiti dal suddetto Reparto di polizia scientifica;


si profilavano in tal modo due ipotesi in ordine alla presenza delle tracce ematiche sui due elementi del pigiama rinvenuto sul luogo del delitto e pacificamente di pertinenza della F.A.;


secondo la tesi dell'accusa, supportata dalle argomentazioni scientifiche dei militari del suddetto Raggruppamento, il pigiama sarebbe stato indossato dall'assassino nell'eseguire il reato, mentre secondo la tesi dei periti della difesa il pigiama sarebbe invece stato imbrattato durante l'esecuzione della violentissima aggressione perché si trovava gettato in disordine sul piumone del letto, così come prospettato dalla F.A. in più occasioni;


anche gli zoccoli ritrovati al piano terreno dell'abitazione dei coniugi L., pacificamente appartenenti all'indagata, presentavano tracce ematiche evidenti variamente disposte su entrambe le suole;


tali calzature, sottoposte ad un più approfondito esame, previa rimozione della tomaia di cuoi e successiva analisi al microscopio binoculare, rivelavano ulteriori tracce verosimilmente ematiche, presenti sia sulla scarpa sinistra, sia su quella destra;


in particolare, per quanto riguarda lo zoccolo sinistro, le tracce risultavano localizzate a circa metà dello sviluppo longitudinale del plantare, all'altezza del bordo laterale sinistro, sotto forma di una minuta crosticina, in corrispondenza del bordo anteriore del plantare sotto forma di alonature e minutissimi residui, apprezzabili soltanto microscopicamente, sulla superficie interna della tomaia in cuoio, all'altezza del bordo laterale destro, a guisa di un tenue imbrattamento riscontrabile solo microscopicamente;


le analisi biologiche eseguite su dette tracce ematiche consentivano di accertare che le stesse sono riferibili alla vittima;


alcune delle persone presenti nei pressi dell'abitazione dei L. in orario prossimo all'omicidio riferivano di non aver notato nessuna persona fermarsi o comunque transitare nella zona circostante destando sospetto o attenzione;


L.S., uscito di casa verso le ore 7 e 30 e le ore 7 e 40, dichiarava di non aver notato nulla di strano quella mattina;


anche il piccolo D.L. riferiva di non aver visto nessuno nel corso del giro in bicicletta effettuato dopo la colazione;


la stessa indagata asseriva infine di non aver notato persone estranee nei pressi dell'abitazione, aggiungendo che le finestre e la porta del garage erano rimaste chiuse durante la sua assenza ed assumendo per contro, ripetutamente, di aver lasciato aperta la porta di ingresso, non chiudendola a chiave nell'uscire, per paura di fare rumore;


lungo il viottolo che costeggia l'abitazione dei L. non venivano riscontrate tracce o comunque segni riconducibili ad un possibile appostamento finalizzato all'osservazione della casa;


né tali tracce venivano rilevate nel corso dell'esteso e accurato controllo perimetrale della zona effettuato dai Carabinieri;


nessun effetto sortivano poi le lunghe ed approfondite ricerche dirette al rinvenimento dell'arma del delitto;


dalla natura delle lesioni il consulente medico legale del P.M. desumeva le caratteristiche strutturali delle stesse concludendo: per quanto desumibile dalla descritta morfologia delle lesioni si può affermare che queste, con buona probabilità siano state determinate da un corpo contundente con le seguenti caratteristiche: facile ed agevole impugnabilità; rigido; discretamente pesante; che presenta margini acuti rettilinei e spigoli vivi. La morfologia della maggior parte delle ferite è suggestiva per l'ipotesi che le stesse siano state prodotte per l'effetto dell'azione di spigolo dell'oggetto.


Con particolare riferimento all'abbigliamento indossato quella mattina dalla F.A., l'indagata dichiarava: ... quando sono rientrata in casa, di ritorno dall'accompagnare D.L., mi sono subito tolta le scarpe ho messo le ciabatte e sono giù a vedere S.L. (...) quando ero in attesa del soccorso, su indicazione di S.A. sono nuovamente salita di sopra a prendere le scarpe, la giacca, le ho infilate ho lasciato le ciabatte al piano vicino l'ingresso e sono riscesa;


precisava poi: nel momento in cui sono rientrata in casa dopo aver accompagnato D.L. alla fermata dello scuolabus, ho chiuso la porta d'ingresso a chiave dall'interno (...) dopodiché mi sono tolta le scarpe nell'antibagno e mi sono messa le ciabatte, mi sono tolta la giacca e sono scesa sotto in camera trovando S.L.. Voglio altresì riferire che quando S.A. mi ha detto di prepararmi perché dovevo andare con S.L., sono salita sopra, mi sono messa le scarpe, ho preso la mia giacca nera e lo zaino che si trovava sul basamento in pietra del camino e sono nuovamente scesa sotto;


tale versione veniva smentita dalla S.A. che ricordava di aver notato, al suo arrivo nella casa dei L., la F.A. interamente abbigliata di nero e negava di aver detto all'indagata di mettersi le scarpe al posto delle ciabatte o degli zoccoli per poter seguire il figlio ad Aosta;


a sua volta la F.D. confermava che l'indagata, al momento del suo arrivo, indossava un paio di pantaloni scuri aggiungendo che, pur non essendo in grado di ricordare né il tipo né il colore delle scarpe, avrebbe certamente notato una calzatura di colore chiaro o addirittura bianco per il contrasto con il colore dei pantaloni, ed in una successiva deposizione precisava di ricordarsi che la F.A. era vestita con pantaloni scuri e ciabatte ai piedi;


analoghe dichiarazioni venivano rese seppure in termini dubitativi, dal suocero della S.A. S.M., intervenuto come già ricordato sulla scena del delitto insieme alla nuora;


venivano poi compiuti articolati accertamenti, anche per mezzo di intercettazioni telefoniche/ambientali, al fine di verificare l'eventuale coinvolgimento nei fatti per i quali si procede degli altri familiari della vittima, di alcuni vicini e di altre persone che per vari motivi avrebbe ipoteticamente potuto commettere l'omicidio e non emergevano, a giudizio degli inquirenti, concreti elementi suscettibili di evidenziare un coinvolgimento di tali persone nei fatti;


che in data 13 marzo 2002 il G.I.P. presso il Tribunale di Aosta, su conforme richiesta del Magistrato inquirente, ha emesso nei confronti della F.A. ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere desumendo dalle suddette risultanze gravi indizi di colpevolezza della stessa in ordine al delitto di omicidio volontario in danno del figlio S.L., ed adducendo esigenze cautelari connesse ad un pericolo di fuga, desunto da un ritenuto controllo sociale improprio cui l'indagata sarebbe stata sottoposta in relazione all'eccezionale rilievo massmediatico assunto dalla vicenda giudiziaria nella quale la stessa è stata coinvolta, oltreché dall'entità della pena in astratto irrogabile per il reato in contestazione ed ad un ritenuto atteggiamento volutamente menzognero da essa assunto nel corso delle indagini, nonché ad un pericolo di recidivanza specifica desunto dalle modalità e circostanze dei fatti, e segnatamente dalla ritenuta, probabile, riferibilità della azione omicidiaria in contestazione ad un irresistibile stato emotivo e passionale, non controllabile in sede razionale, e ad una conseguente possibilità di reiterazione di tale condizione soggettiva;


che avverso detto provvedimento il difensore della F.A. ha inoltrato richiesta di riesame deducendo: con specifico riferimento all'omessa notificazione ad esso difensore dell'avviso di deposito della documentazione relativa agli esiti degli accertamenti sugli zoccoli rinvenuti all'interno dell'abitazione dei L. (consegnati dai militari del Ra.C.I.S. al P.M. il 7 marzo 2002, con relazione datata 6 marzo 2002, mentre su alcune fotografie appare3 la data 5 marzo 2002), nonostante fosse stata una precisa ed esteriorizzata volontà di dedurre su tali accertamenti tecnici, e fosse stato qualche giorno prima concordato ed effettuato il deposito delle prime controdeduzioni, relative al solo pigiama, una nullità di detti accertamenti tecnici del personale del Ra.C.I.S., relativi alle suddette ciabatte, e conseguentemente del loro impiego nell'ordinanza di custodia cautelare dell'ordinanza per violazione delle garanzie partecipative ex artt. 178, lett. c), 360 e 366 c.p.p., nonché 118 disp. att. c.p.p.; con specifico riferimento all'intervenuta secretazione di vari passaggi delle conversazioni fra presenti intercorse fra l'indagata e il marito, intercettate a più riprese nei giorni immediatamente successivi l'omicidio e trascritte dal personale di P.G. operante, nonché del contenuto di varie intercettazioni telefoniche, in relazione alle quali è stata chiesta ed ottenuta l'autorizzazione al ritardo del deposito sino alla chiusura delle indagini preliminari ai sensi dell'art. 268 c.p.p., e ad una conseguente impossibilità di conoscere gli atti di intercettazione telefonica ed ambientale nella loro totalità, una lesione del diritto di difesa ed un a non motivata sottrazione al giudizio del G.I.P. procedente e, successivamente, di questo Organo del riesame di elementi essenziali per scelte inerenti alla privazione della libertà personale, con possibile sottrazione al giudizio di questi Organi giudicanti di elementi la cui ritenuta valenza favorevole all'indagata risulterebbe desumibile dal contenuto delle parti del suddetto materiale di indagine non secretato, e, conseguentemente, una nullità dell'ordinanza per violazione dell'obbligo di trasmettere gli elementi favorevoli all'indagata ex artt. 178, lett. c), 291 e 292 c.p.p. come innovati dall'art. 8 l. 8 agosto 1995, n.332; con specifico riferimento ad una pretesa erroneità delle considerazioni di merito formulate dal G.I.P. procedente in ordine ad elementi importanti quali gli asseriti indizi desumibili dal pigiama e dagli zoccoli rinvenuti all'interno della villa dei L., oltreché con specifico riferimento ad una pretesa erroneità nella valutazione, sempre nel merito, dell'alibi della F.A., e degli alibi di altri soggetti considerati, una nullità dell'ordinanza per violazione dell'obbligo di motivare sugli elementi di discolpa dell'indagata ex artt. 178, lett. c), nonché 291, 292 c.p.p. come innovati dall'art. 8 l. 8 agosto 1995, n. 332; con specifico riferimento ad una pretesa insussistenza di indizi di colpevolezza a carico dell'indagata, una nullità dell'ordinanza per mancanza della condizione di cui all'art. 273 c.p.p.; con specifico riferimento ad una insussistenza delle esigenze cautelari addotte a fondamento dell'applicazione della misura, una nullità dell'ordinanza per mancanza delle condizioni di cui all'art. 274 c.p.p.; contestando altresì l'adeguatezza del regime cautelare applicato rispetto al grado e all'entità delle esigenze concretamente prospettabili, chiedendo conseguentemente l'annullamento dell'ordinanza stessa o, in via subordinata, la sostituzione della misura custodiale in corso con altra meno afflittiva ed indicando, ai fini di una eventuale applicazione in via sostitutiva del regime degli arresti domiciliari, una serie di abitazioni di congiunti dell'indagata disponibili ad accogliere la stessa in tale regime custodiale;


premesso altresì che all'odierna udienza lo stesso difensore ha illustrato tali motivi depositando memoria scritta ed allegando alla stessa due ulteriori memorie difensive redatte sulla scorta di osservazioni formulate dai consulenti tecnici di parte professor Carlo Torre e dott. Carlo Robino in ordine alla rilevanza indiziaria delle tracce ematiche riconducibili al piccolo S.L. riscontrate sul pigiama e sugli zoccoli rinvenuti all'interno della villa dei L. nell'immediatezza dei fatti;


che sempre all'odierna udienza il P.M., producendo preliminarmente copie di verbale di rilievi fotografici effettuati in data 21 marzo 2002 presso l'abitazione dei coniugi G. -F.D. in frazione Motroz n. 4/c di Cogne, nonché copia di carta topografica riproducente il territorio dell'abitato di Cogne e dintorni (con evidenziazione delle posizioni e relative distanze dal luogo del delitto di F.D., di P.C., di G. U. ed O., di B.G. e di G.G. negli orari a ridosso di quello in cui venne presumibilmente consumata l'aggressione in danno di S.L., nonché della distanza fra la villa dei L. e la fermata dello scuolabus, ed ancora del tracciato indicativo del tratto di strada comunale che collega questi due poli del punto di tale percorso stradale nel quale si perde la visuale della villa dei L., della casa in costruzione di pertinenza di G. Ulisse ed infine dell'abitazione della dott.ssa S.A.) copia di sommarie informazioni rispettivamente rese in data 28 marzo 2001 da certo F.B., ed in data 29 marzo 2002 da certo C.M., ed allegando altresì memoria scritta contenente un riepilogo degli elementi indiziari già addotti a fondamento della richiesta di emissione dell'impugnato provvedimento cautelare ed alcune osservazioni sulle deduzioni difensive, a chiesto la conferma dell'impugnato provvedimento cautelare;


premesso altresì che l'impugnato provvedimento cautelare prende le mosse da una serie di conclusioni certe ed incontrovertibili desunte dall'accertamento oggettivo dello stato dei luoghi e dalla relazione di consulenza tecnica del prof. Viglino quali: la riferibilità dei gravissimi e devastanti esiti lesivi riportati dal piccolo S.L. nel mattino del 30 gennaio 2002 ad un'azione omicidiaria; l'avvenuta perpetrazione di tale azione omicidiaria interamente all'interno della camera da letto dei coniugi L.; l'avvio di tale feroce aggressione in un momento in cui la vittima, seppur sdraiata sul letto dei genitori, era perfettamente sveglia ed in grado di scorgere, seppur soltanto per qualche istante, il proprio assassino;


che tale sostanziale nucleo conoscitivo di partenza, pienamente coerente con gli esiti dell'amplissima ed articolata attività investigativa ed in alcun modo contestato dalla difesa, appaiono del tutto condivisibili;


rilevato che il quadro indiziario addotto a fondamento dell'impugnato provvedimento restrittivo si appunta su di una lunga serie di risultanze di indagine direttamente acquisite nel corso dei numerosi ed approfonditi sopralluoghi svolti sul teatro del delitto, anche attraverso i contestuali rilievi descrittivi e fotografici ed i sequestri operati in via d'urgenza ex art. 352 c.p., nonché nel corso della amplissima ed incisiva verifica testimoniale, ed ancora in esito alle analisi scientifiche condotte in sede di verifica testimoniale, ed ancora in esito alle analisi scientifiche condotte in sede di accertamenti tecnici disposti dall'Organo inquirente;


