L’articolo 2, comma 2, primo periodo, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, prevede che « L’ordine e la disciplina negli istituti penitenziari garantiscono la sicurezza che costituisce la condizione per la realizzazione delle finalità del trattamento dei detenuti e degli internati ».
La diffusione, dunque, di fenomeni di illegalità all’interno degli istituti penitenziari si pone in assoluto contrasto con il fine rieducativo della pena.
Il più grave problema dell’esecuzione penale in Italia è, senza ombra di dubbio, il sovraffollamento, tenuto conto che nelle nostre carceri sono presenti 10.000 detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare.
Ma a tale ormai nota situazione si aggiungono altri gravi eventi critici: dalla carenza di personale di polizia e degli altri ruoli dell’amministrazione penitenziaria al preoccupante fenomeno dei suicidi, anche, e soprattutto, tra gli agenti; dai ripetuti episodi di aggressione da parte di detenuti ai danni, in particolare, di appartenenti alla polizia penitenziaria al fenomeno, or- mai fuori controllo, dell’introduzione di telefoni cellulari all’interno degli istituti penitenziari.
Secondo i dati forniti dal Ministero della giustizia, in tre anni nelle carceri italiane sono quadruplicati i casi di detenuti trovati in possesso di un telefono cellulare: erano 355 nei primi nove mesi del 2017 e sono diventati 1.412 a fine settembre 2019, con 317 telefoni rinvenuti nella regione Campania e 92 nella regione Sicilia.
Una recente operazione portata a ter- mine dalla polizia penitenziaria nel carcere di Secondigliano, che ospita detenuti « definitivi » e condannati per reati di mafia, ha portato alla luce un ingente quantitativo di telefoni cellulari all’interno delle celle di detenzione, una circostanza assai inquietante se si pensa che tra i 1.400 detenuti che affollano la struttura la maggior parte è composta da appartenenti al circuito cosiddetto di « alta sicurezza » e affiliati alla camorra.
Tale situazione viene da tempo denunciata dai sindacati della polizia penitenziaria, che evidenziano come ogni giorno gli agenti siano costretti a controllare, nell’ambito dei circa 400 colloqui tra detenuti e parenti, circa 1.500-2.000 persone.
Nelle sale per i colloqui, inoltre, non ci sono vetri divisori e ciò agevola sicuramente il passaggio di sostanze o di oggetti.
Di fronte a una tendenza nettamente ascendente, che si spiega con il maggior numero di detenuti presenti negli istituti penitenziari ma anche, per quanto riguarda i telefoni cellulari, con i progressi della tecnologia che ha portato alla realizzazione di dispositivi elettronici sempre più piccoli e dunque più facili da nascondere, è evidente l’esistenza di una grave lacuna legislativa. In particolare, questi strumenti hanno raggiunto dimensioni estremamente ridotte, tanto da poter essere nascosti ovunque nella camera detentiva: possono, altresì, essere trasportati da un punto all’altro della sezione durante l’apertura delle camere detentive e da un istituto all’altro durante la traduzione.
La pratica è agevolata anche dal largo impiego di parti in plastica nella struttura dei recenti apparecchi, che ne rende estremamente difficile la rilevazione anche in sede di perquisizione con l’ausilio del metal detector.
A ciò si aggiunge la presenza sul mercato di apparecchi di dimensioni ridottissime, spesso dissimulati in modo da sembrare strumenti e beni consentiti (ad esempio, orologi o pacchetti di sigarette).
La disponibilità di telefoni cellulari consente ai detenuti non solo di commettere e di commissionare reati, ma anche di svolgere una sorta di attività commerciale, per- mettendo ad altri detenuti di effettuare telefonate alla famiglia, oltre i limiti imposti dall’ordinamento penitenziario, in cambio di sigarette, di alimenti o di bevande ovvero dietro promessa di ricevere altri vantaggi.
Solo pochi mesi fa, alla Camera dei deputati nel corso dell’audizione presso la Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere il procuratore di Napoli Giovanni Melillo, parlando di alcune carceri del territorio, ha denunciato: « Il carcere è il luogo dove lo Stato esercita una assai limitata capacità di controllo.
Sono fuori controllo, vi dominano le organizzazioni mafiose, i cellulari vi entrano quotidianamente e non li sequestriamo neanche più talmente tanti sono. In alcune carceri vi sono autentiche piazze di spaccio ».
Della stessa opinione è Aldo Di Giacomo, segretario generale del sindacato di polizia penitenziaria, il quale ha affermato che: « Nei 190 istituti italiani, secondo i dati del 2017, sono stati ritrovati 937 tra cellulari e sim: quasi due per ogni carcere. Questo significa che per i capi delle organizzazioni criminali è una consuetudine diffusa impartire ordini con i telefonini », aggiungendo che: « Le baby gang sono telecomandate dai boss in cella.
Piuttosto che disquisire sull’allungamento dei colloqui telefonici per i detenuti, è necessario accrescere la sorveglianza ». Imporre il divieto di avere a disposizione un apparecchio di telefonia mobile in carcere significa impedire che le persone detenute possano mantenere comunicazioni con l’esterno, continuando a gestire traffici illeciti, a impartire o a ricevere ordini e, in definitiva, possano continuare a delinquere. Di fatto, qualsiasi telefonino o apparecchiatura tecnologica vietata, anche se « solo » a disposizione di una persona detenuta impiegata nei lavori all’esterno, è comunque una fonte di pericolo per il mantenimento della sicurezza dell’istituto ed è quindi evidente che dovrebbe essere profuso ogni sforzo per debellare un simile fenomeno.
