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Furto venatorio: Il reato sussiste solo se l'imputato non è munito di licenza di caccia.

Con la sentenza in argomento, il Tribunale di Udine (dott. Paolo LAUTERI) ha affermato che il furto venatorio, a seguito della "entrata in vigore della legge 11 febbraio 1992 n. 157 di disciplina dell'attività venatoria" risulta configurabile soltanto qualora "l'apprensione o il semplice abbattimento della fauna sia commesso da persona non munita di licenza di caccia".

Tribunale Udine, 02/03/2022, (ud. 21/02/2022, dep. 02/03/2022), n.328

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Con decreto del P.M. depositato nella cancelleria di questo Tribunale, ritualmente notificato, Ta.Pa. veniva citato a comparire davanti a questo Giudice per rispondere dei reati a lui ascritti in epigrafe.


Verificata la regolare costituzione del contraddittorio, si costituiva Parte Civile la LAV, Ente Esponenziale di tutela dei diritti degli Animali, chiedendo la condanna dell'imputato anche al risarcimento del danno.


All'udienza fissata per la comparizione delle parti, l'imputato, rappresentato dal difensore munito di procura speciale, chiedeva di essere ammesso al rito abbreviato condizionato alla produzione di documentazione relativa alla posizione amministrativa dell'imputato rispetto all'attività esercitata ed agli animali detenuti, nonché all'audizione, in qualità di teste, di Vi.Al., allevatore di avifauna, in ordine alle modalità di acquisto degli esemplari indicati nel capo d'accusa.


Il Giudice, sentito il P.M., ammetteva l'imputato al rito richiesto e, all'udienza del 21.02.2022, acquisito il fascicolo delle indagini preliminari unitamente alla documentazione prodotta dalla difesa, nonché esperito l'incombente istruttorio cui era stata subordinata la scelta del rito, le parti concludevano come da verbale. Diverse sono le contestazioni elevate all'odierno imputato.


Lo stesso è chiamato a rispondere:


- di uccisione (art. 544 bis C.p., capi B e G), con crudeltà e senza necessità, di diversi esemplari di uccelli, rinvenuti o incagliati in una rete di cattura o all'interno di un congelatore;


- di maltrattamento (art. 544 ter C.p.) di un esemplare di tordo sassello rinvenuto incagliato in una rete di cattura (Capo C);


- di esercizio indebito dell'uccellagione mediante rete a tramaglio (art. 30, comma 1, lett. E, L. 157/92, Capo D);


- di indebita detenzione di avifauna particolarmente protetta (cinciallegra, capinera, frosone) (art. 30, comma 1, lett. B, in riferimento all'art. 2, lett. C, L. 157/92, Capo E);


- di indebita detenzione di avifauna protetta (art. 30, comma 1, lett. H, L. 157/92, Capo F);


- di furto c.d. venatorio (art. 624,625, comma primo, n. 7, C.p.) per aver sottratto al patrimonio indisponibile dello Stato gli esemplari sopra indicati (Capo H);


- del reato di cui all'art. 697 C.p., per avere detenuto, senza averle denunciate all'Autorità di PS, n. 2 cartucce, cai. 12, a palla asciutta (Capo A).


I fatti sono stati accertati il 14.01.2019.


Informazioni sulla dinamica dei fatti si hanno, dalla C.N.R., dal verbale di perquisizione e sequestro e dalla documentazione fotografica allegata.


Da tali atti, si evince che, alla data suddetta, intorno alle 17.30, personale del Corpo Forestale Regionale FVG (M.lli To.Cl., Ce.Di., Bu.Pa.), unitamente ad una Guardia Venatoria della Federazione Italiana della Caccia (Mu.Ro.), si portavano in località Sclaunicco, nel comune di Lestizza (UD), nei pressi di una scarpata coperta da vegetazione, dove - in precedenza - era stata individuata una rete (a tramaglio) da uccellagione, delle dimensioni di m 15 x 3.


Impigliato in quella rete, veniva rinvenuto un esemplare di tordo sassello.


Gli operanti si appostavano nei pressi per attendere l'arrivo dell'autore.


