top of page

Diffamazione: la rettifica non ha efficacia scriminante


Corte di Cassazione

La massima

In tema di diffamazione a mezzo stampa, la pubblicazione della rettifica della notizia giornalistica falsa, ex art. 8, l. 8 febbraio 1948, n. 47, non riveste efficacia scriminante, in quanto non elimina gli effetti negativi dell'azione criminosa, ma può avere la sola funzione di attenuare la sanzione pecuniaria prevista dall'art. 12 della legge citata (Cassazione penale sez. V - 17/10/2019, n. 48077).


Vuoi saperne di più sul reato di diffamazione?

Vuoi consultare altre sentenze in tema di diffamazione?



La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Catanzaro ha confermato la condanna di D.V.A. e C.A. per i reati di diffamazione a mezzo stampa ed omesso esercizio del controllo ex art. 57 c.p., come loro rispettivamente ascritti, per essersi il primo reso autore di un articolo, pubblicato sul quotidiano "(OMISSIS)", in cui si riportava la falsa notizia secondo cui R.P., ritenuto colpevole in primo grado dal Tribunale di Salerno del delitto di pedopornografia, sarebbe già stato condannato per il medesimo reato, seppure "in forma lieve", nel 2003 dal Tribunale di Firenze, e per non avere il secondo esercitato il dovuto vaglio preventivo sul contenuto della pubblicazione.


2. Avverso la sentenza suindicata ricorrono entrambi gli imputati, con unico atto a firma del comune difensore, lamentando plurime violazioni di legge e vizi della motivazione.


2.1 Si deduce in primo luogo l'illegittimità del mancato riconoscimento della scriminante putativa dell'esercizio del diritto di cronaca, a norma degli artt. 51 e 59 c.p., avendo la Corte territoriale disatteso in maniera del tutto apodittica la censura difensiva secondo cui il D.V. sarebbe stato tratto in inganno dalle espressioni impiegate nella menzionata sentenza del Tribunale di Salerno, in merito all'avvio di un'indagine della Procura di Firenze sulla vicenda, a seguito della segnalazione pervenuta ai NAS della medesima città. La sentenza impugnata sarebbe viziata dal travisamento delle dichiarazioni rese dall'imputato in sede di esame, non avendo mai egli affermato di essere esperto di cronaca giudiziaria - come erroneamente sostenuto nello stesso provvedimento - bensì di avere svolto l'attività di fotoreporter e di semplice corrispondente. Si deduce inoltre l'insussistenza del fatto sotto il profilo oggettivo, non essendo stata raggiunta la prova dell'effettiva offesa all'altrui reputazione, nonchè sotto il profilo soggettivo, essendo l'assenza di dolo in capo al D.V. desumibile dal rispetto del limite della continenza espressiva.


2.2 Si censura infine, ancora in punto di sussistenza del reato, la violazione della L. n. 47 del 1948, art. 8. Il giudice di appello, secondo i ricorrenti, ha invero sostenuto che la rettifica pubblicata nell'edizione del quotidiano del 27 giugno 2011 non potesse realmente ritenersi tale, in quanto si sarebbe semplicemente dato spazio alla replica della persona offesa, nonostante la conformità della stessa alle citate previsioni normative. Si lamentano infine vizi della motivazione in punto di determinazione del risarcimento del danno.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono inammissibili.


2. Si rivela in primo luogo generica la deduzione relativa alla configurabilità della scriminante putativa dell'esercizio del diritto di cronaca, in quanto meramente reiterativa di doglianze già sollevate dagli imputati con il gravame di merito e respinte dalla Corte territoriale mediante argomentazioni con cui i ricorsi omettono totalmente di confrontarsi.


2.1 Invero, la sentenza impugnata ha, con motivazione corretta e immune da vizi, ritenuto destituita di fondamento la deduzione difensiva sul punto, ponendo in luce come in nessun modo il tenore del provvedimento reso dal Tribunale di Salerno nei confronti del R. - nella parte in cui faceva riferimento alla segnalazione diretta ai NAS di Firenze, nonchè allo svolgimento di alcuni atti di indagine da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale della medesima città - potesse ragionevolmente generare il convincimento dell'esistenza di una precedente condanna, fondando l'errore rilevante ai sensi dell'art. 59 c.p..


