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La «gestazione per altri»: l’attrito tra orizzonti avanguardistici ed interpretazioni moralizzanti


La «gestazione per altri»: l’attrito tra orizzonti avanguardistici ed interpretazioni moralizzanti

Indice


1. Introduzione: la disciplina

La tematica inerente alla “gestazione per altri” (d’ora in avanti più semplicemente GPA) sembra ormai essere destinata a subire la sorte di tutti i graduali fenomeni di cambiamento sociale, ossia la strenua resistenza e lotta contro posizioni politiche sempre più caratterizzate da una forte e ostinata avversione nei confronti dell’evoluzione dinamica della società.

Tale ostilità sembra prendere le mosse da un certo modo di interpretare i sentimenti sociali relativi ad alcuni diritti fondamentali dell’individuo, strettamente concatenati tra loro, e da una retrivo atteggiamento paternalistico assunto da parte dello Stato, il quale presenta con chiarezza i caratteri di un istintivo terrore verso l’abbandono delle anguste sponde della tradizione per accogliere, invece, una lettura evolutiva dei fondamentali diritti sanciti a livello costituzionale.

La conflittualità nei confronti di un simile argomento, il quale involge interessi e diritti di suprema importanza, quali la dignità, la libertà, l’autodeterminazione e lo stesso diritto alla vita, risulta di tutta evidenza anche solo guardando alle concrete difficoltà nella scelta di una precisa dimensione terminologica per fare riferimento a tale pratica. Utero in affitto, surrogazione di maternità, maternità surrogata, gestazione per altri, gravidanza per altri, sono tutte espressioni che rimandano ad un medesimo concetto, le quali, tuttavia, nascondono un diverso modo di guardare ad esso e riflettono, in un certo qual senso, una profonda discrepanza e assoluta non univocità di vedute rispetto a tale delicato fenomeno.

Così, ad esempio, l’espressione utero in affitto porrebbe l’accento sulla dimensione economico-commerciale di tale pratica, producendo una sorta di rimozione della donna in quanto soggetto 1 ; l’espressione gestazione per altri lascerebbe intendere una visione assai neutralizzante della dimensione materna; gravidanza per altri verrebbe da alcuni considerata come maggiormente idonea a riflettere il fenomeno della gravidanza come «esperienza umana relazionale» 2 mentre di surrogazione di maternità parla espressamente l’articolo 12, comma 6, della l. 40/2000. Nomina consequentia rerum, ed in effetti lo stato dell’arte in tema di GPA risulta fortemente frastagliato, tanto sul piano nazionale quanto su quello sovra-nazionale.

La normativa interna di riferimento è data dall’articolo 12, comma 6, della l. 40/2000, il quale proibisce in maniera pressoché assoluta ed insuscettibile di deroghe la «maternità surrogata», sanzionandola penalmente con una pena edittale da reato “bagatellare”, ossia da tre mesi a due anni, ma con una pena pecuniaria «draconiana»3 , che va dai seicentomila a un milione di euro. Tale fattispecie, la quale punisce «chiunque in qualsiasi forma realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità» risulta viziata da una indeterminatezza e generalità talmente gravi da aver condotto a pratiche elusive riconducibili al c.d. “turismo procreativo” e ad una sostanziale depenalizzazione sul piano giurisprudenziale4 .

Allo stato attuale, il problema si pone con riguardo a quei Paesi nei quali la GPA non è proibita né avversata ma, piuttosto, opportunamente disciplinata, e che per tale motivo diventano l’ambita meta di coppie italiane, eterosessuali e non, limitate da motivi biologici a dar vita a desideri procreativi che solo l’intervento di terzi e l’ausilio della tecnica scientifico-medica sono in grado di realizzare. Dunque, la GPA viene nei fatti elusivamente aggirata attraverso l’effettuazione della pratica nello Stato che legittimamente la ammette e la disciplina, nei limiti e secondo le condizioni da esso previsti; lì viene poi formato l’atto di nascita in conformità alla lex loci, il quale attribuisce la piena genitorialità ai c.d. genitori intenzionali ed, infine, si domanda all’autorità consolare la trasmissione dell’atto di nascita in Italia per la trascrizione. Tale processo risulta totalmente conforme a quanto previsto dagli articoli 15 e 17 d.P.R. 396/2000 e, dunque, i relativi passaggi non possono integrare né un’alterazione di stato ex articolo 567 c.p., essendo l’attribuzione di stato vera secondo la lex loci, né una falsa dichiarazione ex articolo 495 c.p., in quanto la richiesta di trasmissione per la trascrizione non comporta alcuna dichiarazione, né un delitto di surrogazione di maternità, il quale, essendo commesso all’estero, è punibile soltanto laddove vi sia la richiesta del Ministro della giustizia ai sensi dell’articolo 9 c.p.