Circa 40 minuti dopo, alle ore 18.10, giungeva sul posto un'autovettura, modello FIAT PANDA, con targa successivamente identificata in (...), che procedeva a fari spenti nonostante l'ormai sopravvenuta oscurità.


Da tale mezzo scendeva una persona (poi identificata con documento personale nell'odierno imputato), la quale, servendosi di una torcia elettrica, si introduceva tra la vegetazione e raggiungeva la rete, dove, con l'utilizzo di una scala a pioli precedentemente occultata tra la vegetazione, prelevava l'esemplare incagliato di tordo.


Mentre tornava verso l'auto, l'uomo veniva fermato dagli operanti, alla vista dei quali cercava di disfarsi dell'esemplare prelevato, estraendolo dalla tasca del giaccone e lasciandolo cadere sul terreno.


L'esemplare veniva raccolto da uno degli operanti e sottoposto immediatamente a sequestro. Verificate le sue condizioni fisiche e la sua abilità al volo, veniva prontamente liberato.


Gli operanti procedevano alla rimozione della rete, nella quale veniva successivamente rinvenuto impigliato anche un esemplare di cinciallegra, morto verosimilmente da diversi giorni.


Veniva conseguentemente disposto il sequestro della rete, dell'esemplare di cinciallegra, della torcia elettrica e della scala in legno.


Date le circostanze, gli operanti procedevano alla perquisizione personale e veicolare da cui non emergevano ulteriori elementi di interesse investigativo. La perquisizione venne estesa alla non lontana abitazione dell'uomo (tra le foto in atti, ce n'è anche una aerea dello stato dei luoghi, in cui si riproduce la posizione dell'impianto di uccellagione e della casa del Ta., nonché il tratto di strada che collega i due luoghi).


Nel corso della successiva operazione di perquisizione, in un armadio adibito a deposito delle armi detenute, collocato nel seminterrato, si rinvenivano n. 2 cartucce calibro 12 a palla asciutta, marca Fi., che non risultavano denunciate all'autorità (c'è in atti la foto della denuncia, che contempla n. 5 fucili e n. 200 cartucce cal. 22) e n. 6 anelli per avifauna, uno dei quali tagliato; in un congelatore posto nel seminterrato venivano rinvenuti n. 53 esemplari di uccelli morti di cui n. 2 due tordele, n. 6 tortore dal collare, n. 22 fringuelli, n. 6 peppole, n. 1 pettirosso, n. 16 storni, tutti appartenenti a specie protette; in una voliera posta nelle pertinenze dell'abitazione si rinvenivano altresì n. 1 fringuello e n. 1 capinera (entrambi appartenenti a specie protette), privi di anello e di documentazione attestante la legittima provenienza; all'interno di un box sito nella pertinenza dell'abitazione, si rinveniva, infine, n. 1 frosone (specie anch'essa protetta), detenuto abusivamente in quanto privo di anello e di documentazione attestante la legittima provenienza.


Il teste escusso, Vi.Al., riferisce di essere un allevatore amatoriale di diverse specie (turdidi, fringillidi, emberizzidi ed altre specie ancestrali). In tutto sono n. 33 specie, alcune cacciabili (turdidi), altre no (fringillidi, cui appartengono fringuelli, peppole, verdoni, verzellini, cardellini).


In zona ci sono altri allevatori che allevano sia quelle sia altre specie.


I cacciatori, tra cui il Ta.Pa. (che il teste dichiara di conoscere), normalmente si rivolgono a lui e ad altri allevatori per avere disponibilità di certe specie. È ammessa, a determinate condizioni, l'attività di prelievo mediante reti a scopo scientifico. Non è, però, un metodo legalmente praticabile a fini di caccia.


Il teste riferisce di non essere in grado di rispondere in ordine a ciò che ha venduto al Ta. non avendo con sé il registro. Afferma, tuttavia, che la cessione avviene previa applicazione all'esemplare di un anello identificativo e redazione di una bolla autorizzata dalla Regione.


