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Diffamazione: dichiara che l’imputato aveva patteggiato, mentre era stato assolto, condannato


Corte di Cassazione

La massima

In tema di diffamazione a mezzo stampa, non è configurabile l'esimente dell'esercizio del diritto di cronaca qualora, nel riportare un evento storicamente vero, vengano pubblicate inesattezze non marginali e non riguardanti semplici modalità del fatto, ma idonee a modificarne la struttura essenziale. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto legittima l'esclusione dell'esimente nei confronti del giornalista che, trattando di una persona imputata e poi assolta, aveva erroneamente riferito che avesse avanzato richiesta di patteggiamento - Cassazione penale sez. V - 18/11/2019, n. 7008)


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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO

1. E' impugnata la sentenza della Corte di Appello di Roma del 23 ottobre 2018 che, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale della medesima città, ha assolto per intervenuta prescrizione gli imputati F.R. e M.P. dei reati rispettivamente ascritti di cui all'art. 595 c.p., comma 3, e L. n. 47 del 1948, art. 13, quanto al primo, per avere offeso la reputazione di Z.M. pubblicando sul quotidiano (OMISSIS) dell'(OMISSIS) un articolo dal titolo "(OMISSIS)"; art. 57 c.p., in relazione all'art. 596 bis c.p., e L. n. 47 del 1948, art. 13, quanto al secondo, per omesso controllo nella sua qualità di direttore responsabile del quotidiano "(OMISSIS)", con conferma delle statuizioni civili e condanna al pagamento delle spese della parte civile.


2. Con atto a firma dell'Avv. Caterina Malavenda, difensore di fiducia degli imputati, viene proposto ricorso per Cassazione nell'interesse di F. e M., articolato in tre motivi.


2.1 Con il primo motivo di ricorso si eccepisce la nullità della sentenza impugnata, per mancanza o contraddittorietà della motivazione in ordine alla dedotta violazione di legge, in relazione agli artt. 521 e 522 c.p.p., e del principio di correlazione tra il fatto contestato e quello riportato.


Si lamenta che i due imputati sono stati ritenuti responsabili di un fatto non espressamente enunciato e contestato nel capo di imputazione, consistito nell'avere "erroneamente attribuito al Sig. Z.M. la richiesta di patteggiamento, effettivamente avanzata dal Sig. A.M."; nell'imputazione è invece ascritto di avere riportato nell'articolo la falsa circostanza dell'esistenza tra i tre tassisti di un sodalizio creato per la consumazione del reato", circostanza quest'ultima esclusa dall'Autorità Giudiziaria.


Nè il richiamo dell'articolo nella sua interezza, pure contenuto nel capo d'imputazione in premessa può risolversi nel caso di specie in motivo di sanatoria, perchè tale richiamo è servito solo per esonerare il Pm dal riportare l'intero articolo, fermo restando che sono poi esplicitamente indicate come lesive della reputazione dei due tassisti esclusivamente le affermazioni suindicate.


Ad avviso del ricorrente, la sentenza di condanna in primo grado è stata quindi pronunciata in relazione ad un "fatto diffamatorio" totalmente diverso da quello contestato nel capo di imputazione, che peraltro costituisce un'inesattezza marginale rispetto al contenuto complessivo dell'articolo, su cui gli imputati non hanno avuto la minima possibilità di interloquire, cagionando una palese violazione del diritto della difesa.


A fronte del rigetto del motivo in appello, il ricorrente impugna il capo relativo sia per l'apparenza della motivazione, fondata su due arresti giurisprudenziali datati e del tutto inconferenti, sia per la non corretta applicazione delle norme processuali dedotte, suscettibile di integrare il vizio di violazione di legge.


Una cosa è, infatti, il generico riferimento al contenuto integrale dell'articolo che, per come è scritto, non consente di enucleare uno o più fatti specifici dal contenuto diffamatorio, di talchè non possono essere individuati nè contestati all'imputato; ben altra cosa è, invece, richiamare sic et simpliciter l'articolo e poi individuare il fatto, senza trascriverne i passi rilevanti, ma rimandando al suo contenuto che, nel caso di specie, era nella gran parte rispondente al vero.


2.2 Con il secondo motivo di ricorso si contesta la nullità della sentenza impugnata, per mancanza o contraddittorietà della motivazione in ordine alla dedotta violazione di legge, in relazione agli artt. 595, 51 e/o 59 c.p.; si deduce poi violazione di legge e, segnatamente, dell'art. 21 Cost., artt. 51 e/o 59 c.p., in relazione all'art. 530 c.p.p., commi 1, 2 o 3, nonchè difetto di motivazione in ordine alle ragioni per le quali l'impugnazione sul punto è stata rigettata.


