La massima
È configurabile la circostanza aggravante di cui all' art. 61, n. 9, c.p. , se la commissione del fatto è stata anche soltanto agevolata dalle qualità soggettive dell'agente, non essendo necessaria l'esistenza di un nesso funzionale tra i poteri oggetto dell'abuso o i doveri violati ed il compimento del reato. (Fattispecie relativa ai reati di lesioni e violenza privata commessi in una piazzola di sosta autostradale, durante un servizio di scorta, da agenti di polizia - Cassazione penale , sez. V , 16/10/2019 , n. 9102).
Fonte: Ced Cassazione Penale
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La sentenza
Cassazione penale , sez. VI , 22/01/2020 , n. 14168
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 23 ottobre 2017 la Corte di Appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Mantova, ha revocato le statuizioni civili, disposte a carico degli imputati D.A. e P.L. e del responsabile civile Ministero degli Interni in favore della parte civile W.R., in considerazione dell'intervenuta revoca della sua costituzione, confermando nel resto la sentenza appellata, con la quale i suddetti imputati erano stati ritenuti colpevoli dei reati di lesioni personali, aggravate dall'aver agito per motivi abietti o futili e con abuso di poteri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio ex art. 61 c.p., nn. 1 e 9, (capo A), e di violenza privata aggravata dalla violenza o minaccia commessa da più persone riunite, nonchè ai sensi dell'art. 61 c.p., nn. 1 e 9, (capo B).
La sentenza aveva invece escluso la circostanza aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 2, contestata al capo B) ed aveva ritenuto la continuazione tra i reati.
Il Tribunale di Mantova inoltre aveva dichiarato l'interdizione temporanea dai pubblici uffici per una durata di cinque anni per entrambi gli imputati, i quali erano stati pure condannati, in solido con il responsabile civile Ministero degli Interni, al risarcimento dei danni da liquidarsi in separato giudizio civile, nonchè al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva di Euro 5.000,00.
Come già detto, tali ultime statuizioni sono state poi revocate dalla sentenza di appello a seguito di revoca della costituzione di parte civile.
2. I giudici di merito hanno ricostruito i fatti oggetto di imputazione nei seguenti termini.
In data 21 novembre 2012 gli imputati, due agenti di polizia in servizio presso la Questura di Vicenza, dovendo accompagnare il collaboratore di giustizia C.S. a Catanzaro per un'udienza fissata il giorno successivo, percorrevano in auto, guidata dal P. con al suo fianco il D., l'autostrada (OMISSIS).
Tra Mantova Nord e Mantova Sud, mentre procedevano ad alta velocità, venivano costretti a rallentare da W.R., che con il suo furgoncino si era immesso nella corsia di sorpasso; questi veniva dunque indotto a tornare nella corsia di marcia normale dall'uso ripetuto dei fari abbaglianti da parte del P., alla guida del veicolo.
Dopo aver sorpassato il mezzo guidato dal W., gli imputati prima si affiancavano intimandogli di fermarsi, poi si paravano davanti allo stesso, costringendolo, con improvvise e ripetute frenate ed accelerazioni, ad arrestare la propria marcia presso una piazzola di sosta (capo B).
Una volta scesi dai rispettivi veicoli nasceva un diverbio e il W. chiedeva ripetutamente agli imputati di fornire le loro generalità; in seguito alla prospettazione di allertare il servizio 113 in caso di mancata comunicazione dei dati richiesti, veniva colpito ripetutamente con calci e pugni e trascinato verso il guardrail, ove gli imputati sbattevano il suo capo, cagionandogli lesioni, con trauma distorsivo cervicale (capo A).
3. Avverso la predetta sentenza sono stati proposti due distinti ricorsi per cassazione, di cui uno presentato nel solo interesse dell'imputato P.L., l'altro nell'interesse di entrambi gli imputati.
3.1. Il ricorso presentato nell'interesse esclusivo di P.L., sottoscritto dall'avv. Maurizio Paniz, risulta articolato in nove motivi.
3.1.1. Con il primo si lamenta violazione di legge in relazione agli artt. 64,197 bis e 210 c.p.p..
Si rileva che la Corte di Appello ha respinto con argomentazioni in parte erronee le censure avanzate in ordine alle modalità con cui il Tribunale aveva deciso di assumere la testimonianza del W..
Nei motivi di appello si era infatti evidenziato che gli imputati in data 11 febbraio 2013 avevano presentato querela nei confronti del W. per i reati di cui agli artt. 337,341 bis e 368 c.p.. Questi, dunque, quando era stato esaminato nella veste di testimone era già indagato per reati consumatisi in circostanze di tempo e di luogo identiche a quelle oggetto del presente processo, quanto ai reati di resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale, e anche in epoca successiva, quanto al reato di calunnia.
Il principio sul punto richiamato dalla Corte territoriale, relativo all'utilizzabilità delle dichiarazioni rese in qualità di testimone dalla persona offesa che sia stata a sua volta denunziata per calunnia (in quanto l'art. 371 c.p.p., comma 2, lett. b, impone di escluderne dall'applicazione quei reati che, seppur formalmente reciproci, siano stati commessi in contesti spazio temporali del tutto diversi) pare applicabile nella specie solo con riferimento al reato di cui all'art. 368 c.p., non anche agli altri delitti per i quali il W. era stato indagato (ovvero quelli di cui agli artt. 337 e 341 bis c.p.).
Pertanto, egli avrebbe dovuto essere sentito nella veste di testimone assistito, ai sensi degli artt. 64,197 bis e 210 c.p.p., con conseguente inutilizzabilità delle sue dichiarazioni. Quindi, si cita in proposito la sentenza n. 33583 del 2015 delle Sezioni Unite.