Dalla restante documentazione prodotta dalla difesa, si evince che:


- Ta.Pa. è titolare di licenza di porto di fucile ad uso caccia, di cui era regolarmente in possesso anche all'epoca dei fatti (è in atti copia della tessera con le ricevute dei rinnovi);


- lo stesso Ta.Pa., tuttavia, non rientra tra i soggetti autorizzati dalla Regione FVG all'attività di "cattura temporanea di uccelli" con conseguente "inanellamento a scopo scientifico".


In relazione a tale ultimo aspetto, il provvedimento (prodotto in atti) emanato dal Direttore del Servizio "Risorse Agroalimentari, Forestali e Ittiche" (in data, peraltro, non indicata) indica nel dettaglio i soggetti beneficiari dell'autorizzazione alle pratiche di cattura ed ha un allegato in cui, a fianco di ciascun nominativo, sono indicate le modalità di pratica del prelievo autorizzato, le specie il cui prelievo viene consentito, il progetto specifico (patrocinato dall'Ente autorizzante) nell'ambito del quale la singola autorizzazione viene concessa.


Viene altresì prodotta una sentenza del T.A.R. LOMBARDIA, relativa ad una vertenza sollevata dal locale Istituto Superiore della Protezione e Ricerca Ambientale (I.SP.R.A.) sulla possibilità di operare deroghe ai divieti di cattura di alcune specie (storni, fringuelli e peppole).


Queste essendo le risultanze istruttorie, va osservato quanto segue.


Il dato più evidente riscontrato dagli operanti è la presenza di una rete a tramaglio, nella quale sono stati rinvenuti incagliati i corpi di due esemplari di volatili, uno dei quali (cinciallegra) morto da diversi giorni, l'altro prelevato dall'odierno imputato che lo aveva messo in tasca prima che gli venisse sequestrato.


È evidente la pratica della c.d. uccellagione, vietata e penalmente sanzionata senza mezzi termini dall'art. 30, comma 1, lett. E, L. 157/92.


Secondo un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, "costituisce uccellagione qualsiasi sistema di cattura degli uccelli con mezzi fissi, di impiego non momentaneo, e comunque diversi da armi da sparo (reti, panie o altri strumenti fissi, ecc.), diretto alla cattura di un numero indiscriminato di volatili" (Cass. Pen., Sez. V, 04.06.2020, n. 16981, imp. Fe.).


Nella specie, è fuori discussione che la rete a tramaglio rinvenuta e sequestrata sia stata apposta per favorire la cattura di qualunque violatile capitasse a tiro.


Sono stati gli operanti stessi ad osservare l'arrivo del Ta.Pa. che è andato a prelevare il tordo tassello rimasto ivi impigliato.


Né, d'altro canto, può avere, nel caso di specie, rilievo alcuno la possibilità - emersa in sede istruttoria - di ottenere un'autorizzazione alla cattura con mezzi similari. Trattasi di eventualità mirata ad esigenze di carattere meramente scientifico, che rientrino in specifici progetti patrocinati dall'Ente territoriale e che implicano il rilascio soltanto a soggetti beni individuati, cui - come si è visto - viene attribuito il diritto a procedere con determinate modalità ed a carico di determinate specie.


Il Ta. non risulta tra i soggetti autorizzati, individuati nel provvedimento prodotto dalla difesa, sicché non c'è alcun elemento che possa scriminare quell'attività.


L'imputato va, dunque, dichiarato senz'altro responsabile del reato a lui contestato al capo D, essendo emerso con chiarezza che era sua la rete da uccellagione sia perché era posta in un luogo prossimo alla sua abitazione sia soprattutto perché è stato lui ad andare sul posto, con la macchina a fari spenti, a controllare lo stato della situazione.


