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Il minorenne che propone ricorso per cassazione non può essere condannato alle spese processuali

Il regime di esonero dalla condanna al pagamento alle spese previsto per l'imputato minorenne dalla L. 28 luglio 1989, n. 272, art. 29 trova applicazione anche nel giudizio di legittimità e, pertanto, il minorenne che abbia proposto ricorso per cassazione non può essere condannato, in caso di rigetto o dichiarazione di inammissibilità dell'impugnazione, al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle Ammende.

Cassazione penale sez. VI, 09/03/2022, (ud. 09/03/2022, dep. 10/03/2022), n.8343


Fatto

1. Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Roma - Sezione Minorenni - ha disposto la consegna all'autorità giudiziaria rumena di B.S., in relazione a un mandato di arresto Europeo emesso per l'esecuzione della sentenza n. 8 del 25 gennaio 2018, pronunciata dal Tribunale di Panciu e dalla sentenza n. 82/C emessa in data 23 aprile 2018 della Corte di appello di Galati, con la quale il B. è stato condannato alla pena della reclusione di otto mesi in un istituto di pena minorile per i reati di furto aggravato in abitazione e tentato furto commessi in (OMISSIS).


2. L'avv. Giada Bernardi, nell'interesse del B. ricorre avverso tale sentenza e ne chiede l'annullamento, deducendo due motivi.


Con il primo motivo il ricorrente censura la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la sussistenza del motivo di rifiuto facoltativo previsto dalla L. n. 69 del 2005, art. 18-bis, comma 2, in ordine al radicamento del condannato nel territorio italiano.


Rileva il difensore che la Corte d'appello avrebbe escluso il radicamento del B. in territorio italiano in base alle dichiarazioni rese dal medesimo nel corso dell'udienza di convalida, in cui aveva affermato di essere stabilmente presente in Italia da quattro anni.


Ad avviso del difensore, stante la giovane età del soggetto richiesto in consegna (ventiduenne, che aveva commesso i fatti per cui si procede all'età di quattordici anni, sei mesi e nove giorni), sarebbe illogico e, comunque, contrastante con il finalismo rieducativo della pena ancorare il criterio di accertamento del radicamento del soggetto in territorio italiano a una permanenza almeno quinquennale.


La Corte d'appello, tuttavia, avrebbe travisato la documentazione prodotta e, in particolar modo, non si sarebbe avveduta che in sede di convalida era stato allegato il modulo di recesso dal rapporto di lavoro con la ditta Doina S.r.r.s. che attesta il proprio inizio in data 4 ottobre 2018, e quindi sarebbe provata la presenza del B. nel territorio italiano da oltre quattro anni.


La Corte d'appello, inoltre, non avrebbe conferito alcun rilievo alla circostanza che il ricorrente sia effettivamente residente in provincia di Terni unitamente alla sorella, al fratello e al cognato e che quindi abbia il territorio italiano una fitta rete di rapporti familiari, stabili e sedimentati.


Con il secondo motivo il ricorrente deduce l'erronea applicazione della legge penale, in quanto la Corte di appello non avrebbe accertato il rischio di subire trattamenti inumani e degradanti per effetto dell'esecuzione della consegna e chiede che la sentenza impugnata venga annullata per consentire alla Corte di appello di Roma di escludere questo rischio, richiedendo informazioni integrative all'autorità giudiziaria rumena sulla pena da espiare in Romania e sulle sue modalità esecutive.


3. Il giudizio di cassazione si è svolto a trattazione scritta, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8, conv. dalla L. n. 176 del 2020.


Con requisitoria e conclusioni scritte del 22 febbraio 2022 il Procuratore generale ha chiesto l'accoglimento del ricorso con riferimento alla previa verifica dell'insussistenza del rischio di trattamenti inumani e degradanti.


Diritto

1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.


2. Il ricorso è stato presentato dall'avvocato Giada Bernardi in data 31 gennaio 2022 tramite spedizione con posta raccomandata.


Nell'ottica di una complessiva accelerazione delle procedure interne di consegna nell'ambito del sistema del mandato di arresto Europeo, il D.Lgs. n. 10 del 2021 ha stabilito una sensibile riduzione dei termini processuali originariamente previsti dalla L. n. 69 del 2005.


In particolare, l'art. 18, comma 1 D.Lgs. cit. ha modificato il comma 1 della L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 2, prevedendo che "Contro la sentenza di cui all'art. 17, la persona interessata, il suo difensore e il procuratore generale presso la Corte di appello possono proporre ricorso per cassazione, entro cinque giorni dalla conoscenza legale della sentenza, solo per i motivi, contestualmente enunciati, di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a), b) e c)".


La L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 2, come riformulato dal D.Lgs. 2 febbraio 2021, n. 10, art. 18, comma 1, lett. a), tuttavia, in deroga alla disciplina generale in materia di presentazione dell'impugnazione delineata dall'art. 582 c.p.p., comma 2 e art. 583 c.p.p., sancisce che "Il ricorso è presentato nella cancelleria della corte di appello che ha emesso il provvedimento, la quale lo trasmette alla Corte di cassazione...".


Con tale previsione il legislatore della riforma ha inteso recepire il più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità circa l'inapplicabilità dell'art. 582 c.p.p., comma 2, ritenuto incompatibile con le esigenze di celerità che improntano "la ratio ispiratrice del sottosistema normativo" (Sez. 6, n. 22821 del 23/07/2020, Ben Achur, Rv. 280147-01; Sez. F., n. 23953 del 20/08/2020 Fiore, Rv. 280147; Sez. F, n. 23954 del 20/08/2020, Fiore, Rv. 279546).