E però, i problemi per le coppie italiane e per il nascituro si verificano proprio al momento della trascrivibilità dell’atto, cioè nel momento in cui, ritornati in Italia, occorre consolidare dal punto di vista dell’ordinamento interno il rapporto di filiazione sorto e riconosciuto all’estero. Ed è proprio al riguardo che si manifesta in tutta la propria insufficienza la normativa italiana e l’attuale dibattito politico sul tema, con interventi giurisprudenziali che non possono e, soprattutto, non vogliono contribuire ad una più decisa evoluzione di un ormai superato concetto di “maternità” e di “dignità della donna” e con un legislatore perlopiù silente, che si risveglia dal proprio consapevole letargo solo per aggrovigliare ancora di più i nodi della matassa.


2. L’interpretazione “a freno a mano tirato” fornita dalla giurisprudenza italiana

A seguito dell’entrata in vigore della l. 40/2000 sulla procreazione medicalmente assistita (PMA), numerosi sono stati gli interventi della Corte costituzionale volti a rimuovere alcuni divieti posti dall’originario assetto normativo, la cui rigidità ben esprimeva il carattere della legge in questione quale “legge manifesto”, creatrice di un rigido modello di vita incompatibile con i principi costituzionali di libertà e di dignità; si pensi, ad esempio, alla rimozione del divieto investente la fecondazione eterologa laddove gli aspiranti genitori fossero portatori di sterilità o di infertilità assolute ed irreversibili5.

E però, sebbene il Giudice delle Leggi abbia progressivamente allentato le eccessive legnosità della l. 40/2000, nella prima sentenza in cui si è trovato ad occuparsi del tema della GPA6 , si assiste ad una goffa commistione di valutazioni dalla profonda modernità con arbitrari giudizi extra-giuridici di disvalore, investenti considerazioni astratte sulle vesti che la donna sarebbe tenuta ad indossare nell’odierna società e su di una presunta “assolutizzazione” del carattere oggettivo del bene giuridico “dignità”.

Il caso originava da un procedimento di impugnazione del riconoscimento di figlio naturale per difetto di veridicità, richiesto dal pubblico ministero e autorizzato dal Tribunale per i Minorenni, relativamente alla trascrizione del certificato di nascita formato all’estero di un bambino riconosciuto come figlio naturale di una coppia di cittadini italiani conviventi. Questi ultimi, in sede di indagini penali avviate dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni, avevano ammesso che il figlio era nato attraverso il ricorso alla maternità surrogata e, in seguito ad esame genetico, era stato inoltre accertata la presenza di un legame biologico tra il padre e il bambino. Pertanto, il minore non era figlio della convivente del padre e avrebbero dovuto disporsi le relative annotazioni nei registri di stato civile. Sollevando questione di legittimità costituzionale dell’articolo 263 c.c., il giudice a quo contestava la compatibilità costituzionale di tale articolo “nella parte in cui non prevede che l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità del figlio minorenne possa essere accolta solo quando sia ritenuta dal giudice rispondente all’interesse del minore stesso”.

Invero, l’automatismo ingenerato da tale articolo renderebbe impossibile per il giudice tenere in considerazione il concreto interesse del minore al mantenimento dello status filiationis così come riconosciuto e attribuito all’estero, determinando una contrapposizione tra il favor veritatis dello status di filiazione e il favor legitimationis. La pronuncia della Corte costituzionale è puntualmente esaustiva e chiara nel delineare come l’articolo 263 c.c. non implichi e non possa implicare alcun automatismo decisorio che impedirebbe al giudice di considerare gli interessi in gioco al momento in cui è chiamato a pronunciarsi sullo status del minore, evidenziando come il conflitto tra identità genetica ed identità legale debba essere risolto ponendo alla base dell’opera di bilanciamento il valore dell’interesse del minore, anche in virtù del principio del c.d. best interest of the child e dell’evoluzione del concetto di “famiglia”7 . Quanto detto risulta coerente con quanto affermato nella sentenza n. 162/2014, in cui la Corte ha pronunciato principi fondamentali, quali la riconosciuta sussistenza di una considerazione favorevole dell’ordinamento costituzionale e giuridico riguardo ad un «progetto di formazione di una famiglia caratterizzata dalla presenza di figli, anche indipendentemente dal dato genetico». Per tale motivo, pur riconoscendo l’importanza della verità biologica nell’assetto identitario del minore e del suo contenuto, la Corte esclude «che quello dell’accertamento della verità biologica e genetica dell’individuo costituisca un valore di rilevanza costituzionale assoluta, tale da sottrarsi a qualsiasi bilanciamento» ad opera del giudice, dovendosi, quindi, sempre privilegiare la soluzione più idonea in relazione all’interesse del minore da realizzare nel caso concreto.

E però, in tale pronuncia la Corte fa fatica a conciliare la modernità di tali sue affermazioni, anche opportunamente ribadite con l’espresso richiamo alle sue precedenti pronunce in tema di PMA, attraverso le quali ha riconosciuto la rilevanza del “progetto di genitorialità” e di un “diritto alla genitorialità” in caso di sterilità, con un vero e proprio preconcetto in relazione alla pratica della GPA e al disvalore assoluto che la rivestirebbe, colorando di rilievo pubblicistico l’interesse sotteso al divieto di ricorrervi e, quindi, rendendolo idoneo a concorrere nel bilanciamento tra tutela dell’interesse del minore al mantenimento dello status e corrispondenza dell’atto alla verità “procreativa-gestativa”.

