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Concussione: non è configurabile l'ipotesi del reato impossibile ma quella del tentativo punibile


Corte di Cassazione

La massima

In tema di concussione, non è configurabile l'ipotesi del reato impossibile, di cui all'art. 49 c.p., bensì quella del tentativo punibile, in relazione alle richieste e pressioni illecite del pubblico ufficiale intervenute successivamente alla presentazione di denuncia all'Autorità giudiziaria da parte del soggetto passivo (Cassazione penale , sez. VI , 16/03/2016 , n. 25677).



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La sentenza integrale

Cassazione penale sez. VI, 16/03/2016, (ud. 16/03/2016, dep. 20/06/2016), n.25677

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa il 14 gennaio 2015, la Corte di appello di Bologna, in parziale riforma della decisione di primo grado, all'esito di giudizio abbreviato, ha assolto A.S. dall'accusa di tentata concussione ed ha invece confermato l'affermazione di penale responsabilità di T.V. e V.M. in ordine al medesimo reato, nonchè, con riferimento al T., anche per il reato di rivelazione di segreto di ufficio, rideterminando però in misura più lieve per entrambi la pena inflitta dal primo giudice; la Corte distrettuale, inoltre, ha condannato il T. ed il V. alla rifusione delle spese del grado in favore delle parti civili, ma ha ridotto la provvisionale concessa dal primo giudice a queste ultime.


La sentenza di appello ha ritenuto provata la penale responsabilità del T. e del V. per avere, il primo quale maresciallo dei Carabinieri in forza al N.O.E., ed il secondo quale concorrente, commesso atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere C.M., titolare della Niagara, società operante nel settore dello smaltimento di rifiuti, a pagare una somma di denaro tra i 20.000 ed i 40.000 Euro, per "ammorbidire" le conclusioni di un informativa da depositare in Procura. In particolare, dapprima il V., d'intesa con il T., nelle date del 13 e 14 novembre 2008, avrebbe rappresentato a Co.Fa., dirigente della Niagara, e poi, ancor più esplicitamente, al C., la necessità di corrispondere ai Carabinieri la somma di denaro indicata, per evitare che questi facessero istanza di applicazione di misure cautelari personali o reali nell'informativa; quindi, il T., in data 20 novembre 2008, anche rivelando alla Co. ed a G.D., altro dirigente della Niagara, che nel corso delle indagini nei confronti della società erano state effettuate intercettazioni telefoniche, avrebbe evidenziato agli stessi il proprio potere di influire in modo determinante sulle determinazioni dell'Autorità Giudiziaria ai fini dell'applicazione di misure cautelari personali e reali, ed avrebbe prospettato agli stessi l'adesione ad una proposta di assistenza-


consulenza tecnico-legale attraverso una società di consulenza in fase di costituzione; successivamente ancora, il V. avrebbe svolto le funzioni di intermediario, in particolare reiterando al C. la prospettazione di aderire alla proposta di assistenza tecnico-legale. La sentenza di appello, invece, ha assolto l' A., anch'egli maresciallo dei Carabinieri in servizio al N.O.E., e diretto superiore del T., ritenendo non provato il suo concorso nelle illecite richieste, riformando in tale parte la decisione di condanna emessa in primo grado.


2. Hanno presentato ricorso per cassazione avverso la precisata sentenza, il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Bologna, gli avvocati Mariano Rossetti e Marco Caroppo, quali difensori di fiducia del V., l'avvocato Antonio Franchini, quale difensore di fiducia del T., l'avvocato Fabio Anselmo, quale difensore di fiducia delle costituite parti civili C.M., Niagara s.r.l., G.D. e Co.Fa..


I motivi degli indicati ricorsi, tutti estremamente articolati, saranno di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..


3. Il ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Bologna è formulato in un unico motivo, che censura violazione di legge, in presenza di motivazione apparente, nonchè travisamento della prova, e contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) ed e), e che tuttavia si sviluppa con riferimento a due parti distinte della decisione, quella relativa all'assoluzione dell' A. e quella attinente alla determinazione delle pene inflitte al T. ed al V..


3.1. Nella prima parte del motivo, si deduce che la sentenza impugnata, nell'assolvere l' A., avrebbe omesso di prendere in considerazione alcuni rilevanti elementi di prova valutati in primo grado, nonchè di procedere ad una lettura unitaria dei vari episodi in cui si è articolata la vicenda.


Si rileva, in particolare, che la sentenza impugnata non ha tenuto conto: a) del comune progetto dei tre imputati, animati dall'intento di costituire uno studio legale di consulenza per le aziende del settore "smaltimento rifiuti", del quale era parte integrante l' A.; b) della "immediatezza" del contenuto delle conversazioni del V. e del T. con l' A., quando riferiscono a quest'ultimo dei loro contatti con le persone offese, o dei comportamenti "difensivi" posti in essere dalle stesse, come ad esempio allorchè il primo fa riferimento alla necessità di far "transitare la somma" su uno studio legale, senza aggiungere nulla di più; c) della sinergia e la "coerenza" dei comportamenti posti in essere dall' A. nei confronti delle persone offese con quelli realizzati dal V. e dal T., e della rilevanza di tali condotte nel concorrere a creare un clima di intimidazione nel cui ambito gli altri due coimputati si spingeranno a formulare le richieste concussive; d) del concorso dell' A. nella richiesta alla Co. di una "perizietta" sulla composizione dei rifiuti trattati dalla Niagara, nella ricezione dell'atto, e nella sottoscrizione dell'informativa finale alla Procura della Repubblica in cui non si fa alcun cenno a tale scritto difensivo; e) dei ripetuti contatti telefonici dell' A. con il V. nei giorni 1 e 2 dicembre, non appena ricevuta dal T. la notizia dei colloqui tra il G. ed i rappresentanti dell'ARPA sulle indagini in corso e sulla correttezza dell'operato della società Niagara, dapprima per chiedere al V. di contattare il C. per far "rientrare i toni del suo ingegnere", e, poi, per ricevere conto dal coimputato delle giustificazioni offerte dal C. (si citano le conversazioni telefoniche intercettate dell'i e del 2 dicembre 2008); f) dell'espressa indicazione effettuata dal V. nel corso del colloquio con il C., nella quale si indica l' A. come l'ideatore del ricorso allo "studio legale" quale strumento per garantire il passaggio di denaro e "mettere tutto a posto".


Si censura, inoltre, che la sentenza impugnata indichi come fonte di prova a carico dell' A. solo le dichiarazioni del V., trascurando completamente gli altri elementi acquisiti, ivi comprese le intercettazioni, e sebbene, in una parte della motivazione relativa ai coimputati, richiami la telefonata intercettata il 2 dicembre 2008 tra l' A. ed il V. come dimostrativa dell'accordo concussivo e della "consapevole partecipazione dei tre".


3.2. Nella seconda parte del motivo, si deduce che la sentenza impugnata è illogica anche nella parte in cui fissa in misura particolarmente contenuta il trattamento sanzionatorio relativo ai due imputati condannati, e concede agli stessi le attenuanti generiche nella misura massima consentita, perchè non vi sarebbe la prova nè della pretestuosità dell'indagine, nè di un'attività intimidatoria qualificabile come "violenza".


Si rileva specificamente che l'istruttoria ha evidenziato come le richieste sono state precedute da un'intensa attività preparatoria, nel corso della quale le persone offese sono state sottoposte "ad attacchi stressanti e minacce costanti e pesanti", concernenti sia la loro libertà personale, sia la perdita del lavoro derivante dal sequestro e chiusura dell'impianto. Si aggiunge, inoltre, ed in particolare, che le minacce causarono disturbi del sonno per le parti offese, che i due militari, parlando in alcune conversazioni intercettate con persone di loro fiducia, esclusero la configurazione di fattispecie di particolare gravità, che tutte le accuse nei confronti dei vertici della Niagara sono state archiviate, e che l'immediato pagamento della provvisionale da parte degli imputati non è elemento indicativo di resipiscenza.


4. Il ricorso presentato nell'interesse del V. è sviluppato in quattro articolati motivi.


4.1. Nel primo motivo, il ricorrente lamenta mancanza e manifesta illogicità della motivazione per travisamento della prova, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), nonchè inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 317, 56 e 110 c.p., a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b).


Si premette che, per affermare la responsabilità del V. in ordine ai reati ascritti, è necessario ritenere la richiesta di denaro da lui avanzata al C. il 14 novembre 2008 come attività svolta quale mero nuncius e portavoce del T., e che, a tal fine, la sentenza impugnata valorizza la conversazione tra quest'ultimo, la Co. ed il G. in data 20 novembre 2008.


Si rileva, poi, che, stando alle dichiarazioni del C., il V. prospettò il 14 novembre la dazione di denaro "come unica alternativa valida per evitare conseguenze disastrose, a livello personale ed aziendale", e che, però, nella conversazione registrata del 20 novembre, il T. si mostrò disponibile solo come futuro legale, quando sarebbe uscito dall'Arma, così come, nella successiva conversazione del 25 novembre 2008, anch'essa registrata, il V. chiarì la disponibilità del militare al C. nei medesimi termini rappresentati il 20 novembre dal coimputato. Si conclude, pertanto, in proposito, che le alternative logicamente possibili sono solo due: in occasione degli incontri del 13 e del 14 novembre, il V. o fece un discorso diverso da quello riferito dal C., e quindi le dichiarazioni di questo sarebbero inattendibili, oppure agì in proprio, al di fuori di ogni accordo con i pubblici ufficiali. Si aggiunge, ancora, che la prima soluzione è avvalorata dal fatto che, nel corso del colloqui del 25 novembre, mentre il V. rappresenta difficoltà e titubanze dei Carabinieri, il C., che pure voleva documentare la sua sottoposizione a richieste concussive, non richiama i contenuti, a suo dire ben più espliciti, della conversazione del 14 novembre. Si osserva, inoltre, che la conversazione registrata tra il V. ed il C. il 25 novembre dà conto di un contatto del primo con i due Carabinieri, ma non anche di un accordo tra i tre prima della denuncia presentata dal secondo all'Autorità Giudiziaria il 18 novembre: di conseguenza, la sintonia tra i contenuti delle dichiarazioni del T. alla Co. ed al G. il 20 novembre ed i contenuti delle dichiarazioni del V. al C. può essere elemento utile solo a sostenere l'esistenza di un accordo intervenuto tra i coimputati prima del 20 novembre, ma non già prima del 14 novembre; di qui, l'inidoneità in concreto del tentativo di concussione.


4.2. Nel secondo motivo, il ricorrente lamenta inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 317 e 56 c.p., a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), nonchè manifesta illogicità della motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).


Si deduce che la sentenza impugnata avrebbe contraddittoriamente ritenuto una situazione di "costrizione" in danno del C., della Co., del G. e della società Niagara, e però escluso che fossero pretestuose e strumentali l'indagine e l'accusa mossa a costoro. Si aggiunge, inoltre, che, se l'indagine e l'accusa non erano pretestuose, essendo stata formulata l'ipotesi del delitto di traffico illecito di rifiuti, era obiettivamente possibile l'applicazione di misure cautelari non solo reali, consentite pure per reati contravvenzionali, ma anche personali. Si osserva, ancora, che le conclusioni sugli esiti delle indagini erano state rappresentate dai Carabinieri alla Procura già in data 5 novembre 2008, e che le stesse risultano avallate anche dal nuovo comandate del N.O.E., capitano B., il quale, in data 24 dicembre 2008, aveva sottoscritto l'informativa, corredata della prospettazione al Pubblico Ministero della possibilità di adottare misure cautelari personali e reali, prima della trasmissione della stessa in Procura nel gennaio 2009. Si rileva, infine, che la riprova dell'assenza di un effetto "perentoriamente coartante" per le persone offese è desumibile proprio dalla mancata adesione delle stesse alle pretese dei pubblici ufficiali.


4.3. Nel terzo motivo, il ricorrente lamenta inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), per violazione dell'art. 516 c.p.p., art. 521 c.p.p., comma 1, e art. 522.


Si deduce che la sentenza ha ritenuto: a) una tentata costrizione, sebbene il capo di imputazione facesse menzione di una ipotesi di "induzione"; b) il previo concerto tra il T. ed il V. già alla data del 14 novembre 2008, sebbene la contestazione riferisse di una iniziativa di quest'ultimo "fatta propria dai pubblici ufficiali"; c) una diversa qualificazione giuridica del fatto rispetto a quella contestata. Si osserva, in particolare, per sottolineare l'incidenza sostanziale della violazione, che: l'imputazione, sui punti in questione, è rimasta immutata nonostante la modifica operata alla fine del dibattimento di primo grado, in data 26 ottobre 2012, la quale ha avuto ad oggetto la specificazione delle modalità con cui sarebbe dovuto avvenire il versamento della somma di denaro; "l'insieme contemporaneo e complessivo dei tre profili... produce il risultato di una vera trasformazione-variazione dei contenuti essenziali dell'addebito"; la definizione del giudizio nelle forme del rito abbreviato, chiesta proprio in seguito alla modifica dell'imputazione, rende particolarmente incidente il vulnus al diritto di difesa, perchè l'accesso al procedimento speciale esclude il diritto dell'imputato alla rinnovazione del dibattimento in appello (si cita, in proposito, Sez. 2, n. 1625 del 12 novembre 2012, dep. 2013).


