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Evasioni IVA: sono frodi gravi all’interesse finanziario UE anche se manca la fraudolenza.

In tema di frodi dell'interesse finanziario dell'Unione, le condotte evasive dell'i.v.a. dell'ordinamento italiano possono essere connotate di frode pur in assenza di previsione espressa, nella norma sanzionatoria di riferimento, del requisito della fraudolenza: così, anche la violazione degli art. 5,8 e 10 ter D.Lgs. n. 74 del 2000, possono essere connotate quale frodi gravi all'interesse finanziario dell'Unione, che l'art. 325 tfUe tutela. L'art. 133 c.p. è un parametro oggettivo d'individuazione del requisito della gravità della frode per cui il giudice nazionale operi la non applicazione della prescrizione.

Tribunale Napoli sez. V, 20/07/2021, (ud. 20/07/2021, dep. 20/07/2021), n.7092 (Dott. LUCA PURCARO)


RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, con decreto di citazione diretta emesso in data 16.01.2020, disponeva il rinvio a giudizio di (...) davanti a questo giudice monocratico della V Sezione Penale affinché rispondesse dei reati di omesso versamento di IVA, come in epigrafe contestati.

Alla prima udienza del 16.06.2020, svoltasi nell'assenza dell'imputato regolarmente citato e non comparso in giudizio senza addurre alcun impedimento, il processo era rinviato, poiché non era ricompreso tra quelli da trattare in base ai decreti n. 108/2020 e 140/2020 emessi dal Presidente del Tribunale per limitare il numero dei procedimenti da celebrare a causa dell'emergenza epidemiologica da Covid-19.

Alla successiva udienza del 13.04.2021, dopo la formale dichiarazione di apertura del dibattimento, erano ammesse le prove documentali e orali richieste dalle parti. Si procedeva, poi, all'istruttoria dibattimentale mediante l'escussione del teste Nello Valenti, in servizio presso l'Agenzia delle Entrate - DP I Napoli - UT Pozzuoli, sentito in sostituzione di quello indicato nella lista del P.M. su delega del responsabile del predetto Ufficio in quanto a diretta conoscenza dei fatti. Il processo, infine, era rinviato per l'assenza dei testi di cui alla lista della difesa.

All'udienza del 15.06.2021, il processo non poteva essere celebrato per analogo motivo, avendo uno dei testi della difesa anche giustificato l'assenza.

Alla successiva udienza del 6.7.2021 il processo era rinviato, poiché non rientrante tra quelli da celebrare ai sensi dei decreti n. 310/2020 del 13.11.2020 e n. 5/2021 del 31.03.2021, emessi dal Presidente del Tribunale per limitare il numero dei procedimenti da trattare a causa dell'emergenza epidemiologica in atti.

All'odierna udienza del 20.07.2021, il giudice, stante il decorso del termine di prescrizione dei reati, ha revocato l'ordinanza ammissiva delle prove in relazione ai testi di cui alla lista della difesa. Al termine, dichiarati chiusa l'istruttoria dibattimentale e utilizzabili ai fini della decisione gli atti contenuti nel fascicolo processuale, si è svolta la discussione finale, in cui le parti hanno concluso nei sensi prima trascritti.

B. Ritiene questo giudicante che i reati ascritti all'imputato siano estinti per intervenuto decorso del termine massimo di prescrizione.

1. Si deve rilevare, in primo luogo, che il termine ordinario di prescrizione per i delitti di cui l'imputato risponde è quello di sei anni previsto dall'art. 157, comma 1, c.p., così come modificato dall'art. 6, comma 1, L. 05.12.2005 n. 251. In proposito si deve evidenziare che non è possibile tenere conto, ai sensi dell'art. 157, comma 2, c.p., dell'aumento di pena per la recidiva, poiché l'imputato è incensurato e, in ogni caso, il P.M. non l'ha contestata.