Il disvalore assoluto della GPA è espresso a chiare lettere, laddove la Corte afferma che «Si tratta dunque di una valutazione comparativa della quale, nel silenzio della legge, fa parte necessariamente la considerazione dell’elevato grado di disvalore che il nostro ordinamento riconnette alla surrogazione di maternità, vietata da apposita disposizione penale» e che la maternità surrogata «offende in modo intollerabile la dignità della donna» e «mina nel profondo le relazioni umane». Un simile giudizio di disvalore non poteva non influenzare la successiva giurisprudenza di merito e di legittimità che, inizialmente mostrando aperture verso l’integrale trascrivibilità degli atti di nascita formati all’estero a seguito di ricorso alla GPA 8, ne ha poi sancito la radicale impossibilità in quanto preclusa dalla contrarietà all’ordine pubblico internazionale delle modalità di nascita, ordine «posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità umana della gestante e l’istituto dell’adozione», fatta salva la «possibilità di conferire rilievo al rapporto genitoriale, mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l’adozione in casi particolari, prevista dalla l. 184 del 1983, art. 44, comma 1, lett. d)» 9 .


3. (Segue) I limiti della soluzione individuata dalla Corte di Cassazione

La Corte costituzionale è tornata a pronunciarsi sul conflittuale tema della maternità surrogata con le note sentenze gemelle nn. 32 e 33 del 2021, in quanto investita di una questione di legittimità dalla Prima Sezione della Cassazione, la quale non riteneva di condividere l’arresto delle Sezioni Unite intervenuto con sentenza n. 12193/2019, facendo perno sul parere preventivo reso il 10 aprile 2019 dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo su richiesta della Corte di Cassazione francese, in cui si esortavano gli Stati membri a predisporre idonei strumenti volti a dare pienezza al legame di filiazione tra genitore intenzionale e figlio nato a seguito della GPA.

Dichiarando l’inammissibilità della questione sollevata dal giudice a quo, la Corte da un lato ha condiviso le conclusioni delle Sezioni Unite circa la qualificazione del divieto di ricorrere alla pratica della GPA come «principio di ordine pubblico»; dall’altro, tuttavia, ha ribadito l’importanza di un focus «sugli interessi del bambino nato mediante maternità surrogata». Proprio in relazione alla considerazione concreta dell’interesse del minore e all’esigenza di garantirgli, dal punto di vista morale, la soluzione che maggiormente sia in grado di assicurargli la miglior cura delle proprie condizioni di vita, la Corte ha affermato che, pur non essendo possibile la trascrizione dell’atto di nascita, in ogni caso resta intatto e va tutelato l’interesse fondamentale del minore al riconoscimento e alla stabilizzazione giuridica dei legami affettivi sorti con i genitori intenzionali.

E però, in tale sentenza la Corte finiva con il ritenere che una simile tutela sia poco conseguibile attraverso il ricorso all’adozione in casi particolari, posto che quest’ultima non attribuisce la genitorialità, non istituisce (fino, in realtà, alla successiva sentenza della Corte costituzionale n. 79/2022, di cui si parlerà a breve) alcun rapporto di parentela con la famiglia dell’adottante e richiede per il suo perfezionamento il consenso del genitore biologico; consenso particolarmente difficile da ottenere nel caso di sopravvenuta crisi della coppia.

Sulla scorta di quanto stabilito nell’Advisory opinion della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la Corte costituzionale auspicava, quindi, «un procedimento di adozione effettivo e celere, che riconosca la pienezza del legame di filiazione fra adottante e adottato, allorché ne sia stata accertata in concreto la corrispondenza agli interessi del bambino», anche attraverso una modifica dell’attuale disciplina dell’adozione in casi particolari, «la quale dovrebbe essere disciplinata in modo più aderente alle peculiarità della situazione in esame che è in effetti assai distante da quelle che il legislatore ha inteso regolare per mezzo dell’art. 44, comma 1, lett. d), della legge n. 184 del 1983».

Invero, occorre qui precisare che l’istituto dell’adozione in casi particolari è stato disegnato sul modello dell’adozione del maggiorenne, la cui finalità precipua non è certo quella di garantire al bambino il diritto di crescere in una famiglia, quanto piuttosto quello di consentire ad una persona priva di eredi di averne.

In conseguenza di tale riconosciuta inadeguatezza dell’adozione in casi particolari a porsi quale soluzione in grado di realizzare il c.d. best interest of the child, la Prima Sezione della Corte di Cassazione investiva nuovamente le Sezioni Unite, denunciando l’esistenza di un vuoto di tutela: da un lato, a seguito della sentenza n. 1219/2019 delle Sezioni Unite, la trascrizione dell’atto di nascita estero dei nati dalla GPA è contrario all’ordine pubblico; dall’altro, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 33/2021, l’istituto dell’adozione in casi particolari è stato ritenuto inadeguato a garantire al minore i fondamentali diritti alla vita privata e familiare10. La soluzione interpretativa fornita dalla Prima Sezione risulta essere densa di significatività in merito al punto nodale della problematica inerente alla GPA e alla tutela dei beni costituzionali in gioco, in quanto essa proponeva l’obiettivo comune di andare oltre il tradizionale stigma in merito alla pratica della surrogazione di maternità, dovendosi, invece, valutare di volta in volta la concreta sussistenza della contrarietà del caso di specie all’ordine pubblico.