2.2 La Corte territoriale ha pertanto fatto buon governo dei principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui la scriminante putativa dell'esercizio del diritto di cronaca è configurabile solo quando, pur non essendo obiettivamente vero il fatto riferito, il cronista abbia assolto all'onere di esaminare, controllare e verificare l'oggetto della sua narrativa, al fine di vincere ogni dubbio (Sez. 5, n. 16323 del 07/03/2006, Mulè ed altro, Rv. 234426). L'errore sulla verità del fatto non deve essere quindi frutto di negligenza, imperizia o comunque colpa non scusabile (Sez. 5, n. 1952/2000 del 02/12/1999, Latella ed altro, Rv. 216437).


2.3 I ricorrenti, limitandosi a ribadire quanto già sostenuto in sede di appello in merito all'erronea interpretazione del contenuto della sentenza del Tribunale di Salerno, non svolgono alcuna critica effettivamente idonea ad avvalorare la tesi della sussistenza dei presupposti della scriminante putativa ed in particolare non rivelano le ragioni per cui l'errore in cui sarebbe incorso il D.V. sarebbe scusabile, posto che in realtà, per come evidenziato nel provvedimento impugnato e non contestato, alcun passaggio della sentenza che ha condannato la persona offesa lascia trasparire che la stessa fosse recidiva, tanto più che l'articolo incriminato arricchisce la falsa notizia di particolari - come quello relativo alla "lieve entità" del fantomatico pregresso reato di cui non viene specificamente indicata la fonte. Ed in proposito vale la pena ricordare che incombe invero in capo all'imputato, anche in materia di cause di giustificazione putative, l'onere di allegare elementi di fatto concreti idonei a giustificare l'erroneo convincimento dell'imputato (Sez. 6, n. 4114 del 14/12/2016, G., Rv. 269724).


2.4 Inammissibile è altresì, sul punto, la doglianza relativa al travisamento delle dichiarazioni rese in sede di esame dal D.V., in quanto anch'essa del tutto generica e non documentata da alcuna allegazione. Peraltro, quanto sostenuto nel ricorso non può ritenersi realmente tale da compromettere la tenuta del ragionamento dei giudici del merito, alla luce dell'orientamento applicativo sopra citato, in punto di necessaria scrupolosa verifica dell'oggetto della narrazione giornalistica e di irrilevanza dell'errore dovuto a negligenza dell'articolista. Dovere, quello di vaglio della notizia pubblicata, totalmente disatteso dal D.V., alla luce della ricostruzione dei fatti operata dai giudici del merito.


3. Ancora inammissibili, in quanto generiche e manifestamente infondate, sono le deduzioni relative all'insussistenza del delitto di diffamazione sotto i profili oggettivo e soggettivo.


3.1 Invero, in punto di derivazione dal fatto ascritto agli odierni imputati dell'offesa alla reputazione del R., difetta nuovamente nel ricorso un reale confronto con la sentenza impugnata. Quest'ultima, difatti, nel confermare la decisione assunta sul punto dal Tribunale, ha con motivazione logica e congrua posto in luce come alla falsa notizia riportata nell'articolo di cui si tratta dovesse riconoscersi un'accentuata attitudine lesiva dell'onore della persona offesa, essendo la stessa idonea a ingenerare l'erroneo convincimento di una recidivanza del R. in un reato per cui all'epoca era intervenuta solo una condanna in primo grado, seguita da una sospensione cautelativa dalle funzioni ad opera del C.S.M..


3.2 Con riguardo all'elemento soggettivo, non coglie nel segno quanto sostenuto dai ricorrenti sulla necessità di valorizzare la continenza espressiva quale indicatore dell'assenza di dolo in capo al D.V.. E difatti, secondo quanto costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, perchè possa ritenersi sussistente il dolo del delitto di diffamazione non è necessaria la presenza dell'animus diffamandi, inteso come intenzione di offendere la reputazione del soggetto passivo, essendo sufficiente la consapevolezza di formulare giudizi o utilizzare parole oggettivamente lesivi di tale bene giuridico (Sez. 5, n. 4364/2013 del 12/12/2012, Arcadi, Rv. 254390).


Pertanto, una volta esclusa la rilevanza della continenza stessa ai fini del riconoscimento della scriminante del diritto di critica, essendo assorbente in proposito il rilevato difetto del requisito del carattere veritiero della notizia, la consapevole e volontaria pubblicazione di un dato storico non riscontrato e non ragionevolmente desumibile da alcun atto a disposizione del giornalista e oggettivamente idoneo a ledere la reputazione della persona offesa, deve ritenersi sufficiente all'integrazione della fattispecie anche sul piano del coefficiente psicologico.


