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"Il detenuto è caduto dalle scale", Agente di Polizia Penitenziaria condannato per falso.

Sentenze

Indice:


La massima

Cassazione penale sez. V, 19/04/2021, n.23672

La Corte di Cassazione con la sentenza sopra indicata ha affermato che, in tema di falso in atto pubblico non può essere invocata la scriminante di cui all'art. 51 c.p., nella forma del principio "nemo tenetur se detegere", per aver il pubblico ufficiale estensore dell'atto attestato il falso in ordine a quanto ivi rappresentato, al fine di non far emergere la propria responsabilità, non potendo la finalità probatoria dell'atto pubblico essere sacrificata all'interesse del singolo di sottrarsi alle conseguenze di un delitto.

Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità, in ordine al reato di cui all'art. 479 c.p., di un agente di polizia penitenziaria per aver attestato in una relazione di servizio che le lesioni patite da un detenuto erano dovute ad una caduta dalle scale e non dalle percosse dallo stesso infertegli.



La sentenza

Fatto

1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Genova ha confermato la condanna, emessa dal Tribunale in sede in data 12 luglio 2017, nei confronti di P.D., alla pena di anni due mesi quattro di reclusione, in relazione ai reati di cui all'art. 608 c.p. (capo 1), artt. 582 e 585 c.p., art. 61 c.p., n. 5 e 9 (capo 2), art. 479 c.p. (capo 3), ritenuta la continuazione, comprese le statuizioni risarcitorie in favore della persona offesa. 1.1. Si contesta all'imputato di aver colpito il detenuto a lui affidato in qualità di agente di polizia penitenziaria, mentre lo accompagnava nell'infermeria dell'Istituto ove la persona offesa era ristretta, con uno schiaffo, nonché con un manganello in diverse parti del corpo, provocando le lesioni indicate al capo 2, con attestazione falsa, nella relazione di servizio a sua firma, che il detenuto si era procurato quelle lesioni cadendo dalle scale. 2. Avverso la sentenza ricorre l'imputato, a mezzo del difensore, denunciando sei vizi. 2.1. Con il primo motivo si deduce vizio di motivazione in relazione al giudizio di attendibilità della persona offesa B.F., nella parte in cui le dichiarazioni del predetto sono state considerate precise, circostanziate e riferite in modo convergente. Si tratta di dichiarazioni contraddittorie rilevando, la Difesa, il contrasto tra quelle rese al dibattimento e quelle di cui ai verbali di sommarie informazioni testimoniali del 24 aprile e 26 maggio 2015 acquisiti, su accordo delle parti, nel corso dell'esame di B.F., come indicato nei motivi di appello nelle pag. da 3 a 8. Si valorizzano, a pagg. 7 e sgg. del ricorso, i punti delle indicate dichiarazioni rese nelle indagini preliminari, dai quali risulterebbero contraddizioni circa la dinamica dell'aggressione e le cause delle lesioni personali documentate. Inoltre, si ravvisano divergenze tra le dichiarazioni rese nei verbali indicati e quelle rese al dibattimento, riportate per stralcio nel ricorso. Sicché, si deduce che il giudice di secondo grado ha reputato le dichiarazioni precise e convergenti pur risultando queste contraddittorie sulle modalità del fatto, il numero di aggressori e l'errato riconoscimento dell'arma utilizzata. 