Invero, la Sezione affermava che la gestante «è in una condizione di soggezione che può essere considerata non lesiva della sua dignità solo se sia il frutto di una scelta libera e consapevole, indipendente da contropartite economiche e se tale scelta sia revocabile sino alla nascita del bambino», per cui se «queste condizioni non sussistono e non sono effettive [...] la violazione della dignità della donna assume un rilievo talmente importante da consentire il rifiuto della delibazione (e della trascrizione)» dell’atto di nascita. Invece, quando l’esame del caso concreto faccia ritenere che tali condizioni siano state rispettate, «il bilanciamento basato sul diniego aprioristico di riconoscimento degli effetti della sentenza straniera (o dell'atto formato all'estero) assume una connotazione di non inerenza alla soluzione di un concreto e attuale conflitto».

Altro non si auspicava, quindi, che un intervento giurisprudenziale volto a rendere effettivo il senso stesso dell’esercizio della giurisdizione, ossia quello di evitare qualsiasi automatismo nell’applicazione della legge al caso concreto per immergersi, invece, nelle peculiarità dello stesso al fine di assicurargli, e assicurare, così, all’ordinamento tutto, la risposta più corretta, congrua e, quindi, “giusta” possibile.

Tuttavia, nelle more della remissione della questione alle Sezioni Unite, la Corte costituzionale, sempre sospinta da una vicenda di adozione relativa ad una surrogazione di maternità condotta all’estero da coppia dello stesso sesso, è ritornata sulla disciplina dell’adozione in casi particolari, dichiarando l’illegittimità costituzionale del rinvio operato dall’articolo 55 l. 184/1983 all’articolo 300, comma 2 c.c., in quanto la mancata instaurazione di un rapporto di parentela tra l’adottato e la famiglia dell’adottante «priva […] il minore della rete di tutele personali e patrimoniali scaturenti dal riconoscimento giuridico dei legami parentali, che il legislatore della riforma della filiazione, in attuazione degli artt. 3, 30 e 31 Cost., ha voluto garantire a tutti i figli a parità di condizioni, perché tutti i minori possano crescere in un ambiente solido e protetto da vincoli familiari, a partire da quelli più vicini, con i fratelli e i nonni»11 .

E così, in risposta all’ordinanza sollevata dalla Prima Sezione, le Sezioni Unite ritornavano sull’argomento, potendo avvalersi di un (apparentemente) più solido puntello sul quale confermare le proprie precedenti considerazioni12. Si ribadiva, infatti, che la pratica della maternità surrogata è «vietata in assoluto» in quanto offende «la dignità della persona umana nella sua dimensione oggettiva» e che, in relazione alla prassi del ricorso al c.d. “turismo procreativo”, si pone un effettivo problema di tutela del minore nato a seguito della GPA, posto che l’ordinamento interno nulla dispone in merito al suo status. Ancora, la Corte confermava che è contrario all’ordine pubblico internazionale il provvedimento che riconosce il rapporto di filiazione con il genitore intenzionale del bambino nato all’estero dalla GPA, nei cui confronti e per la cui tutela l’ordinamento italiano offre la possibilità del ricorso all’adozione in casi particolari. Rispetto a quest’ultima, le Sezioni Unite potevano adesso servirsi della sentenza della Corte costituzionale n. 79/2022, avendo quest’ultima rimosso uno dei presupposti fondamentali del deficit di tutela e di costituzionalità della precedente disciplina dell’adozione in casi particolari, permettendo all’adottato di entrare a far parte della famiglia dell’adottante, venendo così meno, a dire del Supremo Consesso, «il più importante elemento di inadeguatezza della soluzione dell’adozione particolare».

Pur rilevando la permanenza di tutte le altre criticità, compresa quella per cui l’iniziativa ai fini della costituzione dello status non compete mai all’adottando, per cui il minore non può rivendicare l’instaurazione di alcun rapporto giuridico con il genitore privo di legame genetico il quale rifiuti di assumere/proseguire nell’iniziativa di ricorrere all’adozione in casi particolari, le Sezioni Unite concludevano nel senso che questo, tuttavia, non sarebbe di per sé sufficiente a giustificare l’automatismo della trascrizione dell’atto di nascita.

Nel disapprovare ogni forma di maternità surrogata, il legislatore italiano avrebbe inteso tutelare la dignità oggettiva della persona umana, in quanto «la riduzione del corpo della donna ad incubatrice meccanica, a contenitore di una vita destinata ad altri, ne offende la dignità, anche in assenza di una condizione di bisogno della stessa e a prescindere dal concreto accertamento dell'autonoma e incondizionata formazione del suo processo decisionale», permanendo così ogni contrasto con l’ordine pubblico internazionale.