Tale reato non assorbe in alcun modo i reati di cui agli artt. 544 bis e 544 ter C.p., contestati nel caso di specie ai capi B, G e C. È escluso qualsiasi rapporto di specialità, sia perché i due delitti suindicati necessitano "dell'evento" (morte o "lesione all'animale"), che non è, invece, richiesto dalla contravvenzione di cui all'art. 30, comma 1, lett. E, L. 157/92, sia perché diversa è l'oggettività giuridica delle rispettive norme incriminatrici (nel caso di cui alla contravvenzione la tutela concerne "la fauna selvatica come patrimonio indisponibile dello Stato") i due delitti sono, invece, posti a tutela del "sentimento per gli animali') sia infine perché, ai sensi "della previsione dell'art. 19-terdisp. att. cod. pen., il reato di cui all'art. 544-ter cod. pen. e le altre disposizioni del titolo IX-bis, libro secondo, del cod. pen. non si applicano ai casi previsti in materia di caccia ed alle ulteriori attività ivi menzionate", ma solo nel caso in cui tali attività vengano "svolte nel rispetto della normativa di settore" (Cass. Pen., Sez. III, 12,10.2015, n. 40751, imp. Be.).


Premesso un tanto, va osservato che l'animale incagliato nella rete non è in grado di muoversi (e conseguentemente di procurarsi il nutrimento) né di utilizzare la protezione naturale dal freddo attraverso il piumaggio delle ali che non può più porre a contatto col resto del corpo.


Ne deriva che, finché è in vita, viene a patire una fatica improba, decisamente insopportabile per le sue caratteristiche etologiche, tale da integrare a pieno titolo l'estremo del maltrattamento di cui all'art. 544 ter C.p.. Quando l'animale muore per effetto di tale sforzo, si scivola evidentemente nell'ipotesi di cui all'art. 544 bis C.p.. La sottoposizione dell'esemplare a tale sforzo superiore alle sue capacità genera quell'ipotesi di crudeltà che accomuna ambo le fattispecie in esame (vds. Cass. Pen., Sez. V, 02.03.2020, n. 8449, imp. Se.).


Come si è visto, la tipologia di cattura posta in essere dal Ta. nei casi oggi in esame potrebbe essere oggetto di esplicita autorizzazione. Questa, stando all'argomentazione utilizzata dal difensore in sede di conclusioni, sarebbe la prova che la condotta posta in essere non avrebbe le caratteristiche della crudeltà.


L'argomentazione non è condivisibile.


L'autorizzazione può essere concessa per evidenti finalità scientifiche specifiche e documentate in appositi progetti e riguarda semplicemente la cattura degli esemplari.


Evidentemente, laddove vi sia un'autorizzazione (cosa che pacificamente il Ta. non aveva), la condotta, per quanto oggettivamente antigiuridica, perde il carattere dell'illegalità in quanto ritenuta necessaria per fini scientifici e per questo scriminata.


Nel caso del Ta., non c'era alcuna superiore esigenza e, quindi, la condotta rimane illecita.


Detto questo, sicuramente si configura l'ipotesi di cui ai capi B e C, atteso che l'esemplare di cinciallegra è stato trovato privo di vita incagliato nella rete da uccellagione, mentre il tordo sassello era ancora vivo, ma parimenti incagliato e sottoposto, quindi, a sofferenze eccessive.


Non può dirsi altrettanto sussistente l'ipotesi contestata al capo G, atteso che gli uccelli morti di cui il Ta. è stato trovato in possesso non è dato sapere se, né eventualmente come, siano stati uccisi. È chiaro che c'è il sospetto che ciò sia avvenuto attraverso lo stesso metodo. Tuttavia, mancano elementi concreti che tolgano all'indizio emerso il grado di ambiguità in esso insito. Nulla esclude, ad esempio, che gli esemplari siano stati acquisitati e siano poi morti per cause naturali. Oppure che siano stati uccisi da terzi e poi portati in deposito presso l'abitazione del Ta..


Non potendosi escludere questa ultima evenienza (abbattimento da parte di terzi), viene meno anche la configurabilità del reato di cui al capo F in relazione a tutti i singoli esemplari morti detenuti nell'abitazione del Ta..


Sul punto, la giurisprudenza ha precisato che "la tutela legislativa si limita, in mancanza di una diversa specificazione in tale senso, alla salvaguardia della selvaggina intesa come essere vivente", sicché non è da ritenersi penalmente illecito "l'impossessamento di un volatile di specie protetta abbattuto da un terzo" (Cass. Pen., Sez. III; 30.05.2007, n. 21212, imp. Me.).