che, più in particolare, sulla scoperta di tale copioso materiale investigativo sono state formulate numerose conclusioni logico deduttive ritenute idonee, nel loro insieme, ad integrare un quadro indiziario connotato da quel carattere di gravità che è richiesto, quale presupposto per l'emissione di misura cautela personale, dall'art. 273 c.p.p., e segnatamente sono state enucleate le seguenti conclusioni: S.L. conosceva l'assassino e si fidava di lui; la F.A. rimase da sola sul luogo del delitto con il cadavere per circa 4 o 5 minuti intercorsi tra la scoperta del corpo della piccola vittima e l'arrivo della vicina di casa F.D.; la F.A. dispone inoltre di un altro lasso temporale più breve, tra l'uscita di casa della F.D. e l'arrivo della S.A.; dopo l'arrivo di quest'ultima ed il suo intervento sul corpo del bambino la scienza è irreversibilmente mutata; tra la partenza del velivolo inviato dal servizio di elisoccorso e l'arrivo dei Carabinieri trascorre un ampio lasso temporale, valutabile in 40 minuti circa, durante il quale la scena del delitto è rimasta liberamente accessibile ad un notevole numero di persone via via richiamate dall'enorme risonanza che l'inquietante episodio ebbe immediatamente, quantomeno a livello locale; il mattino dei fatti, dopo aver fatto colazione, D.L. uscì di casa per giocare con la bicicletta; nulla può essere affermato in merito all'esatta collocazione temporale di tali eventi riferiti dal minore, se non con margini di tolleranza talmente ampli da vanificarne la concreta rilevanza; dallo stesso racconto di D.L. può peraltro essere ragionevolmente desunta l'inverosimiglianza delle allegazioni difensive reiteratamente rese dalla F.A. in ordine ad un asserito ritardo suo e del figlio maggiore, in quella particolare circostanza, apparendo difficilmente inquadrabile in tale prospettazione difensiva, la circostanza che il piccolo D.L. abbia avuto il tempo di recarsi all'esterno della casa per effettuare un giro in bicicletta; l'alibi della F.A. può essere ricostruito nei termini che seguono: per raggiungere la fermata dell'autobus (distante 250 metri circa dall'abitazione) occorrono, secondo il verbale di sopralluogo eseguito, dai 3 minuti e 10 secondi ai 3 minuti e 30 secondi circa, con andatura regolare; sia il teste V.D., sia il teste S.M. riferiscono che l'andatura della F.A. quella mattina era regolare; il primo dei predetti testimoni, autista dello scuolabus, ha asserito che alle ore 8 e 20, quando raggiunse la fermata, sul posto si trovavano già ad attenderlo la F.A. e D.L.; ne deriva, tenuto conto di tutti i fatti sopra esposti, ed in particolare delle condizioni del tempo e della strada, nonché dell'andatura riferita dai due testimoni che la F.A. uscì di casa tra le ore 8 e 16 minuti primi e le ore 8 e 17 minuti primi, e vi fece rientro tra le 8 e 23 minuti primi e le ore 8 e 24 minuti primi; può anzi affermarsi con certezza esclusivamente la circostanza che la F.A. uscì di casa prima delle ore 8 e 20 minuti primi e che vi fece rientro dopo le ore 8 e 20 minuti primi, essendo tutto il resto prospettabile in termini puramente probabilistici;


tale ricostruzione dell'alibi della F.A. sconta, tuttavia, una certa approssimazione;


esso è determinato tenendo conto del tempo medio di percorrenza impiegato dai Carabinieri nel corso dell'accertamento sui luoghi ma nessuno può dire se la velocità tenuta dalla F.A. quella mattina fosse più alta o più bassa di quella tenuta nella esecuzione del sopralluogo;


l'unico momento in cui si può con certezza escludere che la F.A. abbia commesso l'omicidio è l'orario in cui è stata vista attendere con il figlio D.L. alla fermata, e cioè le ore 8 e 20 minuti primi;


tra le ore 8 e 15 minuti primi e le ore 8 e 20 minuti primi la F.A. si troverebbe sulla strada di andata dall'abitazione verso la fermata: l'alibi non esclude la possibilità di commettere il reato per il periodo di tempo per il periodo di tempo antecedente alle ore 8 e 15 minuti primi; tra le ore 8 e 17 minuti primi e le ore 8 e 23 minuti primi la F.A. uscirebbe poi rientrerebbe nella casa;


l'alibi non esclude la possibilità di perpetrazione del reato per il periodo di tempo successivo alle ore 8 e 20 minuti primi;


tra le ore 8 e 16 minuti primi e le ore 8 e 24 minuti primi la F.A. uscirebbe e poi rientrerebbe nella casa: l'alibi non esclude la possibilità di commettere il reato per il periodo di tempo antecedente e successivo alle ore 8 e 20 minuti primi;


questo non significa che la F.A. non abbia impiegato un certo periodo di tempo per raggiungere la fermata e tornare alla propria abitazione, ma che, attesa l'impossibilità di determinare con esattezza il lasso di tempo impiegato, non può escludersi (ossia non è impossibile) che l'indagata abbia commesso l'omicidio nel lasso temporale indicato come alibi, verosimilmente nei periodi estremi del lasso medesimo;


occorre quindi procedere a comparazione tra il lasso di tempo costituente l'alibi della F.A. ed il lasso di tempo costituente il range entro il quale si è verificato l'omicidio;


ciò determina, in primo luogo, la necessità di individuare il lasso temporale entro il quale l'omicidio può essere stato consumato;


il consulente medico legale del P.M. ritiene che: stante la tipologia della lesione e quanto può essere desunto dai dati autoptici, ragionevolmente si deve ritenere come la morte possa essere intervenuta, tempuscolo più tempuscolo meno intorno ai 10- 12 minuti dall'aggressione; la successiva relazione integrativa del 12 marzo 2002 ha confermato tale valutazione approssimando di ulteriori 5 minuti;


non è tuttavia ragionevole pretendere che il tempo di sopravvivenza venga determinato al minuto: la biologia non è una scienza esatta almeno per quanto riguarda questa particolare materia, ogni organismo vivente ha una diversa reazione alle lesioni subite, e dunque i tempi di sopravvivenza non possono mai essere determinati al minuto;


si può sicuramente affermare che il gravissimi trauma cranico aperto abbia rapidamente indotto un edema cerebrale acuto, in una situazione di ipossia da massiva anemia metaemorragica;


ciò ha determinato con ragionevole certezza una rapida alterazione dei parametri vitali; nella letteratura scientifica è infatti acquisito che in caso di trauma cranico aperto, quanto più grave è l'edema, e quanto maggiore è l'ipossia, allora tanto è più rapida la morta clinica, la rapida perdita delle funzioni vitali;


pertanto, seppur con un margine di approssimazione, possono condividersi le conclusioni alle quali è pervenuto il consulente;


il termine ad quem può essere ragionevolmente ritenuto quello delle ore 8 e 29 minuti primi;


in quel momento la F.D. entra nella camera da letto e vede il piccolo S.L. già (clinicamente) morto;


allo stato degli atti si può solo affermare, in modo incontrovertibile, che l'omicidio è stato consumato nella mattina del 30 gennaio 2002, prima delle ore 8 e 29;


è molto probabile, sulla scorta di tutte le considerazioni sopra esposte e del tempo di sopravvivenza indicata dal consulente medico legale del P.M., che l'omicidio sia stato consumato tra le ore 8 e le ore 8 e 29, con preferenza per gli orari ricompresi nella prima fascia del tasso temporale (punto 17);


l'alibi della F.A. si colloca dunque all'interno del periodo di tempo entro il quale l'omicidio è avvenuto;


tuttavia, almeno in questo momento, non lo ricomprende per intero, è compatibile con l'esecuzione dell'omicidio e dunque non può essere ritenuto sufficiente per escludere la responsabilità della F.A. (punto 18);


valgono qui le stesse considerazioni testé svolte, sulla scorta delle quali si può ragionevolmente affermare, almeno allo stato, che le risultanze di indagine riportano la perpetrazione della feroce aggressione ad una frazione temporale ben difficilmente conciliabile con la ricostruzione accusatoria, giova altresì ribadire che la frazione temporale sopra richiamata, e cioè quella compresa fra le ore 8 e 14 minuti primi e le ore 8 e 15 minuti primi, è stata calcolata sulla base di una ricostruzione totalmente sfavorevole all'indagata e ferma restando la possibilità del tutto giustificata alla luce delle valutazioni medico legali fornite dal consulente dell'accusa, di spostare tale frazione temporale all'interno di quell'intervallo di sette-otto minuti primi compreso fra le ore 8 e 17-17 minuti primi e le ore 8 e 23-24 minuti primi, durante il quale l'indagata si trovava pacificamente fuori casa;


non solo è dimostrato che l'omicidio, se non con probabilità del tutto infinitesimali, non è stato commesso da altre persone, ma è anche dimostrato che sussistono elementi che indicano che l'omicidio è stato commesso proprio dall'indagata (punto 19);


l'intervallo di tempo durante il quale l'indagata è rimasta assente dalla propria abitazione - quantificabile, come più volte ricordato, in sette otto minuti - non pare radicalmente inconciliabile con l'ipotesi di una furtiva penetrazione dell'aggressore all'interno della villa negli istanti immediatamente successivi all'allontanamento della F.A. e del figlio D.L. lungo la strada che porta alla fermata dello scuolabus, di una subitanea ricerca del luogo in cui riposava il piccolo S.L., di una altrettanto subitanea perpetrazione della feroce aggressione e di un repentino allontanamento;


e quanto agli ulteriori elementi che indicherebbero la F.A. quale autore materiale dell'omicidio si rinvia ai punti successivi;


tali elementi sono costituiti in positivo, sia dalle contraddizioni tra le versioni dei fatti fornite dall'indagata, sia dalle contraddizioni tra le dichiarazioni rese dalla F.A. e quelle rese dalle altre persone informate sui fatti (punto 20);


per quanto attiene alla concludenza e gravità di tali risultanze indiziarie si rinvia alle considerazioni che seguiranno;


oltre a ciò la sua responsabilità può essere desunta da alcune considerazioni prettamente logiche relative al pigiama ed alle ciabatte in sequestro (punto 21), anche per quanto attiene alla concludenza e gravità di tali risultanze indiziarie si rinvia alle considerazioni che seguiranno;


in negativo la riconducibilità alla F.A. del delitto si desume dalla sostanziale impossibilità da parte di terzi di porre in essere questa specifica azione omicidiaria, tenuto soprattutto conto delle peculiari modalità spazio-temporali della stessa e della sussistenza di alibi forniti dalle altre persone che per varie ragioni avrebbero potuto commettere il fatto (punto 22);


per quanto attiene alla pretesa impossibilità, da parte di terzi, di porre in essere la specifica azione omicidiaria per cui si procede valgono le considerazioni sopra espresso al punto 19;


per poter pensare che la F.A. abbia ucciso il figlio, deve anzitutto accertarsi se la stessa, nel lasso temporale entro il quale è avvenuto l'omicidio, abbia avuto modo di trovarsi da sola con la vittima all'interno dell'abitazione, perché proprio lì è stata pacificamente posta in essere l'azione omicidiaria;


altro è infatti l'affermazione secondo cui l'alibi dell'indagata è compatibile con l'esecuzione dell'omicidio, altro è affermare che la F.A. ha avuto la concreta possibilità di porre in essere tale azione (punto 23);


la risposta è positiva atteso che la stessa indagata riferisca di essersi trovata da sola con S.L. all'interno della camera da letto ove l'omicidio è avvenuto prima di accompagnare D.L. alla fermata dello scuolabus ("... mentre D.L. faceva colazione io sono scesa di sotto a vestirmi, mi sono tolta il pigiama in camera e l'ho buttato sul letto, ho preso in bagno la canottiera e poi sono risalita di sopra (...) sono uscita con le scarpe appena messe e da allacciare, ho lasciato le ciabatte nella zona antistante il bagno, vicino alla porta d'ingresso", "... l'ho lasciato comunque a mangiare (il figlio D.L., n.d.r.) mentre io sono sceso a vestirmi. Mi sono cambiata nella mia camera da letto, lasciando il pigiama come tutte le mattine sul letto, poi sono andata in camera di D.L. a prendere i suoi vestiti (...) sono risalita in cucina dove D.L. stava ancora facendo colazione, poi l'ho vestito (...) mentre stavamo uscendo ho sentito S.L. piangere e chiamarmi. A quel punto D.L. è uscito e io sono scesa giù da S.L. che era sulle scale, l'ho portato nel mio letto dicendogli di stare tranquillo (...) ho preso la giacca e messo le scarpe e facendo molto piano ho aperto la porta, non richiudendola a chiave nell'uscire per paure di fare rumore...") (punto 24);


anche la pretesa gravità e concludenza di tali risultanze indiziarie deve essere letta alla luce dalla ricostruzione cronologica desunta dalle valutazioni medico legali sopra richiamate, sulla scorta delle quali si può ragionevolmente escludere che la feroce aggressione ai danni del piccolo S.L. sia stata perpetrata nel periodo di tempo anteriore alle ore 8 e 14-15 minuti primi (emergendo anzi concrete e specifiche indicazioni atte a suffragare l'ipotesi che tale ipotetica tempus commissi delicti debba essere in realtà posticipato), e, per poter accedere alla ricostruzione accusatoria, si dovrebbe conseguentemente ipotizzare, contro ogni verosimiglianza, che la azione omicidiaria sia stata compiuta proprio a ridosso dell'uscita della F.A. dalla propria abitazione, o addirittura nell'intervallo di tempo immediatamente successivo, durante il quale essa rimane pacificamente fuori dell'abitazione;


