La massima
Nel delitto di concussione, rientra nell'abuso dei poteri da parte del soggetto agente anche l'atto che, pur formalmente legittimo, sia tuttavia posto in essere quale mezzo per conseguire fini illeciti, in violazione dei principi di buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione. (Fattispecie in cui l'abuso è stato individuato nella minaccia di revoca di deleghe ad un assessore da parte del Sindaco - Cassazione penale , sez. VI , 30/05/2017 , n. 35901).
Fonte: CED Cassazione Penale 2018
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La sentenza integrale
Cassazione penale sez. VI, 30/05/2017, (ud. 30/05/2017, dep. 20/07/2017), n.35901
RITENUTO IN FATTO
1. Il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Termini Imerese è stato chiamato a decidere, con il rito abbreviato, in ordine alla penale responsabilità di N.A. e M.G. in relazione a diverse imputazioni loro contestate nelle rispettive vesti di Sindaco e di dirigente dell'area di attività "assetto e utilizzazione del territorio" del Comune di (OMISSIS).
Con la sentenza del 24 luglio 2013 resa all'esito del giudizio, il Gup - - ha assolto N.A. dal reato di violenza privata di cui al capo E) e M.G. dal reato di maltrattamenti aggravati sub capo I);
- ha dichiarato N. responsabile dei reati di falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici sub capo D); concussione sub capo F); abuso d'ufficio sub capo G); abuso d'ufficio sub capo H) e corruzione per atto contrario ai doveri d'ufficio, così riqualificata l'originaria contestazione di concussione sub capo K), uniti sotto il vincolo della continuazione, ritenuto reato più grave quello di cui al capo F);
- ha dichiarato M. responsabile, in concorso col N., dei reati di cui ai capi G), 3) e K), riqualificando l'ultimo reato ai sensi degli artt. 319 e 319-bis c.p..
Il Gup ha dunque applicato le pene accessorie di legge e provveduto in ordine alle richieste risarcitorie delle costituite parti civili.
2. Con il provvedimento in epigrafe, in parziale riforma della sentenza del primo giudice, la Corte d'appello di Palermo:
- ha assolto N.A. dal reato di abuso d'ufficio di cui al capo H), per non avere commesso il fatto, e M.G. dal reato di istigazione alla corruzione di cui al capo 3), perchè il fatto non sussiste;
- ha dichiarato non doversi procedere per i reati falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici e di abuso d'ufficio di cui ai capi D) e G), perchè estinti per prescrizione;
- ha dunque rideterminato la pena in tre anni di reclusione nei confronti N. per il reato di concussione sub capo F) e, nella misura di un anno e otto mesi di reclusione ciascuno, nei confronti di N. e M. (pena condizionalmente sospesa nei confronti di quest'ultimo) per il reato di corruzione per atto contrario ai doveri d'ufficio sub capo K), con le statuizioni civili conseguenti.
2.1. Giova precisare che sub capo K), è contestato a N. e M. di avere, abusando delle loro qualità e dei loro poteri (rispettivamente di Sindaco e di dirigente dell'area di attività "assetto e utilizzazione del territorio" del comune di (OMISSIS)), indebitamente indotto P.P. a promettere la somma di denaro dell'ordine di 2.500,00 Euro ed a costituire un'associazione temporanea di professionisti (di seguito A.T.P.) con l'ing. G. quali condizioni per conferire al medesimo P. l'incarico di progettazione esecutiva, direzione dei lavori, misura e contabilità ed assistenza al collaudo per i lavori di completamento di un impianto polisportivo e campo di calcio comunale.
Sub capo F) è contestato al solo N. di avere, abusando della sua qualità di Sindaco del Comune di (OMISSIS) e dei poteri connessi all'ufficio, nella seduta della Giunta Municipale del 30 novembre 2007, costretto l'assessore A.G. ad esprimere un voto favorevole all'assunzione di M.G. a dirigente dello stesso Comune al di fuori della dotazione organica, minacciando reiteratamente il medesimo A. che, se non avesse espresso detto voto favorevole, gli avrebbe revocato la delega assessoriale e lo avrebbe estromesso dalla giunta comunale.