Per la stessa ragione, non può ritenersi penalmente illecita la detenzione della cinciallegra di cui al capo E. È vero che, nella specie, è stato il Ta. ad abbatterla. Tuttavia, resta il dato dell'esemplare non più in vita la cui detenzione non si pone contro alcuna forma di tutela penale che, come affermato dalla Suprema Corte, deve ritenersi limitata alla fauna vivente.


Gli esemplari vivi rinvenuti nella disponibilità del Ta. rientrano in specie protette o particolarmente protette di cui agli All.ti II e III alla Direttiva Europea n. 2009/147/CE e rientrano, quindi nel campo d'applicazione della Legge 157/92. Nello specifico, trattasi di specie appartenenti alle famiglie dei fringillidi (fringuello, frosone), e delle sylvidae (capinera).


Questo fa si che la loro detenzione sia da ricomprendere nel reato di cui all'art. 30, comma 1, lett. b, L. 157/92, atteso che, nella specie, gli esemplari risultavano tutti privi di anello identificativo e bolla come prescritto per la detenzione legale.


Come ha spiegato il teste escusso, questi dispositivi vengono applicati al momento della vendita e, quindi, la prova di un acquisto lecito può derivare solo ed esclusivamente dalla presenza di quel dispositivo.


Né può avere, nella specie, valore scriminante il rinvenimento del barattolo contenente diversi anelli verosimilmente provenienti da altri esemplari. È del tutto illogico, infatti, che il soggetto che acquista legalmente l'esemplare elimini la prova della legalità dell'acquisto.


I reati di cui ai capi E ed F vanno dunque ricondotti entrambi alla violazione di cui alla Lett. B dell'art. 30, comma 1, l. 157/92, e ritenuti sussistenti in relazione ai soli esemplari in vita.


Molto più semplice, infine, è l'analisi dei fatti di cui al primo ed all'ultimo capo d'accusa.


Il reato di cui al capo il consta del c.d. furto venatorio, il quale, tuttavia, a seguito della "entrata in vigore della legge 11 febbraio 1992 n. 157 di disciplina dell'attività venatoria" risulta configurabile soltanto qualora "l'apprensione o il semplice abbattimento della fauna sia commesso da persona non munita di licenza di caccia" (Cass. Pen., Sez. V, 04.06.2020, n. 16981, imp. Fe.).


Nella specie, il Ta. è risultato essere regolarmente munito di detta licenza, anche al momento del controllo, essendo dotato di porto d'armi da utilizzare per l'esercizio dell'attività venatoria.


È evidente, quindi, l'insussistenza del reato di cui al capo H.


È, invece, sussistente il reato di cui al capo A, atteso che le munizioni ivi indicate non sono risultate denunciate né suscettibili di abbinamento alle armi legalmente detenute.


Al tirar delle somme, dunque, l'imputato deve essere dichiarato responsabile dei reati a lui ascritti ai capi A, B, C, D, E limitatamente alla detenzione della capinera e del frosone, ed F limitatamente alla detenzione del fringuello, previa riqualificazione del fatto ai sensi dell'art. 30, lett. b. L. 157/92.


Per le altre fattispecie contestate, va pronunciata l'assoluzione per insussistenza del fatto.


La contestualità spazio-temporale dell'azione e l'inerenza di tutte le condotte alla medesima attività implica il riconoscimento del vincolo della continuazione, essendo quantomai verosimile la sussistenza di un progetto unitario sottostante.


L'estensione dell'attività, l'organizzazione della stessa, l'accortezza nell'azione (l'imputato è stato visto procedere a fari spenti nonostante l'oscurità) sono fattori che non consentono la concessione di alcuna attenuante pur in presenza di un Certificato del Casellario Giudiziale privo di macchie pregresse. L'art. 62bis, comma terzo, C.p. non consente, infatti, di valorizzare allo scopo il solo dato dell'incensuratezza, richiedendo implicitamente la necessità di elementi concreti atti a sminuire il disvalore del fatto che, nella specie, francamente non si rinvengono.