4.4. Nel quarto motivo, il ricorrente lamenta erronea applicazione della legge penale, in particolare dell'art. 56 c.p., comma 3 e art. 317 c.p., ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), nonchè mancanza e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).


Si deduce che la condotta di costrizione era di fatto impedita dall'ormai avvenuto deposito dell'informativa al Pubblico Ministero, tanto che nel colloquio registrato del 20 novembre il T. prospetta un proprio intervento "a parole" presso il magistrato inquirente, da attuare suggerendo a quest'ultimo un accertamento tecnico. Nè, d'altro canto, sono conciliabili le affermazioni della sentenza impugnata, che, in un punto, rileva essere "pacifica l'interruzione dell'iter criminoso", per la "necessità di non incorrere nel rischio di essere scoperti... soprattutto per l'agitarsi del G.", ed in altra parte esclude la desistenza per esservi "plurimi elementi che depongono nel senso di una strategica temporanea stasi", sottolineando come non fosse stata ancora costituita dagli imputati la società per effettuare le consulenze ed attraverso la quale "far transitare" il denaro. Da ultimo, poi, si sottolinea che la desistenza non presuppone spontaneità, ma può essere anche determinata dalla valutazione degli svantaggi che deriverebbero dal proseguimento dell'azione criminosa (si cita, in particolare, Sez. 5, n. 1955 del 07/12/1999, dep. 2000).


5. Il ricorso presentato nell'interesse del T. è sviluppato in sei motivi.


5.1. Nel primo motivo, il ricorrente lamenta inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e per illogicità della motivazione, in particolare per mancata riqualificazione del fatto ascritto all'imputato in tentata indebita induzione ex art. 319-quater c.p., a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e).


Si premette che la condotta descritta nel capo di imputazione è di induzione, sia per come sono rappresentati i fatti, sia per l'impiego, per ben due volte, del verbo "indurre", e che "la liberà di scelta del C., sebbene offuscata, non era di certo inesistente". Si osserva, poi, che la costrizione deve essere comunque esclusa perchè: il T. e l' A. avevano prospettato verbalmente alla dott.ssa V., sostituto procuratore della Repubblica procedente, già nel settembre 2008, la possibile applicazione di misure cautelari personali e reali nell'ambito dell'indagine a carico della società Niagara (si richiama sul punto la deposizione del teste Corazza); la bozza completa dell'informativa dei Carabinieri, contenente la richiesta delle specificate misure, era stata esaminata dal Capitano B. nel mese di novembre del 2008 (si richiama in proposito la deposizione del teste M.); tale bozza, anzi, era stata inviata il 5 novembre 2008 via mail dal T. alla dott.ssa V.; la richiesta di aderire a proposte di assistenza e consulenza costituisce un "impegno a lungo termine (con sequestro già avvenuto), incompatibile dunque con il concetto stesso di costrizione (ed altresì con il concetto di concussione per la perdita della qualifica soggettiva da parte del soggetto agente)". Si aggiunge, quindi, che le persone offese, aderendo alla richiesta, avrebbero conseguito un indebito personale tornaconto, posto che, come riconosciuto nella sentenza impugnata, l'indagine condotta dal N.O.E. nei confronti della società Niagara non era pretestuosa, ed, anzi, erano addirittura "emersi elementi che si prestavano ad un'accusa ex D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 260". In sintesi, da un lato, la condotta contestata e ritenuta non si pone in termini di minaccia di un male ingiusto, ma di offerta diretta a "prestare aiuto" per "favorire e alleggerire la posizione processuale delle persone offese in relazione ad ipotesi di reato... assolutamente serie e fondate".


Del resto, la decisione di rivolgersi all'Autorità Giudiziaria era stata presa non dal C., il quale, anzi, contattato dal V., aveva preso tempo, ma dall'altro socio della Niagara, R., che, informato dal primo della illecita proposta, aveva sporto denuncia: in altri termini, quindi, il C. aveva "conservato un certo margine di scelta tra l'assecondare tale richiesta (dalla quale avrebbe comunque tratto un vantaggio, essendo stata accertata la non pretestuosità dell'indagine) ed il respingerla".


L'accertamento di una tentata induzione indebita, poi, dovrebbe determinare l'impossibilità per i destinatari della richiesta di invocare un diritto al risarcimento del danno, in quanto concorrenti necessari.


5.2. Nel secondo motivo, il ricorrente lamenta erronea applicazione della legge penale e mancanza e manifesta illogicità della motivazione, anche alla luce dei motivi di appello, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in particolare in merito alla ritenuta sussistenza di un previo accordo tra V. e T..


Si deduce, innanzitutto, che lo stesso capo di imputazione non faceva riferimento ad un previo accordo tra il V. ed i due Carabinieri, posto che l'addebito mosso a questi ultimi è di aver agito "facendo propria l'iniziativa di V.". Il colloquio del 20 novembre tra il T., la Co. ed il G., richiamato dal giudice di appello come conferma dell'esistenza di un accordo tra il T. ed il V., evidenzia, invece, l'attenzione del militare ad evitare, in tutto il corso della sua carriera, l'accettazione di qualunque utilità, e, al più, "una generica disponibilità ad aiutare le parti civili... più avanti, dopo che fosse uscito dall'Arma dei Carabinieri, quale futuro legale". Questa diversa ricostruzione, del resto, è avvalorata sia dalla già avvenuta trasmissione via mai, in data 5 novembre, della bozza dell'informativa alla dott.ssa V., sia dal contenuto delle affermazioni del V. nel corso del successivo colloquio con il C. del 25 novembre, laddove il supposto nuncius, mediante espressioni inequivoche, riferisce a sè e non ad altri l'iniziativa di chiedere il denaro in data 14 novembre 2008. Deve perciò ritenersi che il contatto tra il V. ed il T. intervenne solo dopo la denuncia del C. del 18 novembre (e prima dell'incontro del 20 novembre), e che, quindi, ricorre "l'inidoneità in concreto del tentativo di... induzione indebita...", per l'oggettiva impossibilità per la persona offesa di prestare adesione alla richiesta.


5.3. Nel terzo motivo, il ricorrente lamenta inosservanza o erronea applicazione della legge penale ed illogicità della motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in particolare in merito al mancato riconoscimento della desistenza volontaria.


Si deduce che la sentenza impugnata ha escluso la configurabilità della desistenza per i "verificarsi di contingenze esterne", quali l'attivazione del G. che si era rivolto a funzionari dell'ARPA ed aveva chiesto ad esperti e docenti universitari chiarimenti sul tema del "residuo secco", e, quindi, per il timore degli imputati di essere scoperti, trascurando, però, che il T. era ignaro della denuncia sporta dal R. e dal C. ed aveva comunque ancora la possibilità di svolgere interventi utili alle persone offese, pur essendo già stata depositata l'informativa in Procura.


5.4. Nel quarto motivo, il ricorrente lamenta inosservanza o erronea applicazione della legge penale e dell'art. 354 c.p.p., comma 2, nonchè mancanza della motivazione, anche alla luce di quanto indicato nei motivi di appello, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in particolare in merito alla mancata dichiarazione di inutilizzabilità della registrazione del colloquio del 20 novembre 2008 tra il T., la Co. ed il G..


Si deduce che la registrazione è inutilizzabile perchè trattasi di "documento prodotto soltanto in copia e contraddistinto da difetti tecnici atti ad inficiarne l'attendibilità e la genuinità", e, quindi, acquisito in violazione di quanto previsto dall'art. 189 c.p.p. (si cita, a sostegno, Sez. 6, n. 14599 del 25/01/2010). Si evidenzia che non è stato possibile accertare come sia stato disperso l'originale della registrazione, data la divergenze delle dichiarazioni in proposito del C., del G. e della Co., che la registrazione presenta "un numero piuttosto elevato di "buchi"" di cui non è fornita spiegazione, che del tutto ingiustificatamente il C. consegnò agli investigatori il file audio in copia e solo il 25 novembre, ossia cinque giorni dopo l'incontro, che il supporto contenente la registrazione è stato acquisito solo in diverso procedimento, che gli accertamenti su quest'ultimo hanno dimostrato la diversità tra il file audio acquisito nel presente processo ed i files contenuti sul registratore, e che, in ordine a tutti questi profili, la sentenza impugnata non offre alcuna motivazione, salvo a rilevare che la conversazione è caratterizzata da continuità logica e semantica e che il T. non ha mai fornito una diversa versione del contenuto della conversazione.


5.5. Nel quinto motivo, il ricorrente lamenta inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), in particolare per aver sentito a dibattimento C.M. come semplice testimone e non come testimone assistito ex art. 197 bis c.p.p..


Si premette, in proposito, che tutte le Difese, all'atto dell'esame, avevano eccepito che il C. doveva essere esaminato come testimone in procedimento connesso in quanto ancora indagato per alcune ipotesi di reato in materia di rifiuti, e che la Corte di appello ha ritenuto infondata la questione per aver escluso l'esistenza di un collegamento processualmente rilevante tra i fatti del presente processo e quelle indagini. Si rileva, poi, che il collegamento probatorio sussiste perchè l'accertamento di reati in materia di rifiuti a carico del C. "rappresenta il "cuore" dell'indagine condotta dagli imputati T. ed A." e, se è vero che tali reati si riferiscono alla posizione del C. quale legale rappresentante della Carpi Spurgo, non va trascurato che la sede di tale ditta è proprio all'interno dei locali della società Niagara, ed anzi quest'ultima si serviva della prima per i propri trasporti di rifiuti.


5.6. Nel sesto motivo, il ricorrente lamenta inosservanza o erronea applicazione della legge penale e per mancanza di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in riferimento al reato di cui all'art. 326 c.p..


Si deduce che il reato di rivelazione di segreto di ufficio, che si assume commesso attraverso l'indicazione alla Co. ed al G. dell'avvenuta effettuazione di intercettazioni telefoniche nel corso delle indagini, è un reato di pericolo concreto, e che, nel caso di specie, la propalazione della notizia non aveva cagionato alcun effettivo pericolo per il prosieguo delle indagini, sia perchè le captazioni erano concluse da mesi, sia perchè i due non solo avevano già avuto l'avviso di proroga delle indagini, sì da essere perfettamente a conoscenza della loro qualità di indagati, ma avevano anche, e da molto tempo, la convinzione di essere sottoposti a tale attività investigativa (si cita l'intercettazione telefonica del 7 maggio 2008 tra la Co. e tale Laghi). Si aggiunge, poi, che la sentenza impugnata ha omesso qualunque motivazione sul punto, limitandosi a rilevare che "nel caso di violazione del segreto istruttorio, il pregiudizio derivante dalla divulgazione della notizia è sostanzialmente in re ipsa".


6. Il ricorso presentato nell'interesse delle parti civili costituite C.M., in proprio e quale legale rappresentante della società Niagara, G.D. e Co.Fa., è sviluppato in quattro motivi.


6.1. Nel primo motivo, il ricorrente lamenta mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), nella parte relativa all'assoluzione dell' A., laddove non viene riconosciuto alcun significato in chiave accusatoria al ruolo svolto dal medesimo nel contattare le persone offese e nel richiedere una "perizietta".


Si deduce che l'illogicità e la contraddittorietà in proposito sono sia interne alla sentenza impugnata, sia in relazione all'esame di specifici atti del tutto trascurati da quest'ultima. Innanzitutto, infatti, la pronuncia, sebbene abbia definito "anomali" i contatti "intercorsi fra investigatori ed indagati in una fase in cui gli esiti dell'indagine non erano stati resi noti nella loro completezza neppure al PM procedente", non dà alcun significativo rilievo al fatto che l' A. concorse pienamente con il T. nel rappresentare l'opportunità della redazione di una relazione tecnica, che non è stata poi allegata all'informativa di reato sottoscritta anche dall' A., nè mai trasmessa al P.M. o sottoposta all'attenzione del comandante del N.O.E., capitano B.. Si rileva, ancora, che è del tutto illogica, e non è spiegata dalla Corte d'Appello, la giustificazione, offerta nel corso delle indagini dall' A., secondo cui l'invito alla Co.


a preparare una relazione era funzionale a "liberarsi" della stessa, se poi, successivamente, proprio l' A., nelle telefonate dell'1 e 2 dicembre 2008, contatta il V. per invitare il C. a "calmare" l'ingegnere G..


Si osserva, in conclusione, che dagli atti emerge una completa sintonia delle condotte dell' A. e del T. in ordine agli anomali rapporti con le persone offese, tale da evidenziare un comune intento delittuoso in capo ad entrambi gli imputati, e sulla quale la sentenza impugnata non spiega alcunchè, limitandosi ad effettuare illogiche distinzioni tra i comportamenti dei due militari.


6.2. Nel secondo motivo, il ricorrente lamenta mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), nella parte relativa all'assoluzione dell' A., laddove afferma il carattere "tutto sommato neutro" delle conversazioni tra l' A. ed il V. in data 1 dicembre 2008, ed omette del tutto di dare conto del contenuto della conversazione tra i medesimi il successivo 2 dicembre 2008.


