La Terza Sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21469/23, ha affermato che, in tema di reati edilizi, per la configurabilità della contravvenzione di lottizzazione abusiva non è necessaria l'esecuzione di opere di urbanizzazione, essendo sufficiente che si proceda al frazionamento del fondo attraverso un'attività materiale o esclusivamente negoziale, realizzata a scopo inequivocabilmente edificatorio.
Cassazione penale sez. III, 20/04/2023, n.21469
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 11 febbraio 2019, la Corte di appello di Cagliari riformava parzialmente la sentenza del tribunale di Cagliari del 12 febbraio 2018, con la quale G.A., A. e V. erano stati condannati in ordine al reato D.P.R. n. 380 del 2001, ex art. 44, comma 1, lett. c), dichiarando non doversi procedere nei confronti dei predetti imputati per essersi il reato estinto per prescrizione, confermando altresì la disposta confisca.
2. Avverso la predetta sentenza G.V., A. e A., tramite il comune difensore di fiducia, hanno proposto ricorso per cassazione, sollevando un unico motivo di impugnazione.
3. Deducono il vizio di violazione di legge e di mancanza di motivazione sub specie di motivazione apparente. La Corte non avrebbe risposto alle specifiche doglianze difensive, con riguardo alla mancata adeguata verifica, da parte del tribunale, di dati indiziari, alla deduzione della predisposizione di un piano di frazionamento dalla semplice suddivisione in otto lotti di un grande apprezzamento (per la difesa invece funzionale ad una maggiore commerciabilità, ipotesi non valutata dai giudici), alla compatibilità della superficie dei fondi con una destinazione agricola, alla ubicazione dei lotti ceduti siccome incompatibile con una lottizzazione abusiva, alle contraddizioni insiste nella sentenza di primo grado sulla distanza dall'abitato, alla mancata considerazione delle rappresentazioni dei consulenti della difesa, alle contraddizioni di cui alla prima sentenza in tema di valutazione della qualità di imprenditore agricolo dell'acquirente del fondo, alle questioni sulla ritenuta destinazione abitativa di due immobili e sulla assenza, nella prima sentenza, di ogni confutazione della consulenza dell'ing. B., ripercorrendo soltanto le argomentazioni del tribunale.
Sarebbe mancante la motivazione in punto di elemento psicologico del reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile. Esso innanzitutto non si confronta effettivamente con la motivazione, atteso che la corte di appello ha analizzato il quadro indiziario e probatorio, in maniera unitaria piuttosto che frazionata, ed ha esaminato anche gli stessi profili prospettati dai ricorrenti, fornendo più che adeguata risposta: essa ha evidenziato non già semplicemente l'esistenza di un piano di frazionamento bensì ha rappresentato l'emersione materiale di un "frazionamento effettivo", accompagnato da attività fraudolente confermative dello scopo illecito (quali la falsa attribuzione della qualifica di imprenditore agricolo secondario) e dalla costruzione di edifici di natura residenziale, in assenza di qualsiasi disponibilità di cubature edificatorie residenziali; ha inoltre puntualmente risposto, con linearità, alla deduzione del frazionamento in lotti rispettosi della superficie agricola minima, osservando l'irrilevanza di questo dato a fronte di un reale mutamento del territorio nei termini sopra accennati, così da descrivere coerentemente una lottizzazione "mista"; ha risposto a rilievi prospettati dalla difesa attraverso i consulenti, - evidenziando, in risposta all'ing. Boggia, la presenza di dati dimostrativi della destinazione ad uso residenziale delle opere e osservando, in risposta alle tesi sulla lontananza dei lotti dall'abitato e sulla onerosità di opere di urbanizzazione, l'irrilevanza anche di tale dato, a fronte di un reato di pericolo già configurabile in termini negoziali - (cfr. nel senso della natura di reato a consumazione anticipata, da ultimo Sez. 3 - n. 21910 del 07/04/2022 Rv. 283325 - 03); così che, se da un lato la mancata e/o difficile realizzazione di opere di urbanizzazione non osta alla configurazione dell'illecito, dall'altro essa rischia di gravare ancor più sull'autonomia organizzativa del territorio in capo alla P.A., costringendola ad interventi di tal fatta a proprie spese. Del resto, in linea con quanto sopra evidenziato, seppur con decisione risalente, questa corte ha già espressamente precisato che, per la configurazione del reato di lottizzazione abusiva, non è necessaria l'avvenuta esecuzione di opere di urbanizzazione, essendo sufficiente che - attraverso un'attività materiale od anche esclusivamente negoziale - il proprietario del suolo proceda al suo frazionamento a scopo inequivocabilmente edificatorio (Sez. 3, n. 809 del 01/12/1980 (dep. 11/02/1981) Rv. 147539 - 01; Sez. 3, n. 12580 del 17/05/1978 Rv. 140208 - 01). Tanto, invero, è in linea e, anzi, costituisce l'inevitabile portato della sopra citata natura del reato di lottizzazione, quale fattispecie a consumazione anticipata, per cui, essendo il predetto illecito integrato non soltanto dalla trasformazione effettiva del territorio, ma da qualsiasi attività che oggettivamente comporti anche solo il pericolo di un'urbanizzazione non prevista, o diversa da quella programmata (Sez. 2, n. 22961 del 29/03/2017 Ud. Rv. 270177 - 01), la mancata edificazione di opere di urbanizzazione - che per loro natura conseguono di norma ad una già intervenuta trasformazione, anche solo in via negoziale, del territorio - assume inevitabilmente il carattere di un profilo meramente descrittivo e marginale, oltre che successivo ed eventuale, e non necessario, del nucleo essenziale del reato lottizzatorio, costituito del pregiudizio alla riserva di pianificazione urbanistica ed edilizia della P.A.