4. La permanenza delle criticità e l’emersione di nuove: la politica italiana e il «reato universale»

Le Sezioni Unite hanno quindi fatto ricorso, ancora una volta, alla propria funzione nomofilattica per imporre una certa visione del mondo e delle relazioni umane che non sembra più adeguarsi al mutevole assetto che la nostra società sta sempre più velocemente andando ad assumere, rispetto alle cui peculiarità emergono in modo pressante le esigenze di un ordinamento statale che nella sua organicità sia in grado di ascoltare e di rispondere alle multiformi voci che chiedono attenzione e tutela.

Il misero intervento della Corte costituzionale, richiamato dalle Sezioni Unite, sembra rispondere alle logiche di una sorta di “carità pelosa”, interessata a rimuovere uno dei tanti elementi di criticità dell’istituto dell’adozione in casi particolari più per un proprio tornaconto che per rispondere ai bisogni di tutela del minore.

E difatti, tanto è bastato alle Sezioni Unite per respingere tutte le questioni e le (perlopiù) valide soluzioni interpretative illustrate dalla remittente Prima Sezione, lasciando in piedi un istituto che continua in ogni caso a non assolvere a pieno i fondamentali obiettivi di tutela, chiamato impropriamente a sopperire ad un vuoto di protezione determinato dall’aprioristica contrarietà della trascrizione dell’atto di nascita estero all’ordine pubblico.

L’adozione in casi particolari continua a possedere una «strutturale inidoneità» 13 ad assicurare una piena garanzia dei diritti fondamentali dei bambini nati dalla GPA, in quanto sconta tutte le incertezze delle tempistiche e degli esiti tipici di ogni procedimento di volontaria giurisdizione14, non è stata pensata, come si è detto, in relazione al rapporto tra minore e genitore intenzionale, non si configura come diritto autonomo del figlio ma come semplice riflesso di una discrezionalità dei genitori e può anche essere revocata e determinare «effetti caducatori non solo sulla responsabilità genitoriale, ma direttamente sullo status» 15.

In più, sembrerebbe scontare anche un difetto di ragionevolezza rispetto alle scelte adottate dal legislatore nelle altre ipotesi di procreazione illecita, «come emerge dalla disciplina della filiazione da procreazione incestuosa e da fecondazione eterologa […] in cui le tecniche alternative che si pongono sono la costituzione del rapporto di filiazione (soggetta nel caso più grave all’autorizzazione giudiziale) o il ricorso residuale all’art. 279 cod. civ.» 16.

Ne va da sé che, allo stato attuale, l’adozione in casi particolari non sembra rispondere ai criteri individuati dalla Corte Europea di Diritti dell’Uomo con riguardo alle soluzioni alternative selezionate dagli Stati membri per assicurare una tutela al minore nato nelle particolari circostanze della GPA. Difatti la Corte, nell’Advisory opinion più sopra menzionata, ha affermato che, pur rientrando nell’ambito della discrezionalità degli Stati membri la scelta circa lo strumento per garantire al minore nato a seguito della GPA il riconoscimento dello status filiationis, vi è un obbligo positivo per gli stessi Stati membri di permettere tale riconoscimento anche nei confronti del c.d. genitore di intenzione e di predisporre degli strumenti i quali, pur ponendosi come alternative alla trascrizione dell’atto di nascita estero, siano idonei ad assicurare una tutela equivalente sul piano sostanziale e, soprattutto, che siano di rapida ed effettiva realizzazione.

A complicare la situazione si è aggiunto, recentemente, un disastroso effetto domino delle interpretazioni della giurisprudenza italiana. Il loro riflesso incondizionato si è risolto in dichiarazioni particolarmente pericolose da parte di coloro ai quali è rimesso il compito di esercitare la funzione legislativa in uno Stato costituzionale di diritto, in inaccettabili “pressing” politici assumenti le forme di circolari ministeriali, facenti leva proprio sugli indirizzi giurisprudenziali espressi dalle Sezioni Unite e, da ultimo, in un vero e proprio diktat dei magistrati al sindaco del capoluogo lombardo, Beppe Sala, in base al quale la Procura ha chiesto al Tribunale di annullare quattro provvedimenti con cui il sindaco ha ratificato lo status di genitori dello stesso sesso ottenuto all’estero in quanto ciò sarebbe contrario al vigente ordinamento giuridico.

La Procura sostiene, così come conformemente a quanto affermato dalla Corte costituzionale e dalla Corte di Cassazione, che «spetta prioritariamente al legislatore individuare il ragionevole punto di equilibrio tra i diversi beni costituzionali coinvolti, nel rispetto della persona umana, allo scopo di fornire, in maniera organica, adeguata tutela ai diritti del minore», individuando, ancora una volta, la soluzione del tutto inappropriata ed insufficiente dell’istituto dell’adozione.

E però, il legislatore a cui la Procura, così come il Giudice di legittimità e il Giudice delle leggi, si riferisce, non è un’entità astratta che vive “al di sopra del cosmo”, ma è una realtà concreta, che assume anche le vesti di chi è Vicepresidente della Camera dei Deputati e parla di «persone dello stesso sesso che spacciano per figli bambini avuti con la maternità surrogata fuori dai confini dell’Italia».