E' appena il caso di evidenziare che il rappresentante della pubblica accusa non poteva più procedere a contestare la recidiva ai fini della prescrizione, poiché, per la prevalente giurisprudenza di legittimità, "la maturata prescrizione del reato osta a che si possa contestare la recidiva, e conseguentemente addivenire a declaratoria di responsabilità, posto che, una volta maturato il termine massimo di prescrizione, la prosecuzione del processo è incompatibile con l'obbligo di immediata declaratoria della causa estintiva del reato. Né la contestazione della recidiva, con il conseguente prolungamento dei termini prescrizionali, può determinare la reviviscenza di un reato ormai estinto" (così Cassazione penale, sez. VI, 22/09/2015, n. 47499).

Il termine massimo di prescrizione del reato, anche considerati gli atti interruttivi intervenuti tempestivamente, è decorso, per il capo a), il 28.06.2020 e, per il capo b), il 28.06.2021. In tale caso, infatti, trovano applicazione gli artt. 160,comma 3, e 161, comma 2, c.p., così come novellati dalla legge prima citata, per i quali i termini previsti dall'art. 157 c.p.non possono essere prolungati oltre un quarto, tranne i casi di imputati recidivi, ipotesi non ricorrente nel caso in esame, per come in precedenza chiarito.

Nel presente procedimento, inoltre, non vi sono state cause di sospensione della prescrizione.

2. Ad avviso di questo giudice non è possibile applicare il diverso termine di prescrizione previsto dall'art. 17, comma 2, del D.L.vo n. 74/2000, il quale è stato aggiunto dall'art. 2, comma 36 vicies semel lett. 1), del D.L. 13.08.2011 n. 138, convertito, con modificazioni, nella L. 14.09.2011 n. 148.

Il termine di prescrizione in esame, che prevede un aumento di un terzo rispetto alla disciplina ordinaria, si applica, infatti, ai "delitti previsti dagli articoli da 2 a 10" del D.L. n. 74/2000, nei quali, quindi, non è compreso il reato contestato di cui all'art. 10 ter.

La norma di cui all'art. 17, comma 2, è di stretta interpretazione, avendo modificato in senso più sfavorevole il regime della prescrizione, che ha natura sostanziale, per cui non può essere applicata ai casi in essa non espressamente previsti.

Si deve osservare, inoltre, che al momento della novella legislativa in esame era già stato introdotto il delitto di cui all'art. 10 ter, norma che nella sua versione originale è stata inserita dall'art. 35, comma 7, del D.L. 4.7.2006 n. 223, convertito, con modificazioni, nella L. 4.8.2006 n. 248, per cui la mancata inclusione della fattispecie in esame nel catalogo dei reati per i quali è previsto l'aumento di un terzo dei termini di prescrizione appare la conseguenza di una scelta legislativa o di un difetto di coordinamento, al quale, però, non è possibile ovviare in via interpretativa, per le ragioni esposte in precedenza.

3. L'applicazione della disciplina codicistica dei termini di prescrizione del reato, pone a questo punto al giudice la necessità di valutare se possa operare una disapplicazione degli artt. 157 e segg. c.p., alla luce della normativa comunitaria (art. 325 TFUE) e dell'interpretazione offerta dalla giurisprudenza comunitaria (sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, Grande sezione, (...) dell'8 settembre 2015, C-105/14).

Sul punto esiste un contrasto all'interno della giurisprudenza della Corte Suprema di Cassazione, che è divisa tra due diversi orientamenti, i quali possono essere così sintetizzati.

3. a. Secondo una prima interpretazione, non è possibile disapplicare la disciplina ordinaria in materia di prescrizione quando è contestato il reato di omesso versamento di IVA, che non si caratterizza per la condotta di frode e, quindi, non rientra nella previsione di cui al citato art. 325 (cfr. Cassazione penale, sez. III, 16/12/2016, n. 16458).

Appare opportuno riportare in questa sede un ampio passaggio della motivazione della sentenza che ha espresso la tesi prima sintetizzata.