3. Ricorrono avverso la sentenza N.A. e M.G., a mezzo del comune difensore di fiducia Avv. Giovanni Aricò, e ne chiedono l'annullamento per i seguenti motivi.
3.1. Violazione di legge penale e vizio di motivazione in relazione agli artt. 110,319 e 323 c.p. quanto al reato sub capo K).
I ricorrenti evidenziano come il Tribunale abbia ritenuto integrato il reato di corruzione sulla scorta del contenuto delle trascrizioni delle intercettazioni ambientali disposte con perizia, sebbene in essa non figurino le frasi riportate in sentenza. Per altro verso, i ricorrenti rimarcano l'intima contraddittorietà della sentenza là dove, per un verso, in essa sono evidenziati due dati di fatto - la circostanza che l'affidamento dell'incarico al P. fosse "scontato" e che la costituzione dell'A.T.P. non fu posta come condizione per l'affidamento dei lavori - inconciliabili con l'assunto secondo il quale P. aveva accettato la proposta consentendo al G. di associarsi con lui per arricchire il suo curriculum professionale e per ottenere la somma di 15.000,00 Euro; in altri termini, negare che la costituzione dell'A.T.P. fosse stata imposta come condizione per il conferimento diretto dell'incarico significa escludere in radice la sussistenza del fatto tipico del reato di corruzione. I ricorrenti osservano come il fatto possa tutt'al più essere ricondotto alla fattispecie dell'abuso d'ufficio, trattandosi di condotta posta in essere dal pubblico ufficiale in violazione di legge o di regolamento, assistita dal dolo specifico di procurare a sè o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale, reato ad ogni modo ormai prescritto. I ricorrenti rilevano inoltre come, almeno sul piano soggettivo, essi agirono in totale assenza di consapevolezza di versare in re illicita, là dove il conferimento dell'incarico al P. per l'espletamento della progettazione e direzione dei lavori del complesso costituiva naturale sviluppo dell'espletamento del primo lotto, in quanto prosecuzione dell'incarico per il completamento dell'opera, in conformità col disposto della L. 2 agosto 2002, n. 7, art. 41.
3.2. Mancanza di motivazione in relazione all'eccepita inattendibilità delle fonti di prova poste a fondamento della condanna per il reato sub capo F) ascritto al solo N.. Il ricorrente si duole del fatto che la Corte d'appello abbia contravvenuto all'obbligo di motivazione su di essa gravante limitandosi a richiamare per relationem la motivazione del provvedimento di primo grado e disattendendo le prospettazioni difensive, specifiche, pertinenti e rilevanti, in quanto afferenti: a) alla credibilità dell' A.; b) al potere di scelta dei responsabili degli uffici e dei servizi riconosciuto al Sindaco dal combinato disposto degli artt. 109 e 110 e art. 50, comma 10, T.U.E.L. (Testo Unico sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione) e, dunque, all'assenza di una qualunque ragione per la quale il Sindaco N. avrebbe dovuto "estorcere" il voto del singolo assessore A. per nominare M. quale nuovo capo dell'ufficio tecnico comunale (di seguito U.T.C.), atteso che detto voto avrebbe esaurito la propria efficacia nel concorrere a formare un parere necessario, ma non vincolante; c) alla credibilità del teste R..
3.3. Violazione di legge in relazione all'art. 317 c.p., per avere la Corte trascurato di considerare, per un verso, la sussistenza in capo al Sindaco del potere di revoca della delega ai suoi assessori allorquando venga meno il rapporto fiduciario con essi intercorrente; dall'altro lato, che la volontà del Sindaco era quella di sostituire la persona alla guida dell'U.T.C. con M., figura professionale ritenuta più adeguata nell'interesse della pubblica amministrazione, dunque, in antinomia con il dolo della concussione.
3.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 62-bis c.p., per avere il Giudice d'appello negato l'invocata riduzione di pena con una motivazione di stile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi devono essere dichiarati entrambi inammissibili.
2. In linea generale, occorre rilevare come i ricorrenti riproducano i medesimi rilievi già fatti oggetto del giudizio di gravame e non si confrontino con le attente e coerenti argomentazioni svolte dalla Corte distrettuale in risposta. Il che, secondo i consolidati principi espressi da questa Corte, comporta l'inammissibilità dei ricorsi, atteso che i motivi costituenti mera replica di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito non possono ritenersi specifici, ma risultano soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e altri, Rv. 243838).