Ad avviso del ricorrente, il capo della sentenza di appello che rigetta l'impugnazione relativa al mancato riconoscimento della scriminante del diritto di cronaca giudiziaria, quanto meno sotto il profilo putativo, è passibile di censura. in primo luogo, nella parte in cui il giudice a quo esclude la credibilità della fonte informativa facendo leva sul fatto che "gli imputati non hanno chiarito quale sia stata la fonte da cui hanno tratto la notizia in esame", trascurando che ciò non era accaduto perchè gli imputati, totalmente all'oscuro di quell'accusa specifica, ignoravano di dover dedurre prove sull'argomento (manchevolezza poi effettivamente sanata in appello). Tuttavia, il giudice di secondo grado, nel ribadire pedissequamente il dictum della sentenza di fronte a lui impugnata, ha omesso di considerare, al fine di valutare quanto meno la verosimiglianza della notizia e, dunque, la sussistenza della scriminante putativa, la totale coincidenza della notizia comparsa su tutti i quotidiani che se ne erano occupati, a conferma che la fonte doveva essere stata unica e doveva aver diffuso erroneamente le generalità di colui che, fra i tre tassisti, aveva effettivamente richiesto il rito alternativo. In ogni caso, la notizia del patteggiamento è disseminata in una miriade di fatti tutti veri ed oggettivi, che la rendono marginale, al punto da non farle assumere nemmeno autonoma valenza diffamatoria.


Proprio questi profili di indubbia rilevanza, ma totalmente ignorati nella sentenza impugnata, integrano il dedotto difetto di motivazione, sulla scorta del quale al giornalista avrebbe dovuto essere riconosciuta la causa di giustificazione prevista dall'art. 51 c.p., (quanto meno nella sua forma putativa), posto che "il riferimento a fonte attendibile e autorevole rappresenta attuazione dell'obbligo di controllo sulla verità della notizia percepita, quale esigibile dal giornalista" (Sez. V, n. 37435 del 9/7/04, Rv. 229337 - 01).


2.3 Con il terzo motivo di ricorso si lamenta la nullità della sentenza impugnata, per mancanza o contraddittorietà della motivazione in ordine alla dedotta violazione di legge, in relazione all'art. 57 c.p.; si eccepisce violazione di legge e, segnatamente, dell'art. 57 c.p., in relazione all'art. 530 c.p.p., commi 1, 2 o 3, nonchè difetto di motivazione, in ordine alle ragioni per le quali l'impugnazione sul punto è stata rigettata.


Ad avviso del ricorrente, i presupposti argomentativi sul punto non potrebbero essere più generici ed apparenti, finendo per accreditare surrettiziamente la teoria che la responsabilità del direttore di un quotidiano sia di fatto oggettiva e avulsa dal caso concreto. La motivazione sarebbe contraddittoria, perchè se da un lato circoscrive correttamente i limiti del controllo esigibile dal direttore, il quale dovrebbe limitarsi a verificare che la procedura seguita dal giornalista nel reperimento della notizia sia metodologicamente corretta, dall'altro sconfessa questo assunto condannandolo malgrado abbia acconsentito alla pubblicazione di una notizia dotata di tutti i requisiti di liceità.


Diversamente opinando, se cioè si imponesse al direttore di esercitare tutte quelle attività di controllo richieste, si esigerebbe da lui una prestazione impossibile, specie nel caso dei grandi quotidiani, finendo per attribuirgli, in dissonanza con quanto statuito dalla Corte Costituzionale (ma anche dalla giurisprudenza di legittimità), una forma di responsabilità oggettiva.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono infondati.


1.1. Per quanto attiene al primo motivo, relativo alla mancata correlazione tra il fatto contestato e quello ritenuto in sentenza, la giurisprudenza ha precisato in più occasioni che, per ritenersi assolto l'obbligo di contestazione, è sufficiente che venga richiamato il testo dell'articolo asseritamente diffamatorio con la puntuale indicazione degli estremi per la sua identificazione, non essendo invece necessaria la trascrizione integrale del contenuto dell'articolo stesso (ex multis, Sez. 5, n. 55796 del 27.9.2018, Rv. 274619 - 01).


Il richiamo dell'imputazione all'intero testo dello scritto ritenuto diffamatorio comporta che l'addebito debba intendersi esteso al complessivo contenuto comunicativo, del quale non è richiesta l'integrale trascrizione, e non circoscritto alle espressioni eventualmente riportate nella contestazione a titolo esemplificativo (cfr. da ultimo Sez. n. 34815 del 20.5.2019, Rv. 276776 - 01).