Valutati tutti gli elementi di cui all'art. 133 C.p., con particolare riferimento all'ampiezza dell'attività ed alle suindicate modalità d'azione, ritenuto più grave - per ragioni di previsione edittale - il reato di cui all'art. 544 bis C.p., contestato al capo B, si reputa equa la pena base di mesi 9 di reclusione, aumentati ad anni 1 per la continuazione e ridotti al valore finale indicato in dispositivo per effetto della scelta del rito.


Alla declaratoria di responsabilità segue per legge la condanna al pagamento delle spese processuali.


Si può accordare la sospensione condizionale della pena, cui non è d'ostacolo la biografia penale dell'imputato, in base alla prognosi positiva di ravvedimento che, in questa sede, si formula, confidando nell'effetto deterrente della mera inflizione della condanna.


Al riconoscimento di colpevolezza segue, altresì, la condanna al risarcimento nei confronti della costituita parte civile che, nella specie, è un'associazione da tempo impegnata, in ambito nazionale ed anche locale con le sue articolazioni, nella tutela della fauna. Nella specie, l'azione dell'associazione si è limitata ad un supporto processuale e, quindi, il danno può essere riconosciuto in via evidentemente equitativa nella somma indicata in dispositivo.


Trattasi di debito di valore cui va applicato il doppio criterio di integrazione dato dalla rivalutazione secondo gli indici ISTAT e degli interessi legali sul capitale così rivalutato. L'intervallo temporale di riferimento è evidentemente quello che va dalla data di accertamento del fatto (in mancanza di indicazione precisa di consumazione in data anteriore) fino a quella dell'effettivo soddisfo.


La Parte Civile costituita va, altresì, rifusa delle spese di costituzione e difesa che si liquidano come in dispositivo, tenendo conto della durata del procedimento e del grado di complessità delle questioni giuridiche affrontate.


Le cose ancora in sequestro, in quanto corpo del reato o comunque di provenienza verosimilmente illecita (esemplari morti) vanno tutte confiscate. A parte le cartucce, che vanno mandate alla competente Direzione di Artiglieria per i provvedimenti di competenza, ai sensi dell'art. 6 L. 152/75, tutto il resto va distrutto (compresi gli oggetti del tutto leciti, per i quali, tuttavia, non è prospettabile una vendita sufficientemente redditizia per l'Erario).


PQM

VISTI gli artt. 442, 533 e 535 C.p.p.,


DICHIARA


Ta.Pa. colpevole dei reati a lui ascritti ai capi A, B, C, D, E limitatamente alla detenzione della capinera e del frosone, F limitatamente alla detenzione del fringuello, previa riqualificazione del fatto ai sensi dell'art. 30, lett. b. L. 157/92, e, ritenuta la continuazione nonché applicata la diminuente per la scelta del rito, lo condanna alla pena di mesi 8 (otto) di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali.


Pena sospesa


VISTI gli artt. 538 ss. C.p.p.


CONDANNA


altresì Ta.Pa.:


- al risarcimento del danno, nei confronti della costituita parte civile, che liquida in complessivi Euro 2.000,00 (duemila/00) oltre interessi da calcolarsi al tasso legale sul capitale rivalutato secondo gli indici ISTAT dalla data di commissione del fatto fino a quella dell'effettivo soddisfo;


- alla rifusione della costituita Parte Civile delle spese di costituzione e difesa che si liquidano in complessivi Euro 1.600,00 (milleseicento/00) oltre spese generali, IVA e CPA come per legge


VISTO l'art. 530 C.p.p.


ASSOLVE


Ta.Pa. dagli altri reati a lui ascritti perché il fatto non sussiste


VISTI gli artt. 240 C.p. e 6 L. 157/92


DISPONE


la confisca delle cose in sequestro, la devoluzione al Ce. di PADOVA delle cartucce sequestrate per i provvedimenti di competenza, nonché la distruzione delle altre cose in sequestro.


MOTIVI RISERVATI nel termine minimo di legge.


Così deciso in Udine il 21 febbraio 2022.


Depositata in Cancelleria il 2 marzo 2022.



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