in ogni caso nel lasso temporale sopra indicato l'indagata si è trovata da sola in casa con la vittima - essendo usciti sia il marito che il piccolo L.D., e non risultando la presenza di terzi - prima di portare D.L. alla fermata dell'autobus, con due distinte possibilità: almeno dalle ore 8 e 15 alle ore 8 e 16 (la stessa indagata dichiara proprio con riferimento a tale lasso di tempo: "... arrivate le 8:15 D.L. è uscito... " ed aggiunge che dopo avere incontrato S.L. sulle scale ed averlo messo a letto è "... andata giù per strada dove c'era già D.L.... "), aveva tra le ore 8 e le ore 8 e 15, quando D.L. dopo aver fatto colazione esce all'esterno della casa per giocare con la bicicletta in attesa di essere accompagnato dalla mamma alla fermata; e si è poi nuovamente trovata sola in casa con il piccolo S.L. al suo rientro nell'abitazione, avvenuto alle ore 8 e 24 circa, fino all'arrivo della F.D. avvenuto alle ore 8 e 30 circa (punto 25); per quanto attiene all'intervallo di tempo compreso fra le ore 8 e le ore 8 e 15 minuti si richiamano ancora una volta le considerazioni sopra svolte sulla scorta dell'accertamento medico legale disposto dal P.M. mentre, per quanto attiene all'intervallo di tempo compreso fra le ore 8,15 e le ore 8,16, giova ancora una volta ribadire che in tale limitatissimo lasso di tempo, sempre stando alla ricostruzione accusatoria, la donna avrebbe dovuto aggredire il proprio figlio indossando ancora l'abbigliamento che aveva durante la notte, e quindi togliersi tale abbigliamento, cancellare rapidamente dalla propria persona le tracce di sangue verosimilmente prodottesi durante la feroce aggressione, recarsi al piano superiore per riporre gli zoccoli, ed indossare l'abbigliamento necessario per recarsi all'esterno;


quanto poi all'ulteriore intervallo di tempo successivo al rientro nell'abitazione, avvenuto intorno alle ore 8 e 24 minuti primi, giova ricordare che, stando alle già richiamate ed inoppugnabili risultanze desumibili dai tabulati forniti dall'Omnitel e dalla Telecom, a partire dalle ore 8,27 minuti primi e 30 minuti secondi, e cioè dopo poco più di tre minuti, la F.A. iniziò quella ininterrotta serie di chiamate telefoniche conclusasi a ridosso delle ore 8 e 30 minuti primi (l'ultima chiamata è quella diretta all'azienda presso cui lavora il marito L.S., partita alle ore 8,29 minuti primi e 26 minuti secondi e protrattasi per 22 minuti secondi), quando era già sopraggiunta la vicina F.D. e stava per arrivare la dottoressa S.A. accompagnata dal suocero;


inoltre, sempre stando alla ricostruzione dell'aggressione fornita dall'accusa, in tale esiguo intervallo di tempo la prevenuta avrebbe dovuto, contro ogni verosimiglianza, svestirsi per indossare il pigiama e gli zoccoli, aggredire il figlio, occultare almeno sommariamente l'arma, cancellare le tracce di sangue prodottesi sulla sua persona, rivestirsi ed iniziare a quel punto a invocare freneticamente l'intervento dei soccorsi;


dette ricostruzioni cronologicamente scontano le approssimazioni già evidenziate;


non vi sono infatti elementi certi per poter affermare a quale ora esatta la F.A. sia uscita di casa ed a quale ora esatta vi abbia fatto rientro (punto 26); si richiamano, in proposito, e considerazioni sopra svolte ai punti 2 e 7;


resta comunque dimostrato che l'indagata ha avuto il tempo necessario per commettere l'omicidio (punto 27); si richiamano, in proposito, le considerazioni sopra svolte ai punti 15, 18 e 25;


la tesi difensiva è smentita da un sicuro riscontro oggettivo;


mentre i particolari del pigiama sono stati effettivamente trovati sul piumone, la casacca è stata rinvenuta tra le lenzuola ed il materasso;


sembra dunque impossibile che la casacca si sia potuta imbrattare in quanto al momento dell'omicidio essa si trovava sotto il piumone;


la stessa indagata ha confermato tale circostanza laddove ha dichiarato: "quando ho scoperto il piccolo S.L. nelle condizioni che vi ho detto ho tirato giù il piumone (...) non ricordo di aver visto il mio pigiama quando ho tirato giù il piumone. Penso che avendolo tolto al mattino sia rimasto sotto le lenzuola quando le ho tirate su per coprire S.L. prima di uscire" (punto 28);


anche in questo caso ci troviamo di fronte ad una deduzione suggestiva, ma che trova ben pochi riscontri in atti;


intanto si deve subito precisare che la casacca del pigiama - almeno secondo quanto è dato evincere dalle fotografie in atti - non è stata rinvenuta tra le lenzuola ed il materasso, ma fra la coperta-copriletto (arrotolata al momento dei rilievi) ed il lenzuolo difeso sul letto in posizione sottostante al lenzuolo esterno, tale precisazione risulta di non secondaria importanza ai fini che qui interessano ove si consideri che, detta collocazione della casacca del pigiama appare perfettamente compatibile con l'ipotesi di originaria collocazione della stessa in posizione irregolare al di sopra della coperta-copriletto (si rinvia, a tal proposito, alle considerazioni che verranno svolte nel paragrafo successivo in ordine al probabile posizionamento originario dei due elementi del pigiama) e di successivo spostamento della stessa prima del ribaltamento della pesante coltre;


in proposito giova ricordare che la dottoressa S.A. ha reiteratamente riferito di aver immediatamente posto in essere, al suo arrivo presso la camera da letto in cui giaceva il piccolo S.L., una serie di operazioni di soccorso consistite nel lavaggio del sangue che aveva interamente ricoperto il volto ed il collo del medesimo, mediante utilizzo di una bacinella in plastica (poi rinvenuta nel corso dei primi rilievi appoggiata sul letto a fianco della zona in cui era verosimilmente posizionata la parte alta del corpo della vittima), nel tentativo di tamponamento delle devastanti ferite, nella somministrazione di una dose di cortisone per via intramuscolare, nel rovesciamento del cuscino su cui il bambino poggiava la testa, nello spostamento del corpo dello stesso verso il lato sinistro del letto (sempre guardando dai piedi dello stesso);


pare quindi del tutto verosimile che nel corso delle suddette operazioni, compiute dalla sanitaria con l'ausilio della F.A. e della F.D., sia stata inavvertitamente spostata la casacca del pigiama, vuoi per collocare la bacinella (che necessitava di una superficie decisamente più piena di quella offerta dalla piana di quella offerta dalla pesante coltre già verosimilmente spostata in parte dalla sua collocazione originaria), vuoi per scoprire completamente il corpo del piccolo S.L., vuoi per spostarlo leggermente verso sinistra, vuoi per rovesciare il cuscino su cui il piccolo poggiava la testa, e così via;


né possono rivestire una grossa valenza le dichiarazioni rese dalle suddette soccorritrici in ordine alla eventuale presenza di indumenti appoggiati disordinatamente sulla coperta-copriletto, attesa la intensissima e più che comprensibile concitazione del momento;


giova altresì considerare che una delle poche circostanze sulle quali sembrano concordare pienamente i Militari del Ra.C.I.S. ed i consulenti della difesa è la sostanziale omogeneità di imbrattamento da schizzi riscontrato casacca e sui pantaloni del pigiama, sintomatica di una notevole vicinanza dei due capi nel momento in cui furono attinti dal sangue;


quanto poi alla pretesa valenza autoindiziaria delle dichiarazioni rese dall'indagata, si osserva come appena quanto meno singolare che la stessa sia sagacemente riuscita a difendersi con sorprendente prontezza in ordine all'asserito utilizzo degli zoccoli (con l'intuibile intento - prospettato con assoluta sicurezza in sede accusatoria - di sviare da sé ogni sospetto scaturente dalla presenza di tracce ematiche sugli stessi) e sia per conto incappata in un macroscopico "scivolone" autoaccusatorio ammettendo con singolare ingenuità di avere lasciato uno degli indumenti da lei indossati durante la perpetrazione della feroce aggressione ai danni del figlio sotto le lenzuola prima di ricoprire quest'ultimo;


alquanto più plausibile appare l'ipotesi che la donna abbia incontrato una certa difficoltà a ricostruire con precisione tutti i movimenti da lei compiuti all'interno della camera da letto dopo la scoperta del corpo straziato del figlio ed avanzato mere ipotesi in ordine alla successione degli spostamenti degli oggetti presenti all'interno della camera da letto, ed in particolar modo di quelli originariamente posati nelle immediate vicinanze del piccolo S.L.;


le conclusioni del Ra.C.I.S. seppur dotate di una congrua ed articolata motivazione scientifica, prestano il fianco a qualche obiezione;


in primo luogo la metodologia d'indagine;


la comparazione tra le tracce ematiche presenti sul pigiama e quelle presenti sul piumone è stata infatti eseguita postulando che il pigiama si trovasse - al momento del suo ipotetico imbrattamento accidentale - in posizione piana su qualche zona del piumone;


in realtà doveva essere tenuta nella debita considerazione la circostanza che, se il pigiama fosse stato gettato in disordine sulla superficie del piumone, allora esso non avrebbe potuto trovarsi in posizione perfettamente piana, ma avrebbe dovuto almeno presentare qualche piega;


in secondo luogo, come correttamente argomentano i consulenti della difesa, allo stato degli atti sembra difficile spiegare la presenza di macchie soltanto su una parte della casacca, l'assenza di tracce di tipo ditate per accidentale contatto delle mani e la permanenza in sito del frammento osseo vicino al polsino del pigiama;


tenuto conto infatti della natura e dell'entità delle lesioni, oltreché del sanguinamento derivata, sembrerebbe ragionevolmente ipotizzabile che sul pigiama dovessero trovarsi più macchie rispetto a quelle effettivamente riscontrate (punto 29);


nonostante tali obiezioni, le conclusioni alle quali sono pervenuti i militari del Ra.C.I.S. sembrano comunque da condividere in quanto la casacca del pigiama non si trovava sopra il piumone ma sotto di esso ed il suo imbrattamento è spiegabile solo ipotizzando che esso sia stata indossata dall'assassino, ed in quanto sulla casacca del pigiama risultano presenti tracce emetiche sia sul retro, sia sul verso;


anche questa circostanza può essere infatti spiegata solo ipotizzando che il pigiama sia stato indossato dall'assassino e l'obiezione difensiva su questo punto non ha pregio, tenuto soprattutto conto della circostanza che la macchia su entrambi i lati della giacca non sembrano dovuto al contatto reciproco dei lembi della casacca. Almeno la casacca del pigiama è stata indossata dall'assassino nel corso dell'omicidio (punto 31);


per quanto attiene alla valenza indiziaria degli schizzi di sangue pacificamente riferibili al piccolo S.L., rinvenuti su entrambi gli elementi del pigiama indossato dall'indagata durante la notte antecedente ai fatti, pare opportuno richiamare gli esiti dell'intera analisi effettuata dagli inquirenti sulle tracce di sangue rinvenute all'interno della camera dei L. dopo i fatti, nonché le osservazioni svolte su tale analisi dai consulenti tecnici della difesa; l'esame degli schizzi presenti sulla coperta-copriletto rinvenuta arrotolata sul letto matrimoniale ivi collocato e delle ulteriori tracce di sangue presenti nell'ambiente circostante ha indotto i militari operanti ad ipotizzare che l'aggressore si trovasse nel letto, in ginocchio in corrispondenza del fianco sinistro della vittima (pacificamente rimasta distesa sulla metà sinistra del letto, guardando dal lato inferiore dello stesso, in prossimità della zona centrale e con la testa appoggiata sul cuscino), brandendo con il braccio destro un oggetto di media pesantezza, provvisto di manico;


di particolare rilevanza, in ordine a tale ricostruzione, si è rivelata una zona della coperta copriletto, situata proprio al fianco dell'area sulla quale verosimilmente era posizionato il piccolo al momento dell'aggressione, singolarmente connotata, a differenza della restante area della coltre (uniformemente cosparsa di macchie ematiche di varia dimensione), dalla totale mancanza di qualsiasi traccia di sangue;


l'analisi degli inquirenti è stata poi ulteriormente approfondita attraverso il contestuale esame degli schizzi di sangue presenti sui due elementi del pigiama, grazie alla quale è stato possibile formulare una serie di ipotesi sulle cause di imbrattamento di detti elementi del pigiama;


fra tali ipotesi (prescindendo dal considerare quelle escluse dagli stessi inquirenti, e conformemente ritenuta non percorribili da nessuna delle parti) se ne è delineata una - fatta poi propria dalla difesa, sia pure con adeguate precisazioni - secondo la quale entrambi gli elementi del pigiama sarebbero stati casualmente adagiati nella parte del letto, ed una seconda ipotesi, unica scientificamente sostenibile a giudizio degli inquirenti, secondo cui l'intero indumento sarebbe stato indossato dall'omicida durante l'aggressione, sulla scorta della quale gli inquirenti hanno altresì formulato precise deduzioni in ordine alla posizione ed all'abbigliamento dell'aggressore, tale seconda ipotesi, oltre ad essere stata presentata come la più verosimile sulla scorta di una serie di valutazioni tecnico-scientifiche, è stata sostanzialmente privilegiata alla luce di alcune considerazioni asseritamente idonee ad escludere la concreta praticabilità della distinta ricostruzione poc'anzi richiamata, orbene non si ritiene che tale conclusiva prospettazione dei carabinieri del Ra.C.I.S. - fatta propria dalla pubblica accusa e poi, sia pur con qualche riserva, condivisa anche dal GIP procedente - possa essere condivisa, apparendo anzi che l'unica ricostruzione concretamente prospettabile sulla scorta dei rilievi acquisiti nell'immediatezza dei fatti sia proprio quella sostenuta dalla difesa, e cioè quella secondo cui i due elementi del pigiama si trovavano disordinatamente ammonticchiati sulla parte alta della coperta-copriletto, proprio in corrispondenza dell'area sulla quale non sono state rinvenute tracce ematiche (cosiddetta zona d'ombra, rimasta totalmente indenne dalla azione di imbrattamento, secondo tali ipotesi, perché ricoperta dal pigiama);


