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Diritto Penale


Diritto penale

Indice:


 

1. La nozione

Il diritto penale è una branca del diritto pubblico che prevede l'applicazione di sanzioni penali a coloro che commettono azioni considerate reati secondo l'ordinamento giuridico.

La legge penale consiste principalmente nella legislazione ordinaria emanata dal parlamento e in altri atti aventi forza di legge. Le fonti normative di rango inferiore sono valide solo per specificare e integrare il contenuto della legge penale, ad esempio, definendo quali sostanze sono considerate stupefacenti.

La legge penale ha validità solo per il futuro e non può essere applicata retroattivamente.

Ciò significa che un'azione commessa prima dell'entrata in vigore di una legge non può essere punita sulla base di tale legge.

Lo Stato, attraverso la proibizione di determinati comportamenti umani considerati reati, utilizza la minaccia di una specifica sanzione, chiamata pena, al fine di proteggere i valori fondamentali di una comunità.

È proprio il tipo di sanzione, ovvero la pena, che distingue il reato, l'illecito penale, dagli illeciti civili e amministrativi.

Inoltre, è proprio il tipo di sanzione, cioè la pena, che contraddistingue la norma penale dalle norme civili e amministrative.

La sanzione conseguente alla violazione di una norma penale è la pena, che può variare nella sua forma e gravità a seconda del reato commesso.

Gli illeciti penali si distinguono in delitti e contravvenzioni: i delitti sono quei reati per i quali sono previste pene come l'ergastolo, la reclusione o la multa, mentre le contravvenzioni sono quei reati per i quali sono previste pene come l'arresto o l'ammenda. Una disposizione penale è composta dal precetto, che vieta un determinato comportamento umano, e dalla sanzione, che stabilisce le conseguenze per la violazione del precetto. È importante sottolineare che, sebbene alcuni reati siano simili in diversi Stati del mondo, le pene possono variare.

Inoltre, molti reati differiscono da uno Stato all'altro, sia perché viene attribuita diversa gravità agli stessi comportamenti antisociali, sia perché ogni Stato punisce certi comportamenti ma non altri, in base all'evoluzione del diritto e della società a livello globale.


2. Le funzioni del diritto penale

Le funzioni del diritto penale sono diverse:

  1. Funzione retributiva: punire il reo per compensare il danno causato alla società con l'atto criminale;

  2. Funzione generale-preventiva: prevenire la commissione di reati attraverso l'intimidazione derivante dalla sanzione e dall'esempio che essa rappresenta;

  3. Funzione propositiva: orientare culturalmente i membri della società, promuovendo valori e norme di convivenza pacifica;

  4. Funzione rieducativa: rieducare il condannato e favorire il suo reinserimento nella società, come previsto dall'articolo 27 della Costituzione;

  5. Funzione difensiva: prevenire la recidiva, impedendo che coloro che abiano già commesso un reato tornino a delinquere in futuro.


3. Le sanzioni del diritto penale

Le sanzioni previste dal diritto penale possono essere suddivise in due categorie:

  1. Pene: sono provvedimenti imposti ai soggetti imputabili, mirano a sanzionare le loro condotte criminose e possono includere pene detentive (come ergastolo, reclusione o fermo) o pene pecuniarie (come multe).

  2. Misure di sicurezza: sono provvedimenti adottati per gestire e "risocializzare" i soggetti considerati socialmente pericolosi, come ad esempio l'internamento in istituti specializzati.

Per quanto riguarda i tipi di reati, essi si distinguono in:

  1. Delitti: sono reati gravi per i quali sono previste pene più severe, come l'ergastolo o la reclusione.

  2. Contravvenzioni: sono reati di minor gravità rispetto ai delitti e sono puniti con pene meno severe, come l'arresto o l'ammenda.

È importante notare che la pena di morte è stata abolita in Italia con l'entrata in vigore della Costituzione repubblicana nel 1948.

Inoltre, il sistema penale italiano è stato adeguato ai principi di libertà e uguaglianza stabiliti dalla Costituzione, sebbene il Codice penale Rocco, emanato durante il regime fascista nel 1930, sia ancora in vigore con alcune modifiche.