3. Ad ogni modo, i motivi dedotti sollevano questioni di merito non coltivabili nel ricorso di legittimità o all'evidenza infondate.
4. Con il primo motivo comune, i due ricorrenti contestano l'integrazione del reato sub capo K) di corruzione per atto contrario ai doveri d'ufficio aggravato dalla commissione del reato in contratti in cui è parte la P.A.
4.1. Quanto alla dedotta inutilizzabilità di alcune intercettazioni ambientali, si tratta di rilievo - oltre che pedissequamente iterativo di quello già mosso in appello - del tutto generico, là dove i ricorrenti hanno omesso di indicare precisamente quali scambi verbali sarebbero stati utilizzati dai Giudici della cognizione nonostante la mancanza di trascrizione.
Ad ogni modo, la censura è manifestamente destituita di fondamento, dal momento che il Collegio del gravame, nel rispondere all'omologa deduzione, dopo avere rilevato che, in sede di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, si è proceduto a conferire nuova perizia al fine di trascrivere le intercettazioni con i progressivi nn. 1492, 1493 e 1494, ha espressamente escluso dal compendio valutabile ai fini della decisione le interlocuzioni non presenti nella perizia (v. pagine 414 e seguenti della sentenza impugnata).
4.2. Con le ulteriori deduzioni, i ricorrenti muovono censure alla ricostruzione dei fatti e, nella sostanza, sollecitano una rilettura delle emergenze processuali, non consentita in questa Sede, dovendo la Corte di legittimità limitarsi a ripercorrere l'iter argomentativo svolto dal giudice di merito per verificare la completezza e l'insussistenza di vizi logici ictu ocull percepibili, senza possibilità di valutare la rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (ex plurimis Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074).
4.3. Vizi di ordine logico o argomentativo che non si riscontrano nel tessuto argomentativo sviluppato dal Collegio d'appello a sostegno della condanna per il reato di corruzione, in quanto fondato su di un'analitica disamina degli specifici elementi a carico nonchè sostenuto da un ragionamento lineare, conforme a ragionevolezza ed al canone di giudizio dell'al di là di ogni ragionevole dubbio", codificato all'art. 533 c.p.p., comma 1.
La Corte ha invero attentamente ripercorso il contenuto della diffusa intercettazione ambientale della conversazione dell'11 ottobre 2008 intercorsa, in una prima fase, fra M.G. e N.A. ed, in una seconda fase, fra i due e Paolo P. ed ha quindi esplicitato le ragioni della lettura/interpretazione degli scambi verbali monitorati, evidenziando gli elementi obbiettivi a conforto della ermeneusi privilegiata (c.n.r. del 22 febbraio 2010; la proposta di determinazione sindacale per il conferimento dell'incarico alla ATP di professionisti). In particolare, il Collegio di merito ha posto in risalto come N. e M. dessero per scontato il conferimento al P. dell'incarico per la progettazione esecutiva, direzione lavori, misura e contabilità ed assistenza al collaudo dei lavori di completamento dell'impianto polisportivo, campo di calcio comunale per il fatto che lo stesso professionista si era occupato della progettazione e della variante in corso d'opera del progetto (trattandosi pertanto di una procedura "blindata"); ha, quindi, evidenziato come, sulla scorta del tenore della seconda parte del dialogo monitorato, sia da escludere - in linea con le considerazioni svolte dal Gup - che vi sia stata alcuna costrizione o induzione del P., cioè che vi sia stata una qualunque prospettazione da parte di M. e N. al professionista di un male ingiusto al fine di indurlo a costituire una A.T.P. con l'ing. junior G.. Il Collegio del gravame ha invero rimarcato che, dalla captazione n. 1493, emerge come i tre raggiungessero un accordo "su un piano paritario", avendo P. accettato la proposta del M. con l'avallo del N. (v. pagine 426 e seguenti).