3.1.2. Con il secondo motivo si denunzia violazione di legge in relazione all'art. 64 c.p.p., art. 192 c.p.p., comma 3, artt. 197 bis e 210 c.p.p..
La difesa osserva che l'applicazione degli artt. 197 bis e 210 c.p.p., implica non solo una prudente valutazione da parte del giudice in ordine all'attendibilità delle dichiarazioni della parte civile, ma anche la necessità di riscontri esterni alle stesse, secondo quanto previsto dall'art. 192 c.p.p., comma 3, richiamato espressamente dall'art. 197 bis, comma 6 del medesimo codice e di cui la Corte territoriale non ha tenuto conto.
3.1.3. Con il terzo motivo si deducono violazione di legge ed omessa motivazione in relazione all'art. 192 e art. 546 c.p.p., lett. e), con particolare riferimento all'attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa.
Si rileva che nell'atto di appello si lamentava l'inattendibilità intrinseca ed estrinseca della deposizione testimoniale della parte civile.
Per quanto concerne il primo profilo, la motivazione risulta mancante in quanto si risolve in un apodittico richiamo al racconto del teste e alla motivazione della sentenza di primo grado, senza alcun vaglio critico delle censure difensive in ordine alla contraddittorietà del teste, censure peraltro puntuali e specifiche, a fronte delle quali la motivazione per relationem non può dirsi legittima. In particolare, la difesa in sede di appello aveva indicato molteplici contraddizioni tra le circostanze narrate dal teste in sede dibattimentale e quanto riferito nell'atto di querela.
Infatti, solo a dibattimento la parte civile aveva riferito di una condotta di speronamento al fine di costringerlo a portarsi in corsia di emergenza, di essere stato trascinato sin dietro il suo camion, di aver capito che l'autovettura fosse in dotazione alla Polizia e di aver avvertito l'automobilista che, se non avesse dichiarato le proprie generalità, avrebbe chiamato il 113, con ciò scatenando l'ira del suo interlocutore.
La Corte avrebbe dovuto spiegare le ragioni per le quali ha ritenuto di poter superare tali contrasti interni alle dichiarazioni della parte civile, omettendo invece di motivare sul punto.
Inoltre, nel valutare l'attendibilità intrinseca del dichiarante, la Corte territoriale avrebbe dovuto valutare che nell'atto di appello si era rilevato come l'asserito speronamento, in un'autostrada a due corsie, gravata da pesante traffico, avrebbe determinato quanto meno un grave rallentamento dei camion, se non addirittura un tamponamento. In aggiunta, la difesa aveva altresì dedotto l'assenza di una ragionevole spiegazione circa il motivo per cui due agenti di polizia incensurati avrebbero dovuto perdere il controllo, a tal punto da perpetrare un'aggressione in pieno giorno in luogo pubblico, a fronte di una mera manovra pericolosa.
3.1.4. Con il quarto motivo si denunziano vizi di motivazione in relazione all'attendibilità estrinseca della deposizione della parte civile, sotto il particolare profilo dell'omessa valutazione della relazione esistente tra memoria e testimonianza.
Contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza impugnata, i testi F. e N., le cui dichiarazioni sono state ritenute dalla Corte territoriale un rilevante riscontro alla deposizione della persona offesa, non erano gli unici presenti nel tratto autostradale nel momento in cui è avvenuto il fatto.
La difesa, poi, osserva che nell'atto di appello si era contestato il valore probatorio delle deposizioni dei testi in questione, non potendosi escludere un condizionamento del loro ricordo per effetto di quanto appreso dalla stampa, dal momento che nell'immediatezza del fatto non avevano adottato alcun comportamento specifico, quale, per esempio, l'annotazione del numero di targa del veicolo in cui viaggiavano gli imputati. La Corte avrebbe erroneamente considerato tale argomentazione come un'illazione, in quanto escludere l'influenza del tempo e dei condizionamenti esterni sul ricordo è contrario al sapere scientifico ormai consolidato. Pertanto, la Corte territoriale non avrebbe considerato la relazione esistente tra ricordo e memoria dei testi circa l'accaduto e la circostanza che la testimonianza sia stata resa a distanza di oltre due anni dai fatti, essendo inoltre emerso che i due testi avevano commentato e ripercorso i fatti, trattati dagli organi di informazione, con soggetti condizionati dalla loro vicinanza alla persona offesa.
Sempre sotto il profilo dell'attendibilità estrinseca, la difesa osserva che in sede di appello si era rilevata la discordanza delle dichiarazioni sulla condotta del P. rese dai suddetti testi, i quali in ogni caso avevano smentito quanto riferito dalla persona offesa. Sul punto la Corte territoriale, evidenziando la lievità della discrasia tra i racconti e la loro non incidenza sul nucleo centrale dei fatti, avrebbe reso una motivazione affetta da plurimi travisamenti della prova.
In primo luogo, sulla scorta delle deposizioni di detti testi è possibile affermare che il W., contrariamente a quanto da lui stesso sostenuto, aveva effettuato una manovra spericolata, cui era seguito l'azionamento del clacson da parte del P., in quanto il sorpasso azzardato lo aveva costretto ad una brusca frenata.
Inoltre, si evidenzia il travisamento della deposizione del teste F., il quale aveva affermato che il P., dopo aver completato il sorpasso del veicolo condotto dalla persona offesa, che nel frattempo era rientrato nella corsia di marcia, aveva iniziato a frenare, intimando con la mano destra al W. di accostare. Si rileva che in sede di controesame la difesa aveva contestato al teste F. le difformi dichiarazioni rese durante le indagini, un mese dopo il fatto, sul decisivo aspetto del momento in cui il N. aveva iniziato la manovra di sorpasso. A tale contestazione il teste non aveva saputo rispondere, per cui la sua deposizione avrebbe dovuto essere valutata ex art. 500 c.p.p., comma 2, in quanto costituisce dato incontestabile che i testi avessero iniziato la loro manovra di sorpasso solo quando il P. aveva terminato quella operata nei confronti del veicolo guidato dal W., sicchè essi non avrebbero potuto assistere all'asserita condotta di speronamento indicata in imputazione e svoltasi sulla corsia di marcia. Di qui il ritenuto travisamento delle deposizione testimoniale del F. da parte della Corte territoriale, nella parte in cui ha affermato che, spostandosi sulla corsia di sorpasso, i testi ebbero modo di vedere il fatto che avveniva sull'altra corsia.