Si deduce che la conversazione del 2 dicembre 2008, ore 11,05, tra l' A. ed il V. è particolarmente importante e chiaramente indicativa delle finalità dell'azione condotta anche dal primo. In particolare, nel colloquio, il V. riferisce di aver parlato con il C. e di avergli detto: "guarda se abbiamo deciso una linea in qualche modo difensiva da far vedere presso gli avvocati, bisogna che ci atteniamo a quella, se invece qualcuno va a fare una campagna di diverso tipo, alla fine voglio dire...". Questa conversazione denota comunione di linguaggio e di obiettivi tra l' A., il V. ed ai T., perchè: a) il T., nell'incontro con la Co. ed il G. del (OMISSIS) aveva affermato: "vi indico un avvocato dove potervi rivolgere"; b) il V., nell'incontro intercettato con il C. del 25 novembre, riferisce all'interlocutore che " S." nome di A. gli avrebbe detto: "in effetti la...


la... la situazione della, dello studio legale è quella che secondo me farebbe... metterebbe a posto tutto nel senso che cioè devo entrare... e se fai lo studio che si verrà... se lo fa transitare";


c) il V., nella conversazione telefonica con il C. dell'1 dicembre 2008, subito dopo aver parlato con l' A., dice al gestore della Niagara: "Senti, però, a questo punto io... ti... andrei a fissarti un appuntamento, poi t'arrangi te con lo studio legale...". In sintesi, si osserva che risulta inspiegabile la ragione per la quale il V. e l' A. parlano della "linea difensiva" e degli "avvocati" per la posizione del C., se l' A. era "semplicemente adirato perchè G. aveva parlato male dell'ufficio del Noe"; allo stesso modo, risulta del tutto inspiegabile perchè il contatto con V. per intervenire sul C. non è preso direttamente dal T., che, anzi, ricevuta notizia dell'attivazione del G., si premura di attivare l' A.. Si rileva, poi, che è "del tutto inverosimile oltre che illogico" ritenere che V. si sia attivato con C. per ottenere da questi un esborso di denaro a favore dei carabinieri senza essersi accertato della disponibilità di questi ultimi, così come, per le medesime ragioni, è manifestamente illogico concludere che il T. operi una millanteria quando, nel corso della conversazione del 20 novembre con la Co. ed il G., dice di non avere ancora consegnato l'informativa "d'accordo con S.", o che il T. chieda per telefono 11 dicembre 2008 ad un A. ignaro dell'attività delittuosa in corso di intervenire, tramite il V., presso il C. al fine di "calmare" G., esponendosi così al rischio di essere scoperto. Si aggiunge, ancora, che la violenta reazione dell' A. alle parole del T. non è spiegabile se non come rabbia per la resistenza alla richiesta concussiva: l'indicata reazione non può essere letta come espressiva della volontà di tutelare l'onorabilità del N.O.E., sia perchè i fatti non sono stati riferiti al Capitano B., in quel momento al vertice della struttura di Bologna, sia perchè l'imputato, nella successiva telefonata del 2 dicembre, non si mostra adirato per essere stato il G. informato delle eseguite intercettazioni, ma per avere il G. riferito di queste attività di indagine all'ARPA. 6.3. Nel terzo motivo, il ricorrente lamenta mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), nella parte relativa all'assoluzione dell' A., laddove afferma il carattere neutro della partecipazione di tale imputato alla costituenda società di consulenza con il T. ed il V.. Si deduce che, come rileva la stessa sentenza impugnata, i tre imputati, nel periodo oggetto di contestazione, hanno progettato di intraprendere in comune affari suscettibili di un cospicuo ritorno economico, proprio con riferimento a consulenze in materia di rifiuti, costituendo tra di loro una società, e si sono preoccupati di procacciarsi clienti contestualmente all'esercizio dell'attività svolta quali pubblici ufficiali, come dimostra la vicenda cd. "Cave Nord". 6.4. Nel quarto motivo, il ricorrente lamenta mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), nella parte relativa alla riduzione della provvisionale. Si deduce che è illegittima la motivazione della sentenza impugnata, nella parte relativa alla riduzione della misura della provvisionale già concessa in primo grado, perchè, alla luce degli elementi acquisiti agli atti ed esposti nella stessa decisione, non possono ritenersi corrette le affermazioni concernenti la non pretestuosità dell'indagine di polizia giudiziaria e la "contenuta" durata ed intensità del fatto illecito. 7. Ha presentato motivi nuovi, in data 29 febbraio 2016, l'avvocato Carlo Enrico Paliero, quale difensore di fiducia della costituita parte civile Co.Fa., la quale ha espressamente revocato la nomina precedentemente conferita all'avvocato Anselmo. 8. Hanno presentato memorie l'avvocato Marco Zannotti, quale difensore di fiducia dell' A., l'avvocato Antonio Franchini, quale difensore di fiducia del T., l'avvocato Gaetano Scalise, quale difensore di fiducia della costituita parte civile Mauro C., l'avvocato Mariano Rossetti, quale difensore di fiducia del V.. 9. Nell'interesse dell' A. sono state presentate tre memorie, la prima avverso il ricorso proposto dalla Procura Generale presso al Corte di appello di Bologna, la seconda avverso il ricorso proposto dalle costituite parti civili, la terza avverso i motivi nuovi proposti nell'interesse della parte civile Co.Fa.. 9.1. Nella memoria avverso il ricorso presentato dalla Procura generale presso al Corte di appello di Bologna, depositata il 13 novembre 2015, si chiede la dichiarazione di inammissibilità dell'atto di impugnazione, sia perchè non si indicano le norme di legge sostanziale o processuale asseritamente violate, sia perchè il vizio di motivazione dedotto costituisce, in realtà, una istanza di rilettura dei dati probatori alternativa a quella effettuata dalla Corte di appello, sia perchè non è mai identificato l'atto su cui si fonda la singola doglianza di omessa valutazione della prova, nè sono mai individuati gli elementi fattuali incompatibili con la ricostruzione accolta dal giudice di appello. In sintesi, il ricorso non risponde nè al principio di autosufficienza, nè di necessaria specificità, ma "richiede una diversa valutazione di dati probatori confusamente o troppo astrattamente evocati". La memoria, dopo una premessa di carattere generale di tipo metodologico, richiama integralmente le motivazioni della sentenza della Corte di appello nella parte relativa alla posizione dell' A. (pagg. 148-164). Osserva, poi, esemplificativamente, che: a) il progetto di realizzare uno studio legale è del T., non certo dell' A.; b) la non corretta valutazione che il giudice di secondo grado avrebbe dato alla presenza dell' A. in occasione della fiera di Rimini di ECOMONDO è in realtà una mera richiesta di rivalutazione di un dato fattuale pacificamente acquisito agli atti del processo; c) sono ripetutamente valorizzate a carico dell' A. condotte poste in essere dal solo T., atteso che questi è l'unico a tenere colloqui con il G. e ad intrattenersi con la Co. l'11 novembre 2008 nonchè con entrambi il 20 novembre 2008; d) l'indicazione dell' A. alla Co. di predisporre una relazione viene fornita in data 11 novembre 2008 negli uffici del N.O.E. alla presenza del maresciallo B., ossia di un terzo estraneo alla vicenda; e) il dileggio della relazione presentata dalla Co. e dal G. il 20 novembre 2008, avvenuto nel corso della conversazione tra l' A. ed il T., è opera esclusiva di quest'ultimo, che tra l'altro tace sui dettagli del lungo colloquio intercorso con le due persone offese; f) nel corso della conversazione del 20 novembre, il T. dice espressamente alla Co. ed al G. che è lui l'unico loro accusatore; g) il T., nella conversazione telefonica dell'i dicembre, offre all' A. una rappresentazione parziale dei presupposti della condotta del G., quando si lamenta che questo parla male dei Carabinieri, quasi prospettandogli di rischiare un'ingiusta relazione da parte dell'ARPA sulla fuga di notizia in ordine alle intercettazioni effettuate; h) la conversazione telefonica del 2 dicembre non era stata valorizzata come elemento a carico neanche dal giudice di primo grado, che pure aveva affermato la penale responsabilità dell' A.. 9.2. Nella memoria avverso il ricorso presentato dalle costituite parti civili, depositata anch'essa il 13 novembre 2015, si chiede la dichiarazione di inammissibilità o di infondatezza dell'atto di impugnazione. Si premette che l'indagine nei confronti della società Niagara non era per nulla pretestuosa, non solo perchè detta società era stata da poco definita in una sentenza della Corte di cassazione "mina vagante nel panorama del traffico dei rifiuti" (così Sez. 3 del 10/11/2005, n. 40827), ma anche perchè la stessa è stata definita con decreto di archiviazione non per infondatezza della notizia di reato, ma per impossibilità di fornire in dibattimento la prova dell'alterazione dello stato fisico dei rifiuti. Si aggiunge, poi, che, al momento della richiesta concussiva, l' A. non era più nè il comandante del N.O.E., nè l'autore dell'informativa finale, e che la sua estraneità alla vicenda è confermata dalle parole del T., il quale, nel corso del colloquio con la Co. ed il G. del 20 novembre, afferma: "sono io l'unico accusatore io sono il principale accusatore, l'unico", ed ancora: "non ho più A.S. che mi dà una mano". Si ripropongono, quindi, gli argomenti già svolti nella memoria avverso il ricorso della Procura Generale, per sottolineare che il T. era solo quando prospettava minacce o comunque teneva atteggiamenti non corretti. Si osserva, infine, che il progetto di realizzare una società operante nel settore della consulenza concernente la materia ambientale di per sè non prova nulla circa la partecipazione dell' A. alle attività illecite. 9.3. Nella memoria avverso i motivi aggiunti presentati nell'interesse della parte civile Co.Fa., nonchè avverso la memoria difensiva presentata nell'interesse della parte civile C.M., depositata il 10 marzo 2016, si chiede innanzitutto la dichiarazione di inammissibilità di questi atti, ovvero, in subordine, la dichiarazione di infondatezza delle ragioni svolte nei medesimi. L'inammissibilità è dedotta sul rilievo che il termine previsto per il deposito dei motivi nuovi e delle memorie, pari rispettivamente a quindici e cinque giorni prima dell'udienza, deve essere calcolato con riferimento alla prima udienza fissata per la trattazione del processo, anche se questa, come nel caso di specie, sia stata rinviata per l'adesione dei difensori impegnati nel processo all'astensione dalle attività di udienza proclamata dall'associazione di categoria; si citano, a sostegno, Sez. 6 n. 14983 del 05/03/2014, Echeverry, e Sez. 6, n. 42627 del 29/09/2009, Olivieri, Rv. 245165). 10. Nell'interesse del T., in data 11 novembre 2015, è stata presentata memoria avverso i ricorsi proposto dalla Procura generale presso al Corte di appello di Bologna, e dalle costituite parti civili. Si osserva, innanzitutto, che non vi è alcun elemento per sostenere la pretestuosità dell'indagine condotta dal N.O.E. nei confronti della società Niagara. In tal senso, infatti, non solo è esplicita la sentenza impugnata, ma univoci elementi sono desumibili anche dalla richiesta di archiviazione della Procura della Repubblica nei confronti di C.M. e Co.Fa. e dalla sentenza emessa dalla Corte di cassazione, Sez. 3 del 10/11/2005, n. 40827. In particolare, la voluminosa richiesta di archiviazione evidenzia la serietà dei dubbi sulla natura dei rifiuti (solidi e non solo liquidi o semi-liquidi) trattati dalla Niagara, alla luce dei campioni analizzati, delle intercettazioni telefoniche eseguite, della natura "sospetta" di alcuni dei soggetti conferenti, di dati e criteri di uffici ARPA, e conclude per il non esercizio dell'azione penale solo per l'incertezza sul dato scientifico relativo all'effettiva consistenza del rifiuto. Si rileva, poi, che la Corte di appello, nell'escludere la violenza nella condotta degli imputati, è perfettamente in linea con quanto contesta lo stesso capo di imputazione, il quale addebita unicamente una condotta "in termini di prestare aiuto alle parti civili (non richiedendo nell'informativa finale l'adozione di misure cautelari) ovvero di alleggerire la posizione processuale delle persone offese in relazione ad ipotesi di reato assolutamente serie e fondate...". 11. La memoria presentata nell'interesse della parte civile costituita C.M. in data 29 febbraio 2016 è esplicitamente articolata a sostegno del ricorso della Procura Generale presso la Corte di appello di Bologna e delle parti civili in relazione alla posizione dell' A. ed alla riduzione delle provvisionali disposte in primo grado, nonchè per resistere contro i ricorsi proposti nell'interesse del V. e dal T. e contro le memorie presentate nell'interesse dell' A. e del T.. 12. La memoria presentata nell'interesse del V. in data 10 marzo 2016 avverso i motivi aggiunti proposti nell'interesse della parte civile Co.Fa., nonchè avverso la memoria difensiva presentata nell'interesse della parte civile C.M., chiede la dichiarazione di inammissibilità o di irricevibilità di questi atti, oltre ad affermare l'infondatezza degli argomenti in essi addotti. In particolare, la richiesta di declaratoria di inammissibilità o irricevibilità prospetta la decadenza ex art. 611 c.p.p. negli stessi termini esposti nella terza memoria presentata nell'interesse dell' A..