decisive, in proposito, appaiono le considerazioni coerentemente svolte dai consulenti tecnici della difesa in ordine alla sussistenza di molteplici ed evidenti elementi di contrasto con la ipotesi fatta propria dall'accusa, appuntatisi essenzialmente sulla totale assenza di tracce di strofinio e di macchie da contatto sulle superfici del pigiama, sulla irregolare collocazione delle tracce di sangue riscontrate e sulla presenza in prossimità di uno dei polsini, della massa maggiore di sangue comprendente un piccolo frammento osseo, altrettanto decisive appaiono le ulteriori considerazioni svolte, sempre dai consulenti tecnici della difesa, in ordine ad una intrinseca debolezza delle argomentazioni addotte dagli inquirenti per controbattere i molteplici e convergenti elementi da loro stessi evidenziati nel corpo della relazione a suffragio dell'ipotesi di cui si sta trattando;


giova infatti sottolineare che gli stessi Militari del Ra.C.I.S. adducono, a sostegno della ipotesi di cui si sta trattando, la presenza di un frammento osseo sulla manica della casacca spiegabile soltanto con la vicinanza dello stesso indumento a quella parte del letto sulla quale è stata rinvenuta una vasta possa di sangue, unico punto nel quale sono risultati presenti analoghi frammenti ossei provenienti dal cranio della vittima;


giova altresì sottolineare, ad ulteriore supporto della teoria di cui si sta trattando la circostanza, non affrontata né dai militari del Ra.C.I.S. né dai consulenti della difesa, che sulla parte bassa di entrambe le gambe dei pantaloni del pigiama, in zona sicuramente collocabile al di sotto delle ginocchia e sulla parte indicata dagli inquirenti come parte indossata anteriormente al momento dell'aggressione, sono visibili numerose macchie di sangue, del tutto incompatibili con l'ipotesi che tale indumento sia stato indossato dall'omicida durante l'aggressione stessa rimanendo inginocchiato sul letto;


giova poi rilevare - per quanto attiene all'osservazione svolta dai militari del Ri.C.I.S. sulla scorta degli esiti di prove sperimentali condotte presso il laboratorio di biologia del Reparto stesso su un pigiama del tutto analogo a quello in esame, da cui è emerso che l'impatto di gocce di sangue voluminose e/o comunque simili in quantità a quelle presenti sul reperto, produce una diffusione della sostanza ematica che si estende anche dall'altra parte del tessuto, se le due superfici sono poste a contatto - che proprio in prossimità della cospicua traccia ematica con frammento osseo presente su una delle due maniche della casacca è riscontrabile, a distanza di pochi millimetri, una seconda traccia ematica con caratteristiche del tutto analoghe alla prima (e segnatamente con dimensioni nettamente superiori rispetto a quelle delle numerosissime macchioline di cui risulta variamente cosparso l'indumento), perfettamente compatibile con l'ipotesi che la casacca del pigiama fosse ammonticchiata sulla cosiddetta "zona d'ombra" riscontrata sulla superficie della coperta-copriletto e che la zona di tessuto del pigiama stesso su cui risultano essersi impresse queste due grosse macchie ravvicinate fosse ripiegato formando un'ansa la cui superficie superiore, attinta dalla cospicua massa di sangue contenente il frammento osseo, fosse a contatto con quella inferiore ed abbia impresso su quest'ultima - proprio per diffusione derivante da contatto - la seconda macchia, di dimensioni leggermente inferiori;


giova ulteriormente rilevare che, accogliendo la ricostruzione offerta dai militari del Ra.C.I.S. secondo cui l'omicida avrebbe sferrato i numerosi colpi contro la vittima rimanendo inginocchiato sul letto, si dovrebbe altresì ipotizzare - soprattutto in considerazione della estrema violenza impressa sul capo della vittima e delle condizioni di non perfetta stabilità scaturenti dal posizionamento su superficie non rigida - che lo stesso omicida, durante l'aggressione, abbia tenuto le gambe leggermente divaricate, con conseguente concreta, possibilità di proiezione degli schizzi di sangue provenienti dal capo della vittima nell'area del copriletto insistente fra le due gambe, la quale ultima peraltro - e sempre stando alla suddetta ricostruzione - avrebbe proprio dovuto coincidere con la cosiddetta "zona d'ombra" risulta totalmente immune da qualsiasi traccia ematica;


sulla scorta degli accertamenti scientifici sopra esposti si può ragionevolmente formulare una ipotesi di accusa che preveda il soddisfacimento contemporaneo delle seguenti condizioni: l'assassino doveva trovarsi da solo con la vittima all'interno della camera da letto dei coniugi L. nel lasso di tempo in cui l'omicidio è stato consumato; l'assassino doveva indossare, al momento dell'omicidio, almeno la casacca del pigiama; gli zoccoli sono stati indossati dall'assassino nel corso dell'omicidio ovvero, dopo la sua consumazione, sono venuti in contatto accidentale con il sangue della vittima, l'assassino doveva disporre dopo l'esecuzione del delitto, di un certo lasso di tempo per far sparire l'arma del delitto per pulirsi o comunque per allontanarsi indisturbato; l'assassino doveva conoscere la disposizione delle camere all'interno dell'abitazione dei L. e, più in particolare, doveva conoscere perfettamente le abitudini di vita della famiglia (punto 32); tutte queste condizioni sono contemporaneamente soddisfatte solo ipotizzando che l'assassino sia F.A. (punto 33); è possibile che una persona allo stato ignota si sia trovata in una o più delle condizioni di fatto indicate nel paragrafo precedente, necessarie al fine di poter consumare l'omicidio; si deve però ragionevolmente escludere che taluno si sia trovato contemporaneamente in tutte le condizioni sopra indicate; certo, l'ipotesi conserva ancora qualche astratta possibilità di verificarsi, ma tale possibilità è così remota da sconfinare nel bizzarro (punto 34):


intanto non pare assolutamente condivisibile l'affermazione secondo cui un eventuale aggressore non identificatesi nella F.A. avrebbe impiegato un particolare lasso di tempo, subito dopo l'esecuzione del delitto per far sparire l'oggetto impiegato per colpire il bambino, per pulirsi o comunque per allontanarsi indisturbato; appare infatti del tutto plausibile, e ben difficilmente contestabile, l'ipotesi che un eventuale omicida penetrato furtivamente nell'abitazione nell'arco del più volte richiamato intervallo temporale di sette otto minuti compreso fra l'allontanamento della F.A. in compagnia del figlio D.L. ed il rientro della stessa nell'abitazione, si sia allontanato con una certa rapidità, tralasciando di lavarsi, portando con sé l'oggetto utilizzato per compiere la feroce aggressione ed approfittando della posizione piuttosto isolata in cui è situata la villa dei L. per far perdere le proprie tracce in un lasso di tempo particolarmente breve; quanto al preteso impiego, quanto meno, della casacca del pigiama della F.A. si richiamano le considerazioni poc'anzi formulate, quanto alla conoscenza della disposizione delle camere all'interno dell'abitazione dei L. e delle abitudini di vita di questi ultimi sarà sufficiente osservare 8ma sul punto si ritornerà comunque più avanti) che non risultano ad oggi essere stati acquisiti convincenti alibi di taluni dei conoscenti degli stessi L., e segnatamente della vicina di casa F.D. e del suocero G. O.; quanto infine alla pretesa presenza degli zoccoli indosso all'aggressore durante la perpetrazione del delitto o subito dopo si rinvia alle considerazioni che verranno svolte più avanti ai punti 53-64;


in primo luogo non risulta che nell'abitazione dei L. o nelle sue vicinanze nella mattina dell'omicidio si trovasse qualcuno (punto 35): sicuramente il piccolo S.L. venne lasciato completamente solo all'interno dell'abitazione, ma nelle immediate vicinanze, e segnatamente all'interno della villa della famiglia G. -F.D. (sita, secondo quanto attestato dai militari procedenti, ad una cinquantina di metri da quella dei L.), vi era sicuramente F.D.;


tutte le persone comunque presenti nei pressi dell'abitazione dei L. tra le ore 8 e le ore 8.30 hanno decisamente affermato di non aver notato nessuna persona fermarsi o comunque transitare in quella zona, destando sospetto o attenzione; L. S., uscito di casa tra le ore 7 e 30 e le ore 7 e 40, ha dichiarato di non aver notato nulla di strano quella mattina; anche il piccolo D.L. ha dichiarato di non aver visto nessuno nel corso del giro in bici fatto dopo la colazione; infine la stessa indagata ha dichiarato di non aver notato persone estranee nei pressi dell'abitazione (punto 36); scarsamente rilevante anche alla luce della sufficientemente sicura ricostruzione cronologica dei fatti sopra diffusamente prospettata ai punti 14 e 14, appaiono le attestazioni di L. S., pacificamente allontanatosi dalla propria abitazione almeno trentacinque minuti prima del momento a partire dal quale si può collocare con ragionevole margine di verosimiglianza la feroce aggressione in danno del figlio; ugualmente poco rilevanti appaiono almeno ai fini che qui interessano, le attestazioni rese dal piccolo D.L. e dalla stessa prevenuta posto che, in ipotesi di perpetrazione dell'aggressione da parte di persona diversa da quest'ultima, deve ragionevolmente ritenersi che il fantomatico assassino abbia (come del resto correttamente sottolineato dal G.I.P. procedente) atteso l'uscita della F.A. e dello stesso figlio D.L. evitando accuratamente di farsi notare da costoro; quanto alle altre testimonianze appaiono di particolare interesse - come correttamente evidenziato dal Gip procedente nell'impugnata ordinanza cautelare - quelle di G.D., di V.D. e di G.I.; peraltro il primo di costoro G. ha dichiarato di non aver visto nessuno sulla strada comunale che unisce la frazione Gimillan alla frazione Montroz sita, nel punto più vicino alla villa dei L., a circa 250 metri dalla stessa; l'autista dello scuolabus V.D. ha dichiarato di non aver notato alcun movimento sospetto presso la casa dei L. allorquando fece la sosta intorno alle 8.20 in frazione Montroz, ossia in un momento in cui si trovava esso pure ad una distanza di circa 250 metri, dalla villa e in cui l'aggressore poteva già essere entrato nella villa; ed infine G.I. ha riferito di essere transitata alle ore 7.55 in località Gimillan, vicino alla villa dei L., ossia almeno venti minuti prima dell'inizio di quell'arco temporale entro il quale si ritiene di poter collocare con ragionevole margine di verosimiglianza la feroce aggressione e menzionato tale T.S., moglie di G., impiegata come lei presso il comune di Cogne, la quale le avrebbe dichiarato di non aver visto nulla di sospetto ed avrebbe timbrato il cartellino alle ore 8.29 (non è dato peraltro sapere in quale ora questa seconda testimone sarebbe transitata nelle vicinanze della villa dei L.);


nel viottolo che costeggia l'abitazione dei L. non sono state riscontrate tracce o comunque segni riconducibili ad un possibile spostamento finalizzato all'osservazione della casa; né tali tracce sono state riscontrate nel corso dell'esteso e accurato controllo perimetrale della zona effettuata dai Carabinieri (punto 37);


tale risultanza - certamente idonea ad escludere l'ipotesi che l'omicidio del piccolo S.L. sia stato accuratamente organizzato da persona totalmente estranea al gruppo famigliare del medesimo rimasta a lungo appostata in un luogo adiacente alla villa in attesa che si verificasse il momento propizio per penetrare furtivamente all'interno di essa approfittando della momentanea condizione di isolamento in cui era stata lasciata la piccola vittima - non vale ad escludere altre ipotesi alternative che, come si vedrà meglio più avanti non risultano essere state ad oggi convincentemente e inoppugnabilmente escluse;


l'assassino, per accedere alla camera in cui si trova il piccolo S.L., deve pure essere passato da qualche parte: l'indagata ha dichiarato che le finestre e la porta del garage erano chiuse (punto 38); resta come unica alternativa, la porta d'ingresso; sembra ragionevole ritenere che la porta d'ingresso, mentre la F.A. si recava alla fermata dell'autobus, fosse stata chiusa dalla stessa indagata (punto 39) senza dubbio questa decisione asseritamente adottata dalla F.A. di lasciare il piccolo S.L. in casa da solo per svariati minuti, portandosi ad una distanza che, seppur nn particolarmente elevata, era comunque idonea a precluderle qualsivoglia sorveglianza diretta della zona circostante alla villa, costituisce una notevole imprudenza ove si voglia accedere all'ipotesi che l'omicidio sia stato perpetrato da persona del tutto estranea alla famiglia, soprattutto se si considera che lo stabile abitato dai L. era pacificamente situato in una zona notevolmente isolata del comune dei Cogne e che nelle immediate vicinanze vi era soltanto la villa dei G. -F.D., i cui abitanti potevano in quel momento essere impegnati in faccende suscettibili di impedire loro qualsivoglia controllo della zona circostante (non bisogna dimenticare che, secondo quanto emerge dalle concordanti attestazioni di F.D. e dai suoi congiunti G.C., O. ed U., la villa in questione era in quel momento occupata soltanto dalla F.D. e dai due giovanissimi figli, e verosimilmente la donna era intenta ad accudire questi ultimi); per altro non pare che questo sia pur sconsiderato comportamento asseritamente tenuto dalla prevenuta, certamente confliggente con quei comprovati atteggiamenti di scrupolo ed apprensione che sembrerebbero aver sempre connotato i rapporti della stessa con i due giovanissimi figli, possono assurgere a veri e propri elementi indiziari o presentino comunque connotazioni di particolare gravità e concludenza; non bisogna infatti dimenticare che il gravissimo episodio delittuoso per cui si procede risulta essersi del tutto imprevedibilmente consumato in un particolare contesto ambientale e sociale, molto verosimilmente caratterizzato da una vigile e penetrante attenzione delle comunità su tutto quanto accade all'interno del territorio, da una consolidata conoscenza reciproca di tutti i membri della comunità stessa e da una conseguente, facile, intercettazione di qualsivoglia, anche solo momentanea ed occasionale, intrusione "anomala" all'interno del territorio; pare quindi quanto meno verosimile che la F.A., prevedendo di dover rimanere fuori casa per una manciata di minuti e confidando comunque in quelle prerogative di sicurezza e "tranquillità" che avevano da sempre connotato il tessuto sociale circostante, abbia consapevolmente, e senza particolare preoccupazione, omesso di chiudere a chiave la porta di ingresso (in proposito giova anche sottolineare che, tenuto conto della conformazione della villa e soprattutto della presenza di un notevole numero di finestre e porte finestre non corredate di particolari sistemi di difesa, l'acceso all'interno di essa da parte di estranei era comunque significativamente agevolato e conseguentemente può ragionevolmente affermarsi che il più rilevante profilo di imprudenza concretamente ascrivibile alla F.A. - sempre ipotizzando che l'omicidio sia stato commesso da un estraneo - si ricollega all'aver lasciato il giovanissimo figlio totalmente solo all'interno di un ambiente isolato dall'esterno, più che dall'aver in qualche modo agevolato l'ingresso di estranei in tale ambiente);