"5.1. ...omissis....L'art. 325 TFUE, come interpretato dalla CGUE, da ultimo, in particolare, nella sentenza della Grande Camera nella causa C-105/14, (...) ed altri, non si applica alle fattispecie di reato strutturalmente non caratterizzate da frode, come quella di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter, così come definita dall'art. 1 della Convenzione elaborata in base all'art. K.3 del Trattato sull'Unione Europea relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità Europee, firmata a Lussemburgo il 26 luglio 1995 (ed. Convenzione PLF), cui fa riferimento, a fini definitori, la giurisprudenza eurounitaria.

5.2. Afferma la citata sentenza CGUE: "36. Al riguardo si deve ricordare che, in base al combinato disposto della direttiva 2006/112 e dell'art. 4, paragrafo 3, TUE, gli Stati membri hanno non solo l'obbligo di adottare tutte le misure legislative e amministrative idonee a garantire che l'IVA dovuta nei loro rispettivi territori sia interamente riscossa, ma devono anche lottare contro la frode (v., in tal senso, sentenza (...), C-617/10, EU:C:2013:105, punto 25 e giurisprudenza ivi citata). 37 Inoltre, l'art. 325 TFUE obbliga gli Stati membri a lottare contro le attività illecite lesive degli interessi finanziari dell'Unione con misure dissuasive ed effettive e, in particolare, li obbliga ad adottare, per combattere la frode lesiva degli interessi finanziari dell'Unione, le stesse misure che adottano per combattere la frode lesiva dei loro interessi finanziari (v. sentenza (...), C-617/10, EU:C:2013:105, punto 26 e giurisprudenza ivi citata). 38 La Corte ha in proposito sottolineato che, poiché le risorse proprie dell'Unione comprendono in particolare, ai sensi dell'art. 2, paragrafo 1, lett. b), della decisione 2007/436, le entrate provenienti dall'applicazione di un'aliquota uniforme agli imponibili IVA armonizzati determinati secondo regole dell'Unione, sussiste quindi un nesso diretto tra la riscossione del gettito dell'IVA nell'osservanza del diritto dell'Unione applicabile e la messa a disposizione del bilancio dell'Unione delle corrispondenti risorse IVA, dal momento che qualsiasi lacuna nella riscossione del primo determina potenzialmente una riduzione delle seconde (v. sentenza (...), C-617/10, EU:C:2013:105, punto 26). 39 Se è pur vero che gli Stati membri dispongono di una libertà di scelta delle sanzioni applicabili, che possono assumere la forma di sanzioni amministrative, di sanzioni penali o di una combinazione delle due, al fine di assicurare la riscossione di tutte le entrate provenienti dall'IVA e tutelare in tal modo gli interessi finanziari dell'Unione conformemente alle disposizioni della direttiva 2006/112 e all'art. 325 TFUE (v., in tal senso, sentenza (...), C-617/10, EU:C:2013:105, punto 34 e giurisprudenza ivi citata), possono tuttavia essere indispensabili sanzioni penali per combattere in modo effettivo e dissuasivo determinate ipotesi di gravi frodi in materia di IVA. 40 Occorre del resto ricordare che, ai sensi dell'art. 2, paragrafo 1, della Convenzione PIF, gli Stati membri devono prendere le misure necessarie affinché le condotte che integrano una frode lesiva degli interessi finanziari dell'Unione siano passibili di sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive che comprendano, almeno nei casi di frode grave, pene privative della libertà. 41 La nozione di "frode" è definita all'art. 1 della Convenzione PIF come "qualsiasi azione od omissione intenzionale relativa (...) all'utilizzo o alla presentazione di dichiarazioni o documenti falsi, inesatti o incompleti cui consegua la diminuzione illegittima di risorse del bilancio generale (dell'Unione) o dei bilanci gestiti (dall'Unione) o per conto di ess(a)". Tale nozione include, di conseguenza, le entrate provenienti dall'applicazione di un'aliquota uniforme agli imponibili IVA armonizzati determinati secondo regole dell'Unione.