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio nella parte in cui ha statuito l'assoluzione di A. S., in accoglimento dei ricorsi presentati in relazione a tale capo dal Procuratore generale presso la Corte d'appello di Bologna e dalle parti civili costituite.


I ricorsi proposti nell'interesse di T.V. e V. M., invece, sono infondati, come infondati o comunque da respingersi sono i ricorsi presentati dal Procuratore generale presso la Corte d'appello di Bologna e dalle parti civili nelle parti in cui, rispettivamente, formulano doglianze inerenti al trattamento sanzionatorio irrogato ai due imputati condannati, ovvero deducono la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla riduzione della somma concessa a titolo di provvisionale.


Inammissibili, infine, perchè non tempestivamente proposti, sono i motivi nuovi presentati dall'avvocato Paliero nell'interesse della parte civile Co.Fa..


2. Per ragioni di ordine logico, la sentenza esaminerà, innanzitutto, la questione della inammissibilità dei motivi nuovi e delle memorie depositate successivamente alla prima udienza fissata nel giudizio di cassazione.


Si procederà poi all'approfondimento dei temi relativi alla nullità della sentenza per difetto di correlazione con l'imputazione, alla inutilizzabilità della registrazione relativa al colloquio intercorso il 20 novembre 2008 tra il T., la Co. ed il G., ed alla inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal C., proposti, il primo, nel ricorso presentato nell'interesse del V. e, gli altri due, nel ricorso presentato nell'interesse del T.: si tratta, infatti, di questioni potenzialmente rilevanti a vantaggio di tutti e tre gli imputati, per il principio di estensione dell'impugnazione, ex art. 587 c.p.p.. Per la comunanza a tutti i ricorsi, sia pure con diversità di prospettive e di punti di partenza, saranno quindi affrontate le questioni concernenti l'ambito di rilevanza del vizio di motivazione, in particolare in relazione al cd. "travisamento della prova".


Definite le tematiche di tipo processuale, si tratterà delle problematiche afferenti alla ricostruzione ed alla qualificazione giuridica dei fatti poste nei ricorsi degli imputati V. e T., e, precisamente, nell'ordine, di quelle inerenti alla distinzione tra concussione ed induzione indebita, di quelle relative alla inidoneità in concreto del tentativo nel reato di concussione, e di quelle riguardanti la configurabilità della desistenza, e, da ultimo, di quelle attinenti il reato di rivelazione di segreti di ufficio. Saranno poi esaminate, congiuntamente, le censure formulate dal Procuratore generale e dalle parti civili in ordine alla statuizione assolutoria emessa nei confronti dell' A., quindi, le doglianze del Procuratore generale sulle pene irrogate al V. ed al T., infine, il motivo delle parti civili relativo alla quantificazione della provvisionale.


3. Sono inammissibili i motivi nuovi e le memorie depositati successivamente alla prima udienza fissata nel giudizio di cassazione - e, precisamente, i motivi nuovi depositati nell'interesse della parte civile Co.Fa., e le memorie difensive depositate nell'interesse della parte civile C.M. in data 29 febbraio 2016, nonchè le memorie difensive depositate nell'interesse degli imputati A.S. e V.M., entrambe in data 10 marzo 2016 - perchè atti presentati oltre il termine previsto a pena di decadenza, in quanto successivamente alla prima udienza della presente fase di giudizio, rinviata per astensione degli avvocati.


In effetti, per quanto attiene alla inammissibilità dei motivi nuovi, costituisce principio più volte enunciato e mai smentito nella giurisprudenza di legittimità, e che il Collegio intende ribadire, quello secondo cui il termine per la presentazione degli stessi deve essere calcolato avendo riguardo alla prima udienza in cui l'imputato è stato ritualmente citato (così, tra le altre, Sez. 5, n. 29604 del 17/06/2014, Tafuro, Rv. 263426, e Sez. 6, n. 14983 del 05/03/2014, Echeverry, non massimata, riguardante proprio il caso di prima udienza rinviata per l'astensione degli avvocati).


Identico principio, poi, deve essere affermato con riferimento alle memorie. Da un lato, infatti, l'art. 611 c.p.p., comma 1, ultimo periodo, con specifico riferimento al giudizio di cassazione, individua unitariamente il dies ad quem tanto per i motivi nuovi quanto per le memorie ("Fino a quindici giorni prima dell'udienza, tutte le parti possono presentare motivi nuovi e memorie e, fino a cinque giorni prima, possono presentare memorie di replica");


dall'altro, la disposizione appena indicata viene ritenuta pacificamente applicabile non solo ai procedimenti definiti con rito camerale, ma anche a quelli trattati in pubblica udienza (così, tra le tante, Sez. 3, n. 50200 del 28/04/2015, Ciotti, Rv. 265935, e Sez. 1, n. 19925 del 04/04/2014, Cutrì, Rv. 259618). Anche per le memorie, quindi, il termine per la presentazione, fissato a pena di decadenza, deve essere calcolato avendo riguardo alla prima udienza in cui l'imputato è stato ritualmente citato.


4. E' infondata la doglianza relativa al difetto di correlazione tra accusa e sentenza.


In particolare, il terzo motivo del ricorso presentato nell'interesse del V. deduce che si sarebbe verificata una variazione essenziale dei contenuti dell'addebito perchè, mentre la contestazione faceva riferimento ad un'attività di "induzione", ad una iniziativa del V. "fatta propria dai pubblici ufficiali" e ad una ipotesi di reato consumato, le due sentenze di merito hanno ritenuto sussistenti l'attività di "costrizione", l'accordo tra i pubblici ufficiali ed il V. già alla data in cui questi formulò le richieste di denaro alla Co. ed al C., e la fattispecie del reato tentato.


La decisione della Corte d'appello ha correttamente escluso che il fatto ritenuto in sentenza (già in primo grado) si caratterizzi per modifiche incidenti sul "nucleo essenziale del fatto reato descritto nell'imputazione". La stessa, infatti, ha osservato, in particolare, che l'imputazione descrive una condotta "già in sè... passibile di essere riguardata come di natura costrittiva" in quanto contenente "un chiaro riferimento alla menomazione grave della libertà di determinazione delle persone offese", che, secondo la giurisprudenza di legittimità, agli effetti dell'inquadramento delle fattispecie "pendenti" non possono ritenersi in alcun modo vincolanti le definizioni e le descrizioni anteatte (in termini di costrizione o induzione), valendo solo la qualificazione che risulti pertinente e corretta in relazione alla concreta realtà dei fatti, quale emergente dalla ricostruzione effettuata in sede di merito (così Sez. 6, n. 28431 del 12/06/2013), e che la definizione giuridica dei fatti in termini di tentata concussione era tutt'altro che imprevedibile.


Una conferma della mancata incidenza sul nucleo essenziale dell'accusa delle precisazioni contenute nelle due sentenze di merito rispetto all'enunciazione formale dell'addebito circa l'individuazione del momento dell'accordo può desumersi dalla irrilevanza dell'una o dell'altra ricostruzione ai fini della qualificazione del fatto in termini di tentata concussione. Infatti, se anche si volesse considerare l'ipotesi di un accordo sopravvenuto tra il V. ed i pubblici ufficiali, formatosi cioè solo dopo le richieste di denaro formulate dall'extraneus nelle date del 13 e 14 novembre 2008, ed anzi, come assume la difesa di questo, esclusivamente dopo la presentazione della denuncia ai Carabinieri in data 19 novembre 2008, il fatto resterebbe sussumibile nell'alveo della qualificazione giuridica per la quale è stata pronunciata condanna. Ed invero, la denuncia ai Carabinieri non determina l'irrilevanza o l'inidoneità in concreto delle condotte poste in essere successivamente: secondo il costante orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio, la circostanza che gli organi investigativi, attraverso indagini continue e accurate, riescano a monitorare e tenere sotto controllo la dinamica dell'azione criminosa che si protrae nel tempo, non vale di per sè a rendere la stessa inidonea ed inadeguata ai fini dell'art. 49 c.p., comma 2 (così Sez. 6, n. 36699 del 06/06/2008, Tortoioli, Rv. 241400, nonchè, in termini omogenei, con riferimento alla configurabilità dell'estorsione consumata, nel caso del pagamento della "tangente" in presenza delle forze dell'ordine preventivamente allertate ed appostate, v. Sez. 2, n. 25666 del 19/05/2009, Delicato, Rv. 244165, e, avendo riguardo alla ipotizzabilità della concussione consumata, nel caso di dazione effettuata dopo che la parte lesa si era rivolta alle forze di polizia, cfr. Sez. 6, n. 6091 del 11/01/1994, De Rossi, Rv. 199185).


Il riferimento linguistico che l'atto di accusa compie all'attività di "induzione", poi, è irrilevante, sia perchè occorre guardare alla condotta come concretamente contestata nel capo di imputazione, sia perchè il pubblico ministero non ha modificato l'addebito in relazione agli articoli di legge di cui assumeva la violazione, e che sono sicuramente significativi ai fini della comprensione della portata dell'accusa, come si evince dal dettato dell'art. 429 c.p.p., comma 1, lett. c): la contestazione, invero, ha continuato a fare espresso richiamo all'art. 317 c.p., pur essendo la disposizione introduttiva del reato di induzione indebita entrata in vigore in data antecedente alla sentenza di primo grado (emessa il 29 gennaio 2013), e, quindi, in tempo utile per eventuali mutamenti, rettifiche o precisazioni da parte del Pubblico ministero. Ne consegue, allora, che non può sostenersi, neppure sotto questo profilo, che vi sia stata condanna per un fatto diverso da quello contestato.


Il permanere del richiamo all'art. 317 c.p. nonostante la possibilità di una modifica o rettifica della contestazione, ancora, esclude che si sia verificata una modifica della qualificazione giuridica del fatto perchè la condanna ha avuto ad oggetto la fattispecie di tentata concussione, invece che quella di tentata indizione indebita. Se, poi, la doglianza fosse riferita alla riqualificazione della fattispecie dalla forma consumata a quella tentata, è già sufficiente rilevare che la ridefinizione giuridica del fatto è avvenuta in primo grado e su espressa richiesta degli imputati, sia pure formulata in via subordinata (cfr. p. 281 sentenza di primo grado).


5. Infondate, ancora, sono le censure relative alla inutilizzabilità probatorie dedotte nel quarto e nel quinto motivo ricorso presentato nell'interesse del T., ed aventi ad oggetto, da un lato, la registrazione relativa al colloquio intercorso il 20 novembre 2008 tra il T., la Co. ed il G., e, dall'altro, le dichiarazioni rese a dibattimento da C.M..


5.1. L'inutilizzabilità della registrazione effettuata dalla Co. con propri mezzi, ed avente ad oggetto il colloquio intercorso tra la stessa, il G. ed il T., è stata dedotta perchè trattasi di "documento prodotto soltanto in copia e contraddistinto da difetti tecnici atti ad inficiarne l'attendibilità e la genuinità".


Costituisce tuttavia principio consolidato, condiviso dal Collegio, quello secondo cui la copia di un documento, per il principio di libertà della prova, quando sia idonea ad assicurare l'accertamento dei fatti, ha valore probatorio anche al di fuori del caso di impossibilità di recupero dell'originale, pur se essa sia priva di certificazione ufficiale di conformità e sia stata disconosciuta dall'imputato (cfr., tra le tante, Sez. 2, n. 52017 del 21/11/2014, Lin Haihang, Rv. 261627, nonchè, con specifico riferimento a videoregistrazioni, Sez. 5, n. 10309 del 18/1071993, Fumero, Rv.


195557).


Nel caso di specie, i giudici di merito hanno espressamente motivato, offrendo argomentazioni non manifestamente illogiche, nè contraddittorie, sulle ragioni per le quali la registrazione deve ritenersi attendibile (cfr. p. 19-32 della sentenza di appello), specificando, in particolare, perchè i "buchi" evidenziati dalla difesa sono irrilevanti. A tal proposito, la sentenza impugnata rappresenta, innanzitutto, che il T., nei numerosi interrogatori cui è stato sottoposto, ed anche nel dibattimento, "si è difeso senza smentire l'autenticità di quei passaggi" della registrazione a lui contestati, osservando che le frasi da lui pronunciate erano "battute scherzose e chiacchiere da bar", anche quando aveva fatto riferimento alle intercettazioni compiute.


Segnala, poi, la "esatta" convergenza di contenuti tra la conversazione registrata il 20 novembre 2008 e la conversazione intercorsa tra il V. ed il C. il 25 novembre 2008, ed oggetto di intercettazione ambientale. Sottolinea, ancora, che, nonostante i "buchi", "è sufficiente leggere la trascrizione della registrazione per apprezzare sostanziale continuità, coerenza ed unitarietà nello snodarsi del discorso fra i vari interlocutori le cui voci a volte si sovrappongono", che "l'unico punto critico indicato dalla difesa appellante riguarda la parte iniziale della conversazione", e che, però, "a tutto concedere, la parte mancante -


per stessa ammissione della difesa appellante - riguarderebbe non più che un paio di minuti di conversazione", quando questa è durata complessivamente "circa un'ora e cinquanta minuti".