L'ulteriore travisamento probatorio dedotto riguarda la già riferita asserzione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui le discrasie tra la deposizione del F. e quella del N. fossero minimali e non attinenti ad aspetti decisivi. In proposito il difensore sostiene che, in realtà, il N., con riguardo al punto di osservazione della scena - decisivo perchè condizionante la percezione visiva dei testi della condotta di speronamento - ha completamente smentito il collega F., affermando che, mentre era già sulla corsia di sorpasso, dovette rientrare nella corsia di marcia ordinaria, tra due camion, al fine di far strada all'auto guidata dal P. che inseguiva il W., ancora sulla corsia di sorpasso. Il N. avrebbe inoltre dichiarato che, per effetto di un rallentamento, si sarebbe immesso nuovamente sulla corsia di sorpasso senza notare altro.
L'unico dato comune ricavabile dalle deposizioni dei suddetti testi è che l'auto su cui viaggiavano si trovava tra due autoarticolati nel momento in cui il W. completò la sua manovra di sorpasso, per cui essi nulla avrebbero potuto vedere in relazione all'asserito speronamento.
3.1.5. Con il quinto motivo si deducono violazione di legge e correlati vizi di motivazione in relazione all'art. 192 c.p.p., commi 1, 3 e 4, art. 530 c.p.p., comma 2, art. 533 c.p.p., comma 1, nonchè agli artt. 51 e 610 c.p..
Ad ulteriore conferma dell'assenza di riscontri esterni alle dichiarazioni della persona offesa militerebbe, ad avviso della difesa, la deposizione del collaboratore di giustizia C.S., scortato dagli imputati il giorno del fatto, il quale ha raccontato che, quando i due mezzi erano affiancati, il W. compiva nei riguardi degli agenti minacce provocatorie e che, una volta eseguito il sorpasso, li tallonava.
La Corte di Appello, tuttavia, avrebbe erroneamente giudicato inattendibile il C. in quanto, oltre alle contrarie deposizioni del F. e del N., costui non era stato in grado di ricordare neppure il numero delle corsie dell'autostrada, aveva riferito di un tallonamento operato dalla persona offesa del tutto improbabile, considerata la diversa e minore velocità del mezzo su cui viaggiava rispetto a quello della Polizia e, infine, era stato già scortato in altre occasioni dagli imputati, sicchè avrebbe intrattenuto con gli stessi relazioni amichevoli tali da giustificare un mendacio finalizzato a scagionarli. Trattasi, ad avviso della difesa, di un impianto argomentativo contraddittorio, atteso il diverso parametro di rigore adottato dalla Corte territoriale nel valutare le deposizioni dei testi F. e N..
Si sostiene inoltre che la condotta descritta in imputazione ed emersa in dibattimento - uso ripetuto dei fari abbaglianti, posizionamento della vettura dinanzi a quella della persona offesa, improvvise e ripetute frenate - non integri gli estremi del delitto di violenza privata. Il W. infatti avrebbe potuto proseguire la sua marcia e, invece, accortosi della richiesta degli agenti di polizia, che legittimamente gli intimarono di accostare, scelse di fermarsi, facendo ciò che avrebbe dovuto a fronte di un ordine proveniente da funzionari di polizia.
Sotto altro profilo, il P., che legittimamente poteva intimare al W. di fermare la sua marcia, non era animato dal dolo che contraddistingue il delitto di cui all'art. 610 c.p., ma aveva inteso esercitare una sua legittima prerogativa, anche in adempimento di un suo dovere istituzionale, a fronte di una condotta di guida ritenuta pericolosa. Pertanto, la sentenza impugnata, oltre ad essere mancante di motivazione in ordine all'elemento soggettivo del reato di violenza privata, appare viziata anche per la violazione dell'art. 51 c.p..
3.1.6. Con il sesto motivo si lamentano violazione di legge e correlati vizi motivazionali in relazione all'art. 339 c.p., art. 61 c.p., nn. 1, 2, 9 e all'art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, art. 530 c.p.p., comma 2 e art. 533 c.p.p., comma 1.
La Corte territoriale avrebbe erroneamente riconosciuto la sussistenza di tutte le aggravanti contestate al capo B) dell'imputazione.
Quanto a quella della violenza delle più persone riunite, la motivazione è illogica in quanto l'asserita condotta di speronamento sarebbe stata compiuta dal solo P. che si trovava alla guida dell'auto, non anche dal D., in capo al quale la suddetta circostanza è stata invece riconosciuta sul presupposto di una sua condotta omissiva ovvero il non essersi attivato, quale capo scorta, per interrompere la guida del P..
Per quanto riguarda la circostanza aggravante dei futili motivi, la Corte di Appello ha omesso di spiegare perchè l'invito a fermarsi del P. dovesse ritenersi sproporzionato rispetto ad una condotta di guida valutata come imprudente. Invero, la condotta assunta dall'imputato doveva ritenersi adeguata in rapporto alla sua professione.
In relazione, infine, all'abuso di potere di cui all'art. 61 c.p., n. 9, la motivazione poggia sul rilievo dell'eccesso di velocità e dell'uso ripetuto dei fari abbaglianti, condotte che avrebbero creato un evidente pericolo stradale, ancor più ingiustificabili se provenienti da appartenenti alle forze dell'ordine.
