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Lesioni colpose: sul giudizio di equivalenza delle circostanze in caso di infortunio sul lavoro


Sentenze della Corte di Cassazione in relazione al reato di calunnia

La massima

La pena applicabile al reato di lesioni colpose aggravate dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, ove tale circostanza aggravante sia ritenuta equivalente alle circostanze attenuanti, è quella prevista dall' art. 590, comma 1, c.p., e non quella prevista per i reati di competenza del giudice di pace, perché il reato accertato resta quello originariamente contestato di competenza del tribunale (Cassazione penale , sez. IV , 19/10/2021 , n. 38423).

 

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La sentenza integrale

Cassazione penale , sez. IV , 19/10/2021 , n. 38423

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza di condanna che, riconosciute le attenuanti generiche equivalenti all'aggravante, ha condannato C.G., in qualità di legale rappresentante della R. s.r.l., alla pena di Euro 500,00 di multa per il reato di cui agli artt. 113 e 590 c.p., oltre al risarcimento del danno, in solido con il responsabile civile Roppo s.r.l., nei confronti della costituita parte civile (per avere, quale committente di lavori di smantellamento di capannoni, provocato lesioni a B.G., il quale precipitava dall'alto, non essendo munito di alcun presidio anticaduta, con colpa consistita nella mancata nomina di un coordinatore per la sicurezza dei lavori e nella mancata verifica della idoneità tecnica della impresa incarica, in data 19 aprile 2013. Più precisamente, al fine di smantellare alcuni capannoni in lamiera, ubicati su un terreno nella sua disponibilità, la Roppo S.r.l. ha appaltato il lavoro all'impresa Corvasce S.r.l., la quale a sua volta l'ha subappaltato all'impresa individuale di A.A., che, per portare a termine l'attività, si è avvalso dell'aiuto di B.G., suo conoscente. Quest'ultimo, durante la realizzazione dei lavori, su indicazione di A.A., salendo, privo di protezioni, sul tetto di uno dei capannoni, è caduto ed ha riportato lesioni).


2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione C.G., a mezzo del difensore, deducendo: 1) il difetto di motivazione in ordine al primo motivo di appello, avente ad oggetto l'assenza del profilo di colpa relativo alla omessa verifica della idoneità tecnico professionale della impresa incaricata ed alla rilevanza causale di tale omissione profilo rilevante ai fini non solo del trattamento sanzionatorio, ma anche dell'eventuale applicazione dell'art. 131-bis c.p.; 2) la violazione dell'art. 590 c.p., essendo stata applicata una pena superiore al massimo edittale di Euro 309, la cui congruità è stata giustificata in modo erroneo in considerazione della possibile conversione della pena detentiva in pena pecuniaria, non disposta nel caso in esame.


3.La Procura Generale presso la Corte di cassazione e la parte civile hanno concluso per l'inammissibilità del ricorso.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1.Preliminarmente osserva il Collegio come il reato per il quale l'imputato è stato tratto a giudizio, che risale al 19 aprile 2013, deve ritenersi ormai prescritto, non risultando ulteriori periodi di sospensione della prescrizione rispetto a quello collegato all'emergenza sanitaria, previsto dal combinato disposto del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, artt. 2 e 4, convertito dalla L. 24 aprile 2020, n. 27.


2. Al riguardo, va precisato che l'odierno ricorso non appare inammissibile né affetto da altro vizio che ne precluda l'esame nel merito (come si evidenzierà nel prosieguo).


3. L'impugnazione proposta deve, tuttavia, essere valutata agli effetti civili, secondo quanto prescritto dall'art. 578 c.p.p. (v. da ultimo Sez. 5, n. 24469 del 09/04/2019, Fiore, Rv. 276513 - 01, secondo cui il giudice, nel dichiarare estinto per prescrizione il reato per il quale in primo grado sia intervenuta condanna anche al risarcimento del danno, è tenuto a decidere su tale ultima questione effettuando una piena cognitio sulla responsabilità dell'imputato, anche se la parte civile non abbia manifestato espressamente il proprio interesse alla trattazione del procedimento in appello e non vi abbia partecipato - fattispecie in cui la Corte ha annullato la sentenza che, dopo aver interpellato mediante comunicazione di cancelleria la parte civile perché manifestasse il proprio interesse alla celebrazione del processo, in assenza di risposta, aveva dichiarato la prescrizione del reato e revocato le statuizioni civili della sentenza di primo grado).


4. Il primo motivo di ricorso, avente ad oggetto l'omessa valutazione della censura di appello relativa ad una delle condotte contestate, è manifestamente infondato, atteso che la sentenza impugnata ha, sia pure sinteticamente, risposto in modo congruo alla censura dell'appello avente ad oggetto le condotte colpose contestate. In particolare, in ordine all'omessa verifica dell'idoneità tecnica dell'impresa incaricata, la Corte territoriale, anche richiamando le argomentazioni del giudice di primo grado, ha sottolineato che l'eventuale omessa conoscenza del subappalto dei lavori e', comunque, nel caso di specie, riconducibile alla negligenza dell'imputato, che ha sostanzialmente confermato di non aver svolto specifici controlli. A ciò si aggiunga che la rilevanza causale dell'omessa verifica, da parte del committente, dell'idoneità tecnico professionale dell'appaltatore si ricava chiaramente dalla motivazione della sentenza di primo grado, che integra quella impugnata, trattandosi di doppia conforme: una verifica accurata e responsabile avrebbe comportato la scelta di altra impresa.