nel corso del procedimento la F.A. ha dichiarato più volte di aver lasciato aperta la porta di ingresso, non chiudendola a chiave nell'uscire per paura di fare rumore e di svegliare il piccolo S.L.; la dichiarazione della F.A. è probabilmente falsa, sia per la sua intrinseca inverosimiglianza sia perché contraddetta da altre dichiarazioni dalla stessa rese (punto 40); in primo luogo, pare del tutto inverosimile che una madre molto attenta e scrupolosa come la F.A. - così almeno è stata definita e si ritiene - esca di casa senza chiudere la porta, lasciando il piccolo S.L. da solo in balia degli eventi; tra l'altro la giustificazione fornita ("... per paura di fare rumore...") è contraddetta dalle stesse dichiarazioni della F.A. e da un riscontro obiettivo; l'indagata ha dichiarato di aver messo nel proprio letto S.L. perché piangeva; sembra però impossibile che il piccolo S.L., poco dopo aver richiamato l'attenzione della mamma si sia immediatamente addormentato, ben sapendo che la mamma stava per uscire perché già era vestita; è quindi evidente l'infondatezza della giustificazione addotta, non potendo svegliarsi con il rumore ella porta colui che in realtà era già sveglio, e non stava dormendo; tra l'altro, che S.L. probabilmente non stesse dormendo risulta anche dalle ferite da difesa riportate sulla mano sinistra (punto 41); oltre a richiamare quando già esposto al punto precedente si rileva che la F.A. non ha mai affermato di aver omesso la chiusura a chiave della porta di ingresso per timore di far rumore e di svegliare S.L., ma ha sempre dichiarato di essersi improvvisamente accorta, mentre stava per avviarsi alla fermata dello scuolabus in compagnia di D.L., che il figlio più piccolo si era svegliato e stava piangendo, di aver quindi fatto sdraiare quest'ultimo sul letto matrimoniale con l'intento di tranquillizzarlo e convincerlo che non stava uscendo di casa, e che essa si sarebbe trattenuta in sua compagnia rimanendo nelle stanze adiacenti a quella in cui lui si trovava, di aver quindi acceso la televisione per convincere ulteriormente il piccolo della sua presenza all'interno dell'abitazione e di essersi infine allontanata evitando di far scattare la serratura temendo che il rumore prodotto da quest'ultima venisse percepito da S.L. e gli facesse capire che in realtà essa si stava allontanando momentaneamente di casa in compagnia del fratellino, tale ricostruzione, resa dalla donna, quanto meno nei suoi tratti essenziali, fin dalle primissime battute dell'inchiesta, è stata poi puntualmente e coerentemente ribadita nei successivi costituiti testimoniali;


nell'immediatezza dei fatti la F.A. ha dichiarato proprio il contrario; all'arrivo del dott. I.L. il quale prospettava l'ipotesi che poteva esserci stato qualcuno entrato dall'esterno, la F.A. risulta aver risposto: "Non sono stupida era chiuso e so bene quello che faccio" con tono definito dai presenti quasi infastidito (punto 42); tale iniziale affermazione attribuita dalla dott.ssa S.A. all'indagata - senza dubbio in evidente contrasto con la versione successivamente resa da quest'ultima in ordine alla omessa chiusura della porta d'ingresso dell'abitazione durante il suo breve allontanamento per accompagnare il figlio D.L. alla fermata dello scuolabus - si colloca in un momento in cui il piccolo S.L., non ancora caricato sull'elicottero, appariva verosimilmente ancora vivo; orbene, pur dovendosi indubbiamente valutare con estrema prudenza - alla luce di tale iniziale, ed apparentemente perentoria affermazione - la effettiva attendibilità delle successive attestazioni rese dall'indagata in ordine alla asserita omissione della chiusura a chiave della porta di ingresso, non si ritiene che l'affermazione stessa (acquisita agli atti del procedimento, tra l'altro de relato) rivesta una valenza dimostrativa tale da inficiare totalmente la credibilità di tali successive dichiarazioni; in proposito appare particolarmente significativa la circostanza che tali affermazioni ove effettivamente pronunciate, si inscrissero comunque in una particolare fase del drammatico episodio di cui si sta trattando, e cioè in un momento in cui il decesso del piccolo S.L. non era stato ancora dichiarato e la F.A. potrebbe realmente aver elaborato di fronte alla agghiacciante ipotesi di una sua involontaria agevolato della tragica morte del figlioletto, un atteggiamento auto assolutorio fondato sulla improbabile ipotesi che le devastanti lesioni riportate dal piccolo avessero una origine organica e sulla conseguente convinzione di non essere stata in alcun modo responsabile del drammatico evento; significative, sempre a tal proposito, appaiono le attestazioni rese dalla dott.ssa S.A., riscontrate dalle stesse dichiarazioni rese dall'indagata in sede di sommarie informazioni, secondo cui quest'ultima si era inizialmente convinta che fosse scoppiata la testa al piccolo S.L.;


si può quindi ritenere per tutte queste ragioni che la F.A. abbia mentito. Il mattino dell'omicidio la porta d'ingresso era chiusa; sul luogo non sono state rinvenuti segni di effrazione o di scasso; ne consegue che l'assassino disponeva delle chiavi di casa o si trovava già all'interno (punto 43): su questa argomentazione logico deduttiva si richiamano le considerazioni sopra svolte ai punti 38-42;


anche supponendo per amore di discussione, che la porta d'ingresso fosse aperta risulta comunque impossibile la commissione del reato da parte di terzi; è stato infatti accertato che non vi era condotta costante da parte della F.A. per quanto riguarda la conduzione dei propri figli alla fermata dello scuolabus. Alcune volte la F.A. usciva di casa con tutte e due i bambini, altre volte usciva di casa con il solo D.L., lasciando da solo S.L.. Sembra però che nella generalità dei casi erano più le volte che usciva con i due bambini insieme, e allora, affinché la consumazione del reato sia possibile, occorre che l'omicida non solo conoscesse l'ubicazione delle camere all'interno della casa dei L., ma occorre soprattutto che l'assassino conoscesse le abitudini della F.A. e che tenesse sotto costante osservazione l'abitazione dei L. allo scopo di cogliere il momento più opportuno per agire, visto che le abitudini della F.A. non erano costanti. Occorre infine che l'assassino sapesse che quel mattino il bambino si trovava nella camera da letto dei genitori, e non nella camera da letto dove di solito dormiva (punto 44); tale argomentazione logico-deduttiva, in assenza di una convincente e definitiva esclusione delle ipotesi alternative, non può essere invocata, neppure in concorrenza di ulteriori e più concludenti indicazioni accusatorie, quale elemento indiziario grave; in proposito giova anche ricordare che una parte dei componenti della famiglia G. -F.D. risulta priva di alibi esaurientemente riscontrati (come si vedrà meglio più avanti) e che F.D. - asseritamente rimasta all'interno della propria abitazione durante l'intervallo temporale nell'arco del quale risulta essere stata perpetrata l'aggressione ai danni del piccolo S.L.- poteva seguire dalle proprie finestre gli spostamenti della F.A. ed in particolare notare quando la sessa si è allontanata da casa con D.L. diretta verso la fermata dello Scuolabus, era perfettamente in condizioni di conoscere le abitudini della F.A. ed in particolare - avendo essa pure due figli in tenera età, uno dei quali iscritto alla scuola materna .- era in grado di intuire che la F.A. si sta dirigendo verso detta fermata e quale sarebbe stato il tempo presumibile di percorrenza, conosceva la conformazione interna della casa dei F.A., poteva sapere dell'avvenuto allontanamento del marito della F.A., L. S., partito tra le 7.30 minuti primi e le 7.40 minuti primi in automobile della propria villa molto verosimilmente era informata della presenza di S.L. all'interno della casa dei F.A., essendo il piccolo iscritto come suo figlio alla scuola materna e dovendo i due bambini essere accompagnati presso tale scuola con il turno di servizio immediato successivo a quello di D.L. previsto per le ore 8.45;


tale ipotesi non trova alcun riscontro nei fatti e risulta intrinsecamente inverosimile atteso che una preparazione così accurata dell'omicidio richiederebbe quantomeno un movente (punto 45); allo stato non risulta che i L. si siano creati mai rancori tali nei confronti di altre persone, in modo da giustificare l'azione delittuosa; il marito dell'indagata - per quello che risulta dagli atti - ha più volte dichiarato di non aver nessuna idea in merito al movente di un terzo in quanto al di là dei normali screzi tra vicini, non gli risulta di essersi mai comportato in maniera tale da determinare in altri la nascita di un proposito vendicativo di questa portata, nei confronti suoi e dei suoi familiari (punto 46): la ritenuta assenta di moventi in capo a terze persone, ed in special modo la ritenuta assenza di pregresse situazioni conflittuali fra i L. ed altri componenti della piccola comunità di Cogne di gravità tale da giustificare la perpetrazione di un atto così atrocemente efferato come quello per cui si procede, non possono ritenersi circostanze indiziariamente rilevanti in ordine alla posizione della F.A., soprattutto se si considera che, alla luce delle risultanze diffusamente analizzate ai punti 14 e 15, non risulta affatto dimostrato che l'aggressione del piccolo S.L. sia avvenuta in un orario nel quale la madre si trovava con lui all'interno dell'abitazione, e se si tiene altresì conto del fatto che non è stato fino ad oggi adeguatamente evidenziato alcun plausibile movente, in capo alla stessa F.A., atto a giustificare la perpetrazione di un atto così assurdamente feroce;


una preparazione così accurata del delitto richiederebbe quantomeno che l'omicida impieghi un'arma più efficace ed appropriata di quella impiegata per la consumazione dell'omicidio e, pur non essendo mai stata ritrovata l'arma del delitto, il consulente medico legale del Pm è stato in grado, in base alla natura delle lesioni di desumerne le caratteristiche strutturali giungendo ad ipotizzare con buon margine di sicurezza che le suddette lesioni ".... Con buona probabilità siano state determinate da un corpo contundente con le seguenti caratteristiche: facile ed agevole impugnabilità; rigido, discretamente pesante; che presenta margini acuti rettilinei e spigoli vivi. La morfologia della maggior parte delle ferite è suggestiva per l'ipotesi che le stesse siano state prodotte per l'effetto dell'azione di spigolo dell'oggetto" (punto 47); si è trattato con evidenza di un'arma impropria, affatto incompatibile con una fase di preparazione e studio dell'omicidio (punto 48); nessun concreto riferimento indiziario sembra potersi desumere dalle caratteristiche strutturali dell'arma utilizzata per compiere la feroce aggressione, atteso il mancato rinvenimento della stessa e la conseguente mera possibilità di formulare delle vaghe ipotesi sulla base della specifica conformazione ed entità delle ferite (giova in proposito ricordare che tali "impronte" lasciate dall'arma consentono esclusivamente di inferire la probabile conformazione di quella parte di essa che venne a diretto contatto con il corpo della vittima, restando tutte le altre caratteristiche strutturali dell'arma affidate ad una serie di variabili totalmente incerte e fino ad oggi rimaste sostanzialmente irrisolte, quali la quantità di energia fisica che venne spiegata dall'aggressore, la posizione dello stesso durante lo svolgimento dell'azione, l'afferramento o meno della testa della vittima con la mano libera dell'arma allo scopo di imprimere i colpi su di un oggetto fermo e così via); non si ritiene comunque che l'impiego di un'arma impropria possa ritenersi circostanza incompatibile con l'ipotesi di una attenta e accurata preparazione dell'omicidio apparendo del tutto ragionevole, in una simile ipotesi, che l'assassino scelga l'arma non già in relazione a maggiore o minore grado di perfezionamento della stessa, ma in relazione alla potenzialità offensiva rapportata alla programmata azione aggressiva;


oltre a ciò, altri due elementi inducono a ritenere che la consumazione dell'omicidio da parte di un estraneo sia sostanzialmente impossibile; in primo luogo il tempo disponibile per l'esecuzione del reato e per la fuga (risulta infatti che la F.A. si è allontanata dall'abitazione per soli otto minuti tra le ore 8 e 16 e le ore 8 e 24); in realtà il range temporale disponibile per l'omicidio è ancora più ristretto atteso che un eventuale assassino provenuto dall'esterno doveva almeno aspettare che la F.A. e il piccolo D.L. si fossero allontanati un po' dall'abitazione per non essere scoperto al momento dell'ingresso e doveva essere già uscito un po' prima delle ore 8 e 24 per non incontrare la F.A. di ritorno dalla fermata dello scuolabus; quindi il range temporale è ancora più ristretto, tra i cinque ed i sei minuti; in secondo luogo, ipotizzando che tale ipotetico assassino conoscesse le abitudini della F.A. e quindi sapesse che questa accompagnava il bambino alla fermata per prendere lo scuolabus alle ore 8 e 20, si giunge a ritenere che tale persona fosse anche perfettamente consapevole di aver un tempo limitatissimo per agire, ben potendo la F.A. rientrare in casa prima delle ore 8 e 24 (ad esempio, perché aveva accompagnato D.L. solo per un pezzo o perché era rientrata in casa a passo più veloce del normale, anche considerando il fatto che aveva lasciato S.L. da solo, ed il rischio di sorpresa da parte della donna era così elevato da tramutarsi in sicura certezza (punto 49); come già osservato al punto 46 le circostanza suscettibili di escludere la riferibilità dell'omicidio a persona completamente estranea al nucleo famigliare dei L. non possono ritenersi indiziariamente rilevanti in ordine alla posizione della F.A., o quanto meno non paiono rivestite di una valenza indiziaria grave nei confronti di quest'ultima, soprattutto se si considera che allo stato risultano - almeno in astratto - percorribili quelle ipotesi alternative che vedrebbero coinvolte persone piuttosto vicine ai L. (non soltanto a livello di frequentazione interpersonale, ma anche al livello di collocazione domiciliare) i cui alibi, come si evidenzierà meglio più avanti sono sostanzialmente privi di concreti riscontri esterni;


quella mattina i vicini di casa della F.A. erano in posizione tale da vedere quello che succedeva nei pressi dell'abitazione e non soltanto risulta che queste persone non videro nessuno aggirarsi in quell'orario , ma soprattutto il fantomatico omicida avrebbe dovuto fare i conti anche con il rischio di essere visto da loro (punto 50): si richiama, per quanto attiene a tale considerazione logico argomentativa, quanto già osservato al punto 44;


risulta poi che l'assassino nell'eseguire il reato ha indossato almeno la casacca del pigiama appartenente alla F.A. e non si riesce a comprendere per quale motivo tale fantomatico aggressore, avendo a disposizione un range temporale estremamente esiguo avrebbe dovuto perdere una parte del suo tempo limitato e prezioso per indossare tale indumento, con il rischio di farsi cogliere in flagranza di reato (punto 51); si richiama per quanto attiene a tale considerazione logico argomentativa, quanto già osservato ai punti 28.31.