Questa conclusione non può essere infirmata dal fatto che l'IVA non sarebbe riscossa direttamente per conto dell'Unione, poiché l'art. 1 della Convenzione PIF non prevede affatto un presupposto del genere, che sarebbe contrario all'obiettivo di tale Convenzione di combattere con la massima determinazione le frodi che ledono gli interessi finanziari dell'Unione".

5.3. La sentenza Sez. 3, n. 2210 del 17/09/2015, (...), Rv. 266121, citata dal PG ricorrente a sostegno delle sue ragioni, ha disapplicato le disposizioni in materia di prescrizione di cui all'art. 160 c.p., comma 3, u.p., e art. 161 c.p., comma 2, in un caso di dichiarazione fraudolenta di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2. Non diversamente, la Corte di appello di Milano e questa stessa Sezione Terza, con ordinanze rispettivamente del 18/09/2015 e del 30/03/2016 (dep. 08/07/2016), hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale della L. 2 agosto 2008, n. 130, art. 2 (Ratifica ed esecuzione del Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull'Unione Europea e il Trattato che istituisce la Comunità Europea e alcuni atti connessi, con atto finale, protocolli e dichiarazioni, fatto a Lisbona il 13 dicembre 2007), nella parte in cui autorizza alla ratifica e rende esecutivo l'art. 325, paragrafi 1 e 2, del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea (TFUE), sottoscritto a Roma il 25 marzo 1957 (Testo consolidato con le modifiche apportate dal Trattato di Lisbona 13 dicembre 2007), come interpretato dalla sentenza della Grande Sezione della Corte di giustizia dell'Unione Europea 8 settembre 2015 in causa C-105/14, (...), in casi di (grave) frode fiscale (c.d. "frode carosello"; la Corte di appello di Milano anche per il delitto di associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri, previsto dal D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 291-quater, ritenuto assimilabile all'associazione per delinquere allo scopo di commettere delitti in materia di IVA, lesivi degli interessi finanziari dell'Unione).

5.4. La frode non è elemento costitutivo del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter, che si consuma puramente e semplicemente con il mancato pagamento dell'imposta dovuta in base alla dichiarazione annuale entro la scadenza del termine per il pagamento dell'acconto relativo al periodo di imposta dell'anno successivo ed è punibile a titolo di dolo generico, che consiste nella coscienza e volontà di non versare all'Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato, non essendo nemmeno richiesto che il comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte; la prova del dolo è insita in genere nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, e che deve, quindi, essere saldato o almeno contenuto non oltre la soglia, entro il termine lungo previsto (Sez. U, n. 37424 del 28/03/2013, (...)).

5.5. La fattispecie penale, dunque, non richiede alcuna indagine sulla corrispondenza a vero del debito tributario dichiarato; rileva la dichiarazione in sé, quale fatto che oggettivamente quantifica l'imponibile e, quindi, la misura dell'inadempimento penalmente sanzionato" (così ibidem).

Applicando la tesi sostenuta dalla sentenza n. 16458/2016 alla fattispecie di cui al presente procedimento, deriverebbe in maniera automatica la mancata possibilità di operare la disapplicazione degli artt. 161 e 162 c.p..

3. b. Secondo un secondo orientamento, invece, anche la fattispecie di cui all'art. 10 ter D.L. n. 74/2000 può essere caratterizzata dall'elemento della frode e, quindi, in astratto non è precluso al giudice nazionale operare la disapplicazione della disciplina interna della prescrizione alla luce della giurisprudenza comunitaria.