Non vi è dubbio allora che, qualora si ritenga diffamatorio tutto l'articolo, sia sufficiente richiamarlo fornendo tutti gli elementi per identificarlo compiutamente, perchè ciò consente di sicuro all'imputato di articolare le corrispondenti difese.


D'altronde appare assolutamente superfluo riportare per intero il testo dell'articolo nel capo d'imputazione poichè ciò non accrescerebbe affatto le possibilità di difesa, mentre renderebbe estremamente più laboriose le operazioni di notifica dei vari atti processuali che debbono contenere il capo d'imputazione.


Nel caso di specie, il richiamo operato all'esistenza di un sodalizio criminoso tra i tre tassisti, come si evince expressis verbis dal titolo dell'articolo, rappresenta, dunque, un semplice accenno, di per sè non esaustivo, ad un contenuto diffamatorio più complesso ed esteso.


1.2. Anche il secondo motivo di ricorso, volto ad ottenere il riconoscimento della scriminante del diritto di cronaca giudiziaria (almeno sotto il profilo putativo), non merita accoglimento.


Non è ozioso ricordare che, secondo costante orientamento giurisprudenziale, ricorre l'esercizio del diritto di cronaca (anche in materia giudiziaria) quale esimente ex art. 51 c.p., tale da escludere la diffamazione a mezzo stampa, se risultano rispettati i limiti di verità, interesse sociale alla conoscenza del fatto e continenza (Sez. 5, n. 17051 del 19.2.2013, Rv. 255094 - 01).


Difetta, nel caso di specie, il requisito della verità delle notizie riportate, come correttamente evidenziato dai giudici di merito; nè si prospettano condivisibili le censure dei ricorrenti volte a ridimensionare la portata lesiva del fatto diffamatorio contestato agli imputati rispetto all'economia complessiva dell'articolo. In verità, l'attribuzione al Sig. Z.M. (prosciolto nel merito per lo stesso fatto) della richiesta di patteggiamento avanzata da un altro dei tassisti (Sig. A.M.) è, in maniera evidente, incompatibile con la qualificazione di modesta e marginale inesattezza, da intendersi quale errore che attiene a semplici modalità del fatto e che in quanto tale è insuscettibile di modificarne la struttura essenziale (cfr. Sez. 5. n. 41099 del 20.7.2016, Rv. 268149 - 01).


La Corte territoriale ha poi fatto buon governo anche dei principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di cd. scriminate putativa, secondo cui "la scriminante putativa dell'esercizio del diritto di cronaca è configurabile solo quando, pur non essendo obiettivamente vero il fatto riferito, il cronista abbia assolto all'onere di esaminare, controllare e verificare l'oggetto della sua narrativa, al fine di vincere ogni dubbio" (Sez. 5, n. 16323 del 07/03/2006, Mulè ed altro, Rv. 234426); l'errore sulla verità del fatto non deve essere quindi frutto di negligenza, imperizia o comunque colpa non scusabile (Sez. 5, n. 1952/2000 del 02/12/1999, Latella ed altro, Rv. 216437).


La giurisprudenza di questa Corte ammette, dunque, l'invocabilità dell'esimente putativa del diritto di cronaca giudiziaria in caso di affidamento del giornalista su quanto riferito dalle sue fonti informative, subordinandola non soltanto alla verifica del narrato, ma anche alla prova della cura posta negli accertamenti svolti per stabilire la veridicità dei fatti (cfr. Cass. n. 27106 del 9.4.2010, Rv. 248032 - 01).


Tuttavia, come già argomentato dal Giudice di Appello, dal momento che gli imputati hanno omesso di indicare in giudizio la fonte da cui avrebbero appreso la notizia, risulta sterilizzato ab initio ogni possibile vaglio sulla credibilità e attendibilità della fonte informativa stessa; nè tantomeno siffatta preclusione può essere aggirata adducendo il carattere anonimo, confidenziale o non controllabile della fonte, poichè "non sussiste l'esimente del diritto di cronaca, anche sotto il profilo putativo, allorchè sia impossibile per il giornalista realizzare il controllo del fatto riferitogli in modo irrituale, a causa dell'inaccessibilità delle fonti di verifica, coincidenti con gli organi e gli atti dell'indagine giudiziaria, giacchè tale inaccessibilità, lungi dal comportare l'esonero dall'obbligo di controllo, implica la non pubblicabilità della notizia" (Sez. 5, n. 3132 del 08/11/2018 Ud. (dep. 23/01/2019) Rv. 275259 - 01; Sez. 5 n. 13708 del 17/12/2010 (dep. 06/04/2011) Rv. 250203 - 01).