vi sono poi due considerazioni che consentono di affermare con sicurezza che l'assassino estraneo non avrebbe potuto infilarsi la casacca del pigiama: 1) è evidente che l'assassino deve aver indossato la casacca del pigiama nel luogo dove questa si trovava quando era stata lasciata dalla F.A. prima di uscire; (la donna ha dichiarato di aver lasciato l'indumento: "buttato sul letto come tutte le mattine") per cui si deve ipotizzare che tale individuo sia entrato nella camera del piccolo S.L. con i propri vestiti, che il bambino fosse già sveglio o quantomeno si sia svegliato a questo punto, che l'assassino abbia nel frattempo indossato con tutta calma il pigiama della F.A., che il piccolo sia restato tranquillamente nella propria posizione, senza fare troppo caso a questa serie di strani accadimenti e simile ipotesi, per essere soddisfatta, postula quanto meno delle tracce di lotta o colluttazione mai state trovate, e non la semplice ferita da difesa trovata sulla mano della vittima, la posizione inerte della vittima la mancanza di segni di colluttazione e la sostanziale tranquillità della scena del delitto (del tutto compatibili con l'ipotesi che S.L. non abbia notato nulla di strano quella mattina e che la persona indossante il pigiama al momento dell'omicidio fosse la persona che solitamente lo portava, e cioè la madre dello stesso); 2) in ogni caso è impossibile che un estraneo, quella mattina, potesse indossare la casacca del pigiama e cioè per la ragione che la stessa, trovata sotto il lenzuolo e sotto il piumone, non era visibile; dall'altro canto la stessa F.A., dopo aver in un primo momento affermato di aver buttato il pigiama sul letto prima di uscire, ha in seguito precisato: "quando ho scoperto il piccolo S.L. nelle condizioni che vi ho detto ho tirato giù il piumone (...) non ricordo di aver visto il mio pigiama quando ho tirato giù il piumone. Penso che avendolo tolto al mattino sia rimasto sotto le lenzuola quando le ho tirate su per coprire S.L. prima di uscire " e tutte le persone intervenute sulla scena del delitto hanno negato di aver tolto, spostato o addirittura visto detto pigiama, per cui si può affermare che il pigiama al momento dell'omicidio era sotto le lenzuola e dunque non visibile, e poteva essere indossato o dalla persona che lo portava quella mattina o dalla persona che sapeva dove era riposto, in ogni caso F.A. (punto 52): per quanto attiene alla valenza e gravità indiziaria delle circostanze emergenti da tali valutazioni logico deduttive si richiamano le considerazioni sopra svolte ai punti 28-31;


gli zoccoli appartenenti all'indagata sequestrati nel corso dei rilievi hanno sicuramente avuto a che fare con l'omicidio in quanto riportano in più zone tracce ematiche appartenenti alla vittima; delle due, l'una o essi sono stati schizzati nel corso dell'esecuzione dell'omicidio, o essi sono stati imbrattati dopo l'esecuzione dell'omicidio (punto 53); sugli zoccoli (o ciabatte) appartenenti alla F.A. e rinvenuti, appoggiati in buon ordine, contro uno dei muri perimetrali del vano di disimpegno del bagno collocato al piano superiore della villa dei L., sono state individuate tracce ematiche che hanno formato essere pure, oggetto di ampia discussione in relazione alla loro sede, al loro aspetto ed alla loro stessa natura, e che sono state poi ritenute indiziariamente rilevanti dal Gip, procedente in sede di emissione dell'impugnato provvedimento cautelare; in particolare gli esperti del Ra.C.I.S. riferiscono di aver individuato, oltre a quelle sulle suole ed a quella macroscopica sul plantare dello zoccolo sinistro, alcune tracce apprezzabili soltanto microscopicamente in corrispondenza del bordo anteriore del plantare dello zoccolo stesso, sotto forma di alonatura e minutissimi residui ed analoghe tracce sulla superficie interna della tomaia in cuoio, all'altezza del bordo laterale sinistro a guida di un debole imbrattamento e di un residuo puntiforme, nonché alcune tracce pure apprezzabili soltanto microscopicamente in corrispondenza del bordo anteriore del plantare dello zoccolo destro, sotto forma di alonatura e minuscoli frammenti, e sulla superficie interna della tomaia in cuoio, all'altezza del bordo laterale destro, a guida di un tenue imbrattamento, pure riscontrabile solo microscopicamente; quanto al ritenuto valore indiziario della macchia macroscopica rinvenuta sul plantare dello zoccolo sinistro (costituita da una crosticina nettamente delimitata e piuttosto consistente situata in prossimità del bordo laterale di detto plantare) si osserva che la prospettazione accusatoria - essenzialmente fondata sul presupposto che la calzatura in questione si trovasse appoggiata sul pavimento della camera da letto dei L. durante l'azione delittuosa, verosimilmente lungo l'area perimetrale del letto e sia stata indossata dalla F.A. al termine dell'aggressione con i piedi nudi, per spostarsi dalla camera da letto al bagno sito nel piano superiore e ivi depositare entrambi gli zoccoli prima di indossare gli abiti da passeggio - non pare affatto compatibile con le peculiari (ed immediatamente evidenti anche ad un profano) caratteristiche morfologiche della traccia stessa, se qualcuno avesse infatti calzato quello zoccolo con piedi nudi a distanza di poche decine di secondi dall'intervenuta proiezione della goccia sul plantare, la sostanza ematica si sarebbe sicuramente spalmata e diffusa per strisciamento, tenuto conto della collocazione della traccia in questione (discosta dal margine sinistro del plantare di poco meno di un centimetro, e quindi sicuramente esposta alla compressione del palmo del piede) dei tempi relativamente lunghi di essiccamento della sostanza ematica (sicuramente dell'ordine di svariati minuti) e della verosimile presenza, sulla superficie inferiore dei piedi, di sostanza organica liquida (in particolare sudore) idonea a favorire la soluzione della sostanza ematica stessa; mentre la macchia risulta aver conservato margini assolutamente netti, tipici di una essiccazione intervenuta senza alcuna azione di compressione o strisciamento della stessa; maggiormente plausibile appare la spiegazione fornita dalla F.A. in ordine ad un suo impiego delle calzature in questione nel periodo di tempo immediatamente successivo al rientro a casa di ritorno dalla fermata dello scuolabus (sulla cui concreta attendibilità si dirà più avanti), del tutto compatibile con i diffusi, evidentissimi e consistenti imbrattamenti rinvenuti sulla superficie inferiore di entrambi gli zoccoli (ragionevolmente riconducibili a quei reiterati spostamenti della F.A. fra la camera da letto in cui si trovava il piccolo S.L. ed i vani circostanti) e spiegabile - sia pure in termini di mera ipotesi - con un imbrattamento formatosi allorquando la donna ripose le calzature in nel luogo in cui sono state poi rinvenute dagli inquirenti, sfiorando il plantare della sinistra con la mano sporca di sangue; più facile inquadramento nella suddetta ricostruzione accusatoria sembrano trovare le svariate microtracce ematiche rinvenute in vari punti delle superfici interne delle tomaie dei due zoccoli e sui tratti anteriori delle superfici dei plantari, costituite essenzialmente da alonature con minutissimi residui apprezzabili solo microscopicamente (in corrispondenza dei bordi anteriori dei plantari) e da deboli imbrattamenti con residui puntiformi pure apprezzabili solo microscopicamente (sulle superfici interne delle tomaie, all'altezza dei bordi laterali esterni di entrambe le calzature); stando infatti alla ricostruzione prospettata dal Pm e fatta propria dal Gip, procedente, tali microtracce si sarebbero prodotte per effetto del contatto dei piedi nudi della F.A. con la superficie della coperta-copriletto (risulta cosparsa, come sopra più volte ricordato, da un elevatissimo numero di piccole macchie di sangue), e cioè in concomitanza con quell'unico spostamento durante il quale - sempre stando alla ricostruzione di cui si sta trattando - si sarebbe potuto verificare un contatto di questo tipo (una volta scesa dal letto, infatti, la donna avrebbe immediatamente infilato entrambi gli zoccoli evitando casualmente di calpestare una delle consistenti, ma comunque effettivamente molto rade, macchie di sangue riscontrate sul pavimento della stanza e si sarebbe poi immediatamente spostata verso l'esterno per cambiarsi d'abiti e per depositare gli zoccoli nel vano in cui gli stessi sono stati successivamente rinvenuti dagli inquirenti); peraltro anche tale prospettazione, oltre a dover essere ulteriormente approfondita sotto il profilo scientifico alla luce delle osservazioni svolte con dovizie di argomenti dai consulenti della difesa, si scontra con altrettanto precise risultanze di indagine desumibili dagli stessi accertamenti svolti dai militari del Ra.C.I.S. in ordine alle tracce ematiche rinvenute sulla superficie della pesante coltre posta sul letto dei L. e particolareggiatamente catalogate secondo talune ricorrenti caratteristiche; si evince infatti dai suddetti rilievi che la parte della coperta-copriletto sulla quale l'assassino avrebbe molto verosimilmente dovuto transitare per raggiungere gli zoccoli lasciati momentaneamente appoggiati su una delle zone del pavimento circostanti al letto, e cioè la parte ripartita dagli inquirenti del Ra.C.I.S. nei settori fra loro adiacenti con numeri da 92 a 100, presentata una serie di macchie che, pur presentando una densità nettamente inferiore rispetto a quelle rinvenute nella parte alta della coltre, e cioè sui settori da 85 a 89, erano comunque, per la maggior parte di diametro superiore ad 1,5 mm, e potevano quindi determinare in caso di strofinio da parte dei piedi dell'assassino, non trascurabili tracce ematiche su questi ultimi, con conseguente, trasferimento di un certo numero di impronte di consistenza ben maggiore rispetto a quelle trovate sui plantari e sulle superfici interne delle tomaie di dette calzature;