Sul punto la difesa rileva la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, in quanto nessuno è stato in grado di riferire sulla velocità, se non il C., giudicato però inattendibile; inoltre l'uso degli abbaglianti non è una condotta illecita. Tali condotte, dunque, nulla hanno a che vedere con la violenza contestata al capo B dell'imputazione.
In aggiunta, la motivazione sarebbe carente anche in relazione alla circostanza aggravante contestata al capo A), poichè non si comprende in cosa si sia concretizzato l'abuso delle funzioni da parte dell'imputato quando avrebbe aggredito il W..
3.1.7. Con il settimo motivo si denunziano violazione di legge e correlati vizi di motivazione, anche sotto il profilo del travisamento della prova, in relazione all'art. 192 c.p.p., commi 1, 3 e 4, art. 530 c.p.p., comma 2, art. 533 c.p.p., comma 1, nonchè agli artt. 52 e 582 c.p..
In ordine al reato contestato al capo A) dell'imputazione, la difesa rileva che il W. aveva dichiarato che lui, una volta fermatosi nella piazzola di sosta e dopo un confronto verbale con gli agenti di polizia, era stato da costoro aggredito con calci e pugni, oltre ad essere stato spinto con la testa verso il guardrail. Sostiene, però, la difesa che la ricostruzione dei fatti operata dalla persona offesa colliderebbe con la documentazione medica in atti, con gli accertamenti compiuti dai consulenti delle parti, nonchè con i parametri di logica ed esperienza alla luce della corporatura e dell'addestramento del P..
Inoltre, alle dichiarazioni del teste D.M.A. si è attribuito erroneamente valore di riscontro di quelle del W., essendo infatti le prime assolutamente neutre, posto che il teste aveva riferito soltanto di aver visto due soggetti spintonarsi nella piazzola di sosta.
In proposito, la Corte d'Appello ha pure giudicato inattendibile il teste C., il quale aveva riferito di una condotta di minaccia ed insulti posta in essere dal W. e del suo inseguire il P., già rientrato in macchina dopo un confronto verbale, nonchè di un'aggressione fisica del primo nei confronti del secondo, dunque costretto a reagire. Il giudizio di inattendibilità del C. è motivato sulla scorta delle condizioni psicofisiche del W., non compatibili con la dinamica dei fatti narrata dal teste.
Ad avviso della difesa, tale impianto motivazionale appare errato ed affetto da travisamento della prova, in quanto la Corte di Appello non ha dato conto della sussistenza dei riscontri esterni alle dichiarazioni della parte civile, richiesti alla luce dell'art. 192 c.p.p.. In particolare, la Corte territoriale ha trascurato la circostanza dell'assoluta incompatibilità dei segni rinvenuti sul corpo della parte civile dai sanitari - escoriazioni al naso o un lieve ematoma al viso - con la dinamica dell'aggressione riferita dal W.. In proposito assumerebbe rilievo decisivo il video dell'intervista rilasciata dalla persona offesa il giorno stesso della presunta aggressione. Le relative immagini, infatti, smentiscono la narrazione della brutale aggressione; pertanto, il giudice di appello ha erroneamente ritenuto irrilevanti tali immagini.
3.1.8. Con l'ottavo motivo si deduce violazione di legge in relazione agli artt. 132 e 133 c.p..
La Corte territoriale, a fronte di uno specifico motivo di appello relativo all'eccessività del trattamento sanzionatorio inflitto, ha confermato la pena irrogata in primo grado, più elevata del minimo edittale, non assolvendo all'onere di una specifica e dettagliata motivazione e limitandosi a rilevare la congruità della pena e la mancanza di un atteggiamento di resipiscenza degli imputati, in violazione di quanto disposto dagli artt. 132 e 133 c.p..
3.1.9. Con il nono motivo si lamenta violazione di legge in relazione all'art. 31 c.p., con particolare riferimento alla pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici. In proposito si osserva che la sentenza impugnata ha confermato l'applicazione di detta pena accessoria sulla base di una mera formula di stile, facente leva sulla ricorrenza dei presupposti indicati dall'art. 31 c.p..
La difesa argomenta sul punto che l'operatività di tale disposizione non può essere riconosciuta per il solo fatto che, come nella specie, i reati per cui vi è stata condanna siano stati commessi da un pubblico ufficiale. Infatti, l'art. 31 c.p., prevedendo come presupposto per l'applicazione della pena accessoria l'abuso di poteri o la violazione di doveri inerenti a una pubblica funzione o ad un pubblico servizio, adotta una formulazione identica a quella dell'aggravante prevista dall'art. 61 c.p., n. 9, sicchè il legislatore, non operando alcuna differenza tra reati comuni e reati propri del pubblico ufficiale, ha inteso esigere per tutti i reati un quid pluris rispetto alla qualifica soggettiva di pubblico ufficiale del soggetto agente.
3.2. L'atto di ricorso, presentato nell'interesse di entrambi gli imputati e sottoscritto dall'avv. Alessandro Minardi, risulta affidato a quattro motivi.
3.2.1. Con il primo si denunzia la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 197 e 197 bis c.p.p., art. 210 c.p.p., comma 6, art. 371 c.p.p., comma 2, lett. b), art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, art. 191 c.p.p..
Vengono qui riproposte le medesime censure avanzate nel primo motivo di ricorso presentato nell'interesse del solo imputato P.L., per cui si rimanda alla esposizione delle argomentazioni di cui sopra al punto 3.1.1.
3.2.2. Con il secondo motivo si deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione dell'art. 610 c.p. e art. 197 c.p.p., lett. b).