In particolare, è stato affermato che "in tema di frodi dell'interesse finanziario dell'Unione, le condotte evasive dell'i.v.a. dell'ordinamento italiano possono essere connotate di frode pur in assenza di previsione espressa, nella norma sanzionatoria di riferimento, del requisito della fraudolenza: così, anche la violazione degli art. 5,8 e 10 ter D.Lgs. n. 74 del 2000, possono essere connotate quale frodi gravi all'interesse finanziario dell'Unione, che l'art. 325 tfUe tutela. L'art. 133 c.p. è un parametro oggettivo d'individuazione del requisito della gravità della frode per cui il giudice nazionale operi la non applicazione della prescrizione, come dispone la sentenza (...) della Corte di giustizia Ue" (così Cassazione penale, sez. III, 15/12/2016, n. 12160).

Si ritiene anche in questo caso di riportare per esteso la parte più rilevante della sentenza riportata solo in massima.

"3. La sentenza impugnata ha ritenuto prescritto il reato di omessa dichiarazione relativa al periodo di imposta 2006 solo con riguardo alle imposte dirette e non anche con riguardo all'Iva giacché, con riferimento a quest'ultima, dovrebbe tenersi conto del fatto che, come già affermato da Sez. 3, n. 2210 del 17/09/2015, dep. 20/01/2016, (...), Rv. 266121, in ipotesi consistenti in condotte fraudolente che comportino, in concreto, l'evasione in misura "grave" di tributi IVA, le disposizioni in materia di prescrizione di cui all'art. 160 c.p., comma 3, ultima parte, e art. 161 c.p., comma 2, devono essere disapplicate - in quanto in contrasto con gli obblighi comunitari imposti agli Stati membri dall'art. 325, paragrafi 1 e 2, del T.F. U.E., in considerazione di quanto affermato nella sentenza della Corte di giustizia, Grande Sezione, 8 settembre 2015, C-105/14, (...) - trovando invece applicazione, in tali casi, la più rigorosa disciplina già prevista nell'ordinamento per i delitti di cui all'art. 51 c.p.p., commi 3-bis e 3-quater, secondo cui il termine ordinario di prescrizione ricomincia a decorrere dopo ogni atto interruttivo. Sicché, nella specie, il termine di prescrizione, iniziato a decorrere in data 30/12/07 (dovendo tenersi conto dei novanta giorni di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5, comma 2), e sospeso dal 21/03/2014 al 09/06/2014, non maturerebbe prima del 21/03/2020.

Ritiene tuttavia il collegio che, a prescindere dalla questione dell'applicabilità di tali principi con riferimento a condotte, come quelle di specie, poste in essere anteriormente alla adozione della pronuncia della Corte di giustizia sopra ricordata in ragione del possibile conflitto in particolare con i principi costituzionali dell'art. 25 Cost., comma 2, nonché degli artt. 3 e 11 Cost., art. 27 Cost., comma 3, e art. 101 Cost., comma 2, che ha portato successivamente questa stessa Corte di legittimità a sollevare dinanzi alla Corte costituzionale questione di legittimità della L. 2 agosto 2008, n. 130, art. 2, che ordina l'esecuzione del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea, come modificato dall'art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 (TFUE), nella parte che impone di applicare l'art. 325, p. 1 e 2, T.F.U.E., (v. ordinanze Sez. 3, n. 28346 del 30/03/2016, dep. 08/07/2016, (...) e altri, Rv. 267259, e n. 33538 del 31/03/2016, dep. 01/08/2016, (...) e altri), difetterebbe in ogni caso, nella specie, il presupposto cui il peculiare computo di prescrizione è stato, nella giurisprudenza della Corte di giustizia, condizionato, ovvero la presenza della caratteristica di "gravità" della frode (ciò che, tra l'altro renderebbe non rilevante, nella specie, la questione di legittimità costituzionale già sollevata da questa Corte).

