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Mutuo: Quando è usura?

Approfondimenti


Indice:


A. Premessa: nozioni generali

L'usura è un reato previsto dall'art. 644 del codice penale e punisce il soggetto che "presti" soldi ad un altro, facendo leva sul suo stato di bisogno ed ottenendone in cambio un interesse spropositato (tasso di usura).

Principalmente, il reato di usura viene commesso in danno di persone che non possono accedere al prestito da parte delle banche e che per questo motivo ricorrono ai cd. "strozzini", ma può configurarsi anche in relazione a condotte commesse proprio dagli istituti di credito (in questo caso, si parla infatti di "usura bancaria").

In questo articolo, dopo un inquadramento generale del reato di usura, affronteremo proprio quest'ultimo aspetto, concentrandoci sui più recenti sviluppi giurisprudenziali sulla individuazione del tasso di usura nel mutuo.


A.1 La natura giuridica del reato di usura

Il delitto in argomento è un reato a condotta frazionata o a consumazione prolungata, costituito da due fattispecie (destinate strutturalmente l'una ad assorbire l'altra con l'esecuzione della pattuizione usuraria) aventi in comune l'induzione del soggetto passivo alla pattuizione di interessi od altri vantaggi usurari in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra cosa mobile, delle quali l'una è caratterizzata dal conseguimento del profitto illecito e l'altra dalla sola accettazione del sinallagma ad esso preordinato.

Nella prima, il verificarsi dell'evento lesivo del patrimonio altrui si atteggia non già ad effetto del reato, più o meno esteso nel tempo in relazione all'eventuale rateizzazione del debito, bensì ad elemento costitutivo dell'illecito il quale, nel caso di integrale adempimento dell'obbligazione usuraria, si consuma con il pagamento del debito.

Nella seconda, invece, che si verifica quando la promessa del corrispettivo, in tutto o in parte, non viene mantenuta, il reato si perfeziona con la sola accettazione dell'obbligazione rimasta inadempiuta (Cass., sez. II, n. 37693/2014 Rv. 260782; Cass., sez. II, n. 33871/2010 Rv. 248132; Cass., sez. fer., n. 32362/2010 Rv. 248142; Cass., sez. II, n. 26553/2007 Rv. 237169).


A.2 Lo stato di bisogno nel reato di usura

Sotto altro aspetto, si rappresenta che in tema di usura, lo stato di bisogno va inteso non come uno stato di necessità tale da annientare in modo assoluto qualunque libertà di scelta, ma come un impellente assillo che, limitando la volontà del soggetto, lo induca a ricorrere al credito a condizioni usurarie, non assumendo alcuna rilevanza né la causa di esso, né l'utilizzazione del prestito usurario (Cass., sez. II, 16 dicembre 2015, n. 10795 Rv. 266162).

Si è ancora affermato che lo stato di bisogno consiste in una situazione che elimina o comunque limita la volontà del soggetto passivo e lo induce a contrattare in condizioni di inferiorità psichica tali da viziare il consenso (Cass., sez. II, 13 novembre 2008, n. 45152 Rv. 241978).

Deve, in proposito, ribadirsi che, in tema di usura, lo stato di bisogno va inteso non come uno stato di necessità tale da annientare in modo assoluto qualunque libertà di scelta, ma come un impellente assillo che, limitando la volontà del soggetto, lo induca a ricorrere al credito a condizioni usurarie, non assumendo alcuna rilevanza né la causa di esso, né l'utilizzazione del prestito usurario (Cass., sez. V, 11 novembre 2010, n. 43713 CED Cass. n. 248974).