In particolare si denunziano gli anzidetti travisamenti della prova cui avrebbe dato luogo la Corte territoriale nella valutazione delle dichiarazioni dei testi F., N. e C.. Si rinvia pertanto a quanto già esposto sopra al punto 3.1.4.
Conseguenza di tali plurimi travisamenti sarebbe l'assenza di prova in ordine al delitto di violenza privata.
3.2.3. Con il terzo motivo si denunzia la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 52,55 e 582 c.p..
La Corte territoriale avrebbe confermato la responsabilità degli imputati per il reato di lesioni aggravate a causa del travisamento delle fonti di prova testimoniali e documentali.
In primo luogo, le dichiarazioni della parte civile, ritenute inutilizzabili per quanto sopra detto, sarebbero comunque inattendibili. Infatti, la circostanza riferita dal W., secondo cui egli, una volta sceso dall'autovettura, era stato insultato e aveva quindi preteso di sapere chi fossero i suoi interlocutori, ignorando fossero dei poliziotti e minacciando di chiamare il numero 113, è stata smentita dalla testimonianza dell'altro agente di polizia accorso sul luogo del fatto, il quale ha dichiarato che il W. gli aveva riferito che gli imputati si fossero qualificati come poliziotti.
Parimenti inattendibile è la dichiarazione secondo la quale il P., sceso dalla macchina, avesse immediatamente aggredito il W., sferrandole un pugno. In realtà il teste D.M. ha confermato quanto dichiarato dal P. e, cioè, di aver cercato di "tamponare" con delle spinte l'aggressività del W.. Inoltre, le testimonianze di N. e W.B. non potevano essere ritenute valido riscontro di quanto narrato dalla persona offesa.
Pertanto, la ricostruzione dell'aggressione subita dalla parte civile è intrinsecamente ed estrinsecamente inattendibile.
Peraltro, l'obiettiva consistenza delle contusioni rilevate sul corpo del W. non poteva consentire di ritenere costui attendibile circa la reiterazione e l'entità delle percosse asseritamente subite. La Corte territoriale sul punto avrebbe ignorato che il pubblico ministero all'udienza del 13 giugno 2014 aveva riferito la non compatibilità delle lesioni accertate rispetto al racconto della persona offesa.
La sentenza impugnata è censurata altresì nella parte in cui ha escluso che la videoripresa del W. presso il pronto soccorso di Mantova il giorno del fatto costituisse prova decisiva della falsità del suo narrato. Dalle immagini, infatti, il W. appariva perfettamente vigile, con il volto privo di segni di tumefazione.
3.2.4. Con il quarto motivo si lamentano violazione di legge e correlati vizi di motivazione in relazione agli artt. 62 bis, 133 e 185 c.p..
I ricorrenti si dolgono del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. La motivazione sul punto adottata dalla Corte territoriale, basata sull'assenza di alcun elemento positivo da valorizzare in tal senso, sarebbe in realtà censurabile dal momento che la parte civile all'udienza del 23 ottobre 2017 aveva depositato atto di transazione in merito al risarcimento ricevuto dal responsabile civile Ministero degli Interni.
La difesa osserva in proposito che il risarcimento del danno da reato effettuato dal responsabile civile, coobligato a tal fine con gli imputati, si considera effettuato anche per conto di questi ultimi, sicchè il giudice di appello avrebbe dovuto considerare tale circostanza al fine della riduzione della pena o della concessione delle generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi vanno rigettati per le ragioni qui di seguito indicate.
Si procederà all'esame dei motivi di ricorso con la trattazione unitaria di quelli comuni ad entrambi i ricorrenti.
2. Infondate sono le censure sulle modalità di assunzione dell'esame della persona offesa W.R. (primo motivo di entrambi i ricorsi).
Va detto che le stesse censure erano state proposte solo con gli atti di appello e che la Corte territoriale (pagg. 19 ss. della sentenza) le ha ritenute infondate, richiamando l'indirizzo giurisprudenziale secondo cui sono utilizzabili le dichiarazioni rese in qualità di testimone dalla persona offesa che sia stata denunciata dall'imputato dello stesso reato per calunnia, in quanto in tal caso non ricorre l'ipotesi di reati commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre e non trovano conseguentemente applicazione le disposizioni di cui agli artt. 64,197,197 bis e 210 c.p.p. (Sez. 3, n. 26409 del 08/05/2013, C., Rv. 25557801). Invero, una lettura costituzionalmente orientata della previsione contenuta nell'art. 371 c.p.p., comma 2, lett. b), impone di escluderne dall'applicazione quei reati che, seppure formalmente reciproci, siano stati commessi in contesti spaziali e temporali del tutto diversi. (Sez. 2, n. 4128 del 09/01/2015, Cecoro, Rv. 26236901).
La Corte territoriale ha quindi evidenziato che nella specie i due imputati denunziarono la persona offesa successivamente all'instaurazione del procedimento penale a loro carico. Infatti, mentre il W. venne sentito il 13 giugno 2014, gli atti a suo carico vennero trasmessi dalla Polizia Giudiziaria di Vicenza il 16 luglio 2014.
Sennonchè, le suesposte argomentazioni della Corte territoriale possono considerarsi ultienee tenuto conto di una assorbente circostanza di carattere processuale: dagli atti non risulta che la questione delle modalità di assunzione della testimonianza della persona offesa sia stata ritualmente proposta prima dell'espletamento dell'atto dinanzi al giudice di primo grado (si vedano i verbali d'udienza e la sentenza del Tribunale).