Tanto premesso, la Corte territoriale ha esplicitato le ragioni per le quali abbia ritenuto corretto l'assunto del Gup secondo il quale la procedura di conferimento in forma diretta all'A.T.P. dei lavori di completamento del campo di gioco dovesse ritenersi illegittima. In primo luogo, perchè, stante l'illegittimità della variante in corso d'opera, per il completamento dell'opera sarebbe stato necessario avviare una procedura di evidenza pubblica prevista dall'art. 6 del regolamento locale con riferimento al D.Lgs n. 163 del 2006, artt. 91 e 57, escludendo le stesse norme richiamate nella determina di conferimento dell'incarico al P. del primo lotto di lavori un qualunque automatismo nell'affidamento dell'incarico per la successiva esecuzione dell'opera progettata (v. pagine 443 e seguenti). In secondo luogo, perchè anche la scelta del professionista junior, con previsione di un compenso forfettario, non era stata preceduta dal doveroso vaglio dei curricula degli aspiranti, là dove G. era comunque privo di qualunque esperienza specifica in tema di appalti pubblici ed era stato scelto in violazione dei criteri di imparzialità e buona amministrazione (v. pagine 446 e seguenti).
I Giudici di merito hanno dunque congruamente argomentato anche il perfezionamento del segmento della contestazione concernente la controprestazione illecita consistente nel conferimento dell'incarico all'Ing. G., utilitas a favore di un terzo costituente controprestazione dell'accordo raggiunto fra i protagonisti della vicenda (v. pagine 452 e seguenti).
Tirando le fila di quanto sopra, nel provvedimento in rassegna, risultano convincentemente scolpiti l'abuso dei poteri da parte del funzionario pubblico, la contrarietà dell'atto ai doveri d'ufficio, la sussistenza di un rapporto paritetico tra i soggetti coinvolti diretto al mercimonio dei pubblici poteri nonchè la specifica ublitas conseguita dal pubblico ufficiale, id est gli elementi che sostanziano la materialità del contestato delitto di corruzione di cui all'art. 319 c.p..
5. Palesemente destituito di fondamento è il secondo motivo, con il quale si è eccepita la mancanza di motivazione in ordine alla imputazione di cui al capo F) ascritta al solo N. (motivo sub punto 3.2).
5.1. Occorre rammentare come, secondo il costante insegnamento di questa Corte regolatrice, nel nostro sistema processuale sia certamente ammissibile la c.d. motivazione per relationem, che può considerarsi legittima quando: 1) faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all'esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; 3) l'atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall'interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l'esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell'organo della valutazione o dell'impugnazione (Sez. U, 21/06/2000, Primavera, Rv. 216664).
D'altra parte, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595).
Siffatta integrazione tra le due motivazioni si verifica non solo allorchè i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico - giuridici della decisione, ma anche, e a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado (da ultimo, Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, Rv. 252615).
Sulla scorta dei principi sopra esposti, si deve pertanto affermare che la tecnica di redazione della motivazione della sentenza d'appello mediante rinvio alla pronuncia di primo grado possa certamente ritenersi legittima a condizione che il Collegio del gravame dia contezza di avere criticamente vagliato le richiamate argomentazioni del primo giudice e non si sottragga, dandone congrua risposta, alle specifiche censure mosse nel ricorso.
5.2. A tale regula iuris si è attenuta la Corte d'appello di Palermo là dove, lungi dal limitarsi a fare acritico richiamo alla trama argomentativa svolta a corredo della sentenza di primo grado, ha riportato per sintesi i principali snodi motivazionali della decisione appellata (v. pagine 4 e seguenti della sentenza in verifica), ha dato conto delle deduzioni mosse nella impugnazione (v. pagine 171 e seguenti) ed ha quindi steso un'ampia e congrua motivazione in risposta alle plurime censure difensive (v. pagine 226 e seguenti).
5.3. In particolare, la Corte distrettuale ha specificamente affrontato il tema della attendibilità delle dichiarazioni rese da A.G., rilevando che l'assunto difensivo (secondo il quale la riunione - nella quale N. avrebbe manifestato la "ferma intenzione" di nominare M. invitando gli assessori dissenzienti a dimettersi - sarebbe avvenuta antecedentemente alla proposta dell'assessore P.) è privo di qualunque supporto probatorio; che le dichiarazioni rese dall' A. sono scevre da contraddizioni e risultano confortate da diversi elementi obbiettivi di riscontro, segnatamente, dalle dichiarazioni del consigliere comunale Nicola D'Amato (secondo cui N. aveva posto la giunta davanti all'aut aut di votare nel senso da lui indicato o di lasciare la maggioranza); dal consigliere R.F.; dall'ex segretario comunale B.; dalle intercettazioni del 24 ottobre 2007, n. 337 del 24 novembre 2007, del 19 novembre 2007, nn. 88 e 89 del 13 novembre 2007 (quest'ultima ritenuta contenere una "involontaria confessione" della illegittimità della nomina extra ordinem di M.).