I ricorrenti, limitandosi a ribadire quanto già sostenuto in sede di appello, non svolgono alcuna critica effettivamente idonea ad avvalorare la tesi della sussistenza dei presupposti della scriminante putativa; incombe invero in capo all'imputato, in materia di cause di giustificazione putative, l'onere di allegazione di elementi di fatto concreti idonei a giustificare l'erroneo convincimento dell'imputato non potendosi essa esaurire in meri criteri soggettivi (Sez. 6, n. 4114 del 14/12/2016 (dep. 27/01/2017) Rv. 269724 - 01).


In quest'ottica, il dato estrinseco del carattere pervasivo del medesimo errore, riportato pedissequamente anche su altre fonti di informazione, non può essere valorizzato positivamente ai fini dell'integrazione della scriminante.


Anche in questa circostanza, infatti, non è sufficiente l'affidamento in buona fede sulla fonte informativa, soprattutto quando questa sia costituita da un'altra pubblicazione giornalistica, atteso che, in tal caso, l'agente si limita a confidare sulla correttezza e professionalità dei colleghi, chiudendosi in un circuito autoreferenziale (Sez. 5, n. 45813 del 14/06/2018, Rv. 274123 - 01; Sez. 5, n. 35702 del 19/05/2015 Rv. 265015 - 01).


1.3. Non meno privo di pregio il terzo ed ultimo motivo - afferente la conferma di responsabilità in capo al direttore responsabile a titolo di agevolazione colposa, per aver omesso il controllo preventivo che avrebbe dovuto esercitare doverosamente ex art. 57 c.p., al fine di impedire che col mezzo della pubblicazione fossero commessi reati.


Esso si caratterizza innanzitutto per la sua palese genericità intrinseca nella parte in cui afferma che la motivazione sarebbe contraddittoria per avere, da un iato, affermato che il direttore deve limitarsi a verificare che la procedura seguita dal giornalista nel reperimento della notizia sia metodologicamente corretta, e, dall'altro, sconfessato questo assunto condannandolo malgrado abbia acconsentito alla pubblicazione di una notizia dotata di tutti i requisiti di liceità; una siffatta affermazione è invero priva di una effettiva portata di rilievo contestativo risolvendosi piuttosto, essa, nell'accostamento di concetti astratti e neppure perfettamente combinabili in conseguenza logica tra loro, risultando omesso il passaggio logico-ricostruttivo fondante secondo cui evidentemente nel caso di specie si era ritenuta non operata quella verifica (consistente nel non aver attivato i dovuti controlli per evitare che col mezzo della stampa e sul giornale diretto si ledesse la reputazione di terze persone).


Prive di alcuna consistenza logica e giuridica sono, poi, le censure difensive in ordine alla supposta natura oggettiva della responsabilità affermata in sentenza, dai momento che nel caso di specie le modalità di presentazione della notizia, il titolo inequivocabile, nonchè il contenuto correlato al fenomeno sociale del furto durante un'attività di lavoro autorizzata dal Comune denunciano piuttosto la colpa in cui è incorso l'imputato, essendo esse circostanze che avrebbero vieppiù dovuto indurre il direttore del quotidiano a vigilare diligentemente e scrupolosamente sulla natura più o meno qualificata della fonte informativa, sulla sua credibilità e attendibilità prima di acconsentire alla pubblicazione.


In ogni caso vale la pena di rammentare che è pacifico che la responsabilità a titolo di colpa del direttore per l'omesso controllo sul contenuto del periodico in riferimento al fatto diffamatorio a mezzo stampa può essere esclusa ove si dimostri che il predetto, titolare di una posizione di garanzia, ha fatto quanto in suo potere per prevenire la diffusione di notizie non rispondenti al vero, prescrivendo e imponendo regole e controlli, anche mediati, di accuratezza, di assoluta fedeltà e di imparzialità rispetto alla fonte-notizia (Sez. 1, n. 48119 del 15/10/2009 - dep. 17/12/2009, Ciancio Sanfilippo e altro, Rv. 24566801); laddove nel caso di specie nulla in proposito è stato neppure argomentato, limitandosi ad una critica, peraltro speciosa, sulla fattispecie criminosa e sui suoi asseriti distorti risvolti concreti.


2. I ricorsi devono quindi essere rigettati ed i ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese del presente arado di giudizio in favore della parte civile che si liquidano in complessivi Euro duemilacinquecento oltre accessori di legge.


P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese del presente grado di giudizio in favore della parte civile che liquida in complessivi Euro duemilacinquecento oltre accessori di legge.


Così deciso in Roma, il 18 novembre 2019.


Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2020



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