Ma legislatore è anche, in virtù dei sempre più sfumati confini tra potere legislativo e potere esecutivo e di un principio di separazione dei poteri mai accolto nella sua interezza, chi veicola l’opinione del popolo sovrano, come la Ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità, Eugenia Roccella, secondo cui «la nostra legge dice che per essere adottati ci vogliono un padre e una madre», che il modello di famiglia italiano «prevede una mamma e un papà» e che ben presto il Governo farà una legge contro l’utero in affitto, rendendo di fatto il reato di cui all’articolo 12, comma 6, della l. 40/2000, un «reato universale».

Invero, Fratelli d’Italia, ricalcando sostanzialmente quanto previsto da due precedenti proposte di legge, le numero 306 e 2599 (rispettivamente, “proposta Meloni” e “proposta Carfagna”) presentate lo scorso aprile 2022, ha spinto nuovamente il dibattito politico e modellato le maglie del diritto penale intorno all’obiettivo di rendere il ricorso alla maternità surrogata una fattispecie “universale” di reato, perseguibile anche se commessa all’estero dal cittadino italiano. Dunque, l’applicabilità dell’articolo 12, comma 6, l. 40/2000 ai fatti commessi all’estero da cittadini italiani andrebbe a ricadere nel perimetro di operatività dell’articolo 9, comma 2 c.p. il quale, per reati puniti con pena inferiore ai tre anni, come nel caso di specie, pone come condizioni di punibilità del cittadino italiano la sua presenza nel territorio dello Stato e la richiesta da parte del Ministro della giustizia17.

Tuttavia, si tratta di una scelta di criminalizzazione fin troppo ampia e che non sembra rispettare i principi di determinatezza, proporzionalità e sussidiarietà richiesti in via generale nell’ambito della materia penale.

Invero, non viene effettuata alcuna distinzione fra le possibili forme in cui può esplicarsi la GPA, a titolo gratuito o a titolo oneroso, né viene posta alcuna attenzione alle condizioni psicologiche, reddituali ed economiche della gestante, elementi che pur sono tenuti in considerazione dalla legislazione di altri ordinamenti (si pensi al caso del Portogallo18).

Infatti, se è indubbiamente vero che in tale vicenda assume un’importanza fondamentale l’esigenza di proteggere colei che assume le vesti di portatrice di un figlio destinato ad altri, in quanto laddove si trovasse in condizioni economico-sociali complesse potrebbe essere indotta verso una simile scelta per ragioni tutt’altro che altruistiche, ma ispirate ad un puro istinto di sopravvivenza, è pur vero che la scelta di tale amplissima incriminazione elide del tutto ogni altra possibile soluzione alternativa, che sia in grado di controbilanciare le esigenze di tutela con altre esigenze di pur significativo rilievo.

Si tratta, quindi, di «tabù irrazionalmente accolti»19 , «espressione di una idea di Stato tutore della moralità dei suoi cittadini, ovunque vadano», contrastante «con i principi del liberalismo politico»20 .

Difatti, con riguardo alla pretesa di configurare un reato “universale”, anche se è vero che lo Stato è tendenzialmente libero di adottare uno o più criteri di collegamento volti a giustificare l’applicazione della legge italiana anche all’estero in termini più dilatati di quelli previsti dall’articolo 9 c.p., attraverso l’articolo 7 c.p. che punisce incondizionatamente alcuni delitti, tra cui quelli per i quali «speciali disposizioni di legge o convenzioni internazionali stabiliscono l’applicabilità della legge penale italiana», occorre sottolineare come in tema di GPA ciò che manca è proprio la sua rispondenza alla ratio generale dell’articolo 7 c.p., comma 1, n. 5. In relazione a tale disposizione, l’esigenza di una più ampia tutela si manifesta con riguardo a interessi ritenuti aventi un valore universale, che giustificano quindi una più estesa perseguibilità, quali i delitti di violenza sessuale e contro la personalità individuale, come i delitti di schiavitù, tratta, pedopornografia.

Ma il delitto di surrogazione di maternità non presenta, nemmeno sul piano sanzionatorio (quantomeno relativamente alla pena detentiva) quel livello di disvalore tale da esprimere un’impellente necessità ed esigenza di tutela dei beni protetti. Manca, così come testimoniato dal frastagliato orizzonte interpretativo e valutativo all’interno degli altri ordinamenti, quel connotato di “universalità” che implicherebbe e giustificherebbe il perseguimento di obiettivi di tutela di interesse comune.

Ed invero, l’Unione europea ha già iniziato a pronunciarsi in termini piuttosto decisi sull’argomento, attraverso l’approvazione, da parte del Parlamento europeo, dell’emendamento presentato da “Renew Europe” alla Risoluzione relativa al rapporto sullo Stato di diritto nell’UE 2022, che condanna l’esecutivo italiano per aver ordinato l’interruzione delle registrazioni dei certificati di nascita dei figli nati a seguito della GPA.