2.2. Con il secondo motivo si denuncia vizio di motivazione in relazione alle deposizioni dei testi O. e S., quanto all'attendibilità di detti testi. Il giudice di secondo grado si limita ad una motivazione per relationem senza dare conto delle ragioni per le quali si sono superate le contraddizioni sottolineate nell'atto di appello nelle pag. da 8 a 14. Si riportano, per stralcio, le dichiarazioni dei testi valorizzando la circostanza quanto a S. che questi aveva reso affermazioni diverse nel corso delle sommarie informazioni rese nelle indagini preliminare e, quanto a O., che questi sarebbe teste falso in quanto diverso era stato il racconto fatto da B. a S. e sul particolare relativo alle lesioni patite da B.. 2.3. Con il terzo motivo si denuncia vizio di motivazione in ordine alla operata valutazione negativa delle prove a discarico. La Corte, in particolare, in ordine alle dichiarazioni del direttore dell'istituto penitenziario teatro dei fatti, avrebbe reso motivazione apparente che rende conto soltanto dell'assenza di smentite da trarre dalla prova testimoniale a discarico, rispetto alla ricostruzione offerta dalla parte lesa. Si trascura che la prova testimoniale a discarico aveva fatto emergere il significativo elemento dell'assenza del possesso del manganello in capo al P.. 2.4. Con il quarto motivo denuncia vizio di motivazione in relazione alla raggiunta prova del possesso del manganello da parte dell'imputato. Il giudice di appello trae il dato dalle immagini estrapolate dal sistema di video sorveglianza, nelle quali la sentenza indica che appare un oggetto che pende dalla cintola (che il direttore dell'istituto specifica essere, invece, il crogiolo di sicurezza) ma soltanto in termini di verosimiglianza, stante la scarsa nitidezza delle immagini. Non sono, poi, prese in esame le conclusioni della consulenza tecnica della Difesa, secondo le quali le ferite riportate alla schiena dalla persona offesa, sarebbero del tutto compatibili con una caduta sulle scale, conformemente alla prima versione della ricostruzione dei fatti, resa dallo stesso B.. 2.5. Con il quinto motivo si deduce erronea applicazione di legge penale, in relazione all'art. 51 c.p. in relazione al capo 3). L'agente, in caso di omesso rapporto, avrebbe commesso il reato di cui all'art. 328 c.p. perché un detenuto affidatogli aveva riportato lesioni. Quindi, in ossequio al principio nemo tenetur se detegere questi non avrebbe potuto fare diversamente che redigere il rapporto nei sensi riportati nella contestazione, non potendo relazionare contra se. 2.6. Con il sesto motivo si denuncia violazione dell'art. 62-bis c.p.. Si contesta che, con la motivazione resa, la Corte territoriale finisce per affermare che, per i reati commessi la gravità non consentirebbe il riconoscimento del beneficio. Si sarebbe, invece, dovuta considerare l'incensuratezza, il comportamento processuale per essersi l'imputato sottoposto ad interrogatorio e, poi, a esame dibattimentale nonché l'attività di provocazione e di offesa messa in atto dalla persona offesa. 3. Il Procuratore generale presso questa Corte ha fatto pervenire requisitoria scritta con la quale ha concluso chiedendo l'inammissibilità del ricorso. 3.1. La parte civile ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso, con condanna in solido dell'imputato e del responsabile civile, alle spese come da nota spese prodotta.