5.2. L'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese a dibattimento da C.M. è stata dedotta perchè lo stesso avrebbe dovuto essere esaminato come indagato in procedimento connesso, in quanto nei confronti del medesimo, quale legale rappresentante della Carpi Spurgo, ditta la cui sede è all'interno dei locali della Niagara ed effettuava trasporti di rifiuti per conto di questa, pendevano indagini per reati in materia di rifiuti.


La doglianza è infondata per l'insussistenza di una connessione tra procedimenti rilevante a norma dell'art. 12 c.p.p., comma 1, lett. a) e c), e art. 371 c.p.p., comma 2, lett. b).


Invero, esclusa la configurabilità della situazione di cui all'art. 12, comma 1, lett. a), che fa riferimento all'ipotesi in cui si proceda per un unico reato o, comunque per un unico evento, deve escludersi anche la sussistenza della fattispecie di cui all'art. 12 c.p.p., comma 1, lett. c), posto che non vi è alcun elemento per ritenere che i fatti di tentata concussione o di violazione del segreto di ufficio oggetto del presente procedimento siano stati commessi per eseguire od occultare illeciti penali riferibili al C. quale legale rappresentante della Carpi Spurgo. Ancora, non vi è alcun elemento per ritenere che sussista l'ipotesi prevista dall'art. 371 c.p.p., comma 2, lett. b), e quindi l'incompatibilità a rendere testimonianza, poichè, come afferma l'orientamento giurisprudenziale consolidato, il collegamento probatorio rilevante alla stregua di questa disposizione ricorre soltanto quando nei diversi procedimenti sussiste l'identità del fatto o di uno degli elementi di prova, ovvero quando è ravvisabile la diretta rilevanza di uno degli elementi di prova acquisiti in un procedimento su uno dei reati oggetto dell'altro procedimento (così, tra le tante, Sez. 2 n. 24570 del 14/05/2015, Torcasio, Rv. 264397, e Sez. 5, n. 31170 del 20/05/2009, Sganzerla, Rv. 244491, nonchè, in termini ancor più restrittivi per l'affermazione della incompatibilità, Sez. 5, n. 10445 del 14/12/2011, dep. 2012, Protoduari, Rv. 252006).


6. Prima di esaminare i profili specificamente posti in ordine alla ricostruzione e qualificazione giuridica dei fatti, il costante richiamo nei ricorsi al vizio di motivazione rende utile fornire un'indicazione in termini generali, nei limiti strettamente funzionali all'esame dei motivi prospettati, relativamente ai criteri seguiti dal Collegio ai fini dell'individuazione dell'ambito di rilevanza della tipologia di censura prevista dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in particolare in relazione al cd. "travisamento della prova".


6.1. Principio consolidato, e dal quale non vi è motivo di dissentire, è quello secondo cui nel giudizio di legittimità sono precluse sia la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, sia l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (così, da ultimo, Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv., 265482, ma anche, nello stesso ordine di idee, Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099).


Molteplici i corollari desumibili da questo principio. In primo luogo, debbono essere ritenute inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (così Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965). In secondo luogo, il vizio di contraddittorietà della motivazione non può ritenersi integrato dal mero contrasto tra due proposizioni del contenuto motivazionale, ma ricorre solo se la inconciliabilità degli enunciati contrastanti, nel complessivo impianto del costrutto argomentativo posto a fondamento della decisione, risulti tale da comprometterne l'assetto e la tenuta della sequela logico-giuridica (in questi termini, Sez. 1, n. 5718 del 19/12/2013, dep. 2014, Mondì, Rv. 259409). In terzo luogo, ancora, non risulta sufficiente il mero richiamo al principio dell'"oltre ogni ragionevole dubbio" per valorizzare e rendere decisiva nel giudizio di legittimità la presenza di una duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto emersa in sede di merito su segnalazione della difesa, se tale duplicità sia stata oggetto di puntuale e motivata disamina da parte del giudice di appello (in tal modo, Sez. 1, n. 53512, del 11/07/2014, Gurgone, Rv. 261600).


6.2. Ciò posto, e pur essendo perciò ristretto l'ambito di operatività del difetto di motivazione nel giudizio di legittimità, il riferimento dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), alla possibilità di dedurre la "mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione" anche "quando il vizio risulta... da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame" riconosce sicura rilevanza al cd. "vizio di travisamento della prova", che è configurabile sia quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo, sia quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia (cfr., tra le tantissime, Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499, e Sez. 2, n. 5223 del 24/01/2007, Medina, Rv. 236130). Del resto, e significativamente, un diffuso orientamento giurisprudenziale considera l'omesso esame di un punto decisivo per l'accertamento del fatto addirittura quale causa di violazione di legge, e quindi, vizio censurabile per cassazione anche in materia di misure cautelari reali (v., in questo senso, da ultimo, Sez. 3, n. 28241 del 18/02/2015, Baronio, Rv. 2614011).


Al fine di stabilire se la prova inesistente o, al contrario, non valutata abbia carattere di decisività ai fini della pronuncia, diverse decisioni hanno sottolineato la necessità che l'errore sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato probatorio pretermesso (così, in particolare, Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774, nonchè Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007, Musumeci, Rv. 237207).


Resta peraltro il problema di come il giudice di legittimità debba ricostruire il significato della prova non considerata dal giudice di merito per inferirne il carattere di decisività, specie quando la sentenza impugnata abbia un contenuto assolutorio. Per evitare di accedere ad apprezzamenti tipicamente riservati al giudice di merito, e nello stesso tempo ad annullamenti "esplorativi", deve ritenersi che il sindacato della Corte di cassazione sia da compiere assumendo la prova pretermessa nel significato prospettato dalla parte deducente, ma procedendo alla luce del criterio della non manifesta illogicità, e tenendo conto delle obiezioni delle altre parti. Una volta ricostruito in questi termini il contenuto dell'elemento probatorio non considerato dal giudice di merito, sarà poi possibile verificare se il dato conoscitivo sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio della sentenza impugnata, nella prospettiva della regola della colpevolezza "al di là di ogni ragionevole dubbio". Invero, seguendo questa metodologia, la Corte di legittimità non anticipa impropriamente un giudizio di merito, che non le spetta e che, per di più, deve essere compiuto alla luce di tutte le evidenze istruttorie disponibili, ma rimane in un ambito di verifica della tenuta logica della motivazione, operata nel rispetto del criterio decisorio positivizzato dall'art. 533 c.p.p., come novellato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 5.


7. Risolte le questioni attinenti ai profili più specificamente processuali, appare utile compiere una breve premessa di carattere generale - anche a questo proposito nei limiti di interesse per l'esame dei singoli motivi, in particolare di quelli formulati nei ricorsi del V. e del T. - sui temi della distinzione tra concussione ed induzione indebita, del discrimen tra tentativo di concussione e reato impossibile avendo riguardo alla inidoneità in concreto degli atti posti in essere, e della possibile configurabilità della desistenza.


7.1. Indicazioni fondamentali ai fini delle individuazione della linea di confine tra concussione ed induzione indebita sono fornite da Sez. U, n. 12228 del 24/10/2013, dep. 2014, Maldera, Rv. 258470.


Nell'enunciare i principi di diritto, questa decisione non solo ha inteso sottolineare che il delitto di concussione può essere realizzato, oltre che mediante violenza, anche "mediante minaccia, esplicita o implicita, di un danno contra ius, da cui deriva una grave limitazione, senza tuttavia annullarla del tutto, della libertà di autodeterminazione del destinatario", e che lo stesso differisce da quello di induzione indebita, perchè la pressione morale posta a fondamento di quest'ultima fattispecie si presenta "con più tenute valore condizionante la libertà di autodeterminazione del destinatario, il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perchè motivato dalla prospettiva di conseguire un indebito tornaconto personale, il che lo pone in una posizione di complicità col pubblico agente e lo rende meritevole di sanzione", ma si è anche espressamente fatta carico dell'esigenza di individuare l'esatta linea di confine tra queste due figure delittuose.


E' stata perciò oggetto di esplicita enunciazione anche la regola per risolvere i "casi c.d. ambigui". A tal proposito, le Sezioni unite hanno innanzitutto indicato, tra le vicende esemplificative della "c.d. zona grigia", quelle "della minaccia-offerta", "dell'esercizio del potere discrezionale", ovvero quelle implicanti un "bilanciamento tra beni giuridici coinvolti nel conflitto decisionale"; hanno poi rilevato che, in relazione a tali ipotesi, "i criteri di valutazione del danno antigiuridico e del vantaggio indebito, che rispettivamente contraddistinguono i detti illeciti concussione ed induzione indebita, devono essere utilizzati nella loro operatività dinamica all'interno della vicenda concreta, individuando, all'esito di una approfondita ed equilibrata valutazione complessiva del fatto, i dati più qualificanti".


In motivazione, la sentenza ha ulteriormente precisato che "il criterio discretivo tra il concetto di costrizione e quello di induzione, più che essere affidato alla dicotomia male giusto - male ingiusto..., la quale può creare... qualche equivoco interpretativo, deve essere ricercato nella dicotomia minaccia - non minaccia, che è l'altro lato della medaglia rispetto alla dicotomia costrizione-


induzione, evincibile dal dato normativo"; questo, in particolare, perchè vi sono casi in cui viene in rilievo la minaccia di un male ingiusto si abbina alla offerta di un vantaggio indebito.


Ha inoltre evidenziato che "il "danno ingiusto" e il "vantaggio indebito", quali elementi costitutivi impliciti rispettivamente della condotta costrittiva di cui all'art. 317 c.p. e di quella induttiva di cui all'art. 319 quater c.p., devono essere apprezzati con approccio oggettivistico, il quale, però, deve necessariamente coniugarsi con la valutazione della proiezione di tali elementi nella sfera conoscitiva e volitiva delle parti. L'accertamento, cioè non può prescindere dalla verifica del necessario intreccio tra gli elementi oggettivi di prospettazione e quelli soggettivi di percezione, per evitare che la prova si fondi su meri dati presuntivi".


Ha quindi rappresentato che "prospettare..., in maniera del tutto estemporanea e pretestuosa, l'esercizio sfavorevole del proprio potere discrezionale, al solo fine di costringere il privato alla prestazione indebita, integra certamente la minaccia di un male ingiusto", poichè il privato, in questa ipotesi, "si "piega" all'abuso, proprio per scongiurarne gli effetti per lui ingiustamente dannosi"; diversamente, si configura il reato di induzione indebita se l'atto discrezionale è prospettato nell'ambito di un'attività legittima, "si fa comprendere al privato che, cedendo alla pressione abusiva, può conseguirsi un trattamento indebitamente favorevole", e quest'ultimo condivide e fa proprio tale illegittimo obiettivo.


Proprio muovendo da questa impostazione, è stata ravvisata l'esistenza della concussione e non dell'induzione indebita con riferimento a condotte di ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria che avevano prospettato ad imprenditori l'esercizio sfavorevole dei loro poteri coercitivi discrezionali in caso di mancata adesione alle loro richieste, o, invece, al contrario, vantaggi indebiti -


marginali - in caso di accettazione della illecita pretesa.


Emblematico il caso esaminato da Sez. 6, n. 6056 del 23/09/2014, dep. 2015, Staffieri, Rv. 262332, avente ad oggetto la condotta di un carabiniere che aveva ottenuto il versamento di ingenti somme di denaro minacciando un imprenditore di far fallire l'impresa, di arrestarlo o comunque di determinargli conseguenze gravemente pregiudizievoli a seguito della morte presso un cantiere di un lavoratore irregolarmente occupato, ma deceduto per cause naturali, ed aveva poi condizionato il corso delle indagini in favore del soggetto minacciato. Molto significativa, inoltre, anche la vicenda esaminata da Sez. 6, n. 37655 del 11/07/2014, Patrociello, Rv.


260183, concernente la condotta di un carabiniere che, compiendo un controllo con modalità arbitrarie e vessatorie nei confronti di un imprenditore cinese, ingenerava un clima di tensione e preoccupazione, tale da rendere necessitata l'offerta di una somma di denaro quale corrispettivo per omettere la denuncia della condizione di clandestinità dei dipendenti.


7.2. Quanto alla configurabilità del tentativo di concussione, e, quindi, alla esclusione del reato impossibile, è già stato indicato in precedenza che non può parlarsi di irrilevanza in concreto degli atti posti in essere dal concussore, o comunque dall'autore di una minaccia finalizzata a ricevere un ingiusto profitto, solo perchè il destinatario dell'indebita richiesta si sia rivolto alle forze di polizia (v. supra, 4).


