La massima
In tema di guida in stato di ebbrezza, il prelievo di campioni biologici (sangue ovvero urine e saliva) compiuto presso una struttura sanitaria non per motivi terapeutici, ma esclusivamente su richiesta della polizia giudiziaria, al solo fine di accertare il tasso alcolemico del soggetto per la ricerca della prova della sua colpevolezza, non richiede uno specifico consenso dell'interessato, oltre a quello eventualmente richiesto dalla natura delle operazioni sanitarie strumentali a detto accertamento. (In motivazione la Corte ha precisato che resta ferma la possibilità del rifiuto dell'accertamento, penalmente sanzionata - Cassazione penale , sez. IV , 08/10/2019 , n. 43217).
Fonte: Ced Cassazione Penale
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La sentenza
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Bologna, con sentenza del 14/11/2018, ha confermato quella del Tribunale di Forlì, con la quale M.M. era stato condannato per il reato di cui all'art. 186 C.d.S., comma 2, lett. C), comma 2 bis, per avere guidato un motociclo in stato di ebbrezza alcolica (prova di laboratorio: 1,86 g/l), causando un incidente stradale (fatto accertato il (OMISSIS)).
2. Questa la vicenda, siccome ricostruita nella sentenza appellata, all'esito di un'istruttoria che ha visto l'escussione dell'operante intervenuto sui luoghi e l'acquisizione di documentazione, tra cui il verbale di identificazione dell'imputato, il verbale di accertamenti urgenti e la relativa richiesta, il referto dei medici del pronto soccorso e gli esiti degli esami ematici.
Il (OMISSIS), militari dell'Arma si recavano sul luogo di un segnalato sinistro, verificando la presenza di un motociclo, uscito dalla carreggiata senza arrecare danni. Sull'asfalto non erano stati rilevati segni di frenata e la visibilità era ottimale. Era già intervenuto il personale sanitario che aveva condotto il M. all'ospedale. I carabinieri inoltravano richiesta di accertamenti volti alla verifica di sostanze alcoliche o stupefacenti nel sangue.
3. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l'imputato con proprio difensore formulando cinque motivi.
Con il primo, la difesa ha dedotto violazione di legge e inosservanza delle norme penali con riferimento all'accertamento dello stato di ebbrezza, rilevando la inutilizzabilità degli esami ematici, siccome non preceduti dal consenso del soggetto interessato.
Con il secondo, ha dedotto analoghi vizi, oltre a vizio della motivazione, questa volta con riferimento alla prova della circostanza che alla guida del mezzo ci fosse proprio il M., contestando la valutazione del compendio probatorio e, in particolare, della testimonianza dell'operatore di P.G. B. e rilevando la mancanza di testimoni oculari del fatto, l'assenza di segni del verificarsi di un incidente e la ricorrenza stessa di un sinistro, atteso che la moto era finita fuori carreggiata senza causare danni a persone o cose.
Sotto altro profilo, la difesa ha contestato la utilizzabilità delle dichiarazioni del fratello dell'imputato, non presente sul luogo dei fatti e contattato telefonicamente dal teste B. per avere le generalità del M., trattandosi di soggetto non escusso in dibattimento.
Con il terzo motivo, la difesa ha dedotto vizio della motivazione quanto all'aggravante della provocazione di un incidente stradale, non avendo la corte territoriale fornito alcuna giustificazione riguardo alla sussistenza del nesso di causalità tra l'ebbrezza e l'incidente, non essendo stato provato che la fuoriuscita del mezzo dalla sede stradale sia stata conseguenza dello stato di alterazione.
Con il quarto motivo, ha dedotto violazione di legge e inosservanza delle norme penali con riferimento alla utilizzabilità del verbale di accertamento dello stato di ebbrezza, non risultando che al M. fosse stato dato il previo avviso di cui all'art. 114 disp. att. c.p.p., il prelievo ematico essendo stato effettuato a fini d'indagine e non per necessità terapeutica.
Con il quinto motivo, infine, la difesa deduce un vizio della motivazione quanto al diniego delle generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. La corte territoriale ha preliminarmente richiamato le doglianze con le quali la difesa aveva chiesto l'assoluzione dell'imputato per difetto della prova che egli fosse stato alla guida del mezzo fuoriuscito dalla sede stradale, la nullità dell'accertamento analitico strumentale, siccome eseguito su un campione di sangue senza il consenso dell'interessato e la mancata esclusione dell'aggravante della provocazione dell'incidente stradale.