le persone intervenute sulla scena del delitto hanno dichiarato di non averi mai notato la presenza di quegli zoccoli nella camera da letto e d'altro canto, essi sono stati trovati al piano superiore nel disimpegno antistante il bagno, posati al suolo in modo assolutamente ordinato; la F.A. con particolare riferimento all'abbigliamento da lei indossato la mattina dei fatti ha dichiarato: "...Quando sono rientrata in casa di ritorno dall'accompagnare D.L. ho subito tolto le scarpe ho messo le ciabatte e sono andata giù a vedere S.L. (...) quando ero in attesa del soccorso, su indicazione di S.A. sono nuovamente salita di sopra a prendere le scarpe, la giacca, le ho infilate ho lasciato le ciabatte al piano vicino l'ingresso e sono scesa", precisando altresì: ".... Nel momento in cui sono rientrata in casa dopo aver accompagnato D.L. alla fermata ho chiuso la porta d'ingresso a chiave dall'interno (...) dopodiché mi sono tolta le scarpe nell'antibagno e mi sono messa le ciabatte, mi sono tolta la giacca e sono scesa sotto in camera trovando S.L.. Voglio altresì riferire che quando S.A. mi ha detto di prepararmi perché dovevo andare con S.L., sono salita sopra, mi sono messa le scarpe, ho preso la mia giacca nera e lo zaino che si trovava sul basamento in pietra del camino e sono nuovamente scesa sotto"; anche in merito a ciò la F.A. ha mentito avendo dichiarato: "quando sono entrata in casa (di ritorno dalla fermata dell'autobus, n.d.r.) ho tolto le scarpe e la giacca dopo di che sempre in fretta sono scesa da S.L." (punto 54); tale versione della F.A. risulta smentita sia da intrinseche contraddittorietà sia dalla contraddizione con le dichiarazioni rese da altre persone informate sui fatti; la S.A., su questo specifico punto, ha infatti reso dichiarazioni nettamente contrastanti con quelle rese dalla F.A. assumendo che al suo arrivo nella casa dei L. l'indagata era vestita di nero: "...ho il ricordo della signora F.A. tutta vestita di nero (sic): neri i capelli, nera la maglia, neri i pantaloni e neri gli stivaletti" ed ancora: "Quando richiesto il mio intervento, sono arrivata nella camera di F.A. l'ho trovata vestita di colore nero: maglia nera, pantaloni e stivaletti neri. Sono sicura di non averle mai detto di andare a prepararsi" ed escludendo poi esplicitamente che la F.A. indossasse un paio di zoccoli, ricordando di averle visto ai piedi i già riferiti stivaletti neri (punto 55); la circostanza emerge anche dalle dichiarazioni dalla F.D. che ha confermato che l'indagata al momento del suo arrivo, indossava un paio di pantaloni scuri e aggiunto che, pur non ricordando né il tipo né il colore delle scarpe, avrebbe certamente notato una calzatura di colore chiaro o addirittura bianco per il contrasto con il colore dei pantaloni, precisando poi in una successiva deposizione di ricordarsi che la F.A. era vestita con pantaloni scuri e con maglia scura senza giubbotto o giacca a vento e che "ai piedi calzava delle scarpe scure" con la precisazione: "non credo fossero ciabatte" (punto 56); anche S.M. intervenuto sulla scena del delitto insieme alla nuora, ha confermato che la F.A. era vestiva di scuro, assumendo: "credo che indossasse anche degli stivaletti scuri, posso dire di non aver visto nessun cambiamento rispetto a quando mi trovavo poco prima sul terrazzo di casa di mia nuora nel momento in cui io guardavo mai nipote, mentre F.A. accompagnava suo figlio allo scuolabus (punto 57) anche l'autista dello scuolabus V.D. ha riferito che: "... la signora F.A. era vestita con una giacca che se non erro aveva del pellicciotto al cappuccio o al collo. La giacca era di colore scuro, non so dirvi esattamente quale. Mi sembra che anche i pantaloni della donna perché sicuramente aveva i pantaloni, erano di colore scuro, non so dirvi esattamente quale" (punto 58); la S.A. ha inoltre escluso recisamente di aver detto all'indagata di mettersi le scarpe al posto delle ciabatte o degli zoccoli per poter seguire il figlio ad Aosta ("assolutamente no") (punto 59); la conseguenza è certa: l'indagata dopo essere rientrata a casa, non portava ai piedi gli zoccoli, né la S.A. ebbe mai a dirle di andare a cambiarsi, per togliere gli zoccoli; di qui la conclusione che la F.A. ha mentito in quanto gli zoccoli erano stati da lei riposti nel disimpegno del bagno prima del suo rientro a casa ed indossati durante l'esecuzione dell'omicidio, imbrattandosi per gli schizzi derivanti dalla violenza dei colpi portati alla testa del piccolo S.L. (punto 60); altra circostanza fortemente indiziante, secondo la prospettazione formulata dal Pm e fata propria dal Gip procedente è la ritenuta falsità delle dichiarazioni reiteratamente rese dalla F.A. in ordine a un suo utilizzo degli zoccoli di cui è ampiamente discusso al punto precedente durante l'apprestamento dei primi soccorsi al piccolo S.L. e la conseguente esclusiva riferibilità delle tracce ematiche rinvenute su tali calzature da un impiego delle stesse nell'intervallo temporale anteriore al breve trasferimento presso la fermata dello scuolabus e quindi durante lo svolgimento dell'omicidio; tale ricostruzione oltreché sulle conclusioni già richiamate in ordine alla presenza delle tracce ematiche all'interno degli zoccoli ed alle modalità di produzione delle stesse, si fonda essenzialmente su di una serie di attestazioni rese da persone presenti all'interno dell'abitazione dei L. durante la somministrazione dei soccorsi d'urgenza, dal cui complesso emergerebbe che l'indagata indossava in quel momento delle calzature nere a forma di stivaletto e cioè le stesse utilizzate poi dalla donna per avviarsi in compagnia del marito verso il presidio ospedaliero in cui era stato trasportato S.L.; orbene anche questo passaggio del percorso motivazionale contenuto nell'impugnata ordinanza suscita grosse perplessità; intanto occorre subito sottolineare che le dichiarazioni provenienti dalla F.A. - rese, si badi bene, fin dalle primissime battute del procedimento e cioè in una fase delle indagini nella quale la portata astrattamente scagionante di un asserito utilizzo degli zoccoli nel periodo in cui vennero apprestati i primi soccorsi alla vittima poteva profilarsi soltanto di fronte agli occhi di una attenta lucida fredda e ben "organizzata" assassina, e poi costantemente ribadite nel corso dei numerosissimi costituiti testimoniali e difensivi - presentano profili di indubbia attendibilità intrinseca; appare infatti del tutto plausibile che una persona verosimilmente adusa a mantenere un elevato livello di ordine e pulizia all'interno dell'abitazione (come è dato evincere da taluni dei rilievi fotografici effettuati nell'immediatezza dei fatti) avesse contratto l'abitudine di indossare tutte le volte che entrava in casa un paio di calzature "domestiche" in secondo luogo osserva che la dottoressa S.A. unica fra le persone escusse su questa specifica circostanza che si è dimostrata in grado di ricordare con certezza il tipo di calzature notate indosso alla F.A. durante lo svolgimento dei soccorsi - allorquando venne per la prima volta invitata dagli inquirenti a descrivere le calzature notate indosso alla prevenuta durante tale drammatica fase dell'episodio, dichiarò di non ricordare se calzasse delle scarpe ovvero degli zoccoli, pur rammentando con una certa precisione di non aver notato macchie di sangue sul viso, sui capelli e sui vestiti, della donna, di aver notata che quest'ultima si sporcò le mani e dovette come lei recarsi a lavarsele nel lavandino dei servizi igienici situati a fianco delle camere da letto, di poter infine escludere che la stessa si fosse cambiata di abito dopo il suo arrivo; e tali dichiarazioni, del tutto coerenti con quel contesto di particolare concitazione e di profondo turbamento che sicuramente connotò l'atteggiamento interiore di tutte le persone impegnate a soccorrere il piccolo S.L. (e verosimilmente concentrate sulle devastanti lesioni subite da quest'ultimo e sul disperato tentativo di rianimazione), sono state poi modificate soltanto nel corso del costituito reso a due giorni dai fatti , allorquando la sanitaria, dopo aver ribadito di non essere in grado di riferire nulla di preciso in ordine alle calzature indossate dalla F.A., ha da ultimo ricordato di aver notato- dopo che era già pervenuta la notizia della morte del bambino - la presenza degli zoccoli nel bagno situato al piano di soggiorno e asserito a specifica domanda degli inquirenti di poter escludere la presenza di tali calzature ai piedi della donna, rammentando un abbigliamento uniformemente nero indossato da quest'ultima, escludendo poi categoricamente in perfetta sintonia con tale precedente asserzione, di aver invitato la F.A. a indossare un paio di scarpe al posto degli zoccoli per raggiungere l'ospedale di Aosta, e ribadendo quindi tali attestazioni nel corso dei successivi costituti resi ad alcuni giorni di distanza, appare dunque quanto meno controvertibile la affidabilità di tali indicazioni testimoniali emerse dopo che la dichiarante aveva reiteratamente lasciato intendere di non aver prestato particolare attenzione alle calzature indossate dalla prevenuta riferite ad un contesto assolutamente peculiare (nell'ambito del quale buona parte dei presenti non è stata in grado di riferire nulla sulle calzature indossate dalla F.A.) e sostanzialmente ancorate ad una correlazione fra l'asserito colore delle scarpe e la tonalità di colore notata sull'intera persona; considerazioni perfettamente analoghe valgono a maggior ragione per le indicazioni fornite dalla vicina F.D. che, oltre ad essersi sempre espressa sulla circostanza di cui si discute in termini palesemente dubitativi ha essa pure ricollegato il ricordo del colore delle calzature ad una mera deduzione mnemonica, correlata all'evidente contrasto riscontrabile fra il colore degli zoccoli (bianco) ed il colore dei pantaloni e della maglia pacificamente indossati dalla prevenuta al momento dei fatti; e per le attestazioni provenienti da S.M. sicuramente non espresse in termini di certezza, e comunque emerse a distanza di quasi un mese dai fatti, dopo che la nuora S.A. aveva da tempo "messo a fuoco" quel ricordo (emerso per via puramente induttiva) della persona della F.A. interamente vestita di scuro e ribadito poi più volte tale ricordo agli inquirenti; quando poi alle attestazioni del conducente dello scuolabus V.D. è sufficiente osservare che lo stesso non risulta essere entrato nella casa della F.A. dopo che quest'ultima vi aveva fatto ritorno, e le dichiarazioni da lui rese in ordine all'abbigliamento della prevenuta in tale circostanza si riferiscono d un momento precedente, allorquando essa venne vista sostare in compagnia del figlio D.L. presso la fermata e aiutare poi quest'ultimo e la coetanea S.S. a salire a bordo dell'automezzo.


Già la natura delle tracce ematiche riscontrate, ritrovate non solo sulla suola ma anche sulla tomaia ed all'interno del plantare, è maggiormente compatibile con l'ipotesi dello schizzo e non dell'imbrattamento ; la stessa indagata ci dice che dopo aver messo nella camera da letto S.L., andò al piano superiore a togliersi le ciabatte (ossia gli zoccoli in questione) punto 61), a conferma di questa ipotesi sta anche il fatto che la F.A. potrebbe aver consapevolmente e volontariamente mentito sulla circostanza con il chiaro intento di vanificare la portata di un gravissimo elemento oggettivo di riscontro della propria responsabilità (punto 62); si richiamano qui le considerazioni sopra svolte ai punti 53-60; giova soltanto aggiungere (ma su tale argomento si ritornerà diffusamente più avanti) che la suddetta ricostruzione accusatoria - implicante come già rilevato, una sorprendente tempestività e prontezza dell'indagata nell'intuire le ipotesi investigative formulate a suo carico e nel contrapporre efficaci quanto callide costruzioni "depistanti" - appare ben difficilmente conciliabile l'ulteriore ipotesi formulata dal Giudice procedente (nel più che comprensibile intento di pervenire ad una plausibile comprensione psicodinamica del comportamento apparentemente normale tenuto dall'indagata negli istanti immediatamente susseguenti alla feroce aggressione da lei ipoteticamente perpetrata in danno del figlio più giovane senza alcun emergente motivo di ordine razionale) di possibile riconducibilità dell'intero episodio entro lo schema tipico del fenomeno dissociativo con conseguente compartimentalizzazione della disgregante esperienza traumatica vissuta durante la perpetrazione della violenza e ricompattazione del se attraverso meccanismi intellettivi di rimozione mnestica;


anche la posizione di quiete degli zoccoli è significativa: essi sono stati trovati l'uno parallelo all'altro in modo del tutto ordinato significativo il fatto che la persona che se li tolse ciò fece senza alcuna concitazione (punto 63) o si ipotizza che questo fantomatico aggressore sconosciuto sia entrato nell'abitazione con le proprie calzature, abbia cercato gli zoccoli della F.A. li abbia calzati e sia poi ritornato con tutta calma dopo l'omicidio al piano superiore riponendoli senza alcuna concitazione, ovvero si deve ipotizzare che gli zoccoli siano stati indossati dalla F.A. durante l'omicidio (punto 64) ; tale acquisizione logico-argomentativa non tiene conto del fatto che, anche volendo interpretare le sopra richiamate risultanze d'indagine relative al presumibile lasso temporale intercorso fra l'aggressione e l'arrivo della dott.ssa S.A. in senso totalmente sfavorevole all'indagata, si perverrebbe pur sempre alla conclusione che la feroce azione lesiva è stata posta in essere proprio a ridosso dell'orario di uscita della F.A. e del piccolo D.L. dall'abitazione e quindi in un contesto che, sia pur tenendo conto dell'inquadramento psicodinamico prospettato dal Gip, in ordine all'atteggiamento manifestato dalla prevenuta dopo l'ipotizzato delitto, presentava sicuramente connotazioni di particolare concitazione;


le ipotesi alternative (eventuale commissione del reato da parte di B.G., P.C., G.U. e F.D., fatta tra l'altro anche balenare in sede di spontanee dichiarazioni rese ai Carabinieri della Stazione di Cogne da C.P. in data 11 marzo 2002 e il successivo 12 marzo 2002 da E.A.) non trovano allo stato degli atti, alcun riscontro; vengono infatti prospettati degli ipotetici moventi che avrebbero potuto determinare e giustificare la commissione del reato, ma non vengono allegati concreti elementi di fatto,suscettibili di verifica e di risconto; la portata di tali dichiarazioni è vagamente calunniatoria anche in considerazione del fatto che la Croci intrattiene contatti telefonici con la famiglia dell'indagata, contati nei quali si parla esplicitamente delle dichiarazioni da essa rese ai Carabinieri (punto 65)


non spetta certamente a questo Organo (sprovvisto, tra l'altro, di qualsivoglia potere istruttorio) verificare la concludenza di sospetti od accuse formulate nei confronti di persone che intrattenevano all'epoca dei fatti stabili rapporti di conoscenza e frequentazione reciproca con i L. e che potrebbero essere stati portatori di sentimenti di astio e di rivalità nei confronti di questi ultimi; giova soltanto sottolineare che non tutte le persone indicate nell'impugnata ordinanza cautelare come "genericamente sospettati" risultano assistite da emergenze di indagine che dimostrino in modo inoppugnabile la loro presenza nella fascia oraria in cui si presume essere stata posta in essere l'aggressione ai danni del piccolo S.L., in un luogo diverso; in particolare per quanto attiene a F.D. - se si prescinde da quella conversazione telefonica pacificamente iniziata alle ore 8,8 minuti primi e 39 minuti secondi del giorno 30 gennaio 2002 a seguito di chiamata partita dall'utenza telefonica cellulare ... in uso a G.C. (agganciata al ponte ripetitore sito nel comune di Magnano, in provincia di Biella, presso cui quest'ultimo si trovava in quel momento) e diretta verso l'utenza cellulare ... in uso alla stessa F.D., del tutto compatibile con il presumibile orario di perpetrazione dell'aggressione (in ordine al quale si rinvia, ancora un volta, ai punti 14 e 15) - uniche risultanze addotte a suffragio della ritenuta estraneità rispetto a tale episodio delittuoso sono il contenuto di conversazioni ambientali fra la donna ed il marito intercettate in data 4 febbraio 2002 dai CC del Nucleo Operativo di Aosta all'interno della sala d'attesa del Comando Stazione Carabinieri di Saint Pierre, il cui contenuto sostanzialmente "neutro" non pare rivestire una immediata ed inoppugnabile portata scagionante (si consideri in proposito che l'azione delittuosa potrebbe essere stata perpetrata all'insaputa del G.C., o potrebbe comunque esservi stata una particolare prudenza da parte dei due interlocutori, tenuto conto del fatto che stavano conversando all'interno di una caserma dei Carabinieri) e l'infruttuoso esito di una perquisizione effettuata dagli stessi militari del Nucleo Operativo di Aosta all'interno dell'abitazione dei G. -F.D. dopo le ore 10 del 30 gennaio 2002, e cioè a circa un'ora e mezza dal fatto; mentre per quanto concerne G.O. uniche risultanze addotte a suffragio della ritenuta estraneità rispetto all'episodio delittuoso per cui si procede sono le reiterate informazioni testimoniali dallo stesso rese a partire dal primo pomeriggio del giorno dei fatti, riscontrate soltanto dalle (sostanzialmente conformi) attestazioni rese dal figlio U. quello stesso pomeriggio, e poi ribadite nel corso di successivo costituto testimoniale.