Va allora ribadito che, in tema di prova dichiarativa, l'omissione dell'avvertimento previsto dall'art. 64 c.p.p., comma 3, lett. c), nei confronti del soggetto che riveste la qualità di indagato o di imputato in un procedimento connesso o collegato (art. 210 c.p.p.) dà luogo all'inutilizzabilità delle dichiarazioni assunte, a condizione che la situazione di incompatibilità a testimoniare, ove non già risultante dagli atti, sia stata dedotta prima dell'esame (Sez. 5, n. 13391 del 23/01/2019, Bazzurri Michele, Rv. 27562401).
Infatti è onere della parte interessata ad opporsi all'assunzione della testimonianza di allegare le circostanze fattuali da cui risultano situazioni di incompatibilità a testimoniare, sempre che la posizione del dichiarante non risulti già dagli atti nella disponibilità del giudice e non sussistano i presupposti perchè questi si attivi d'ufficio, in conseguenza di una richiesta di prova formulata sul punto dalle parti, ex art. 493 c.p.p., ovvero in ragione dell'assoluta necessità di disporre l'escussione del dichiarante, ai sensi dell'art. 507 dello stesso codice (Sez. 6, n. 12379 del 26/02/2016, Picciolo, Rv. 26642201).
3. Alla luce delle argomentazioni sopra esposte è evidente che si debbano ritenere pienamente utilizzabili le dichiarazioni della persona offesa e che i criteri di valutazione delle stesse non possano essere quelli invocati nel secondo motivo di ricorso proposto dall'avv. Paniz nell'interesse di P.L. e nei primi due motivi del ricorso a firma dell'avv. Mainardi. La difesa ha infatti osservato che l'applicazione degli artt. 197 bis e 210 c.p.p., implica non solo una prudente valutazione da parte del giudice in ordine all'attendibilità delle dichiarazioni della parte civile, ma anche la necessità di riscontri esterni alle stesse, secondo quanto previsto dall'art. 192 c.p.p., comma 3, richiamato espressamente dall'art. 197 bis, comma 6 del medesimo codice.
In effetti la Corte territoriale ha comunque analizzato in maniera specifica le censure difensive relative all'attendibilità del W., indicando anche a riscontro delle sue dichiarazioni quelle dei testi F. e N. (pagg. 21-26 della sentenza) e così svolgendo una attenta analisi di confronto tra le deposizioni, a fronte della quale le deduzioni dei ricorrenti finiscono per essere finalizzate ad una inammissibile rivalutazione della prova in sede di legittimità.
Va, peraltro, precisato che le censure relative alla discordanza delle testimonianze di F. e N. sul punto di osservazione dei fatti sono state congruamente confutate dalla Corte territoriale, la quale ha osservato che si tratta di minime differenze del racconto, del tutto ininfluente sulla tenuta della ricostruzione della vicenda.
Ad avviso della Corte territoriale, ciò che appare di pregnanza probatoria, ed è assolutamente coincidente nelle due deposizioni, è il fatto che entrambi i testi riferirono che la macchina degli imputati sopraggiungeva ad alta velocità, con lampeggiante acceso e clacson attivo; il furgone del W., inoltre, era nell'impossibilità di rientrare nell'altra corsia in quanto non vi era lo spazio materiale per una tale manovra. Entrambi i testi infine riferirono che dopo il sorpasso gli imputati provocarono continui rallentamenti a causa delle ripetute brusche frenate, a tal punto che il N. fu costretto a spostarsi sulla corsia di sorpasso.
Insomma, la motivazione della sentenza impugnata sulle risultanze della prova dichiarativa risulta congrua, logica ed esente da vizi di travisamento della prova, sicchè risultano manifestamente infondati anche tutti i rilievi articolati nel terzo e nel quarto motivo del ricorso a firma dell'avvocato Paniz e nel secondo motivo del ricorso a firma dell'avv. Mainardi.
La Corte territoriale ha anche affrontato il tema dell'eventuale condizionamento esterno del ricordo dei testi, rilevando che proprio la non perfetta coincidenza tra le deposizioni è sintomatica dell'assenza del predetto condizionamento, che sarebbe stato possibile invece ove gli stessi testi avessero reso dichiarazioni del tutto sovrapponibili (pag. 24).
Nè, come si è già detto, si apprezzano i dedotti vizi di travisamento, che - è bene ribadire- nel caso, come quello in esame, di cosiddetta "doppia conforme", sono rilevabili solo nell'ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice ovvero quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, L e altro, Rv. 27201801).
Tali condizioni non si sono verificate nella specie, non corrispondendo peraltro al vero che i testi F. e N. abbiano smentito la versione dei fatti narrata dalla persona offesa. In effetti, con le argomentazioni svolte dalla difesa sul punto (che hanno fatto riferimento anche alle risposte dei testi in sede di controesame, tanto da invocare una valutazione ex art. 500 c.p.p., comma 2) si è proposta una diversa ricostruzione dei fatti e una rivalutazione delle prove.
In proposito va ribadito che la disposizione di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), fa riferimento alla contraddittorietà della motivazione che risulti non dal testo del provvedimento impugnato, ma "da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame". Quest'ultima condizione, direttamente prescrittiva dell'onere di specifica indicazione degli atti dei quali si deduce il travisamento, non si riduce tuttavia a tale aspetto procedurale, ma presuppone altresì che la contraddittorietà intercorra fra le conclusioni del provvedimento e gli atti indicati. Ne segue logicamente che l'errore deducibile in questa prospettiva, in quanto apprezzabile attraverso l'indicazione di atti singoli e determinati, deve cadere sul dato significante, costituito dalla circostanza di fatto riportata quale contenuto dell'elemento di prova, per la cui rilevabilità in questa sede è necessaria la specifica indicazione dell'atto da cui l'elemento risulta, e non sul significato attribuibile allo stesso (Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011, Carone, Rv. 250168).
