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Reati tributari: La scoperta di fatture presso i clienti è prova dell'istituzione della contabilità


Indice:

1. Il caso

2. Il processo

3. I riferimenti

4. La massima

5. La sentenza della corte di cassazione



1. Il caso

All'imprenditore venivano contestate distinte ipotesi di reato previste dal D.Lgs. n. 10 marzo 2000, n. 74, ed in particolare: due condotte di emissione di fatture per operazioni inesistenti (art. 8), una ipotesi di distruzione di documenti contabili (art. 10) ed una ipotesi di omessa dichiarazione (art. 5).


2. Il processo

All'esito del processo di primo grado, l'imprenditore veniva condannato per i reati sopra indicati, riuniti nel vincolo della continuazione, alla pena di anni 3 e mesi otto di reclusione e la sentenza veniva confermata nel successivo giudizio di appello.

La corte di cassazione annullava senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ai reati previsti dall'art. 8 in quanto estinti per prescrizione ed eliminava la pena di mesi sei di reclusione rideterminando la pena finale in anni tre e mesi due di reclusione.

Dichiarava inammissibile il ricorso nel resto.


3. I riferimenti

Giudici di merito: Tribunale di Brescia - Corte di Appello di Brescia

Autorità Giudiziaria: Terza Sezione della Corte di Cassazione

Reato contestato: Artt. 8, 10 e 5 D.Lgs. n. 10 marzo 2000, n. 74

Sentenza: n.8466 (ud. 17/01/2023, dep. 27/02/2023)


4. La massima

Con la sentenza n. 8466 del 17 gennaio 2023, la Suprema Corte ha affermato che il rinvenimento delle fatture presso i clienti costituisce prova dell'istituzione, almeno parziale, della contabilità, pertanto deve considerarsi fuori luogo l'eventuale richiamo al principio in forza del quale il reato in esame non può configurarsi se le scritture contabili non sono state istituite.

La fattura deve essere emessa in duplice esemplare, da ciò deriva che il rinvenimento di uno di essi presso il terzo destinatario dell'atto può far desumere che il mancato rinvenimento dell'altra copia presso l'emittente sia conseguenza della sua distruzione o del suo occultamento.


5. La sentenza della corte di cassazione

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 7 dicembre 2021, la Corte d'appello di Brescia, rigettando il gravame proposto dall'odierno ricorrente, ne ha confermato la condanna alla pena di anni tre e mesi otto di reclusione per i reati, riuniti nel vincolo della continuazione di cui agli artt. 8 (capi A e B), 10 (capo C) e 5 (capo D) D.Lgs. n. 10 marzo 2000, n. 74.


2. Avverso la sentenza di appello, a mezzo del difensore fiduciario ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, deducendo, con il primo motivo - riferito ai capi A e B - vizio di motivazione e violazione della legge penale per essere stata affermata l'inesistenza delle prestazioni indicate nelle fatture emesse dalla ditta individuale dell'imputato, in quanto ritenuta priva di idonea organizzazione d'impresa. Si lamenta che, nel respingere i motivi di appello proposti sul punto, la sentenza recava una motivazione illogica e contraddittoria, dando una lettura travisata degli elementi di prova, in particolare delle dichiarazioni rese dai legali rappresentanti delle società committenti nei cui confronti erano state emesse le fatture, non essendo vero che gli stessi non avessero confermato l'effettività delle prestazioni fatturate. Si erano inoltre incongruamente valorizzati dati meramente formali, come la mancata comunicazione al registro delle imprese di una sede secondaria costituita da un capannone preso in locazione con canoni d'affitto regolarmente pagati, irregolarità concernenti i documenti di trasporto che invece comprovavano l'effettività delle forniture dei materiali oggetto di fatturazione, la mancata presentazione dei modelli 770 quanto al personale dipendente risultato, per contro, occupato sulla scorta di una sentenza del giudice del lavoro prodotta in grado di appello.


3. Con il secondo motivo di ricorso si lamentano violazione della legge penale e vizio di motivazione quanto alla ritenuta responsabilità per il reato di cui all'art. 10 D.Lgs. n. 74 del 2000, essendosi valorizzato un mero ed insufficiente indizio (vale a dire il rinvenimento presso terzi di fatture emesse dall'imputato) senza che fosse provata la condotta attiva di occultamento o distruzione e dovendosi invece ritenere l'omessa istituzione della contabilità per la quale l'imputato era stato peraltro già sanzionato in via amministrativa.


4. Con il terzo motivo di ricorso si deducono violazione della legge penale e vizio di motivazione con riguardo al reato di omessa presentazione delle dichiarazioni dei redditi e IVA per non essere stati considerati i costi sostenuti dall'impresa (come quelli relativi alla locazione del capannone) e per essere stato induttivamente determinato il reddito