4. I principi fondamentali del diritto penale

I principi fondamentali del diritto penale includono:

  1. Principio di legalità: nessuno può essere punito se non per un fatto che sia stato espressamente previsto come reato da una legge vigente al momento della sua commissione;

  2. Principio di materialità: il fatto costitutivo del reato deve essere un'azione o un'omissione concreta, tangibile e verificabile;

  3. Principio di colpevolezza: una persona può essere ritenuta colpevole e quindi sanzionabile solo se il fatto commesso è psicologicamente attribuibile all'autore, ovvero se c'è una volontà cosciente e una responsabilità soggettiva;

  4. Principio di offensività: la sanzione penale può essere applicata solo se viene leso un bene giuridico tutelato dalla legge, cioè se viene commessa un'offesa rilevante per l'ordinamento giuridico.


4.1 Il principio di legalità

Il principio di legalità, fondamentale nel sistema penale, stabilisce che nessuno può essere punito o sottoposto a misure di sicurezza se non in base a una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso.

È sancito dagli articoli 25 della Costituzione italiana, 1 del Codice Penale e 199 del Codice Penale.

Questo principio implica che nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente previsto come reato dalla legge, né con pene diverse da quelle stabilite dalla legge.

Il principio di legalità formale comprende quattro corollari:

Principio di riserva di legge: Perché un comportamento sia considerato reato, deve essere previsto dalla legge in maniera chiara e precisa. Non si può punire qualcosa che non sia espressamente indicato come reato dalla legge.

Principio di tassatività: È necessaria la formulazione di una fattispecie tipica che specifichi ciò che è lecito o illecito penalmente. La legge deve individuare in modo dettagliato le condotte punibili.

Principio di irretroattività: Nessuno può essere punito per un fatto che non era previsto come reato al momento in cui è stato commesso. Tuttavia, questo principio non si applica alle misure di sicurezza e può essere limitato per norme diverse da quelle penali che influiscono sulla rilevanza penale di un fatto.

Principio di tipicità o divieto di analogia: È considerato reato solo ciò che il legislatore ha espressamente e tassativamente indicato come tale. L'interpretazione estensiva può essere un'eccezione a questo principio.

L'interpretazione giuridica è il processo attraverso il quale si chiarisce e si spiega il significato di una norma.

Quando una controversia non può essere risolta con una disposizione specifica, si deve fare riferimento alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe.

Se ci sono ancora dubbi, si deve decidere secondo i principi generali dell'ordinamento giuridico.

La successione delle leggi penali si verifica quando una norma si estingue e un'altra la sostituisce.

La retroattività della norma incriminatrice si applica se una nuova norma non considera più un fatto come reato che era stato considerato tale in precedenza. L'abolizione, l'abrogazione e la modifica sono le diverse modalità attraverso cui avviene la successione delle leggi penali.

Sul punto, sono necessarie le seguenti precisazioni

  1. Abolitio Criminis: Se una nuova norma elimina un comportamento che in precedenza era considerato un reato, si applica il principio di retroattività della legge penale più favorevole. Ciò significa che il reato viene estinto retroattivamente, e il reo non può essere punito per quel comportamento anche se è stato commesso prima dell'entrata in vigore della nuova legge.

  2. Abrogazione: L'abrogazione si verifica quando una norma di portata più generale sostituisce una norma di portata più specifica. In questo caso, la norma precedente cessa di essere efficace, e la nuova norma si applica alle situazioni future. L'abrogazione non ha un effetto retroattivo sui comportamenti commessi prima dell'entrata in vigore della nuova legge.

  3. Modificazione: La modifica di una norma penale può avvenire secondo due teorie:

    • Teoria della continuità del tipo di illecito: Si parla di modifica quando due norme hanno lo stesso bene giuridico protetto e le stesse modalità di aggressione. In questo caso, la nuova norma si applica alle situazioni future, ma non ha effetto retroattivo sui comportamenti passati.

    • Teoria del rapporto di continenza: Si ha una modifica quando la nuova norma introduce una fattispecie con elementi di specialità rispetto alla disposizione precedente. Anche in questo caso, la nuova norma si applica solo alle situazioni future e non retroattivamente.

Infine, riguardo al principio di retroattività, è corretto affermare che, di norma, la legge penale più favorevole deve essere applicata retroattivamente al reo. Tuttavia, ci sono eccezioni in cui le leggi eccezionali o temporanee possono essere prive di retroattività. In tali casi, si applica sempre la disposizione in vigore al momento in cui è stato commesso il fatto, senza considerare eventuali modifiche successive.