Diritto

Il ricorso deve essere rigettato perché infondato. 1. Il primo motivo è manifestamente infondato e, comunque, devolve una censura non consentita in sede di legittimità. Si osserva, infatti, conformemente al pacifico e costante orientamento ermeneutico formatosi in seno a questa Corte che, in tema di valutazione della prova dichiarativa, l'attendibilità della persona offesa dal reato è una questione di fatto che ha la sua chiave di lettura nell'insieme di una motivazione logica, rispetto alla quale è inibita una rivalutazione in sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D'Ippedico, Rv. 271623; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575; Sez. 7, n. 12406 del 19/02/2015, Miccichè, Rv. 262948; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362). Tra le doglianze proponibili quali mezzi di ricorso, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., non rientrano, dunque, quelle relative alla valutazione delle prove, specie se implicanti la soluzione di contrasti testimoniali, la scelta tra divergenti versioni ed interpretazioni, l'indagine sull'attendibilità dei testimoni e parti lese, salvo il controllo estrinseco della congruità e logicità della motivazione. Peraltro, secondo il motivo devoluto, il nuovo giudizio sulla contraddittorietà intrinseca della deposizione della persona offesa dal reato dovrebbe passare attraverso la rilettura ed il confronto delle dichiarazioni di questa, rese al dibattimento e quelle rese nelle indagini preliminari, operazione non consentita a questa Corte. E' noto, infatti, che il controllo di legittimità concerne il rapporto tra motivazione e decisione, non quello tra prova e decisione; sicchè il ricorso che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non già nei confronti della valutazione probatoria che, in quanto riservata al giudizio di merito, è estranea al perimetro cognitivo del giudice di legittimità. 1.1.Il secondo motivo è, del pari, inammissibile. In primo luogo, va rilevato che, nel caso al vaglio, si tratta di cd. doppia pronuncia conforme, in cui le motivazioni dei provvedimenti di merito, - legittimamente, si integrano per confluire in un unico percorso giustificativo (Sez. 2, n. 19619 del 13/02/2014, Bruno, Rv. 259929; Sez. 2, n. 30838 del 19/03/2013, Autieri, 257056; Sez. 5, n. 3751 del 15/02/2000, Re Carlo, Rv. 215722). In secondo luogo, si osserva che, coerentemente con l'indirizzo applicativo in materia di motivazione per relationem (Sez. U, 17 del 21/06/2000, Primavera, Rv. 216664; Sez. 2, n. 55199 del 29/5/2018, Salcini, Rv. 274252; Sez. 6, 48428 del 08/10/2014, Barone, Rv. 261248) deve altresì escludersi l'illegittimità del richiamo della motivazione di altro provvedimento quando, tra l'altro, la motivazione stessa sia congrua rispetto all'esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione e il giudice abbia dimostrato, con percorso argomentativo idoneo, di fare proprie le argomentazioni ivi contenute. Nel caso al vaglio, si osserva che il giudice di appello ha preso in esame nel dettaglio, le censure mosse con il gravame e si è limitato al rinvio per relationem alla sentenza di primo grado quanto alla ricostruzione dei fatti, nonché a passi motivazionali condivisi ed arricchiti da proprie considerazioni. Ciò, rendendo conto delle divergenze tra le dichiarazioni rese (dalla persona offesa al dibattimento rispetto a quelle rese ai medici, nel giorno successivo ai fatti e alla polizia giudiziaria il 24 aprile e il 26 maggio 2015, nonché dai testi con particolare riferimento a quelle rese dal compagno di cella e dal detenuto della cella di fronte a quella della persona offesa, nonché dallo psicologo del carcere), riportando il rilievo che il giudice di primo grado aveva attribuito a tali divergenze, oltre a rispondere ai motivi di gravame devoluti sul punto. In ogni caso, la censura non è compatibile con la sede in cui il processo si trova, in quanto pretende il confronto tra diverse dichiarazioni, alcune delle quali, peraltro, riportate per stralcio oppure tra deposizioni rese dal medesimo testimone, in fasi diverse del procedimento, operazione inibite al giudice di legittimità. 