Si è anche precisato che, in tema di usura, lo stato di bisogno in cui deve trovarsi la vittima per integrare la circostanza aggravante di cui all'art. 644 c.p., comma 5, n. 3, può essere di qualsiasi natura, specie e grado e può quindi derivare anche dall'aver contratto debiti per il vizio del gioco d'azzardo, non essendo richiesto dalla norma incriminatrice che il predetto stato presenti connotazioni che lo rendano socialmente meritevole (Cass., sez. II, 1° ottobre 2013, dep. 10 gennaio 2014, n.709 CED Cass. n. 258072): invero, lo stato di bisogno sotto il profilo soggettivo è una particolare condizione psicologica, da qualsiasi causa determinata, in presenza della quale il soggetto passivo subisce una limitazione nella volontà di autodeterminazione, mentre sotto il profilo obbiettivo può essere di qualsiasi natura, specie e grado e quindi, tra l'altro, può derivare anche dalla necessità di soddisfare un vizio (come quello del gioco d'azzardo), non essendo richiesto, ai fini dell'integrazione della circostanza aggravante de qua, alcun requisito; con essa, infatti, si è voluto colpire il disvalore di una condotta considerata dal legislatore come una grave forma di parassitismo, causa di vero e proprio allarme in una società civile, ed è per questo che non può e non deve rilevare la causa che ha determinato il bisogno e la relativa menomazione psicologica.

Non a caso, sia pur con riguardo alla formulazione originaria della fattispecie (nell'ambito della quale l'approfittamento dell'altrui stato di bisogno integrava la materialità del reato), la Relazione al progetto definitivo del codice penale osservò che, nel delitto di usura, "non vi è ragion di avere riguardo alla moralità del soggetto passivo, giacché si punisce non per tutelare i privati interessi di costui, ma per reprimere, nell'interesse pubblico, l'usura che non cessa di essere tale solo perché esercitata a danno, anziché di uno sventurato, d'un prodigo o di un vizioso).

Inoltre, la circostanza aggravante speciale di cui all'art. 644 c.p., comma 5, n. 4, è configurabile in tutti i casi nei quali la somma presa in prestito ad usura sia destinata ad essere impiegata in un'attività imprenditoriale, anche se non direttamente svolta dal soggetto cui il prestito venga materialmente erogato, e senza che possa rilevare il dato meramente formale del riconoscimento, in capo allo stesso, dello status di imprenditore: invero, anche con riferimento a casi di prestito di somme di denaro ad usura chiesto dalla figlia ma destinato - nella consapevolezza dell'erogante - ad essere impiegato nell'attività imprenditoriale di famiglia, ricorre la ratio che autorevole dottrina pone a fondamento della circostanza aggravante de qua.


A.3 La cd. "mediazione usuraria"

La "mediazione usuraria" è configurabile nei confronti di "... chi, fuori del caso di concorso nel delitto previsto dal comma 1, procura a taluno una somma di denaro od altra utilità facendo dare o promettere, per sè o altri, per la mediazione, un compenso usurario".

Come tradizionalmente (e icasticamente) osservato dalla dottrina, la norma incriminatrice colpisce "l'avida condotta di quei loschi individui che, intromettendosi tra chi presta e chi riceve denaro, riescono ad assicurarsi guadagni esorbitanti".

Presupposto negativo per la configurabilità del delitto, come per l'appunto si desume dalla esplicita clausola di riserva, è che il fatto della mediazione non costituisca concorso nel reato di usura: l'agente, cioè, non deve aver operato come intermediario per la conclusione di un contratto nella consapevolezza che questo avrebbe implicato la pretesa di oneri usurari.

Ne consegue che la fattispecie in esame sarebbe di difficile applicazione proprio all'ipotesi più frequente di mediazione, ravvisabile nel fatto di chi, a propria volta usurato, procuri al proprio creditore altre potenziali vittime, ottenendo, in tal modo, vantaggi sia dall'uno - dilazioni ulteriori, abbuoni del proprio debito o, semplicemente, a promessa di una partecipazione all'utile" con cui pagare gli interessi arretrati - sia dalle altre, dalle quali lucri un compenso eccessivo per la mediazione.

Per la sussistenza del reato occorre ed è sufficiente, allora, che sia usurario il compenso per la mediazione, mentre non è necessario che sia usurario anche il contratto principale, nei qual caso potrà semmai aversi concorso nell'usura.