La decisione in esame risulta, del resto, conforme agli orientamenti della giurisprudenza di legittimità, atteso che il committente non può limitarsi a "confidare" (come prospettato nel ricorso) che l'appaltatore abbia le competenze tecniche necessarie per procedere ai lavori esclusivamente sulla base dell'accettazione dell'incarico, ma è tenuto ad eseguire un controllo effettivo sulla struttura organizzativa dell'impresa incaricata e sulla sua adeguatezza rispetto alla pericolosità dell'opera commissionata - in particolare, in caso di lavori in quota, il committente deve assicurarsi dell'effettiva disponibilità, da parte dell'appaltatore, dei necessari dispositivi di sicurezza (v., per tutte, Sez. 3, n. 35185 del 26/04/2016, Marangio, Rv. 267744, in materia di infortuni sul lavoro, il committente ha l'obbligo di verificare l'idoneità tecnico professionale dell'impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione anche alla pericolosità dei lavori affidati fattispecie, relativa alla morte di un lavoratore edile precipitato al suolo dall'alto della copertura di un fabbricato, nella quale è stata ritenuta la responsabilità per il reato di omicidio colposo dei committenti, che, pur in presenza di una situazione oggettivamente pericolosa, si erano rivolti ad un artigiano, ben sapendo che questi non era dotato di una struttura organizzativa di impresa, che gli consentisse di lavorare in sicurezza). Si è pure precisato che, in materia di infortuni sul lavoro, in caso di lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto, sussiste la responsabilità del committente che, pur non ingerendosi nella esecuzione dei lavori, abbia omesso di verificare l'idoneità tecnico-professionale dell'impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione anche alla pericolosità dei lavori affidati, poiché l'obbligo di verifica di cui al D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 90, lett. a), non può risolversi nel solo controllo dell'iscrizione dell'appaltatore nel registro delle imprese, che integra un adempimento di carattere amministrativo (Sez. 4, n. 28728 del 22/09/2020, Olivieri, Rv. 280049).


Ne' è pertinente, nel caso di specie, il richiamo, fatto dal ricorrente, alla procedura semplificata prevista dal secondo periodo del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 90, comma 9, lett. a), ai sensi del quale nei cantieri la cui entità presunta è inferiore a 200 uomini-giorno e i cui lavori non comportano rischi particolari di cui all'allegato XI, il requisito dell'idoneità tecnico professionale si considera soddisfatto mediante presentazione da parte delle imprese e dei lavoratori autonomi del certificato di iscrizione alla Camera di commercio, industria e artigianato e del documento unico di regolarità contributiva, corredato da autocertificazione in ordine al possesso degli altri requisiti previsti dall'allegato XVII.


Difatti, come si ricava dalla lettera della legge, tale procedura semplificata è inapplicabile laddove l'appalto abbia ad oggetto lavori che comportano i rischi particolari di cui all'allegato XI, tra cui è espressamente compreso quello di caduta dall'alto.


5. Il secondo motivo, avente ad oggetto il trattamento sanzionatorio, è assorbito in considerazione dell'intervenuta prescrizione del reato, non incidendo sulla valutazione del ricorso ai fini della responsabilità civile del ricorrente.


Per completezza, deve, tuttavia, precisarsi che tale censura, a differenza della prima, non risultava manifestamente infondata e che proprio, in considerazione di ciò, si è dichiarata la prescrizione del reato.


Invero, pur eliminate le circostanze aggravanti, in virtù del giudizio di equivalenza con le circostanze attenuanti generiche, il reato contestato nel presente procedimento resta quello originario (lesioni gravi commesse con violazione delle norme sulla disciplina degli infortuni sul lavoro) e non ricade in quelli di competenza del Giudice di pace. Da tale premessa consegue che la pena applicabile non è esclusivamente quella pecuniaria prevista dal D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 52 (multa "da lire cinquecentomila a cinque milioni", convertiti in Euro 258 a 2.582), ma e', tuttora, quella dell'art. 590 c.p., comma 1, (la reclusione sino a 3 mesi o, in alternativa, la multa sino a Euro 309,00). Non può, difatti, ritenersi che l'art. 590 c.p., comma 1, sia stato implicitamente abrogato dall'art. 52 del D.Lgs. citato, riferendosi quest'ultima disposizione esclusivamente ai reati di competenza del Giudice di pace. Ne' il sistema sanzionatorio così ricostruito risulta irragionevole e, quindi, in contrasto con l'art. 3 Cost., atteso che, sebbene i reati di competenza del Giudice di pace, di disvalore sicuramente inferiore, sono puniti con una pena pecuniaria più elevata, quelli di competenza del giudice superiore, di maggiore disvalore, continuano ad essere puniti anche con la pena detentiva.


Invero, la pena pecuniaria massima sino ad Euro 309,00, prevista dall'art. 590 c.p., comma 1, avrebbe potuto essere aumentata ai sensi dell'art. 133-bis c.p., comma 2, ai sensi del quale il giudice può aumentare la multa o l'ammenda stabilite dalla legge sino al triplo o diminuirle sino ad un terzo quando, per le condizioni economiche del reo, ritenga che la misura massima sia inefficace ovvero che la misura minima sia eccessivamente gravosa. Tuttavia, nelle motivazioni delle sentenze dei giudici di merito non vi è traccia né dell'esercizio di tale potere né di una originaria pena detentiva convertita in pena pecuniaria, sicché la censura in esame, lungi dall'essere inammissibile o manifestamente infondata, avrebbe dovuto essere accolta.


6. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata, agli effetti penali, per l'intervenuta prescrizione del reato, mentre il ricorso deve essere rigettato, agli effetti civili, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione delle spese nei confronti della parte civile.


P.Q.M.

Annulla senza rinvio, agli effetti penali, la sentenza impugnata, perché il reato è estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso, ai fini civili, e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dalla costituita parte civile B.G., che liquida in complessivi Euro tremila, oltre accessori come per legge.


Così deciso in Roma, il 19 ottobre 2021.


Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2021


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