A fronte di tali doglianze, quel giudice ha intanto osservato che il prelievo ematico eseguito nell'ambito del protocollo di cui all'art. 186 C.d.S., comma 5 non viola la riserva di legge e non richiede il consenso dell'interessato che potrà, semmai, opporre il suo dissenso. Inoltre, ha rilevato che il mezzo era di proprietà dell'imputato e che sul posto non erano stati presenti soggetti diversi ai quali potesse essere imputata la guida del mezzo, anche il fratello avendo confermato la circostanza.
Ha, poi, ritenuto sussistente l'aggravante contestata, alla luce della nozione di incidente stradale rilevante ai fini in esame, per cui anche la sola fuoriuscita del mezzo dalla sede stradale che richieda l'intervento dei soccorsi e della pubblica sicurezza costituisce fattore integrante l'elemento aggravante, in assenza di ulteriori dati che comprovino che qualcosa di diverso dall'accertata alterazione psicofisica possa averla causata.
Infine, ha ritenuto l'imputato non meritevole delle generiche, alla luce della notevole gravità del fatto desunta dalla entità del tasso alcolemico rilevato e dalle caratteristiche del mezzo condotto (una moto di grossa cilindrata), elementi tali da elevare la pericolosità astratta della condotta per la pubblica incolumità, valutato anche il comportamento processuale elusivo e il difetto di elementi di segno positivo.
3. I motivi sono tutti manifestamente infondati.
3.1. Quanto al primo aspetto, il giudice ha fatto applicazione dei principi più volte espressi da questa stessa sezione, alla luce dei quali è smentita la ricostruzione che la difesa oppone del protocollo operativo di cui all'art. 186 C.d.S., comma 5.
Si è infatti precisato che la mancanza di consenso dell'imputato al prelievo del campione ematico per l'accertamento del reato di guida in stato d'ebbrezza non costituisce una causa di inutilizzabilità patologica degli esami compiuti presso una struttura ospedaliera, posto che la specifica disciplina dettata dall'art. 186 nuovo C.d.S. - nel dare attuazione alla riserva di legge stabilita dall'art. 13 Cost., comma 2 - non prevede alcun preventivo consenso dell'interessato al prelievo dei campioni (cfr. sez. 4 n. 1522 del 10/12/2013, dep. 2014, Lo Faro, Rv. 258490; n. 54977 del 17/10/2017, Zago, Rv. 271665, cui la Corte, in motivazione, ha precisato che resta ferma la possibilità del rifiuto dell'accertamento, penalmente sanzionata; n. 2343 del 29/11/2017, Morrone, Rv. 272334; n. 9391 del 13712/206, dep. 2017, Soriani, Rv. 269352, in cui si è affermato, per l'appunto, che integra il reato di cui all'art. 186 C.d.S., comma 7, (rifiuto di sottoporsi agli accertamenti alcolimetrici) chi si rifiuta di sottoporsi all'accertamento previsto dal comma 5, presso una struttura ospedaliera, non prestando il consenso informato al personale sanitario). Si tratta, invero, di elementi di prova acquisiti attraverso la documentazione medica, restando irrilevante, ai fini dell'utilizzabilità processuale, la mancanza del consenso (cfr. sez. 4 n. 10605 del 15/11/2012, dep. 2013, Rv.254933, in fattispecie in cui la S.C. ha, tuttavia, chiarito che il prelievo non sarebbe effettuabile laddove il paziente rifiutasse espressamente di essere sottoposto a qualsiasi trattamento sanitario).
In un passaggio motivazionale di tale sentenza si è, peraltro, opportunamente chiarito che, ai fini dell'applicazione dell'art. 186 C.d.S., comma 5, la richiesta della P.G. ai sanitari di effettuare l'accertamento del tasso alcolemico di conducenti coinvolti in incidenti stradali e sottoposti alle cure mediche può anche costituire legittimamente l'unica causa dell'accertamento medesimo e non richiede uno specifico consenso dell'interessato, diverso da quello eventualmente richiesto dalla natura delle operazioni sanitarie strumentali a detto accertamento.