4.2 Il principio di materialità

Il principio di materialità stabilisce che il reato deve consistere in un fatto umano che si manifesti concretamente nel mondo esterno.

Il principio di materialità del reato afferma che nessuna offesa può essere considerata penalmente rilevante senza un'azione che la causi.

Il nostro sistema penale adotta un approccio oggettivo, basato sul fatto materiale, cioè sul comportamento umano che si manifesta nel mondo esterno e può essere percepito dai sensi (nullum crimen sine actione).

Di conseguenza, nessuno può essere punito semplicemente per un'intenzione.

La materialità del fatto di reato può variare dall'inizio dell'azione (ad esempio, nei reati di tentativo o di attentato) alla realizzazione dell'intera azione (ad esempio, nei reati di mera condotta) fino al compimento effettivo dell'evento materiale (ad esempio, nei reati di evento).

In altre parole, affinché un reato sia considerato commesso, è necessaria l'esistenza di un comportamento concreto che costituisca l'azione criminosa. L'intenzione o la predisposizione mentale da sole non sono sufficienti per configurare un reato, ma devono essere accompagnate da un comportamento esterno che le manifesti.

Questo principio serve a garantire che l'intervento penale sia basato su fatti concreti e oggettivi, e non su mere supposizioni o sospetti.

Inoltre, sottolinea l'importanza dell'elemento oggettivo nel diritto penale, richiedendo una prova della condotta materiale per stabilire la responsabilità penale di un individuo.

L'articolo 25, secondo comma, della Costituzione italiana afferma che il reato deve essere un "fatto commesso", che implica una modificazione materiale della realtà. Pertanto, solo le azioni esterne, e non i pensieri o le intenzioni interne, possono produrre danni agli altri.

Gli atti interni, come i pensieri e le intenzioni, non sono dannosi per nessuno, e non vi è interesse nella loro punizione o vendetta.

Da questo principio derivano tre divieti:

  • È vietato considerare un'intenzione semplice come un reato (ad esempio, l'intenzione di rubare);

  • È vietato considerare un'intenzione, anche se manifestata, come un reato fino a quando non raggiunge i limiti del tentativo punibile (cioè atti inequivocabilmente diretti all'azione criminosa ai sensi dell'articolo 56 del Codice Penale), o finché non si traduce in una pubblica istigazione a delinquere (articolo 414 del Codice Penale) o a disobbedire alle leggi di ordine pubblico (articolo 415 del Codice Penale);

  • È vietato considerare una persona penalmente responsabile per il suo stato d'essere (ad esempio, l'appartenenza a una determinata razza o etnia).

Questo principio è fondamentale perché fornisce la prima qualificazione del diritto penale.

Non si tratta di punire intenzioni, pensieri o stati d'essere, ma di punire l'effettiva condotta (attiva o omissiva) che una persona compie concretamente.

Il diritto penale non punirà mai una persona se ha l'intenzione di uccidere qualcuno ma non mette in pratica tale intenzione.

Interverrà solo quando la persona traduce il suo proposito criminale in azione effettiva e uccide effettivamente la vittima designata.

In sintesi, il diritto penale si concentra sulla condotta materiale, sull'azione concreta, piuttosto che sui pensieri o sulle intenzioni interiori di una persona.


4.3 Il principio di offensività

Il principio di offensività nel diritto penale sottolinea la necessità che una persona sia punita solo per una condotta che costituisce un'offesa al bene giuridico protetto dalla norma penale. In altre parole, affinché un'azione sia punibile, deve essere lesiva di un interesse o di un bene tutelato dal sistema giuridico.

I beni giuridici che possono essere oggetto di tutela penale non si limitano solo a quelli espressamente previsti dalla Costituzione, ma includono anche altri beni costituzionali che, pur non essendo specificatamente menzionati, ricevono tutela indiretta sulla base dei principi costituzionali.

Il principio di offensività trova il suo fondamento nel principio di legalità, come stabilito dall'articolo 25, secondo comma, della Costituzione italiana. Questo principio afferma che una persona può essere punita solo per un "fatto" previsto come reato dall'ordinamento giuridico. La nozione di "fatto" viene interpretata come un evento materiale e offensivo, visibile nel mondo esterno. Di conseguenza, il sistema penale esclude la punibilità dei meri pensieri o intenzioni.