L'errore deducibile, peraltro, ricorre solo nei casi in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su un determinato elemento che si riveli insussistente o, per come esposto nel provvedimento impugnato, incontestabilmente diverso da quello reale, ovvero abbia trascurato un elemento esistente e decisivo, in modo da sollecitare un intervento del giudice di legittimità nel senso non di una reinterpretazione degli elementi valutati dal giudice di merito, ma della verifica sulla sussistenza e sul contenuto di detti elementi (Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099; Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215).
Pertanto, ove le censure consistano -come nel caso in esame- solo nell'esposizione di valutazioni sul significato probatorio degli elementi di prova considerati, la situazione denunciata non può essere ricondotta nel vizio di travisamento lamentato (Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012, Maggio, Rv. 255087; Sez. 3, n. 46451 del 07/10/2009, Carella, Rv. 245611).
4. Inammissibile è il quinto motivo di ricorso proposto con l'atto a firma dell'avv. Paniz. Le argomentazioni sulla configurabilità del reato di violenza privata sono pure comuni al secondo motivo del ricorso sottoscritto dall'avv. Mainardi.
4.1. Nella sentenza in esame si rileva una compiuta e logica trattazione della questione della inattendibilità delle dichiarazioni rese dal teste C., che sono state valutate alla stregua delle altre risultanze processuali (pagg. 26-29 della sentenza).
A fronte di un ordito motivazionale privo di vizi logici e di travisamento, le argomentazioni difensive risultano ancora una volta finalizzate a una inammissibile rivalutazione della prova.
4.2. La difesa ha poi sostenuto che la condotta descritta in imputazione ed emersa in dibattimento - uso ripetuto dei fari abbaglianti, posizionamento della vettura dinanzi a quella della persona offesa, improvvise e ripetute frenate - non integri gli estremi del delitto di violenza privata; il W. - assume la difesa- avrebbe potuto proseguire la sua marcia e, invece, accortosi della richiesta degli agenti di polizia, che legittimamente gli intimarono di accostare, scelse di fermarsi.
L'assunto è destituito di fondamento.
Va infatti ricordato che l'elemento oggettivo del delitto di violenza privata è costituito da una violenza o da una minaccia che abbiano l'effetto di costringere taluno a fare, tollerare od omettere una condotta determinata (ex multis, Sez. 5, n. 47575 del 07/10/2016, P.M. in proc. Altoè e altri, Rv. 26840501). E, così, certamente integra il reato di violenza privata la condotta del conducente di un veicolo che, eseguendo una brusca sterzata ovvero affiancando o sorpassando un'altra autovettura, costringa il conducente di quest'ultima a cambiare direzione di marcia per evitare la collisione (Sez. 5, n. 44016 del 17/11/2010, Gullo, Rv. 24914601; si vedano anche Sez. 5, n. 33253 del 09/03/2015, P.C. in proc. Caltabiano, Rv. 26454901; Sez. 1, n. 32001 del 06/09/2002, Cabiale A, Rv. 22234901).
Nè è rilevante nella specie il fatto che la persona offesa avrebbe potuto proseguire la sua marcia invece di fermarsi nella piazzola di sosta. Da tempo questa Corte, infatti, ha chiarito che "non esclude la configurabilità del delitto di violenza privata, di cui all'art. 610 c.p., il fatto che con una manovra di retromarcia più o meno complessa la persona offesa possa riprendere la marcia, dopo che la propria autovettura sia stata costretta a fermarsi, affiancata e sopravanzata da altro autoveicolo posto dal conducente di traverso rispetto al flusso della circolazione. Infatti, il delitto di violenza privata, che è reato istantaneo, deve considerarsi consumato nel momento stesso della coartazione all'arresto, poichè è irrilevante che gli effetti dell'imposizione si siano protratti nel tempo e che la vittima possa successivamente eliminarli" (Sez. 5, n. 10834 del 06/04/1988, Baldini, Rv. 17965001; si veda anche Sez. 2, n. 4996 del 07/12/1987, Anglisani, Rv. 17820801).
Nella specie, peraltro, non senza rilievo è la circostanza che il W. fu costretto a fermarsi anche per le manovre (di "speronamento", di accelerazione e brusche frenate) dell'auto condotta dal P. successive al sorpasso effettuato da quest'ultima. Insomma, non v'è neppure spazio per affermare che vi sia stata la possibilità per la persona offesa di sottrarsi alla condotta violenta degli imputati, i quali, invece di proseguire nella loro marcia dopo aver costretto il furgone del W. a rientrare sulla corsia di destra, scelsero invece di fermarlo e di aggredirlo fisicamente.
4.3. Quanto alle deduzioni difensive sulla carenza dell'elemento soggettivo in capo al P., è sufficiente qui ricordare che ai fini della configurabilità del reato di violenza privata (art. 610 c.p.) è sufficiente la coscienza e volontà di costringere taluno, con violenza o minaccia, a fare, tollerare od omettere qualcosa, senza che sia necessario il concorso di un fine particolare: il dolo è, pertanto, generico. (Sez. 5, n. 4526 del 03/11/2010, Picheca, Rv. 24924701).
5. Inammissibile è anche il sesto motivo del ricorso a firma dell'avv. Paniz, relativo alla configurabilità delle aggravanti.
5.1. Quanto alla circostanza aggravante delle più persone riunite - integrata dalla simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo ed al momento di realizzazione della violenza o della minaccia - va ricordato che non si richiede quale connotato soggettivo la consapevolezza della partecipazione di altri concorrenti nel numero sufficiente ad integrare l'aggravante stessa, poichè essa, concernendo le modalità dell'azione, ha natura oggettiva e, conseguentemente, si comunica a tutti coloro che concorrono nel reato (Sez. 2, n. 31199 del 19/06/2014, Posteraro e altri, Rv. 25998701).