3.3 Nè alcuna incidenza sulla sussistenza del dolo può avere l'errore sulla verità del fatto narrato. Ed infatti l'errore, per escludere la volontarietà dell'azione, deve cadere sugli elementi oggettivi richiesti per l'esistenza del reato. Posto che la veridicità o meno dei fatti o la correttezza dei giudizi oggetto della condotta incriminata non è elemento costitutivo della fattispecie di diffamazione (reato che può essere commesso anche propalando la verità), l'errore sul punto non è dunque rilevante ai fini della qualificazione dell'elemento soggettivo (Sez. 5, n. 47973 del 07/10/2014, De Salvo, Rv. 261205).


4. Venendo alla doglianza relativa alla ritenuta violazione della L. n. 47 del 1948, art. 8, deve osservarsi quanto segue.


4.1 Pur essendo la censura formulata con qualche ambiguità, il ricorrente invoca analogamente a quanto fatto con i motivi di appello - la rilevanza dell'intervenuta rettifica ai fini della inconfigurabilità del reato addebitato agli imputati. Pertanto, vero è che le motivazioni dei giudici del merito non sono condivisibili nella parte in cui sembrano ritenere che quella pubblicata su "(OMISSIS)" non sia stata una vera e propria rettifica, essendosi piuttosto lasciato spazio alla replica della persona offesa. E difatti, le previsioni di cui alla legge sulla stampa si limitano a prevedere l'obbligatorietà della pubblicazione sul quotidiano o sul periodico delle dichiarazioni o delle rettifiche delle persone "di cui siano state pubblicate immagini od ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro dignità o contrari a verità", con riferimento allo scritto che le ha determinate, nella loro interezza ed entro il limite delle trenta righe; nulla si dispone, invece, in merito ad eventuali requisiti aggiuntivi.


4.2 Nondimeno, la decisione della Corte d'appello sul punto appare ugualmente corretta nella parte in cui in pone luce l'irrilevanza della rettifica stessa ai fini dell'integrazione del reato, a causa della mancata eliminazione degli effetti negativi dell'azione criminosa. Invero, coerentemente con la giurisprudenza di questa Corte, per quest'ultima ragione non può riferirsi alla rettifica efficacia scriminante, potendo la stessa incidere esclusivamente sul trattamento sanzionatorio, con specifico riguardo alla sanzione pecuniaria, aggiuntiva rispetto al risarcimento del danno, prevista dalla citata L. n. 47 del 1948, art. 12, (ex multis Sez. 5, n. 16323 del 07/03/2006, Mulè ed altro, Rv. 234426). Nella pronunzia da ultimo citata, si è in particolare negata l'equiparabilità dell'ipotesi contemplata dalla legge sulla stampa alla ritrattazione, disciplinata dall'art. 376 c.p., in ragione essenzialmente del fatto che quest'ultima non solo è volontaria, ma, qualora intervenga nei termini stabiliti da tale disposizione, elide qualsiasi effetto negativo della falsa testimonianza.


4.3 Già il Tribunale aveva invero fatto corretta applicazione di tali principi, valorizzando la pubblicazione della rettifica sul quotidiano in considerazione soltanto in sede di liquidazione del danno cagionato; non risulta inoltre che sia stata disposta la sanzione pecuniaria aggiuntiva prevista dalla citata L. n. 47 del 1948, art. 12. Pertanto, non ha svolto alcun rilievo decisivo ai fini della decisione l'argomentazione, contenuta nella sentenza impugnata, concernente i caratteri della rettifica.


4.4 Nè alcun vizio di motivazione può riscontrarsi nelle determinazioni inerenti al risarcimento del danno, avendo il giudice di primo grado dato pienamente conto dei criteri a tal fine applicati, e costituiti da un lato dalla gravità della falsa notizia pubblicata, e dall'altro della menzionata rettifica, del tenore della restante parte dell'articolo - caratterizzato appunto da continenza espressiva - e della rispondenza alla realtà dei fatti di parte della narrazione.


Anche sotto tali profili, pertanto, i ricorsi possono ritenersi inammissibili in quanto manifestamente infondati.


5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma, ritenuta congrua, di Euro tremila alla Cassa delle Ammende.


P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila ciascuno a favore della Cassa delle Ammende.


Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2019.


Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2019

bottom of page