Ai fini dell'individuazione di tale nozione va anzitutto chiarito che, come già ritenuto da questa Corte successivamente alla rimessione della questione di legittimità costituzionale appena ricordata (Sez. 3, n. 44584 del 07/06/2016, dep. 24/10/2016, (...) e altri, non massimata), nel concetto di "frode" grave, suscettibile di ledere gli interessi finanziari dell'Unione Europea, devono ritenersi incluse, nella prospettiva dell'ordinamento penale italiano, non soltanto le fattispecie che contengono il requisito della fraudolenza nella descrizione della norma penale - come nel caso del D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 2,3 e 11 -, ma anche le altre fattispecie che, pur non richiamando espressamente tale connotato della condotta, siano comunque dirette all'evasione dell'IVA. Da un lato, diversamente opinando, si otterrebbe una irragionevole disparità di trattamento in relazione a condotte comunque poste in essere al medesimo fine illecito, e, dall'altro, proprio nelle operazioni fraudolente più complesse ed articolate e dunque maggiormente insidiose per il bene giuridico tutelato, le singole condotte, pur astrattamente ascrivibili alla tipicità di fattispecie penali prive del requisito espresso della fraudolenza - come quelle di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 5,8, e 10 ter -, rappresentano a ben vedere la modalità truffaldina dell'operazione; sarebbe intrinsecamente irragionevole, dunque, si è affermato sempre nella richiamata decisione, disapplicare le norme viziate da "illegittimità comunitaria", in relazione alle sole fattispecie connotate dal requisito espresso della fraudolenza, e non disapplicarle nelle fattispecie, strettamente connesse sotto il profilo fattuale, ed indispensabili per la configurazione del meccanismo frodatorio, non connotate dal medesimo requisito.

Ad ulteriore conforto sovviene poi l'argomento rappresentato dalla definizione di "frode" rilevante nell'ordinamento sovranazionale: al riguardo, già l'art. 325 TFUE, già richiamato dalla Corte di Lussemburgo quale norma di diritto primario fondante l'obbligo di disapplicazione, sancisce che "L'Unione e gli Stati membri combattono contro la frode e le altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell'Unione (...)"; ne deriva che se l'art. 325 TFUE rappresenta la base legale dell'obbligo di disapplicazione sancito dalla Corte di Giustizia, esso non può che avere ad oggetto non solo la frode, strettamente intesa, ma anche, appunto, le altre attività illegali ad essa equiparate. Né può sfuggire che la Corte di Lussemburgo ha affermato il principio in discussione con riferimento ad una "frode carosello" nella quale erano contestate, altresì, fattispecie penali prive del requisito espresso della fraudolenza nella descrizione normativa. Si è aggiunto come la nozione di "frode" sia poi specificamente definita dall'art. 1 della Convenzione PIF come "qualsiasi azione od omissione intenzionale relativa (...) all'utilizzo o alla presentazione di dichiarazioni o documenti falsi, inesatti o incompleti cui consegua la diminuzione illegittima di risorse del bilancio generale (dell'Unione) o dei bilanci gestiti (dall'Unione) o per conto di ess(a)", norma che viene richiamata dalla stessa sentenza (...) a proposito dell'irrilevanza del fatto che l'IVA non venga riscossa direttamente per conto dell'Unione (p. 41).

...omissis...

Ciò posto, quanto al necessario requisito di gravità della frode, la già richiamata ordinanza di Sez. 3, n. 28346 del 30/03/2016, dep. 08/07/2016,

(...) e altri, Rv. 267259, con cui è stata sollevata questione di legittimità costituzionale, ha richiamato, quale parametro di valutazione, l'art. 2, par. 1, della Convenzione Pif (altresì menzionata dalla sentenza (...), al p. 6), che, dopo avere previsto che "ogni Stato membro prende le misure necessarie affinché le condotte di cui all'art. 1 nonché la complicità, l'istigazione o il tentativo relativi alle condotte descritte all'art. 1, paragrafo 1, siano passibili di sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive che comprendano, almeno, nei casi di frode grave, pene privative della libertà che possono comportare l'estradizione", ha specificato doversi intendersi quale frode grave "qualsiasi frode riguardante un importo minimo da determinare in ciascuno Stato membro. Tale importo minimo non può essere superiore a Euro 50.000 (...)".