Il Collegio del gravame si è, inoltre, espressamente soffermato (in risposta all'ulteriore deduzione difensiva) sulle ragioni per le quali abbia ritenuto di dover validare la lettura data dal Gup alle dichiarazioni di A.G. e S.S., in contrario a quanto argomentato dal Gip nel provvedimento di diniego della misura cautelare.
5.4. A fronte della precisione, completezza ed intima coerenza dell'iter argomentativo sviluppato dalla Corte d'appello in merito alla ritenuta attendibilità delle fonti di prova dichiarativa a carico, il ricorso per cassazione si risolve nella sollecitazione di una diversa valutazione su aspetti squisitamente di merito, avulsi dallo scrutinio di legittimità.
6. Quanto al terzo motivo di ricorso a censura della qualificazione giuridica del fatto sub capo F) nel reato di concussione (sub punto 2.3 del ritenuto in fatto), il ricorrente ripropone la medesima doglianza già mossa in appello e non si confronta con la motivazione svolta dal Collegio distrettuale in risposta, diffusa e soprattutto ineccepibile, in quanto perfettamente allineata alla costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità in materia (v. pagine 379 e seguenti della sentenza impugnata).
6.1. Come correttamente rilevato dal Collegio del gravame, la condotta ricostruita in sentenza è certamente riportabile all'"abuso oggettivo" delineato dalle Sezioni Unite nella sentenza Maldera (n. 12228 del 24/10/2013 - dep. 2014, Rv. 258474), vale a dire alla strumentalizzazione da parte del pubblico agente dei poteri a lui riconosciuti, in quanto esercitati in modo distorto, per uno scopo oggettivamente diverso da quello per cui sono stati conferiti ed in violazione delle regole giuridiche di legalità, imparzialità e buon andamento dell'attività amministrativa.
Ed invero, non è revocabile in dubbio che il Sindaco sia legittimato alla revoca della delega al singolo assessore componente la Giunta dal medesimo presieduta, da disporre con comunicazione motivata al Consiglio comunale a norma del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 46, comma 4, (T.U.E.L. Testo Unico degli Enti Locali). Nondimeno, come affermato anche dal Consiglio di Stato, la revoca di un singolo assessore da parte del Sindaco può basarsi sulle più ampie valutazioni di opportunità politico-amministrativa rimesse in via esclusiva a quest'ultimo, ma non può trasmodare in una sorta di prerogativa arbitraria, da utilizzare all'occorrenza per "regolare i conti" con esponenti politici sgraditi, a tutto detrimento dei requisiti minimi di stabilità della giunta comunale e delle funzioni di indirizzo politico-amministrativo nei confronti dell'amministrazione locale attribuite a questo organo dall'ordinamento degli enti locali (Cons. di Stato, Sez. 5, 19/1/2017, n. 215; Sez. 5, 5/12/2012 n. 6228).
In altri termini, il provvedimento di revoca dell'incarico ad un assessore può basarsi su ragioni afferenti ai rapporti politici all'interno della maggioranza consiliare e sulle eventuali ripercussioni sul rapporto fiduciario che deve sempre permanere tra il primo cittadino e la Giunta comunale (come definito dall'art. 48, comma 1, T.U.E.L., secondo cui il primo è organo rappresentativo dell'ente locale a diretta investitura popolare e la seconda è chiamata a "collaborare" con esso). Tuttavia, siffatto potere di revoca, sia pure discrezionale e collegato al permanere del rapporto fiduciario fra il Sindaco ed i propri assessori in seno all'ente territoriale, non può non connettersi alla realizzazione dell'interesse - di carattere generale - della comunità locale, e di certo non può essere asservito al perseguimento di uno scopo diverso da quello pubblicistico, segnatamente, per piegare la volontà degli assessori ai fini dell'adozione di una delibera rispondente agli interessi personali e particolari del primo cittadino. In tale caso, l'esercizio del potere discrezionale di revoca della delega all'assessore, rectius, la minaccia di avvalersi di tale facoltà prescinde da ragioni di natura politico-amministrativa e costituisce strumento di pressione al fine di indurre il soggetto passivo all'indebita promessa o dazione.