Ciò consente di ritenere pacifico che il consenso (informato) riguarda la tipologia dell'atto compiuto dal sanitario, laddove ai fini dell'accertamento finalizzato all'acquisizione della prova del reato non rileva il consenso, ma il dissenso, penalmente sanzionato. La sottolineatura della necessità di un previo consenso dell'interessato all'esecuzione del prelievo ematico (rectius: delle operazioni funzionali all'accertamento del tasso alcolemico) è stata ulteriormente esplicata nel precedente richiamato: nel caso di richiesta della P.G. di effettuare, sul campione ematico prelevato a fini sanitari, anche la ricerca del tasso alcolemico (o della presenza di sostanze stupefacenti ai diversi fini di cui all'art. 187 C.d.S.), il tema del consenso (informato) non assume alcun rilievo (vuoi perchè già prestato ai sanitari, vuoi perchè si versi in un caso di emergenza sanitaria). In tale ipotesi non può riconoscersi alcun diritto dell'interessato ad esprimere uno specifico consenso sulla rilevazione del tasso alcolemico, trattandosi di accertamento in sè non invasivo.
Peraltro, questa sezione ha già osservato che è la stessa previsione degli illeciti penali incentrati sul rifiuto di sottoporsi all'accertamento a fondare l'assunto secondo cui l'art. 186 C.d.S. (come l'art. 187 C.d.S.) non prevede alcun preventivo consenso dell'interessato al prelievo dei campioni, potendosi a esso unicamente opporre il rifiuto al controllo; la sanzione penale che accompagna tale condotta, sancendone il disvalore, risulta infatti incompatibile con la pretesa di un esplicito consenso al prelievo dei campioni (cfr. in motivazione, sez. 4 n. 8041 del 21/12/2011, dep. 2012, Pasolini, Rv. 252031).
Tale interpretazione, infine, è coerente con la giurisprudenza dello stesso giudice delle leggi che ha già riconosciuto la legittimità della disciplina del Codice della Strada, anche laddove, nell'indicare le modalità degli accertamenti tecnici per rilevare lo stato di ebbrezza, essa non prevede alcun preventivo consenso dell'interessato al prelievo dei campioni (cfr. sentenza n. 238 del 1996 (con la quale, nel dichiarare l'illegittimità dell'art. 224 c.p.p., comma 2, "nella parte in cui consente che il giudice, nell'ambito delle operazioni peritali, disponga misure che comunque incidano sulla libertà personale dell'indagato o dell'imputato o di terzi, al di fuori di quelle specificamente previste nei "casi" e nei "modi" dalla legge", e richiamando anche la precedente pronuncia n. 194 di quello stesso anno, si è segnalata la diversità del contesto del nuovo Codice della Strada (artt. 186 e 187 C.d.S.), nel quale "il legislatore - operando specificamente il bilanciamento tra l'esigenza probatoria di accertamento del reato e la garanzia costituzionale della libertà personale - abbia dettato una disciplina specifica (e settoriale) dell'accertamento (sulla persona del conducente in apparente stato di ebbrezza alcoolica o di assunzione di sostanze stupefacenti) della concentrazione di alcool nell'aria alveolare espirata e del prelievo di campioni di liquidi biologici, (prevedendo bensì in entrambi i casi la possibilità del rifiuto dell'accertamento, ma con la comminatoria di una sanzione penale per tale indisponibilità del conducente ad offrirsi e cooperare all'acquisizione probatoria)").
Quanto alle modalità di acquisizione del consenso informato al prelievo, peraltro, sul quale sembra equivocare la difesa, va precisato che esso può anche non essere verbalmente espresso, richiamandosi, ancora una volta, la motivazione della sentenza Pasolini, in cui si è rilevato che "...solo in alcuni casi la legge richiede la forma scritta, mentre il Codice deontologico la richiede anche "nei casi in cui per la particolarità delle prestazioni diagnostiche e/o terapeutiche o per le possibili conseguenze delle stesse sulla integrità fisica si renda opportuna una manifestazione inequivoca della volontà della persona".
Così ricostruito l'istituto del consenso, nelle ipotesi di prelievo ematico finalizzato alla ricerca della prova del reato di cui all'art. 186 C.d.S. (ma lo stesso può dirsi con riferimento alla diversa ipotesi di cui all'art. 187 C.d.S.), deve quindi ribadirsi il principio secondo cui la richiesta al conducente, da parte degli organi di polizia, di sottoporsi al prelievo ematico presso una struttura sanitaria, al fine di accertare il tasso alcolemico, non necessita di forme sacramentali potendo anche essere formulata solo oralmente, in modo da non pregiudicare la continuità e celerità degli accertamenti, purchè la formula usata risulti idonea a rendere edotto l'interessato che, in assenza di un suo rifiuto, si procederà all'accertamento in uno dei modi indicati dalla legge (cfr. sez. 4 n. 15189 del 18/01/2017, Pozzato, Rv. 269606; sul carattere informale, seppur effettivo, dell'informazione, cfr. anche, in motivazione, sez. 4 n. 21885 del 6/04/2017).