Deve solo aggiungersi, per completezza, che, in linea generale, nella giurisprudenza di legittimità si ritiene sufficiente, ai fini della sussistenza della fattispecie tentata di concussione, la sola oggettiva efficacia intimidatoria della condotta, mentre è indifferente il conseguimento del risultato concreto di porre la vittima in stato di soggezione (così, da ultimo, Sez. 6, n. 25255 del 01/04/2014, R., Rv. 259973), e che il tentativo del delitto previsto dall'art. 317 c.p., come il tentativo di induzione indebita ex art. 319-quater c.p., sono sicuramente integrati anche quando il destinatario della richiesta opponga resistenza all'iniziativa del pubblico ufficiale presentando denuncia o querela (cfr., rispettivamente, per l'ipotesi di tentata concussione, Sez. 6, n. 25887 del 23/06/2006, Napoli, Rv. 234999, e per l'ipotesi di tentata induzione indebita, Sez. 6, n. 46071 del 22/07/2015, Scarcella, Rv.


265351).


7.3. Con riferimento ai limiti di configurabilità della desistenza, secondo l'insegnamento consolidato, la figura in discorso presuppone la perdurante possibilità di consumazione del delitto (cfr., tra le tante, Sez. 2, n. 44148 del 07/07/2014, Guglielmino, Rv. 260855, nonchè Sez. 6, n. 40678 del 11/10/2011, Rinaldi, Rv. 251058), e, a tal fine, è necessario che la scelta di non proseguire nell'azione criminosa sia operata in una situazione di libertà interiore, indipendente da fattori esterni idonei a menomare la libera determinazione dell'agente (così, da ultimo, Sez. 2, n. 7036 del 29/01/2014, Canadè, Rv. 258791, che ha escluso la configurabilità della desistenza volontaria in relazione a contestazione di tentata estorsione avendo riguardo ad una condotta dell'imputato, il quale si era rivolto ai Carabinieri consentendo il ritrovamento del veicolo, oggetto del reato, solo dopo aver raggiunto la consapevolezza di non riuscire ad ottenere il pagamento della somma richiesta alla persona offesa, e dell'esistenza di indagini già in corso, nel cui ambito temeva di essere già stato identificato e prossimo ad un possibile arresto). Significativo, inoltre, è che più volte la giurisprudenza di legittimità, con specifico riferimento alla concussione, ha escluso tanto la configurabilità della desistenza, quanto la inidoneità degli atti ai fini della configurabilità del tentativo, nel caso in cui non si è verificata la consumazione del reato per la resistenza della parte offesa (cfr., in particolare, Sez. 6, n. 6113 del 25/02/1994, Fumarola, Rv. 198497, nonchè Sez. 6, n. 11952 del 06/04/1990, Fiorentini, Rv. 185204). 8. Tenendo conto dei principi giuridici appena esposti, è possibile esaminare le doglianze mosse nei ricorsi del V. e del T., anche mediante censura di vizi di motivazione, in ordine alla ricostruzione dei fatti operata nella sentenza impugnata nelle parti relative alla configurabilità e sussistenza del reato di tentata concussione. In particolare, il ricorso del V. deduce, nel primo motivo, il mancato rilievo dell'inidoneità in concreto del tentativo, nel secondo e in parte nel quarto motivo, l'assenza di una situazione di costrizione delle persone offese, e, nel resto del quarto motivo, il mancato rilievo della desistenza. Il ricorso del T. deduce, nel primo motivo, l'insussistenza di una situazione di costrizione delle persone offese, nel secondo motivo, l'inidoneità in concreto del tentativo, e, nel terzo motivo, il mancato riconoscimento della desistenza. Per evitare inutili ripetizioni, i motivi in questione saranno esaminati congiuntamente in relazione ai profili comuni. 9. L'inidoneità in concreto del tentativo è stata sostenuta, osservandosi che le indicazioni espresse dal V. alla Co. ed al C. nelle date del 13 e del 14 novembre 2008, per come rappresentate nelle dichiarazioni testimoniali delle persone offese, sono di contenuto diverso da quelle prospettate dal T. alla Co. ed al G. il 20 novembre 2008 e dal medesimo V. al C. nell'incontro del 25 novembre 2008, e risultanti dalle registrazioni effettuate; da ciò, la conseguenza dell'alternativa della inattendibilità delle dichiarazioni delle persone offese, ovvero della autonomia delle iniziative del V. rispetto al T. prima della denuncia presentata dai dirigenti della società Niagara all'Autorità Giudiziaria, e quindi della inidoneità del tentativo. 9.1. La sentenza impugnata ha ritenuto attendibili le dichiarazioni della Co. circa il contenuto del suo colloquio con il V. in data 13 novembre 2008, secondo le quali quest'ultimo, accompagnando le parole con un significativo gesto della mano, le aveva detto che era necessario prendere contatti con i Carabinieri che stavano svolgendo le indagini nei confronti della Niagara e versare del denaro per evitare gravi misure coercitive personali e reali, rappresentandole inoltre l'esigenza di discutere dell'argomento con C.M.. A tal proposito, i giudici di merito hanno evidenziato che le dichiarazioni della Co. sono confermate da una pluralità di elementi, e, in particolare, dalle convergenti deposizioni di G.D. e C.L., marito della Co. e figlio di C.M., caratterizzate da una perfetta corrispondenza di contenuti, concetti, dettagli impossibili da concordare, tanto più considerato che i testi suddetti sono stati sentiti in tempi diversi e non potevano conoscere l'esatta verbalizzazione delle s.i.t. rese da C.M. il 19 novembre 2008 all'Autorità Giudiziaria inquirente. La sentenza impugnata ha poi ritenuto attendibili le dichiarazioni di C.M. in ordine al contenuto del suo colloquio con il V. in data 14 novembre 2008. Il teste ha riferito che l'imputato appena indicato gli aveva rappresentato la necessità di versare una somma di denaro tra i 20.000 ed i 30.000 Euro da consegnare a T.V. e A.S., perchè, in caso di mancato pagamento, gli stessi avrebbero formulato all'Autorità Giudiziaria richieste molto rigorose nei confronti suoi e dei suoi dipendenti. La conclusione dell'attendibilità di tali dichiarazioni è stata motivata sulla base di una pluralità di elementi acquisiti nel corso delle indagini, non ultimo il contenuto dell'interrogatorio reso dal V. nel corso delle indagini il 2 marzo 2009, nel quale questi aveva ammesso che l'iniziativa di contattare i militari era partta da lui e non aveva escluso si fosse parlato "anche di cifre specifiche ed in particolare di quella che mi viene contestata", pur dandosi atto della successiva modifica di queste indicazioni, e del riversamento sul C. di ogni iniziativa intesa a raggiungere i Carabinieri ed a "far loro un regalo". Le dichiarazioni del C. relativamente al contenuto del colloquio del 14 novembre 2008 sono state ritenute attendibili anche alla luce di quanto accertato in ordine al successivo dialogo da lui intrattenuto con il V. il 25 novembre 2008, ed oggetto di intercettazione. La Corte di appello, in particolare, ha evidenziato che il V., dopo aver rappresentato che i Carabinieri avevano manifestato difficoltà ad intervenire su un'indagine in relazione alla quale avevano già riferito alla competente Procura della Repubblica, aveva poi segnalato la possibilità di un margine di intervento per risolvere il problema, aveva manifestato vicinanza al C., riconoscendogli la posizione di "vittima", ed aveva più volte parlato di "far transitare la cifra", in particolare rappresentando l'opportunità di prendere "contatto presso lo studio, che ti diranno loro, uno studio legale a cui appoggiarti"; nel corso del colloquio, inoltre, il V. aveva anche evidenziato al C. che il ricorso alle iniziative legali per far valere le ragioni sue e della sua società era sicuramente più "costoso". I giudici di merito, inoltre, hanno sottolineato che il V. non ha saputo spiegare queste parole, se non come una sua "millanteria, invenzione e iniziativa". La sentenza impugnata, quindi, ha concluso che "la condotta del V. presuppone necessariamente la condivisione del piano da parte dei carabinieri (o, quanto meno, di uno di essi)", sia perchè sarebbe del tutto illogico pensare ad un'iniziativa così articolata, senza la prospettiva di vantaggi immediati, e con il rischio di compromettere gravemente i rapporti dell'agente con i militari e con un imprenditore del suo settore, con il quale aveva da anni relazioni commerciali, sia perchè una significativa convergenza di contenuti risulta dalle affermazioni fatte dal T. alla Co. ed al G. il 20 novembre 2008. Si evidenzia, infatti, che in questa conversazione, il Carabiniere: a) insiste sulla bontà delle conclusioni tecniche dell'indagine (la Niagara tratterebbe anche il "rifiuto secco" in violazione dell'autorizzazione, rilasciata solo per il trattamento di rifiuti liquidi e semi-liquidi); b) dichiara di parlare perchè "c'è di mezzo un amico di un amico", e fa riferimento a " M." nome di V. come persona che ha già parlato con C. e che farà da "tramite"; c) segnala la modalità per risolvere i "problemi", facendo riferimento alla futura indicazione di "un avvocato dove potervi rivolgere", ed aggiungendo di aver parlato di ciò anche a " M."; e) opera continui riferimenti al carcere, specie nei confronti del G., ed alla chiusura dell'impianto, segnalando il sequestro come l'ipotesi più probabile, e sottolinea l'importanza del suo ruolo ("io sono il principale accusatore, l'unico"), anche per limitare i danni ed individuare una soluzione utile ad evitare misure coercitive reali e personali. 9.2. La ricostruzione dei fatti effettuata dalla Corte di appello, sul punto del tutto sovrapponibile a quella del Tribunale, risulta immune dai vizi logici denunciati. Non può dirsi, infatti, manifestamente illogica l'affermazione dell'esistenza di una linea di continuità tra le indicazioni fornite dal V. il 13 ed il 14 novembre 2008 e quelle rappresentate il 25 novembre 2008: anche in quest'ultimo dialogo, il V. riferisce di "far transitare la cifra", e riporta l'esigenza di effettuare la dazione ai Carabinieri per evitare l'applicazione di misure cautelari disastrose per l'azienda. Allo stesso modo, inoltre, non può dirsi manifestamente illogica l'affermazione dell'esistenza di un accordo tra il V. ed i "carabinieri (o, quanto meno,... uno di essi)" in ordine alla formulazione delle richieste, in particolare per la corrispondenza del contenuto delle parole indirizzate alla Co. ed al C. dall'extraneus il 13, 14, e 25 novembre 2008 e di quelle pronunciate alla Co. ed al G. dal T. in data 20 novembre 2008. In particolare, il rilievo prospettato dalla difesa del T., secondo cui dal contenuto del colloquio appena indicato si evincerebbe, al più, una generica disponibilità ad aiutare i dirigenti della società Niagara in futuro, dopo l'uscita del ricorrente dall'Arma dei Carabinieri, implica una rilettura alternativa del materiale istruttorio non consentita in sede di legittimità. Ciò, tanto più che il rilievo appena indicato non è dedotto neppure sub specie di vizio di travisamento della prova e si scontra con un apprezzamento estremamente approfondito e logicamente congruente delle pertinenti risultanze istruttorie da parte della Corte di appello. E' stata correttamente raggiunta, quindi, la conclusione che il V. agì d'intesa con entrambi i carabinieri o almeno con il T., nel prospettare ripetutamente le illecite richieste, la cui accettazione era presentata come necessaria al C. ed ai dirigenti della Niagara per evitare l'applicazione di gravi misure cautelari, e che il T. chiaramente avvalorò tali iniziative nel colloquio intercorso in 20 novembre 2008 con la Co. ed il G.. Deve conseguentemente escludersi che l'attività ripetutamente, insistitamente, ed articolatamente posta in essere dal V. e dal T. sia consistita in atti intrinsecamente inidonei a dare luogo alla consumazione del tentativo. Nè assume rilievo a tal fine l'individuazione dell'esatto momento nel quale fu raggiunta l'intesa del V. con i "carabinieri (o, quanto meno,... uno di essi)". La sentenza impugnata ha, con motivazione immune da vizi affermato, che l'intesa fu precedente già al primo "contatto" del 13 novembre 2013 con la Co.. Tuttavia, se anche si volesse condividere la tesi che l'accordo intervenne immediatamente prima del 20 novembre 2008, ma dopo la presentazione della denuncia all'Autorità Giudiziaria da parte del C., la "ratifica" delle iniziative dell'extraneus da parte del T. nel colloquio con la Co. ed il G., e le parole ed il contegno del V. - appena presentato dal Carabiniere anche come suo futuro nuncius - in occasione della successiva conversazione con il C. in data 25 novembre 2008, sarebbero di per sè sole sufficienti ai fini dell'affermazione della responsabilità penale di entrambi gli imputati: per le ragioni esposte in precedenza (v. supra, 4 e 7.2), non possono dirsi penalmente irrilevanti neppure le illecite proposte concussive formulate dopo la presentazione di una denuncia. 10. L'assenza di una situazione di costrizione in capo alle persone offese, e quindi, di una condotta qualificabile in termini di tentata concussione, è stata argomentata sui seguenti rilievi: l'indagine nei confronti della Niagara non era strumentale, come dimostrava la sottoscrizione dell'informativa anche da parte del Capitano B., avvenuta il 24 dicembre 2008, e sarebbe stata inoltre possibile l'adozione di una misura cautelare reale pure per reati contravvenzionali, sicchè l'accettazione della richiesta avrebbe procurato comunque un indebito tornaconto ai destinatari; l'effetto coartante sulle persone offese non vi era stato, tanto che le stesse non avevano aderito alla proposta; l'intervento prospettato dal T. era di fatto inutile o marginale, poichè l'informativa, almeno in bozza, era già stata esaminata dal Capitano dei Carabinieri e comunicata al magistrato procedente. 