Tuttavia, proprio per il particolare contesto di quell'ordinanza, pronunciata da questa sezione nell'ambito di un procedimento per una frode che aveva determinato "evasioni fiscali per milioni di Euro", il superamento dell'importo di Euro 50.000,00 non può essere ritenuto di per sé solo idoneo, in mancanza di una precisa determinazione in tal senso da parte del giudice comunitario, a connotare la gravità della frode (v. la già citata Sez. 3, n. 44584 del 07/06/2016, dep. 24/10/2016, (...) e altri, non massimata nonché, sostanzialmente, anche Sez. 4, n. 7914 del 25/01/2016, dep. 26/02/2016, Tormenti, Rv. 266078).

Sicché, si è aggiunto, il più attendibile parametro oggettivo per la determinazione della gravità della frode nell'ordinamento italiano deve essere in definitiva rappresentato dal complesso dei criteri per la determinazione della gravità del reato contenuti nell'art. 133 c.p., comma 1, che fa riferimento non solo alla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa (n. 2), ma anche alla natura, alla specie, ai mezzi, all'oggetto, al tempo, al luogo e, più in generale, alle modalità dell'azione (n. 1), nonché all'elemento soggettivo (n. 3). Ne consegue che, ove non si sia in presenza di un danno già di rilevantissima gravità, quali quelli oggetto dei procedimenti in cui sono state pronunciate le sopra richiamate ordinanze di questa sezione, per milioni di Euro, appaiono necessari, per connotare la gravità, ulteriori elementi, quali in particolare l'organizzazione posta in essere, la partecipazione di più soggetti al fatto, l'utilizzazione di "cartiere" o società-schermo, l'interposizione di una pluralità di soggetti, l'esistenza di un contesto associativo criminale.

Nelle ordinanze di questa sezione e nella sentenza di Sez. 4, 25 gennaio 2016, n. 7914, sopra richiamate, si è poi rilevato, quanto al secondo requisito individuato dalla Corte di Giustizia quale presupposto della disapplicazione delle norme sul prolungamento del termine di prescrizione, ovvero il "numero considerevole di casi di frode grave" che ledono gli interessi finanziari dell'Unione Europea, che lo stesso, del tutto indeterminato, deve essere valutato non in astratto, ovvero con riferimento all'integralità dei procedimenti pendenti dinanzi alle autorità giudiziarie italiane (giacché lo stesso implicherebbe una prognosi di natura statistica che esula dai limiti cognitivi e valutativi del giudice, necessariamente circoscritti ai fatti di causa), bensì, in concreto, con riferimento alle fattispecie oggetto del singolo giudizio, potendosi ritenere sufficiente anche una singola frode solo qualora questa sia di rilevantissima gravità.

Sicché, nell'applicare tale requisito nel caso concreto, il giudice dovrà considerare il numero e la gravità dei diversi episodi di frode per i quali si procede, nonché il contesto complessivo e le ragioni di connessione fra gli stessi.

Va infine qui aggiunto che, in presenza di fattispecie contrassegnate da soglie di punibilità come nella specie rapportate all'entità dell'imposta evasa, la individuazione della gravità della frode non potrà non tenere conto di detta soglia, da considerarsi quale indice della ritenuta assenza di offensività, da parte del legislatore, nelle evasioni di importo inferiore.

E' per tale ragione, infatti, che, sempre nell'ambito dei reati tributari, questa Corte ha condivisibilmente enunciato che ai fini dell'applicazione della causa di non punibilità della "particolare tenuità del fatto", prevista dall'art. 131 bis cod. pen., deve muoversi, nel considerare l'importo evaso, dalla soglia di punibilità fissata dal legislatore sicché, con riferimento al reato di cui all'art. 10 ter, la speciale tenuità è stata ritenuta coincidente, per il profilo quantitativo, con un ammontare vicinissimo alla soglia stessa, fissata, in quel caso, a 250.000 Euro (Sez. 3, n. 13218 del 20/11/2015, dep. 01/04/2016, Re.Vi., Rv. 266570; ancor prima, Sez. 3, n. 40775 del 05/05/2015, dep. 12/10/2015, Falconieri, Rv. 265079).