Nonostante ciò, allo stato attuale, sulla base della vigente normativa afferente all’istituzione penitenziaria e allo status detentivo, un telefono cellulare è soltanto un oggetto non consentito, alla stregua di tanti altri oggetti che, a seconda dei casi, non sono consentiti dai singoli regolamenti interni.
Nei casi in cui il detenuto ne viene trovato in possesso, in assenza della commissione di un reato successivo, egli può soltanto essere sottoposto a un procedimento disciplinare, benché con tale strumento di comunicazione lo stesso possa agevolmente commissionare reati quali, ex plurimis, estorsioni, omicidi o rapine e gestire, con altrettanto agio, il traffico di droga.
La situazione descritta ha sicuramente un forte impatto sul rispetto dell’ordine, della sicurezza e della disciplina degli istituti penitenziari, ma riverbera i propri effetti anche sull’ordine e sulla sicurezza pubblica all’esterno; pertanto, una previsione normativa che reprima tale condotta sarebbe foriera di proficui effetti anche in un’ottica preventiva rispetto alla commissione di particolari tipi di reato.
Un altro aspetto di forte destabilizzazione della sicurezza all’interno degli istituti penitenziari italiani è il preoccupante fenomeno delle aggressioni al personale che vi opera, con particolare riguardo agli agenti di polizia penitenziaria.
La recentissima circolare n. 3689/6139 del Ministero della giustizia del 23 luglio 2020, analizzando i dati statistici degli ultimi anni, conferma un sensibile aumento del tasso di comportamenti violenti e antidoverosi da parte della popolazione detenuta, spesso indirizzati, appunto, contro il personale del Corpo di polizia penitenziaria e il personale medico o infermieristico nell’esercizio delle loro funzioni.
Alla luce di tali considerazioni, la presente proposta di legge si pone l’obiettivo, condiviso dallo stesso Ministero della giustizia, come espressamente indicato nella citata circolare, di evitare che nella popolazione ristretta possa diffondersi la percezione di un clima di impunità, con conseguenze negative sulla garanzia dell’ordine e della disciplina.
In particolare, l’articolo 1 sostituisce l’articolo 391-bis del codice penale, introdotto dalla legge 15 luglio 2009, n. 94, per fare fronte al fenomeno della continuazione, da parte dei boss di « Cosa nostra », dell’attività di direzione del clan tramite la comunicazione con l’esterno, in seguito modificato dal decreto-legge 21 ottobre 2020, n. 130, in corso di conversione alla data di presentazione della presente proposta di legge, per configurare una più ampia fattispecie di reato che punisce chiunque introduce all’interno degli istituti penitenziari un apparato radiomobile o uno strumento comunque idoneo a effettuare comunicazioni con l’esterno, estendendo la pena anche al detenuto che ne sia trovato in possesso.
L’articolo 2 modifica l’articolo 583- quater del codice penale introducendo una nuova aggravante per le ipotesi di aggressione ai danni del personale che opera all’interno degli istituti penitenziari.
Art. 1. (Modifica dell’articolo 391-bis del codice penale)
1. L’articolo 391-bis del codice penale è sostituito dal seguente: « Art. 391-bis. – (Agevolazione delle comunicazioni dei detenuti o internati in violazione dell’ordinamento penitenziario)
– Chiunque consente a un detenuto o a un internato di comunicare con altri eludendo le prescrizioni all’uopo imposte è punito con la reclusione da due a sei anni. La pena prevista dal primo comma si applica anche al detenuto o all’internato che sia trovato in possesso di un apparato radiomobile o di uno strumento comunque idoneo ad effettuare comunicazioni con l’esterno dell’istituto penitenziario. Se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale, da un incaricato di pubblico ser- vizio ovvero da un soggetto che esercita la professione forense, si applica la pena della reclusione da tre a sette anni. Se il detenuto o l’internato è sottoposto alle restrizioni di cui all’articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, le pene previste dai commi primo e secondo sono aumentate fino a un terzo ».
Art. 2, (Modifica all’articolo 583-quater del codice penale)
1. All’articolo 583-quater del codice penale sono apportate le seguenti modificazioni: a) è aggiunto, in fine, il seguente comma: « Nei casi previsti dagli articoli 581 e 582, la pena di cui al primo comma del presente articolo è aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono commessi contro il personale in servizio presso le strutture penitenziarie, nell’atto o a causa dell’adempimento delle sue funzioni o del suo ser- vizio »; b) nella rubrica, dopo le parole: « manifestazioni sportive, » sono inserite le seguenti: « al personale in servizio presso le strutture penitenziarie».
FONTE: PROPOSTA DI LEGGE D’INIZIATIVA DEI DEPUTATI FERRO, BUTTI, CIABURRO, DEIDDA, DELMASTRO DELLE VEDOVE, GALANTINO, MASCHIO, ROTELLI, VARCHI - Modifiche agli articoli 391-bis e 583-quater del codice penale, in
materia di agevolazione delle comunicazioni dei detenuti o inter- nati in violazione dell’ordinamento penitenziario e di percosse e lesioni in danno del personale - Presentata il 22 ottobre 2020