6.2. E' d'altronde pacifico, che - come chiarito dalle Sezioni Unite nella già rammentata sentenza Maldera - anche la minaccia dell'uso di un potere discrezionale possa integrare il delitto di concussione, se l'esercizio sfavorevole di tale potere viene prospettato in via estemporanea e pretestuosa, al solo fine di costringere la persona offesa alla promessa o dazione indebita. Nel reato di concussione, l'attività di induzione non è infatti vincolata a forme tassative, rilevando a tal fine ogni comportamento del pubblico ufficiale che sia comunque caratterizzato da un abuso dei poteri che valga ad esercitare una pressione psicologica sulla vittima, in forza della quale quest'ultima si convinca della necessità di dare o promettere denaro od altra utilità per evitare conseguenze dannose. (Fattispecie di presentazione e successivo momentaneo ritiro di interpellanza consiliare regionale finalizzata ad indurre un direttore generale di azienda ospedaliera a procedere a nomine dettate da criteri di appartenenza politica). (Sez. 6, n. 33843 del 19/06/20082008, Lonardo, Rv. 240795)
6.3. Occorre infine notare come l'avere il Sindaco, abusando dei propri poteri, costretto l'assessore ad esprimere il proprio voto favorevole alla nomina della persona dal medesimo indicata, per realizzare l'interesse personale ad inserire in Giunta, a capo dell'U.T.C., una persona a lui fedele (in un momento delicato nel quale si doveva approvare il nuovo P.R.G. del comune), integri certamente una costrizione volta ad un'"utilità" rilevante ai sensi dell'art. 317 c.p.. A tale categoria può invero ricondursi un qualunque vantaggio materiale o morale, patrimoniale o non patrimoniale oggettivamente apprezzabile, consistente sia in un dare sia in un facere e ritenuto rilevante dalla consuetudine o dal convincimento comune, conseguentemente rientrandovi anche il vantaggio di natura politica (Sez. 6, n. 33843 del 19/06/2008, Lonardo, Rv. 240796).
7. Incensurabile nella sede di legittimità è anche l'ultima doglianza concernente il diniego delle circostanze attenuanti generiche.
7.1. Giova rammentare che, secondo i consolidati principi espressi da questa Corte di legittimità, la concessione o meno delle circostanze attenuanti generiche costituisce un giudizio di fatto lasciato alla discrezionalità del giudice di merito, sottratto al controllo di legittimità qualora sia sorretto da una motivazione che faccia emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l'adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010, Straface, Rv. 248737).
Come questa Corte ha più volte affermato, le circostanze attenuanti generiche hanno lo scopo di estendere le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole all'imputato in considerazione di situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull'apprezzamento dell'entità del reato e della capacità a delinquere dello stesso, sicchè il riconoscimento di esse richiede la dimostrazione di elementi di segno positivo (Sez. 3, n. 19639 del 27/01/2012, G. e altri, Rv. 252900). Elementi di segno positivo che, nella specie, i Giudici di merito hanno correttamente ritenuto insussistenti, valorizzando la particolare intensità del dolo e l'assenza da parte dei ricorrenti di qualunque segno di resipiscenza (v. pagine 453 e seguenti).
8. Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti, oltre che al pagamento delle spese del procedimento, ciascuno anche a versare una somma, che si ritiene congruo determinare in 1.500,00 Euro.
I ricorrenti devono essere altresì condannati a rifondere le spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili che il Collegio ritiene equo liquidare per ciascuna di esse, tenuto conto delle tariffe forensi e l'attività defensionale dispiegata, nei termini indicati in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro 1.500 in favore della cassa delle ammende.
Condanna altresì i ricorrenti alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili A.G. e Comune di (OMISSIS), liquidate per ciascuna di esse in 3.500 Euro, oltre a spese generali in misura del 15%, IVA e CPA.
Così deciso in Roma, il 30 maggio 2017.
Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2017