In particolare si è osservato espressamente che il grado di offensività che dà luogo a sanzione penale è già stato valutato dal legislatore nella determinazione, appunto, della soglia di punibilità. Sicché una analoga metodologia di computo non può non essere osservata anche, evidentemente, ai fini di valutare la gravità della frode ai fini del prolungamento dei termini di prescrizione" (così ibidem).

Ad avviso di questo giudice, facendo applicazione dei principi del diverso orientamento in esame e volendo prescindere dalla circostanza che i reati contestati sono stati commessi anteriormente alla più volte ricordata sentenza (...), la condotta tenuta da (...) non può rientrare nella nozione di gravità della frode come in precedenza delineata.

Quanto alla gravità del danno, va evidenziato che l'omesso versamento per l'anno di imposta 2011 ha determinato un'evasione IVA pari ad Euro 395.542,00 e quindi, tenuto conto della soglia di punibilità di 250.000 Euro (nella specie applicabile in quanto più favorevole rispetto a quella, più bassa, prevista al momento del fatto), un indice quantitativo di gravità pari ad Euro 145.542,00; per l'anno di imposta 2012 ha determinato un'evasione IVA pari ad Euro 288.437,00 e quindi, tenuto conto della soglia di punibilità di 250.000 Euro, un indice quantitativo di gravità pari ad Euro 38.437,00. Tali somme, pertanto, sono molto inferiori rispetto a quelle milionarie normalmente individuate quale indice di gravità del danno.

Difettano, inoltre, anche gli altri elementi previsti dall'art. 133 c.p., poiché, pure a fronte della ripetizione di analoghe condotte per due anni di imposta, dall'istruttoria dibattimentale non è emersa una particolare organizzazione con la partecipazione di più soggetti al fatti; non vi sono società cartiera o schermo, né l'interposizione di una pluralità di soggetti; i fatti contestati non appaiono commessi in un contesto associativo criminale.

4. Il giudice rileva, infine, che dagli atti già inseriti nel fascicolo del dibattimento non sussistono i presupposti di cui all'art. 129, comma 2, c.p.p. La condizione ivi prevista di "evidenza" che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, va, infatti, intesa nel senso che l'estraneità dell'imputato in ordine a quanto contestatogli "deve positivamente emergere dagli atti processuali, senza necessità di ulteriore accertamento" (così Cassazione penale sez. I, 28 settembre 1993, n. 8859, Mu.). In proposito si è specificato che "in presenza di una causa di estinzione del reato (nella specie, la prescrizione), la formula di proscioglimento nel merito (art. 129, comma 2, c.p.p.) può essere adottata solo quando dagli atti risulti "evidente" la prova dell'innocenza dell'imputato, sicché la valutazione che in proposito deve essere compiuta appartiene più al concetto di "constatazione" che di "apprezzamento", e non invece nel caso di insufficienza o contraddittorietà della prova di responsabilità (art. 530, comma 2, c.p.p.)" (così Cassazione penale, sez. II, 11/03/2009, n. 24495, G.). Dagli atti a disposizione di questa giudice non è evidente la prova che i fatti ascritti a (...) non sussistono o che lo stesso non li ha commessi, per questo deve trovare applicazione la declaratoria di estinzione del reato prevista dal primo comma dell'art. 129 c.p.p.

PQM

Il G.M., letti gli artt. 531 c.p.p. e 157 e segg. c.p., dichiara non doversi procedere nei confronti di (...) in relazione ai reati a lui ascritti in rubrica essendo gli stessi estinti per intervenuta prescrizione.

Così deciso in Napoli il 20 luglio 2021.

Depositata in Cancelleria il 20 luglio 2021.

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