10.1. L'affermazione della non strumentalità dell'indagine nei confronti della Niagara, in realtà, è di per sè irrilevante. La sentenza impugnata, anche richiamando quella di primo grado, al fine di evidenziare la sussistenza del tentativo di concussione, ha evidenziato che: a) le richieste illecite si inserivano in un contesto specifico e significativo, nel quale era stata già più volte evocata l'imminenza dell'adozione di provvedimenti coercitivi (si ricorda, in particolare, che il T. già in ottobre aveva detto al G. "tieniti libero per Natale", mentre discuteva con lo stesso della legittimità delle operazioni di smaltimento dei rifiuti da parte della Niagara, perchè asseritamente concernenti anche rifiuti solidi, e della nozione di "residuo secco"); b) le pressioni esercitate sulle persone offese si caratterizzavano per la prospettata adozione di misure il cui "verificarsi viene fatto dipendere dalla volontà, francamente discrezionale, del pubblico ufficiale"; c) era palese "l'assenza di un atteggiamento psichico opportunistico" da parte delle persone offese, in quanto queste, da un lato, avevano immediatamente denunciato l'illecita proposta all'Autorità Giudiziaria, e, dall'altro, avevano più volte manifestato la convinzione della correttezza del loro operato adducendo argomenti tecnici anche nel corso del colloquio con il T. del 20 novembre 2008, e, nel caso del G., finanche nelle forme di un contatto con le funzionarie dell'A.R.P.A. per parlare delle indagini in corso ed esprimere la bontà del proprio convincimento; d) deve ritenersi indiscutibilmente accertata la consapevolezza del T. della elevata opinabilità delle proprie tesi in ordine alla nozione di "residuo secco", e, quindi, all'affermazione che la Niagara smaltisse anche rifiuti solidi, così da rendere configurabile il reato di traffico illecito di rifiuti ex D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 260, attesi sia il contenuto dei chiarimenti a lui specificamente forniti in proposito dalla dott.ssa D., funzionaria dell'A.R.P.A., nel settembre del 2008, sia l'invito da lui formulato al G., nel corso del colloquio registrato del 20 novembre 2008, di non parlare della questione con il personale dell'A.R.P.A.. Quanto evidenziato consente di rilevare che la Corte d'appello ha correttamente applicato la disciplina in tema di concussione ed induzione indebita, tenendo conto delle modifiche apportate dalla L. 6 novembre 2012, n. 190 . Invero, pur muovendo dall'assunto della non strumentalità dell'indagine svolta dal N.O.E., le richieste illecite formulate dal V. e dal T. possono essere qualificate come "minaccia" nei termini precisati da Sez. U, Maldera, cit. Da un lato, infatti, il T., se fosse ancora necessario, nel corso del colloquio del 20 novembre 2008 con la Co. ed il G., dopo aver ribadito l'estrema gravità dei rischi, anche strettamente personali, per la società e per i suoi dirigenti, aveva esplicitato l'importanza del proprio ruolo, anche al fine di un possibile contenimento dei "danni". Dall'altro, poi, non solo la sussistenza di obiettivi e seri elementi di accusa era in buona fede esclusa dal G. e dal C.: l'implausibilità, o comunque l'elevata opinabilità, della tesi accusatoria - incentrata sulla violazione dell'autorizzazione, limitata al trattamento dei soli rifiuti liquidi e semiliquidi, in ragione del criterio della percentuale di "residuo secco" - era nota anche al maresciallo T., alla luce dei chiarimenti richiesti ed ottenuti dai funzionari del N.O.E., ed allo stesso V., il quale, alle spiegazioni del C. sulla bontà delle ragioni di Niagara, aveva replicato che "nel nostro ordinamento siamo vittime in sostanza...", e che, a voler resistere con gli strumenti legali e giudiziari, invece di aderire alle richieste illecite, "costa di più". Del resto, da un punto di vista oggettivo, la inidoneità delle tesi del T. a fondare l'applicazione anche solo di misure cautelari trova conferma pure nella ragione posta a fondamento dell'archiviazione dell'indagine nei confronti della Niagara: l'Autorità giudiziaria procedente, secondo quanto indicato nella stessa memoria di tale imputato, ha deciso di non esercitare l'azione penale, e, quindi, di definire il procedimento senza neanche procedere al contraddittorio processuale, proprio per l'incertezza sul dato scientifico relativo alla natura (solo liquida e semi-liquida o anche solida) dei rifiuti trattati dalla società. In sintesi, pertanto, il rango dei beni esposti a pericolo - la libertà personale e la sicurezza lavorativa -, la prospettazione del tutto estemporanea dell'esercizio sfavorevole del proprio potere discrezionale, e la percezione, anche soggettiva, per autori e destinatari delle richieste, dell'ingiustizia del danno derivante dall'applicazione di misure cautelari reali e personali, nonchè, correlativamente, dell'assenza di vantaggi indebiti in caso di mancata adozione delle stesse, sono tutti indici che, convergentemente, fanno ritenere esatta la qualificazione delle condotte del V. e del T. in termini di tentata concussione. 10.2. Le conclusioni appena indicate non mutano in considerazione dei rilievi sull'assenza di un effetto coartante sulle persone offese, per la mancata adesione delle stesse alla richiesta, o sull'inutilità dell'intervento prospettato dal T., in ragione della già avvenuta sottoposizione dell'informativa al Capitano B. ed al magistrato procedente. Quanto al primo rilievo, si è già evidenziato in precedenza (v. supra, 4 e 7.2) che il tentativo del delitto di concussione deve ritenersi sicuramente sussistente anche quando il destinatario della richiesta opponga resistenza all'iniziativa del pubblico ufficiale presentando denuncia o querela. Può aggiungersi, peraltro, che tale impostazione trova conferma, almeno indirettamente, anche nelle enunciazioni di Sez. U, Maldera, cit., laddove questa rappresenta che il delitto di cui all'art. 317 c.p. non postula un totale "annichilimento" della libertà di autodeterminazione della vittima, in quanto può consumarsi "mediante minaccia, esplicita o implicita, di un danno contra ius, da cui deriva una grave limitazione, senza tuttavia annullarla del tutto, della libertà di autodeterminazione del destinatario". Quanto al secondo rilievo, è sufficiente osservare che, alla data dei "contatti" illeciti, nel novembre 2008, il T. aveva semplicemente inviato via mail una bozza dell'informativa al magistrato procedente, ma il testo finale della relazione doveva essere ancora definitivamente fissato, tanto che la stessa, alla luce di quanto precisato nella sentenza impugnata, fu firmata dal Capitano B. solo il 24 dicembre 2008 e fu depositata in Procura nella seconda metà mese di gennaio del 2009. 11. La configurabilità della desistenza è stata prospettata alla luce sia di alcune asserite contraddizioni della sentenza impugnata, sia della ipotizzabilità dell'esimente anche in caso di cessazione della condotta determinata da una valutazione degli svantaggi derivanti dalla prosecuzione dell'attività criminosa, sia della possibilità per il T., del tutto ignaro di essere stato denunciato, di intervenire in relazione alla posizione delle persone offese. 11.1. Le contraddizioni della sentenza impugnata sarebbero desumibili dal fatto che questa, da un lato, definisce "pacifica l'interruzione dell'iter criminoso", per la "necessità di non incorrere nel rischio di essere scoperti... soprattutto per l'agitarsi del G.", e, dall'altro, parla di "plurimi elementi che depongono nel senso di una strategica temporanea stasi". Come si è già evidenziato in precedenza (v. supra, 6), costituisce insegnamento giurisprudenziale, che il Collegio condivide, quello secondo cui, al fine di integrare il vizio di contraddittorietà della motivazione, non è sufficiente il mero contrasto tra due proposizioni del tessuto motivazionale, essendo altresì necessario che la inconciliabilità degli enunciati contrastanti, nel complessivo impianto del costrutto argomentativo posto a fondamento della decisione, risulti tale da comprometterne l'assetto e la tenuta della sequela logico giuridica (così Sez. 1, n. 5718 del 19/12/2013, dep. 2014, Mondì, Rv. 259409). La sentenza impugnata, con argomentazione immune da vizi logici, ha offerto precisi e consistenti elementi per spiegare il proprio convincimento sulla grave preoccupazione per il T. di essere "scoperto" insorta in data 1 dicembre 2008. A tal proposito, infatti, sono state richiamate le vorticose conversazioni telefoniche dell'i dicembre 2008 a seguito della notizia dell'attivazione del G. presso le funzionarie dell'A.R.P.A. per riferire dell'indagine del N.O.E. e sostenere la fondatezza della tesi da lui sostenuta, e poi la stasi di ogni comunicazione via telefono in ordine alla questione Niagara tra i tre imputati, nonostante gli stessi continuassero ad incontrarsi quasi quotidianamente. In particolare, nella prima di queste conversazioni, intercorsa tra il T. e l' A., il primo aveva riferito al secondo di quanto appreso dalle funzionarie dell'A.R.P.A. sulle iniziative del G. e gli aveva chiesto di intervenire in modo urgente sul C. per porre freno alle iniziative del suo dipendente; le successive telefonate, poi, avevano documentato i contatti intervenuti in rapida successione dapprima tra l' A. ed il V. e poi tra quest'ultimo ed il C., entrambe indirizzate a "contenere" il G.. Ancora, la sentenza impugnata ha indicato compiutamente gli elementi da cui desumere che, dopo questa vicenda, il proposito concussivo non fu ancora definitivamente abbandonato, tanto che vi furono ulteriori contatti tra il V. ed il C., e che, in particolare, ancora in data 23 dicembre 2008, il primo rinnova al secondo la propria disponibilità ad organizzare un incontro con i militari o chi per essi. Nè è manifestamente illogico affermare il sopraggiungere di una "stasi" e non di una cessazione dal proposito criminoso a seguito della conoscenza dei contatti tra il G. e le funzionarie del N.O.E., così come non è implausibile ritenere che il pericolo di essere scoperti abbia indotto ad un atteggiamento di grande o comunque maggior cautela e non, invece, alla decisione di abbandonare definitivamente il progetto delittuoso. E' perciò correttamente motivata la conclusione secondo cui l'attività illecita ebbe "una battuta d'arresto" per il "verificarsi di contingenze esterne tali da compromettere il contesto ideale per la perpetrazione del delitto, così da indurre a soprassedervi per il momento, in attesa di più favorevoli condizioni". 11.2. La ricostruzione appena indicata rende poi inconferente la deduzione, prospettata dalla difesa del T., secondo cui questi avrebbe potuto comunque porre in essere interventi in relazione alla posizione delle persone offese: l'inazione del ricorrente successiva alla data dell'1 dicembre 2008 è logicamente coerente - e non certo in contraddizione - con la scelta di procedere ad una "strategica temporanea stasi" del progetto criminoso in attesa del manifestarsi di una situazione meno rischiosa. 11.3. Alla luce della ricostruzione dei fatti effettuata nella sentenza impugnata in termini immuni da vizi logici o giuridici, non vi è nessuno spazio per affermare la configurabilità della desistenza. Invero, la scelta di mettere in stand-by il progetto concussivo, rinviandone la realizzazione ad un momento in cui fosse venuto meno il pericolo di essere scoperti, non implica cessazione del proposito criminoso, ma accantonamento dello stesso per l'esistenza di ostacoli esterni. L'esistenza di ostacoli esterni, poi, secondo l'insegnamento giurisprudenziale precedentemente riportato (v. supra, 7.3), e che il Collegio condivide, esclude la libertà interiore, e, quindi la "volontarietà" della stasi dell'azione penalmente illecita, ossia l'esistenza di un dato che, per espressa indicazione dell'art. 56 c.p., comma 3, è elemento costitutivo della desistenza. 12. L'affermazione della sussistenza del reato di rivelazione di segreto di ufficio, ritenuta nei confronti del solo T., è stata contestata da quest'ultimo, anche mediante censura di vizi di motivazione, in particolare sul rilievo che la fattispecie in esame costituisce reato di pericolo concreto, e che, però, nel caso in esame, le intercettazioni erano terminate da mesi ed il Co. ed il G., cui erano state date le informazioni, erano consapevoli dell'avvenuta esecuzione di tale tipologia di accertamenti. 