In particolare, si legge che il Parlamento europeo «ritiene che questa decisione porterà inevitabilmente alla discriminazione non solo delle coppie dello stesso sesso, ma anche e soprattutto dei loro figli; ritiene che tale azione costituisca una violazione diretta dei diritti dei minori, quali elencati nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza nel 1989; esprime preoccupazione per il fatto che tale decisione si iscrive in un più ampio attacco contro la comunità Lgbtqi+ in Italia; invita il Governo italiano a revocare immediatamente la sua decisione».


5. La rivalutazione del ruolo della donna e la critica alle «assolutizzazioni» del concetto di dignità oggettiva

Il connotato extra-giuridico che la Corte costituzionale ha dipinto sulla pratica della GPA rende immediatamente evidente un dato allarmante, inconcepibile frutto di un paternalismo politico e morale che mal si presta a caratterizzare il ruolo che la Corte stessa è chiamata a svolgere all’interno delle dinamiche ordinamentali.

Pur essendo senza dubbio indispensabile fornire una solida protezione ai due soggetti che fisiologicamente risultano più deboli in tale vicenda e, come tali, meritevoli di una particolare attenzione, ossia il minore e la gestante, non si riesce bene a comprendere il criterio di discrimine tra il trattamento riconosciuto al primo e quello riconosciuto alla seconda.

Invero, se da un lato il c.d. best interest of the child va comunque valutato caso per caso, tendendo ben presente le peculiarità specifiche che caratterizzano quest’ultimo e le relative circostanze, la volontà e la decisione della donna è astrattamente considerata di per sé stessa come assolutamente meritevole del più ferreo stigma sociale e giuridico, come se la donna, indipendente o meno, economicamente autosufficiente o meno, psicologicamente stabile o meno, non fosse mai davvero capace di effettuare autonomamente le proprie scelte, nemmeno laddove ne avesse concretamente le possibilità.

La dignità della donna, la quale verrebbe lesa «in modo intollerabile» dalla sua scelta di offrirsi per realizzare l’altrui progetto di genitorialità, assurge a criterio oggettivo di una dignità che si pone come limite all’esercizio dell’autodeterminazione, irrigidisce il dibattito sul tema ed elide l’individuazione di ogni altra soluzione astratta.

Da questo schiacciamento dei termini della questione nei due poli contrapposti di una dignità oggettiva e di una dignità soggettiva, il divieto di maternità surrogata si trasforma in uno strumento di tutela che oltrepassa l’esigenza di evitare la mercificazione del corpo della donna, per andare invece ad assumere le sembianze di una sorta di fantomatico metodo di salvaguardia di «ogni essere umano dalla manipolazione del suo sé»21 .

Ma, così ragionando, si ricostruisce un paradigma normativo che ignora completamente la realtà che gli vive attorno, lasciando inascoltate esigenze, valori ed interessi la cui esistenza non può essere accantonata e rispetto ai quali l’atteggiamento indifferente o addirittura riottoso da parte dell’ordinamento non sarà comunque in grado di sortire una specie di effetto “evaporativo”.

Come in tutte le cose, occorrerebbe evitare di risolvere la problematica attraverso il ricorso alla semplicistica pratica dell’assolutizzazione dei concetti: non si può condividere, infatti, né una declinazione assoluta in senso soggettivo della dignità e quindi a pieno favore dell’autodeterminazione dei soggetti, che rischierebbe di far assumere alla pratica della GPA i termini di una inaccettabile vicenda contrattualistico-economica, né può condividersi una declinazione assoluta in senso oggettivo della dignità, che favorirebbe (come di fatto sta avvenendo) moduli proibizionistici 22 completamente insensibili a quella che si presenta come una multi-partecipazione attiva di persone nel momento procreativo-gestativo della vita umana.

La soluzione intermedia dovrebbe, invece, guardare all’esperienza comparatistica offerta da altre legislazioni, come quella portoghese, che ha predisposto un modello di regolamentazione della GPA che guarda agli interessi di tutti i soggetti coinvolti nella vicenda, e che ha individuato quali presupposti fondamentali di liceità la gratuità del contratto, quindi la sua impronta solidaristica, l’assenza di una subordinazione economica tra la donna e i beneficiari e una disciplina differenziata di revocabilità del consenso: per i beneficiari, fino alla formazione ed impianto dell’embrione nel corpo della gestante; per quest’ultima, fino al momento della «entrega», cioè della “consegna”.

Soluzioni di questo tipo sarebbero auspicabili anche in Italia, proprio in considerazione del principio solidaristico riconosciuto e garantito dall’articolo 2 della Costituzione, in quanto consentirebbero di predisporre una disciplina attenta agli interessi e alle volontà di tutti e valorizzerebbero il ruolo e l’indipendenza della donna, la quale, maggiorenne, consapevole, autonoma e libera, non dovrebbe vedersi necessariamente violata nella sua dignità laddove decidesse di prendere parte al progetto di genitorialità altrui23.