Nel caso in esame, il ricorrente non ha allegato il rifiuto al prelievo ematico, ma la mancanza del consenso espresso, osservandosi ad ogni buon conto come, dalla ricostruzione dei fatti contenuta nella sentenza di primo grado, risulti addirittura che l'uomo fu portato al pronto soccorso ben prima che i carabinieri ritenessero esistenti elementi indiziari a suo carico.
3.2. Il secondo motivo propone argomentazioni in fatto che riguardano la valutazione delle prove e che, come tali, a fronte di un percorso giustificativo rinvenibile da una lettura necessariamente integrata delle sentenze di merito, del tutto congruo oltre che scevro da connotati di contraddittorietà o manifesta illogicità, sono inammissibili in questa sede (cfr. sul contenuto essenziale dell'atto d'impugnazione, in motivazione, sez. 6 n. 8700 del 21/01/2013, Rv. 254584; Sezioni Unite, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822, sui motivi d'appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione). Il ricorrente ha sollecitato a questa corte un diverso apprezzamento del significato degli elementi probatori che è invece appannaggio del giudice del merito, senza evidenziare vizi del percorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa, pertanto sollecitando un'inammissibile rivalutazione del risultato probatorio (cfr., sul punto, sez. 6 n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482; sez. 6 n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099).
Quanto all'argomento che fa leva su una presunta inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal fratello del M., non escusso in dibattimento, è la stessa difesa ad allegare il verbale della testimonianza B., dal quale risulta che la PG aveva contattato il soggetto al fine di avere le generalità dell'imputato, emergendo dalla sentenza di primo grado che tra la documentazione acquisita vi era anche il verbale di identificazione dello stesso.
3.3. In ordine alla sussistenza dell'aggravante, contestata con il terzo motivo di ricorso, ancora una volta le argomentazioni difensive non tengono conto dell'orientamento consolidato di questa sezione: ai fini della sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 186 C.d.S., comma 2 bis, nella nozione di incidente stradale sono da ricomprendersi sia l'urto del veicolo contro un ostacolo, sia la sua fuoriuscita dalla sede stradale; a tal fine, non sono, invece, previsti nè i danni alle persone nè i danni alle cose, con la conseguenza che è sufficiente qualsiasi, purchè significativa, turbativa del traffico, potenzialmente idonea a determinare danni (cfr. sez. 4 n. 42488 del 19/09/2012, Rv. 253734; sez. 4 n. 36777 del 02/07/2015, Rv. 264419 (quest'ultima in fattispecie relativa alla guida in stato di alterazione psicofisica per uso di sostanze stupefacenti)).
3.4. La doglianza formulata con riferimento alla asserita inutilizzabilità degli accertamento per mancanza dell'avviso di cui all'art. 114 disp. att. c.p.p. non ha costituito oggetto di apposito motivo di appello ed è pertanto inammissibile sotto tale dirimente profilo.
3.5. Del tutto congrua è infine la motivazione in punto dosimetria della pena e mancato riconoscimento delle generiche, oltre che coerente con i principi di matrice giurisprudenziale: la ratio della disposizione di cui all'art. 62 bis c.p. non impone al giudice di merito di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo, invece, sufficiente l'indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti (cfr. sez. 2 n. 3896 del 20/01/2016, Rv. 265826; sez. 7 n. 39396 del 27/05/2016, Rv. 268475; sez. 4 n. 23679 del 23/04/2013, Rv. 256201), rientrando la concessione delle stesse nell'ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l'adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (cfr. sez. 6 n. 41365 del 28/10/2010, Rv. 248737), non essendo neppure necessario esaminare tutti i parametri di cui all'art. 133 c.p., ma sufficiente specificare a quale si sia inteso far riferimento (cfr. sez. 1 n. 33506 del 07/07/2010, Rv. 247959).
Ciò che, nella specie, la corte territoriale ha fatto in maniera del tutto esaustiva, non mancando di stigmatizzare l'assenza di elementi positivi di valutazione, ma anche la gravità del fatto desunta dal notevole tasso alcolemico accertato e dalla maggiore pericolosità derivante dalle caratteristiche del mezzo utilizzato.
4. Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità (cfr. C. Cost. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna l'imputato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2019