La corte inoltre, ha anche valorizzato e spiegato la valenza, tutt'altro che neutra, nell'ambito del piano criminoso perpetrato, della falsa attribuzione della qualità di imprenditore agricolo. Ha sottolineato peraltro, a conferma della finalizzazione edilizio - residenziale, la creazione di edifici di tale tipo accanto alla pubblicizzazione e vendita, a terzi, di un lotto proposto e garantito pur sempre per finalità residenziali. Poi realizzate anche sullo stesso dagli acquirenti.
Non da ultimo, diversamente da quanto sostenuto in ricorso, i giudici hanno affrontato espressamente il tema dell'elemento psicologico del reato, più che adeguatamente risolvendolo attraverso la ribadita sussistenza di condotte di frazionamento accompagnate da attività fraudolente, tese a nascondere il reale fine speculativo edilizio (con particolare rifermento alle false qualità di imprenditore agricolo); così da coerentemente rilevare, nella sostanza, la configurabilità del dolo della contravvenzione. E curando persino di verificare la esistenza di un errore scusabile, correlato alla condotta della P.A., coerentemente escluso a fronte di un comportamento di pubblici funzionari autori di rilasciati provvedimenti edilizi, da una parte indotto dagli imputati mediante le citate iniziative fraudolente, e dall'altra inidoneo ad essere ritenuto indicativo della conoscenza delle finalità illecite avute di mira dagli imputati medesimi.
Da tutte queste notazioni è emersa una motivazione tutt'altro che apparente, quanto, piuttosto, chiara e completa, oltre che in linea con le definizioni in tema di lottizzazione mista, quale è quella consistente nell'attività negoziale di frazionamento di un terreno in lotti e nella successiva edificazione dello stesso. (Sez. 3, n. 6080 del 26/10/2007 (dep. 07/02/2008) Rv. 238979 01) come tale integrante un reato progressivo, al quale si applica la disciplina del reato permanente, per cui il termine di prescrizione inizia a decorrere solo dopo la ultimazione sia dell'attività negoziale, sia dell'attività di edificazione, e cioè, in quest'ultima ipotesi, dopo il completamento dei manufatti realizzati sui singoli lotti oggetto del frazionamento. (Sez. 3, n. 24985 del 20/05/2015 Rv. 264122 01).
2. Quanto osservato è già sufficiente per spiegare la manifesta infondatezza del ricorso che, trascurando la complessiva quanto completa motivazione, e frammentando altresì taluni argomenti spesi dai giudici, si sottrae al confronto reale con la motivazione, in contrasto sia con il principio per cui i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili "non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato" (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568) e le ragioni di tale necessaria correlazione tra la decisione censurata e l'atto di impugnazione risiedono nel fatto che il ricorrente non può trascurare le ragioni del provvedimento censurato (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425), sia con quello, ulteriore, secondo il quale, con specifico riguardo ai vizi di mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione, essi devono essere di spessore tale da risultare percepibili ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità vertere su difetti di macroscopica evidenza, mentre rimangono ininfluenti le minime incongruenze e si devono considerare disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato - come nel caso in esame - le ragioni del convincimento senza vizi giuridici (cfr., Sez. un., n. 24 del 24 novembre 1999, Rv. n. 214794; Sez. un., n. 12 del 31 maggio 2000, Rv. n. 216260; Sez. un., n. 47289 del 24 settembre 2003, Rv. n. 226074).
3. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che i ricorsi debbano essere dichiarati inammissibili, con conseguente onere per i ricorrenti, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che i ricorrenti versino la somma, determinata in via equitativa, di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 20 aprile 2023.
Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2023