Ciò è confermato dall'articolo 115 del Codice Penale italiano, che stabilisce che l'accordo per commettere un reato e l'istigazione non sono di per sé punibili, salvo l'applicazione di misure di sicurezza.

Un'altra norma costituzionale a cui si fa riferimento per l'operatività del principio di offensività è l'articolo 13 della Costituzione italiana. Si ritiene che la libertà personale sia un bene fondamentale e, di conseguenza, può essere limitata solo per proteggere un bene di uguale rilievo che risulta pregiudicato da un'azione lesiva.

Infine, un altro fondamento tradizionalmente attribuito al principio di offensività è l'articolo 27, terzo comma, della Costituzione italiana, che sancisce il principio della funzione rieducativa della pena. Si sostiene che l'incriminazione e la conseguente punizione di un comportamento inoffensivo porterebbe a un'interpretazione da parte dell'agente come ingiusta, compromettendo così la capacità della pena di svolgere la sua funzione rieducativa, come espressamente prevista dalla Costituzione.

Anche a livello europeo, è possibile individuare norme che, sebbene non esplicitamente, sottendono il principio di offensività. Ad esempio, l'articolo 7 della Convenzione europea per i diritti dell'uomo (CEDU) sancisce il principio di legalità, con un contenuto simile a quello previsto dall'articolo 25, secondo comma, della Costituzione italiana. L'articolo 7 CEDU stabilisce che nessuno può essere punito per un "fatto" che al momento della sua commissione non costituiva un reato. L'uso del termine "fatto" implica che l'azione dell'individuo debba presentare i caratteri di materialità e offensività.


4.4 Il principio di soggettività

Secondo l'articolo 27 della Costituzione, un comportamento umano costituisce un reato solo se è tipico, compiuto in assenza di cause di giustificazione e riconducibile alla volontà dell'agente.

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 364/1988, ha stabilito che questo principio è diventato il fondamento della responsabilità penale personale e si manifesta come un giudizio di rimproverabilità per l'atteggiamento dell'agente.


4.5 Il principio di territorialità

Tutte le azioni dello Stato, inclusi gli atti legislativi, hanno efficacia limitata al territorio.

La legge penale italiana si applica a tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano nel territorio dello Stato (articolo 3, comma 1, del codice di procedura penale).

Chiunque commetta un reato nel territorio dello Stato sarà punito secondo la legge italiana (articolo 6, comma 1, del codice di procedura penale).

La legge penale italiana si applica anche a coloro che, cittadini o stranieri, si trovano all'estero, ma solo nei casi stabiliti dalla legge stessa o dal diritto internazionale (articolo 3, comma 2, del codice di procedura penale).

Il territorio dello Stato comprende:

  • Il territorio della Repubblica, che include la terraferma nei limiti dei confini politici, il mare territoriale fino a 12 miglia marine lungo le coste continentali e insulari, lo spazio aereo sopra il territorio e il mare territoriale, il sottosuolo fino al punto in cui l'uomo può trarne vantaggio e le ambasciate;

  • Le navi e gli aeromobili, ovunque si trovino, tranne se soggetti a una legge territoriale straniera secondo il diritto internazionale. Le navi mercantili private sono soggette alle leggi locali, mentre le navi militari o dello Stato sono considerate territorio italiano a bordo. Per le azioni commesse dall'equipaggio sceso a terra, si applica la legge dello Stato in cui si trovano.


Ci sono reati che saranno sempre puniti incondizionatamente dallo Stato italiano anche se commessi all'estero:

Delitti contro le istituzioni dello Stato.

Delitti di contraffazione del sigillo dello Stato e uso di tale sigillo.

Delitti di falsificazione di valuta legale nel territorio dello Stato e di francobolli o carte di credito.

Delitti commessi da pubblici ufficiali a servizio dello Stato abusando dei loro poteri o violando i loro doveri ufficiali.

Qualsiasi reato per il quale disposizioni speciali di legge o convenzioni internazionali prevedano l'applicazione della legge italiana.

Un reato si considera commesso nel territorio dello Stato se l'azione o l'omissione che lo costituisce avviene in tutto o in parte nel territorio, oppure se l'evento si verifica nel territorio.

4.6 Il principio di obbligatorietà

Il principio di obbligatorietà stabilisce che la legge penale italiana si applica a tutti coloro, cittadini o stranieri, che si trovano nel territorio dello Stato, salvo le eccezioni previste dal diritto pubblico interno o dal diritto internazionale. In altre parole, nessun'altra autorità al di fuori dello Stato può esercitare la propria giurisdizione sul territorio italiano.