D'altro canto, la circostanza aggravante delle più persone riunite richiede solo la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo ed al momento di realizzazione della violenza o della minaccia (Sez. U, n. 21837 del 29/03/2012, Alberti e altro, Rv. 25251801) non rilevando, invece, che la partecipazione di più persone sia percepita dalla persona offesa al momento della consumazione del reato (Sez. 5, n. 7337 del 12/12/2018, S, Rv. 27555101).
La difesa sostiene che la motivazione sul punto sarebbe illogica in quanto l'asserita condotta di speronamento sarebbe stata compiuta dal solo P., che si trovava alla guida dell'auto, non anche dal D., in capo al quale la suddetta circostanza è stata invece riconosciuta sul presupposto di una sua condotta omissiva ovvero il non essersi attivato, quale capo scorta, per interrompere la azione del P..
L'assunto è destituito di fondamento, essendo del tutto irrilevante, alla stregua dei principi sopra richiamati, la circostanza che il P. fosse alla guida della autovettura, giacchè la condotta di violenza è stata posta in essere con la simultanea presenza anche del D., il quale, peraltro, con il suo comportamento successivo alle manovre finalizzate a bloccare la persona offesa, ha mostrato di aver condiviso pienamente l'operato del P., tanto da avere con questi posto in essere l'aggressione da cui sono conseguite le lesioni riportate dal W..
5.2. Quanto all'aggravante dei futili motivi, la Corte territoriale correttamente ha evidenziato la sproporzione tra il movente dell'azione (l'evitare il rallentamento della marcia sulla corsia di sorpasso) e la condotta di violenza, certamente espressione di un moto interiore del tutto ingiustificato (ex multis, Sez. 1, n. 16889 del 21/12/2017, D'Aggiano, Rv. 27311901).
5.3. In relazione all'aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 9, va sottolineato che nella specie, la commissione dei reati è avvenuta durante il servizio di scorta prestato dagli imputati e, pertanto, essa è stata resa possibile ovvero agevolata dal loro incarico professionale (ex multis, Sez. 3, n. 24979 del 22/12/2017, P.G., P.C. in proc. F e altri, Rv. 27353101).
6. Le censure proposte con il settimo motivo di ricorso a firma dell'avv. Paniz e con il terzo motivo di ricorso a firma dell'avv. Mainardi sono pedissequamente reiterative di quelle già articolate negli atti di appello. Su di esse la Corte territoriale ha esaustivamente e logicamente risposto, dando atto anche della corrispondenza tra il narrato dalla persona offesa e la documentazione medica in atti (pagg. 28-32).
La Corte territoriale ha pure respinto con argomentazioni corrette in diritto e con motivazione logica gli assunti difensivi sulla configurabilità della legittima difesa ovvero dell'eccesso colposo in legittima difesa, evidenziando come non "vi era alcuna situazione che imponeva o consentiva al P. e al D. di difendersi ma anzi furono gli imputati stessi, con il loro comportamento arrogante ed aggressivo, a costringere W. ad arrestare la marcia per poi picchiarlo con calci e pugni" (pag. 38 della sentenza di appello).
Quanto al video dell'intervista della persona offesa, nella sentenza di appello si afferma che la visione del filmato non ha apportato alcun valido elemento probatorio finalizzato a dimostrare che il W. stesse bene, tanto che lo stesso compare disteso sul letto, col collare al collo e dei cerotti in mezzo alla fronte.
7. Inammissibili sono l'ottavo motivo del ricorso a firma dell'avv. Paniz e il quarto motivo dell'atto di ricorso a firma dell'avv. Mainardi.
La Corte territoriale ha esaustivamente motivato anche sul trattamento sanzionatorio, rilevando che "la pena appare congrua e proporzionata alla oggettiva e soggettiva gravità dei fatti..." (pag. 38 della sentenza).
Nella sentenza, inoltre, è stata ritenuta corretta la decisione del Tribunale di escludere la concessione delle attenuanti generiche, non sussistendo alcun elemento da valorizzare a tal fine, tenuto conto anche della particolare connotazione di gravità dei fatti in ragione della qualifica rivestita dagli imputati.
Si tratta di valutazioni di merito incensurabili in questa sede e si deve, in proposito, ricordare che, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; conformi: n. 459 del 1982 Rv. 151649; n. 10238 del 1988, Rv. 179476; n. 6200 del 1992, Rv. 191140; n. 707 del 1998, Rv. 209443; n. 2285 del 2005, Rv. 230691; n. 34364 del 2010, Rv. 248244).
Nè appaiono fondati gli assunti difensivi in base ai quali la Corte territoriale avrebbe trascurato che l'atto transattivo intervenuto tra il responsabile civile e il W. sarebbe indicativo di quella "resipiscenza" che invece è stata esclusa nella sentenza impugnata (pag. 38 della sentenza).
Invero, è del tutto evidente che il concetto di "resipiscenza" deve prescindere da qualsiasi intento utilitaristico, quale sicuramente è sotteso alla definizione transattiva delle questioni civili, peraltro avvenuta nella specie tra il Ministero dell'Interno e la persona offesa.
8. L'ultimo motivo del ricorso a firma dell'avv. Paniz si incentra sulla pena accessoria di cui all'art. 31 c.p..
Esso è inammissibile perchè nuovo, in quanto non risulta proposto con l'atto di appello. Peraltro la applicazione della suddetta pena accessoria è obbligatoria, attesi i caratteri dei reati attribuiti agli imputati, connotati da abuso di poteri o da violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione (ex multis, Sez. 2, n. 15806 del 03/03/2017, Santese, Rv. 26986401; Sez. 5, n. 1450 del 04/11/2010, Antoci e altro, Rv. 24909501).
9. Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna di entrambi gli imputati al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli avvisi di cui all'art. 154 ter disp att. c.p.p..
Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2020