1.2. Il terzo e quarto motivo sono infondati. La motivazione offerta dalla Corte territoriale circa la non decisività della prova a discarico risulta immune da censure di ogni tipo. Le sottolineate emergenze della prova testimoniale a discarico (in definitiva, diretta a provare l'assenza del possesso del manganello da parte del P., al momento del fatto) risulta confutata dalla motivazione, non manifestamente illogica, della sentenza di secondo grado, la quale valorizza il dato ricavato dai medesimi giudici di merito, dalla visione diretta delle immagini estrapolate dal sistema di videosorveglianza. Queste, secondo la sentenza impugnata, pur non ritraendo la scena del fatto, immortalano l'esistenza di un oggetto che pende dal cinturone dell'imputato, indossato nel giorno del fatto. La Corte d'appello, poi, con ragionamento completo e logico, esclude che si sia trattato di un crogiolo di sicurezza per la pistola in dotazione, tenendo conto della forma dell'oggetto visionato, oltre che del fatto che gli oggetti (pistola e crogiolo) compaiono, entrambi, nelle immagini. Inoltre, detta ricostruzione trova conferma, per i giudici di appello, nel dato, convergente, emergente dai rilievi fotografici acquisiti agli atti del fascicolo per il dibattimento quali documenti nonché nelle risultanze della consulenza tecnica del pubblico ministero, su cui ha deposto il consulente. Si tratta di ragionamento, in tale ultima parte, non attinto da specifica critica. Sicché il motivo risulta, almeno per questa parte, anche generico. 1.3. Il quinto motivo è inammissibile. La Corte territoriale con ragionamento non manifestamente illogico e completo, respinge la sussistenza della scriminante di cui all'art. 51 c.p. in relazione al capo 3), offrendo una motivazione immune da censure di ogni tipo. Rispetto a tale motivazione, invece, il ricorso appare mera ripetizione del gravame. Risulta, pertanto, di chiara evidenza che il motivo proposto si è limitato alla riproduzione del motivo d'appello, così venendo meno in radice la funzione per la quale è ammesso (la critica argomentata al provvedimento), posto che con siffatta riproduzione il provvedimento impugnato, non è destinatario di specifica critica argomentata ma finisce, di fatto, per essere ignorato (tra le tante, Sez. 5 n. 25559 del 15 giugno 2012, Pierantoni; Sez. 6 n. 22445 del 8 maggio 2009, p.m. in proc. Candita, rv 244181; Sez. 5 n. 11933 del 27 gennaio 2005, Giagnorio, Rv. 231708). In ogni caso, deve ribadirsi il principio secondo il quale non può invocarsi la scriminante di cui all'art. 51 c.p., in tema di falso in atto pubblico integrato dalla redazione di un verbale falso in ordine a quanto ivi rappresentato, in ossequio al principio nemo tenetur se detegere, non potendo la finalità probatoria dell'atto pubblico essere sacrificata all'interesse del singolo di sottrarsi alle conseguenze di un delitto (Sez. 5, n. 8579 del 30/11/2011, dep. 2012, Marino, Rv. 251945; Sez. 5, n. 38085 del 05/07/2012, Luperi, Rv. 253545; Sez. 5, n. 12697 del 20/11/2014, dep. 2015, Strazimiri, Rv. 263034). Il conseguente diritto di non esporre circostanze auto incriminanti va, dunque, considerato recessivo ove si tratti della falsità di un atto pubblico la cui rilevanza documentale non può essere sacrificata all'interesse singolo, sia pure di tipo difensivo. 1.4. Il sesto motivo è inammissibile. La Corte territoriale, con apprezzamento di fatto immune da illogicità e, dunque, incensurabile in sede di legittimità, ha motivato il diniego delle circostanze attenuanti generiche in ragione dell'assenza di elementi favorevoli (Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826: nel senso che in tema di diniego delle generiche la ratio della disposizione non impone al giudice di merito di esprimere una valutazione in ordine a ciascuno dei elementi indicati dalla difesa, essendo sufficiente indicare gli indici di preponderante rilevanza, ritenuti ostativi delle generiche, tanto da poter fondare il diniego anche soltanto in base ai precedenti penali o all'assenza di elementi positivi, perché in tal modo viene formulato, comunque, un giudizio di disvalore della personalità). 2. Segue la condanna al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese, sostenute, nel presente giudizio, dalla Parte civile, ammessa al patrocinio a spese dello Stato. Dunque, alla liquidazione dei compensi provvederà il giudice che ha emesso il provvedimento divenuto irrevocabile (Sez. U. n. 5464 del 12/02/2020, ric. De Falco) con separato decreto di pagamento, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83, con distrazione in favore dell'Erario.


P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Genova con separato decreto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato. Così deciso in Roma, il 19 aprile 2021. Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2021

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