12.1. La sentenza impugnata ha ritenuto che il T. consumò il reato di cui all'art. 326 c.p. , nel corso dell'incontro del 20 novembre 2008, non solo riferendo alla Co. ed al G. che gli stessi erano stati sottoposti ad intercettazioni telefoniche, ma anche, e soprattutto, facendo ampi ed espressi riferimenti al contenuto di queste, attribuendo a specifiche affermazioni captate il valore di "riscontro" alle accuse, indicando la propria intenzione di non inserire tra gli indagati il marito della Co. e rappresentando che, alla luce delle indagini compiute, molti erano i capi di imputazione da elevare, perchè molte erano le infrazioni accertate anche alla luce dei formulari a lui consegnati dalla Co.. Questi essendo i fatti ritenuti dalla Corte di appello, l'avvenuta cessazione da mesi delle intercettazioni o la consapevolezza da parte dei destinatari dell'informazione di essere stati sottoposti ad intercettazioni sono assolutamente irrilevanti per escludere la pericolosità in concreto della condotta illecita: l'imputato, come si è detto, non è stato ritenuto responsabile del reato di rivelazione di segreto di ufficio semplicemente per aver comunicato che vi erano state intercettazioni, ma, piuttosto, per aver diffuso una vasta ed analitica quantità di informazioni sul contenuto delle indagini. Nè è sufficiente affermare che la propalazione delle notizie coperte da segreto non cagionò alcun effettivo pericolo per il prosieguo delle indagini. A parte l'indimostrabilità, in concreto, di tale evenienza, è sufficiente considerare che le informazioni in questione non solo non erano state ancora formalmente rappresentate all'Autorità Giudiziaria inquirente, ma furono fornite in occasione dell'esternazione o comunque dell'avvaloramento di una richiesta concussiva ed "esibite" e "sfruttate" per alimentare il timore e la situazione di soggezione delle persone offese. In altri termini, la violazione del segreto non fu "innocua", quanto meno perchè avvenne per intimorire, e quindi "danneggiare", gli indagati. 13. Respinte le censure formulate circa la configurabilità nel caso in esame della fattispecie di tentata concussione, possono essere esaminate congiuntamente, per l'omogeneità dei contenuti e degli argomenti esposti, le doglianze proposte dal Procuratore generale e dalle parti civili in ordine alla statuizione assolutoria emessa nei confronti dell' A., ovviamente anche alla luce delle argomentazioni esposte nella memoria presentata dalla difesa di quest'ultimo. 13.1. Il Procuratore generale e la difesa delle parti civili hanno dedotto una pluralità di elementi, a loro avviso pretermessi o fraintesi nella sentenza impugnata. In particolare, ed in sintesi, sarebbero state trascurate o del tutto illogicamente svalutate le seguenti circostanze: a) il progetto unitario del V., del T. e dell' A. di costituire uno studio di consulenza e assistenza legale per le aziende operanti nel settore dello smaltimento dei rifiuti; b) l'assenza di "preambolo introduttivo" nei colloqui telefonici in cui il V. ed il T., in distinti momenti, riferiscono all' A. di elementi significativi per la realizzazione dell'azione illecita, come la necessità di far transitare la somma presso uno studio legale; c) gli atteggiamenti dell' A. nei confronti della Co. in relazione alle indagini concernenti la Niagara nei giorni precedenti alla formulazione delle richieste illecite, in particolare in ordine alla richiesta di una "perizietta" difensiva, poi consegnata ma mai allegata agli atti ufficiali delle indagini, e la presenza del medesimo durante la fase iniziale del lungo colloquio intercorso tra il T., la Co. ed il G. il 20 novembre 2008; d) i plurimi "aggiustamenti" della versione dei fatti operata dall' A. in relazione a diversi profili attinenti la vicenda della "perizietta"; e) i riferimenti compiuti dal V. all' A. sia nel colloquio del V. con la Co. il 13 novembre 2008, allorchè per la prima volta vennero esplicitate le richieste di illecite dazioni, sia nel colloquio con il C. del 25 novembre 2008, oggetto di intercettazione; f) il contenuto delle conversazioni telefoniche intercorse tra l'1 ed il 2 dicembre 2008, attestanti, in rapida successione, la durissima reazione dell' A., una volta informato dal T. dei colloqui del G. con i funzionari dell'A.R.P.A., la richiesta perentoriamente rivolta al V. di contattare il C. perchè faccia "rientrare i toni del suo ingegnere", e le parole da lui scambiate con il V. quando quest'ultimo lo informa puntualmente del contenuto dell'intervento spiegato presso il dirigente della Niagara. Si rappresenta, inoltre, che la sentenza impugnata è incorsa in contraddizione, poichè in una parte della motivazione non riguardante direttamente la posizione dell' A. ha invece richiamato proprio la conversazione del 2 dicembre 2008, come dimostrativa dell'accordo concussivo e della "consapevole partecipazione dei tre (viene proprio usato il numero di tre)", e non ha evidenziato alcun elemento dal quale desumere che il V., quando "spende" il nome dell' A., abbia un intento diffamatorio. I ricorsi in questione, così come formulati, sono ammissibili perchè indicano esplicitamente la volontà di censurare il vizio di motivazione e deducono, in particolare, la pretermissione di elementi probatori decisivi ai fini della corretta ricostruzione del fatto avendo riguardo alla responsabilità dell' A.. 13.2. La sentenza impugnata, a fondamento del giudizio assolutorio, determinato dall'impossibilità di superare la soglia del ragionevole dubbio, evidenzia, in particolare, che: a) i contatti dell' A. con le persone offese sono poco significativi, anche perchè le persone offese non hanno riferito al medesimo alcun atteggiamento intimidatorio o richiesta illecita; b) nel corso del colloquio con la Co. ed il G. del 20 novembre 2008 il T. rivendicò espressamente di essere lui il dominus degli esiti dell'attività investigativa; c) la convinzione che l' A. fosse partecipe del proposito delittuoso fu maturata nelle persone offese solo per le parole pronunciate dal V. alla Co. il 13 novembre 2008 ed al C. il 25 novembre 2008; d) i riferimenti del V. all' A. nella conversazione con il C. del 25 novembre 2008 sono ambigui e si prestano ad un'interpretazione secondo la quale solo il T. aveva maturato la decisione di portare avanti l'azione illecita; e) gli stretti rapporti tra il V. e l' A. non hanno carattere di gravità e significatività, sia perchè il primo aveva instaurato un ottimo rapporto personale anche con il T., sia perchè le numerose conversazioni intercorse tra i primi due, anche in momenti topici dell'attività concussiva, e documentate dai tabulati telefonici, potevano essere alternativamente spiegate in ragione di altri interessi, non ultimo quello attinente la costituzione della società di consulenza; f) le parole pronunciate dall' A. nel corso delle conversazioni dell'1 dicembre 2008 hanno un "carattere tutto sommato neutro", perchè possono essere lette come la reazione contro iniziative a lui rappresentate dal T. come diffamatorie in danno dell'attività investigativa del N.O.E.. Le motivazioni esposte, sebbene per gran parte dei profili indicati possono essere considerate espressione di un apprezzamento di merito opinabile, ma comunque non apodittico, nè manifestamente illogico, sono affette dal vizio di travisamento della prova per omissione laddove non offrono alcuna concreta analisi del contenuto delle conversazioni telefoniche intercorse nelle date tra 11 ed il 2 dicembre 2008, al fine di escludere la loro rilevanza quali elementi a carico dell' A.. Ciò, tanto più che in altra parte della sentenza, e precisamente nelle pagine 134-140, il susseguirsi delle conversazioni in questione - precisamente quattro, di cui ben tre direttamente intrattenute dall' A. - è definito "particolarmente emblematico per comprendere l'effettivo atteggiarsi dei rapporti tra le parti". Secondo la stessa sentenza impugnata, nella prima conversazione, iniziata alle ore 16,30 dell'1 dicembre, il T. chiama I' A., gli dice di aver appreso da una funzionaria dell'A.R.P.A. che il G. aveva detto di ritenere "infondate" le indagini nei confronti della Niagara e gli chiede di intervenire presso il C. perchè tenga a freno ("con il capo chino") il suo ingegnere; in risposta l' A. concorda, dice anche: "vanno massacrati", ed assicura di contattare subito il V.. Nella seconda conversazione, iniziata alle ore 16,45 del medesimo giorno, l' A. chiede al V. di contattare il C. per fermare G., perchè questo si è rivolto alla dirigente dell'A.R.P.A.; in particolare, dopo uno scatto d'ira, domanda al V. di rappresentare al C. che "una mano gli si stava dando" e di essere poi immediatamente informato degli esiti del contatto. Nella terza conversazione, iniziata alle ore 18,44 sempre dell'i dicembre, il V. invita il C. a tenere "calmo" il G., perchè altrimenti il comportamento di questi potrebbe essere letto come un atteggiamento di "contrarietà" e ribadisce l'opportunità di "fissarti un appuntamento... con lo studio legale". Nella quarta conversazione, iniziata alle ore 11,05 del 2 dicembre, il V. chiama l' A. per informarlo del contenuto del suo colloquio con il C. e gli dice di avergli ricordato che essi avevano concordato "una linea in qualche modo difensiva da far vedere presso gli avvocati" e che alla stessa bisognava attenersi. Muovendo da queste risultanze, e in considerazione di quanto rappresentato in linea generale al 6.2, può innanzitutto rilevarsi che la prospettazione formulata nei ricorsi del Procuratore generale e delle parti civili, secondo cui queste conversazioni sono specificamente indicative della piena partecipazione dell' A. del "progetto" di "venire incontro" al C. ed alla sua società attraverso "una linea in qualche modo difensiva da far vedere presso gli avvocati", appare, in astratto, plausibile anche tenendo conto delle obiezioni della difesa, che si è limitata a richiamare le argomentazioni della sentenza impugnata e ad osservare (invero non del tutto esattamente: v. pagg. 267-269 della sentenza del Tribunale) che la conversazione del 2 dicembre 2008 non era stata valorizzata neppure dal primo giudice. Può poi aggiungersi che la medesima prospettazione, se condivisa in concreto dal giudice di merito, all'esito di una rinnovata e complessiva valutazione di tutto il materiale istruttorio, appare idonea ad orientare l'esito del giudizio, pur nella prospettiva della regola decisoria che ammette la condanna solo in caso di accertamento della colpevolezza "al di là di ogni ragionevole dubbio". 14. Infondate, invece, sono le doglianze del Procuratore generale relativamente alla determinazione delle pene irrogate al V. ed al T.. Il ricorso critica i criteri adottati dal giudice di merito nella quantificazione del trattamento sanzionatorio, perchè non avrebbe considerato che l'indagine fu pretestuosa, la minaccia grave ed il pagamento della provvisionale dal parte degli imputati un comportamento irrilevante a vantaggio degli imputati. La sentenza impugnata, nell'individuare la misura della pena, ha evidenziato, in particolare, che "la minaccia sulle persone offese, pur avendo indiscutibile efficacia intimidatoria, era stata esercitata in forma non violenta e sfumata", e che l'indagine compiuta dal N.O.E. non può definirsi "pretestuosa, fin dall'inizio diretta alla costruzione di una erronea accusa". Trattasi di motivazione non apodittica, nè contraddittoria, nè manifestamente illogica, ma operata nell'ambito dei limiti della legittima opinabilità di apprezzamento; ciò, tanto più che insegnamento costante nella giurisprudenza di legittimità è quello secondo cui deve ritenersi adempiuto l'obbligo di motivazione del giudice di merito sulla determinazione in concreto della misura della pena, allorchè siano indicati nella sentenza gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell'ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all'art. 133 c.p.. (così, da ultimo, Sez. 1, n. 3155 del 25/09/2013, dep. 2014, Waychey, Rv. 258410). 15. Inammissibile, poi, è il motivo di ricorso delle parti civili che contesta la quantificazione della provvisionale. Costituisce infatti principio assolutamente condiviso nella giurisprudenza di legittimità, e dal quale il Collegio non individua ragioni per discostarsi, quello secondo cui non sono impugnabili con ricorso per cassazione le statuizioni pronunciate in sede penale e relative alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisioni di natura discrezionale, meramente delibative e non necessariamente motivate (così, tra le tantissime, Sez. U, n. 2246 del 19/12/1990, dep. 1991, Capelli, Rv. 186722, e Sez. 3, n. 18663 del 27/01/2015, D.G., Rv. 263486, nonchè, per una fattispecie identica a quella in esame, Sez. 6, n. 50746 del 14/10/2014, G., Rv. 261536). 16. All'accoglimento dei ricorsi proposti dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Bologna e dalle parti civili avverso la sentenza impugnata nella parte relativa all'assoluzione dell'imputato A., segue l'annullamento del provvedimento in parte qua, con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Bologna per nuovo giudizio in proposito. Gli altri motivi di ricorso formulati dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Bologna e dalle parti civili devono invece essere rigettati. All'infondatezza dei ricorsi degli imputati V. e T. segue il rigetto degli stessi e la condanna dei ricorrenti appena indicati al pagamento delle spese processuali e alla refusione delle spese di fase in favore delle parti civili Niagara s.r.l., C.M. e Co.Fa., che si stima equo liquidare in Euro 4.000 (quattromila) ciascuno, oltre spese generali nella misura del quindici per cento, I.V.A. e C.P.A..


P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di A.S. e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Bologna per nuovo giudizio Rigetta nel resto i ricorsi del pubblico ministero e delle parti civili.


Rigetta i ricorsi di T.V. e V.M. che condanna al pagamento delle spese processuali, nonchè alla refusione delle spese di questa fase nei confronti delle parti civili Niagara s.r.l., C.M. e Co.Fa. che liquida in euro quattromila ciascuno, oltre spese generali nella misura del quindici per cento, I.V.A. e C.P.A..


Così deciso in Roma, il 16 marzo 2016.


Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2016

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