Una volta stabilito che l'indagata ha mentito in ordine alle seguenti circostanze di fatto: a) la porta di casa al mattino era chiusa; b) quando arrivano F.D. e la S.A. essa non indossava le ciabatte ma gli stivaletti neri, c) la S.A. non le disse mai di andare sopra per togliersi le ciabatte e mettersi le scarpe, d) il pigiama non si trovava sopra il letto, ma sotto le coperte; e) D.L. non è stato cambiato nella sala ma nella camera da letto; ed una volta appurato che dalle tracce ematiche presenti sugli zoccoli e dalle tracce ematiche presenti sul pigiama si evince che l'indagata indossava tali effetti personali durante la perpetrazione dell'omicidio (anche perché era soltanto la F.A. a sapere dove questi indumenti si trovassero) si tratta ora di fornire un significato anche a queste menzogne; la spiegazione più ragionevole è proprio quella sostenuta dall'accusa atteso che, in controluce, emerge quello che effettivamente successe quel giorno e cioè verosimilmente la donna, dopo aver cambiato D.L. ed averlo portato a fare colazione in sala, ma prima di esseri tolta il pigiama ed aver indossato gli indumenti con i quali si sarebbe poi recata alla fermata dello scuolabus, venne richiamata dal pianto del piccolo S.L. il quale si trovava in quel momento sulla scala interna di collegamento fra i due piani della villa, scese quindi tale scala e accompagnò il piccolo sul letto matrimoniale di pertinenza sua e di suo marito, ove lo uccide quindi si pulì e si cambiò lasciando il pigiama dove poi è stato trovato (in altre parole, questa può ritenersi la confessione dell'omicidio" ... mentre stavamo uscendo ho sentito S.L. piangere e chiamarmi. A quel punto D.L. è uscito e io sono scesa giù da S.L. che era sulle scale, l'ho portato nel mio letto dicendogli di stare tranquillo "..." ho preso la giacca e messo le scarpe e facendo molto piano ho aperto la porta non chiudendola a chiave nell'uscire per paura di fare rumore".


Per un intuibile meccanismo di rimozione non è stato riferito anche il gesto omicida); solo negando le predette circostanze di fatto l'indagata può evitare di essere scoperta perché esse inchiodano l'autore del reato alla sua responsabilità (punto 66): quanto alla valenza e gravità indiziaria delle risultanze poste a fondamento di tali conclusioni logico deduttive si richiamano le considerazioni svolte ai punti 28-31, 38-43, e 53-64.


Il comportamento tenuto dalla F.A. dopo il fatto apparentemente riconducibile a quello di una madre sconvolta dalla perdita del figlio, giustamente gravata di sospetti in merito all'omicidio non pare poi così normale, già la F.D. ha riferito che l'indagata quando scoprì il cadavere se ne stava con le mani lungo i fianchi e pare davvero strano che essa non abbia cercato un ultimo e disperato contatto fisico con il figlio barbaramente ucciso da terzi; altrettanto strana appare la circostanza che la F.A. abbia chiamato il proprio marito non direttamente ma per mezzo delle segretaria come se avesse qualcosa da nascondergli, ripetendo due volte nel corso della telefonata, l'espressione; "S.L. è morto" quando invece qualsiasi madre si sarebbe guardata dall'affermarlo, sperando - anche contro i fatti - nella sopravvivenza del figlio (punto 67) deve inoltre considerarsi l'agghiacciante richiesta che la F.A. fece, la stessa mattinata dell'omicidio, al marito appena arrivato sul luogo del delitto: "ne facciamo un altro figlio? Mi aiuti a farne un altro?", ossia quando il povero S.L., con il cranio fracassato, era appena stato portato via con l'elicottero ed il padre non aveva ancora finito di piangerlo (punto 68), anche dalle intercettazioni ambientali eseguite risultano alcune dichiarazioni della F.A. che lasciano qualche perplessità: il giorno 31 gennaio 2002, all'interno della Stazione CC di Saint Pierre, la donna rispose al militare C., che le chiedeva se fosse vero che durante la notte era stata male: "inc... sì, ero già nervosa... inc... dentro di me avevo capito", e poi: C.: "So che è dura da accettare signora... Però purtroppo è... quando succedono disgrazie perché sono disgrazie... del genere, purtroppo non si può lasciare", F.A.: "lo so, ma purtroppo ci sono anche delle madri che ammazzano i figli, ce n'è...", e, sempre all'interno della stazione dei Carabinieri l'indagata intrattenne con il Vice-brigadiere G. il seguente dialogo: F.A.: "Lo spero che sia stato ucciso, stia tranquillo...", G.: "Non ho capito...", F.A.: "Lo spero che sia stato ucciso", G.: "Perché?" "F.A.: "Perché no... cioè... cercando anch'io un perché", G.: "Cerco di capire che cosa mi sta dicendo perché?", F.A.: "Perché è una cosa atroce... io spero che sia vero, una cosa... inc... un problema perché io mi sento sola... pensavo ed ero convinta che gli sia esplosa la testa... inc.... anche se... inc... però lo accetterei... non che qualcuno lo ha ucciso" (punto 69): questi elementi non sono sufficienti a costituire indizi di responsabilità, ma dimostrano che il comportamento dell'indagata dopo la scoperta dell'omicidio non è stato così normale come si potrebbe pensare (punto 70); appare effettivamente molto difficile interpretare l'esatto significato di comportamenti apparentemente anomali, o comunque scarsamente consequenziali in base alle ordinarie massime d'esperienza manifestati da una persona che, anche in ipotesi di effettiva estraneità rispetto all'azione omicidiaria, viveva comunque molto verosimilmente uno stato di profonda alterazione provocata dal devastante trauma subito a seguito della scoperta della feroce aggressione ai danni del giovanissimo figlio, reso ancor più dilaniante - sempre in ipotesi di innocenza dell'indagata - dalla intuibile consapevolezza di aver in qualche modo agevolato con fatale imprudenza tale dolorosissimo evento; non sembra quindi che tali eccentrici comportamenti possano assurgere ad indizi di colpevolezza, soprattutto in considerazione del particolare contesto psicologico entro cui gli stessi risultano esseri manifestati.


Anche la comprensione psicodinamica del caso in esame consente di fornire una ragionevole spiegazione al comportamento tenuto dall'indagata post factum in chiave di tipico fenomeno dissociativo; come è noto la funzione primaria della dissociazione - in termini generali - è quella di funzionare come risposta protettiva come difesa rispetto ad un trauma paralizzante. Essa ha natura adattiva, perché consente una via di fuga da una situazione di realtà terrificante, fornendo un modo per isolare una esperienza vissuta come catastrofica del soggetto, si tratta di un meccanismo mentale ben conosciuto dalla psichiatria contemporanea che consente al soggetto di compartimentalizzare l'esperienza traumatica vissuta bandendolo dalla consapevolezza, non essendo più accessibile alla coscienza è come se il trauma non fosse mai accaduto; la comprensione psicodinamica parte proprio da questa considerazione: "i ricordi del Se traumatizzato devono essere dissociati perché non possono coesistere con il se della vita quotidiana che appare in possesso di pieno controllo", in particolare la letteratura sull'argomento distingue tra rimozione e dissociazione ricollegando solo la seconda al verificarsi di un trauma; nell'ambito di quest'ultima categoria sono state studiate da tempo sia l'amnesia dissociativa sia la fuga dissociativa; il caso di specie sembra rientrare nell'ambito dell'amnesia dissociativa ossia quel disturbo che prevede uno o più episodi di incapacità a rievocare un importante trauma personale; pare appena il caso di rilevare come l'omicidio del proprio figlio compiuto in un contesto ambientale nel quale tutte le persone hanno ritratto la famiglia L. come la famiglia felice, possa portare - se non dissociato - ad una totale disgregazione del Se: esso, pertanto, deve essere allontanato dalla coscienza e dalla memoria, rendendo così possibile la prosecuzione della vita; sembra ragionevole affermare che l'indagata bene avrebbe potuto commettere il delitto senza ricordarselo e saperlo in questo momento; del resto alcune tracce del trauma dissociato emergono proprio dai brani delle conversazioni ambientali sopra riportati (punto 71); sembra ragionevole ipotizzare che in una situazione di forte stress già aggravato dalle precedenti condizioni di salute dell'indagata, la stessa abbia deciso di uccidere S.L., perché pensava che la vittima avesse qualcosa che non andava, che frustrava il suo desiderio di mamma di vedere il figlio crescere in condizioni normali, oppure più semplicemente si può pensare che la F.A. abbia soppresso la vittima perché quel mattino nel corso del quale si era già creato in lei uno stato di irritazione, S.L. le dava fastidio, essendosi messo a piangere sulle scale proprio mentre lei si preparava per uscire (punto 72); sicuramente tali prospettazioni hanno una valenza estremamente flebile trattandosi pacificamente i semplici illazioni prive di qualsiasi riscontro nei fatti; peraltro in questo caso non è necessario accertare il movente (punto 73); correttamente lo stesso giudice procedente dopo essersi posto per comprensibile scrupolo motivazionale il -non secondario - problema relativo alle possibili cause di un comportamento così inspiegabile assurdo ed irrazionale quale quello scritto dalla ricostruzione accusatoria alla F.A., ha svalutato la valenza indiziaria delle circostanze sommariamente richiamate quali possibili cause remote della ritenuta condotta omicidiaria; giova qui rilevare che non risulta essere emersa alcuna situazione di forte stress della prevenuta nel periodo immediatamente antecedente ai fatti e meno che mai pregresse condizioni patologiche suscettibili di aggravare tale pretesa situazione di scompenso psicologico; unico dato di qualche rilievo è il prolungato malessere già insorto nella sera precedente ai fatti per effetto del quale la pervenuta alle ore 5.30 del 30 gennaio 2002, ritenne opportuno chiedere l'intervento della Guardia medica e venne poi sottoposta ad approfondita visita medica da parte della dott.ssa S.N. che, oltre a n on riscontrare alcuna specifica patologia in atto ed a ritenere superflua la prescrizione di quel ricostituente del sistema nervoso inizialmente proposto, rilevò l 'avvenuta assunzione da parte della stessa indagata, a faro coso da circa una settimana, di quel preparato dimagrante allegato al più volte citato verbale di accertamenti urgenti redatto dai Militari del Nucleo Operativo di Aosta in data 2 marzo 2002) potrebbe aver agevolato l'insorgenza delle situazioni di malessere lamentate dalla stessa prevenuta; giova altresì rilevare che non possono allo stato ed in assenza di adeguato supporto medico psichiatrico essere formulate da questo organo delle ragioni ipotesi in ordine ad un eventuale innesto della contestata azione omicidiaria su di un substrato di tipo psicotico o psiconevrotico già consolidatosi al momento dei fatti ma che comunque appare quanto meno improbabile anche agli occhi di un profano l'ipotesi di una improvvisa e violentissima reazione isterica sovrappostasi ad uno stato di irritazione suscitato dal comportamento del piccolo S.L., sicuramente più plausibile appare l'ipotesi della pregressa strutturazione, nell'indagata, di un'idea delirante connessa ad immaginari disturbi o malformazioni del piccolo S.L., dalla stessa fortemente interiorizzata e improvvisamente sfociata, il giorno dei fatti, in un episodio dissociativo di devastante portata cui sarebbe seguita una subitanea ricompattazione assistita da meccanismi di alterazione del funzionamento dell'attività amnestica, trattasi comunque di mera ipotesi di lavoro, non supportata allo stato da alcun concreto riscontro obiettivo ed anzi nettamente contrastata dalle molteplici e convergenti informazioni assunte nel corso delle indagini in ordine agli atteggiamenti di vita affettiva e relazionale riscontrati nella indagata dalle persone che essa frequentava abitualmente all'epoca dei fatti o che aveva frequentato in epoca antecedente.


RITENUTO


sulla scorta delle considerazioni sopra svolte che gli elementi indiziari addotti a fondamento dell'impugnata ordinanza non presentano, né ad una verifica della loro consistenza individuale, né ad una valutazione congiunta sulla scorta di quella concatenazione logica prospettata nel lungo ed articolato percorso motivazionale, quelle connotazioni di precisione, univocità e convergenza che sono assolutamente necessarie per consentire agli stessi di assurgere a dignità di gravi indizi di colpevolezza; che indubbiamente permangono talune perplessità sostanzialmente irrisolte quali, in particolar modo, l'avvenuto rinvenimento di microtracce ematiche riferibili al piccolo S.L. nella parte interna di entrambi gli zoccoli pacificamente indossati dalla F.A. il mattino dei fatti , la insuperabile discordanza fra la versione resa da quest'ultima in ordine all'impiego di dette calzature durante la drammatica fase di soccorso del piccolo S.L. e le attestazioni rese, sulla medesima circostanza dalla dottoressa S.A. a partire dal suo secondo costituito testimoniale, la iniziale e perentoria affermazione che sarebbe stata resa dalla prevenuta in ordine alla chiusura a chiave della porta di ingresso della abitazione durante il suo breve trasferimento alla fermata dello scuolabus;


che, peraltro, nessuna di tali acquisizioni indiziarie - tutte inficiate, come sopra diffusamente evidenziato, da una intrinseca labilità e da una difficile orchestrazione complessiva - riveste caratteri di concludenza e precisione tali da suffragare un giudizio di effettiva gravità della stessa;


che, in conclusione il suddetto quadro indiziario non appare idoneo, allo stato a sostanziare quel livello di qualificata probabilità dell'ipotesi accusatoria che è richiesto dal legislatore in questo specifico contesto processuale.


Che tale conclusione esime questo Organo dall'esame degli ulteriori motivi di gravarne addotti dalla difesa a sostegno della richiesta di riesame;


che l'impugnata ordinanza deve conseguentemente essere annullata per assenza della condizione richiesta dall'art. 273 comma 1 c.p.p. per l'applicazione di misura cautelare personale;


che l'indagata deve essere immediatamente scarcerata se non detenuta per altra causa.


PQM

Visti gli artt. 273, 292, 309, c.p.p.,


annulla l'ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere nei confronti di F.A. dal Gip presso il tribunale di Aosta in data 13 marzo 2002 ed ordina l'immediata scarcerazione della F.A. se non detenuta per altra causa.

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