La sua altruistica decisione di realizzare l’altrui desiderio sotteso a tale progetto dovrebbe essere ammirata, sviluppata e debitamente protetta, tanto laddove si considerino le aspirazioni genitoriali delle coppie omosessuali quanto, a maggior ragione, laddove si rifletta su quelle particolari condizioni patologiche che possono impedire ad una donna di impegnarsi nella gestazione, come nel caso in cui la stessa sia affetta dalla sindrome di Rakitansky e, come tale, priva di utero.

Sotto questo punto di vista, il fulcro imprescindibile su cui andrebbe imperniata la regolamentazione astratta della fattispecie della surrogazione di maternità dovrebbe essere costituito dalla revocabilità del consenso, oltre che dalla stabilità economica e psicologica della gestante, attribuendo una preminente attenzione anche al riflesso diritto della gestante (e del minore) ad instaurare e preservare un legame significativo, affettivo e familiare, comprensivo di un reciproco diritto di visita.


 

1

B. PEZZINI, Nascere da un corpo di donna: un inquadramento costituzionalmente orientato all’analisi di genere della gravidanza per altri, in Costituzionalismo.it, 2017, fasc. 1, p. 194.

2

Ibidem, p. 201.

3

M. PELISSERO, Surrogazione di maternità: la pretesa di un diritto punitivo universale. Osservazioni sulle proposte di legge n. 2599 (Carfagna) e 306 (Meloni), Camera dei Deputati, in Dir. pen. cont., 2021.

4

A. VALLINI, voce Procreazione medicalmente assistita (dir. pen.), in Enc. dir., Annali, IV, Milano, Giuffrè, 2017, p. 707; T. TRINCHERA, Profili di responsabilità penale in caso di surrogazione di maternità all’estero: tra alterazione di stato e false dichiarazioni al pubblico ufficiale su qualità personali, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, p. 418 ss.

5

Corte cost., sent. 10 giugno 2014, n. 162.

6

Corte cost., sent. 18 dicembre 2017, n. 272.

7

La Corte richiama la l. 19 ottobre 2015, n. 183.

8

Quanto alla giurisprudenza di merito, si pensi alla sentenza del 29 settembre 2021 del Tribunale di Milano, Sez. VIII, la quale ha affermato che «Va ordinata la trascrizione nei registri di stato civile dell'atto di nascita straniero (nella specie, Stato della Florida) di un bambino (cittadino americano), nato da maternità surrogata, lecita in quel paese, e che indica quali genitori due uomini, un cittadino americano, che ne è anche il padre biologico, e il suo compagno, cittadino italiano, genitore d'intenzione, tanto a tutela del superiore interesse del minore medesimo, non rilevando che, nelle more, il padre italiano ne avesse anche conseguito, negli Usa, l'adozione piena, tuttavia trascritta in Italia nei registri di stato civile come adozione in casi particolari, atteso che lo status così acquisito non garantisce la piena tutela in parola».

9

Cass., Sez. Un., sent. 8 maggio 2019, n. 12193.

10

Cass., Sez. I civ., 21 gennaio 2022, n. 1842

11

Corte cost., sent. 28 marzo 2022, n. 79.

12

Cass., Sez. Un., sent. 30 dicembre 2022, n. 38162.

13

A. FEDERICO, La «maternità surrogata» ritorna alle Sezioni Unite, in NGCC, 2022, p. 1053.

14

G. FERRANDO, Adozione in casi particolari e rapporti di parentela. Cambia qualcosa per i figli nati da maternità surrogata, in Quest. giust., 2022, p. 8.

15

U. SALINATRO, L’adozione e i suoi confini. Per una disciplina della filiazione da procreazione assistita illecita, in NGCC, 2021, p. 947.

16

U. SALINATRO, op. ult. cit.

17

Prevalente dottrina richiede, come ulteriore presupposto implicito, la doppia incriminazione, per cui il fatto deve costituire reato non soltanto per l’ordinamento italiano, ma anche per l’ordinamento dove il fatto è stato commesso, specie considerando i limiti della giurisdizione rispetto alle scelte effettuate da altri ordinamenti, cfr. T. TRINCHERA, Limiti spaziali all’applicazione della legge penale italiana e maternità surrogata all’estero, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, p. 1413.

18

Sulla vicenda portoghese, si veda V. L. RAPOSO, Rise and fall of surrogacy arrangements in Portugal (in the aftermath of decision n. 465/2019 of the Portuguese Constitutional Court), in Rivista di BioDiritto, 2020, p. 339 ss.

19

S. MOCCIA, Un infelice compromesso: il testo unificato delle proposte di legge in materia di procreazione medicalmente assistita, in Crit. dir., 1998, p. 248 e 253.

20

D. PULITANÒ, Surrogazione di maternità all’estero. Problemi penalistici, in Cass. pen., 2017, p. 1372.

21

S. NICCOLAI, Alcune note intorno all’estensione, alla fonte e alla ratio del divieto di maternità surrogata in Italia, in «GenIUS», 2017, p. 56.

22

Cfr. A. SCHILLACI, La gestazione per altri: una sfida per il diritto, in BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, 2022, p. 67.

23

Cfr. E. FALETTI, Il riconoscimento in Italia dello status di figlio nato da surrogacy straniera, in Giur. it., 2018, p. 1836.





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