Le immunità sono prerogative speciali riconosciute a persone che ricoprono determinate funzioni o occupano cariche di particolare importanza. Queste prerogative consistono nell'esenzione da conseguenze penali in base alla loro qualifica personale e possono derivare dal diritto pubblico interno o dal diritto internazionale.

Nel contesto del diritto interno, le immunità riguardano il Capo dello Stato, che non è responsabile penalmente per gli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni (tranne che per alto tradimento o attentato alla Costituzione). Riguardano anche i membri del Parlamento e i Consiglieri regionali, che godono di immunità per le opinioni espresse e i voti dati nell'esercizio delle loro funzioni. Nessun membro del Parlamento può essere arrestato senza l'autorizzazione della Camera di appartenenza, salvo per reati per i quali è prevista l'obbligatoria cattura. I Giudici della Corte Costituzionale e i membri del Consiglio Superiore della Magistratura godono anche di immunità. Tuttavia, non è prevista alcuna immunità per i reati comuni.

Per quanto riguarda il diritto internazionale, le immunità riguardano i Capi di Stato esteri presenti in Italia durante il tempo di pace, il Papa, i Ministri degli Affari esteri, i membri stranieri dei tribunali arbitrali, gli agenti diplomatici accreditati presso il Capo dello Stato, i consoli, i vice consoli e gli agenti consolari, i reparti di truppe straniere autorizzati dallo Stato, i diplomatici stranieri, i membri del Parlamento europeo e i membri della Corte dell'Aia.

Queste immunità sono previste per garantire l'efficace svolgimento delle funzioni di queste persone e sono regolate da specifiche norme di diritto interno e internazionale.


4.7 Il principio del "ne bis in idem"

Il principio del "ne bis in idem" sostanziale stabilisce che per uno stesso fatto una persona non può essere chiamata a rispondere di titoli diversi di reato. Questo principio è fondamentale per evitare l'applicazione contemporanea di più norme a uno stesso fatto, fenomeno noto come concorso apparente di norme coesistenti.

Il concorso apparente di norme coesistenti si verifica quando due o più norme sembrano, in astratto, applicabili allo stesso fatto, ma in concreto l'applicazione di una esclude l'altra. La finalità di questa disciplina è evitare che al colpevole venga applicato in modo ingiustificato il regime del concorso di reati. Nella sua formulazione, il legislatore italiano ha adottato il criterio di specialità, secondo cui la norma speciale prevale sulla norma generale. Questo criterio si basa sulla presenza di elementi particolari e specifici nella norma speciale, che vanno oltre gli elementi contenuti nella fattispecie generale.

I criteri per dirimere il conflitto apparente di norme e applicare il principio del ne bis in idem in astratto sono tre:

  1. Criterio di specialità (art. 15 c.p.): stabilisce la priorità della norma speciale su quella generale, quando tra due norme esiste un rapporto di genere a specie. Questo criterio è rilevante quando due o più leggi possono regolare lo stesso fatto giuridico, creando dubbi su quale decisione adottare. Stabilisce la supremazia delle leggi speciali sul codice civile e delle leggi specifiche su quelle generiche.

  2. Criterio di sussidiarietà: le norme sussidiarie si applicano solo se non possono essere applicate altre norme primarie. Questo criterio individua una relazione tra norme che prevedono gradi diversi di offesa al medesimo bene giuridico. Ad esempio, tra la contravvenzione di atti contrari alla pubblica decenza e il delitto di atti osceni, la norma che prevede l'offesa più grave viene applicata in sostituzione della fattispecie che prevede un'offesa di grado minore.

  3. Criterio di consunzione o assorbimento: afferma che quando la commissione di un reato è solitamente accompagnata dalla commissione di un secondo reato ulteriore, si esclude che al medesimo soggetto possano essere addebitati entrambi i reati. In questi casi, viene applicata solo la norma che prevede la pena più grave. Questo criterio rappresenta un'espressione del principio più generale del "ne bis in idem" sostanziale, che è stato accolto dal legislatore penale nella disciplina del concorso di norme penali.

Questi criteri consentono di risolvere il conflitto apparente tra norme penali e di applicare il principio del "ne bis in idem" in modo equo e coerente.


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