Dal punto di vista dell'elemento oggettivo, per la mediazione usuraria non è previsto un tasso soglia predeterminato ex lege, per cui l'usurarietà del compenso della mediazione non può che essere valutata "in concreto" ancorchè, alla luce dei costi delle spese ordinariamente praticati nel settore bancario per operazioni similari.

Svolte tali precisazioni, veniamo al punto centrale della questione.


1. La natura usuraria del mutuo

La questione della usurarietà del mutuo ha dato vita a contrapposti orientamenti sia in dottrina che in giurisprudenza che hanno trovato recente soluzione con la nota sentenza delle Sezioni Unite n.19957 del 2020.


2. Il primo orientamento (cd. restrittivo)

Secondo un primo orientamento la disciplina antiusura non era applicabile agli interessi di mora; a sostegno di tale tesi si richiamava innanzitutto la lettera delle norme, l'art. 1815, comma 2, cod. civ., che si riferisce ai soli interessi corrispettivi e l'art. 644, comma 1, c.p. che incrimina chi si fa "dare o promettere" interessi usurari "in corrispettivo di una prestazione di denaro".

Veniva poi dato risalto alla funzione degli interessi, poiché quelli corrispettivi hanno funzione remunerativa per il godimento del denaro, mentre i moratori rappresentano, ex art. 1224 c.c., il danno conseguente all'inadempimento di un'obbligazione pecuniaria;

Inoltre si richiamava l'art. 1284 c.c., per il quale se "le parti non ne hanno determinato la misura, dal momento in cui è proposta domanda giudiziale il saggio degli interessi legali è pari a quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali" tasso di cui all'art. 5 D.Lgs. n. 231 del 2002, spesso superiore al tasso-soglia usurario;

Infine veniva sottolineato il mancato rilievo degli interessi moratori nel tasso soglia dei d.m.: nelle voci computate dai decreti ministeriali al fine della rilevazione del tasso medio non erano inclusi gli interessi di mora, mentre i due dati - T.e.g. del singolo rapporto e T.e.g.m. determinante il tasso soglia - dovevano essere omogenei: onde nel T.e.g. del singolo rapporto gli interessi moratori non dovevano essere conteggiati.


3. Il secondo orientamento (cd. estensivo)

Un secondo orientamento (cd. estensivo) evidenziava che la legge (art. 1815, comma 2, cod. civ., art. 644, comma 4, cod. pen., art. 2, comma 4, I. n. 108 del 1996 e art. 1, comma 1, d.l. n. 394 del 2000, conv. dalla I. n. 24 del 2001) non distingue tra tipi di interessi ed, anzi, in alcuni di tali articoli si parla espressamente di pattuizione "a qualsiasi titolo"; anche nei lavori preparatori della legge n. 24 del 2001 si afferma che si voleva considerare l'usurarietà di ogni interesse "sia esso corrispettivo, compensativo o moratorio"; quanto alla funzione degli interessi, entrambi costituiscono la remunerazione di un capitale di cui il creditore non ha goduto, nel primo caso volontariamente, nel secondo caso involontariamente.

La tesi evidenzia poi che la ratio della norma intende tutelare le vittime dell'usura e il superiore interesse pubblico all'ordinato e corretto svolgimento delle attività economiche; né rileva l'art. 1284, comma 4, cod. civ, perché ivi il maggior tasso degli interessi legali ha la diversa funzione sanzionatorio/deflattiva a carico del debitore inadempiente, per i casi in cui l'inadempimento continui dopo la proposizione della domanda giudiziale.

In tal senso sarebbe irrilevante, quindi, la circostanza che i decreti ministeriali di rilevazione non includano gli interessi moratori nella definizione del T.e.g.m., e quindi, del relativo tasso-soglia, in quanto la legge n. 108 del 1996 ha basato il giudizio di usurarietà su di un unico tasso soglia per ciascun tipo di finanziamento, distinto solo tra i diversi modelli contrattuali, non anche tra le differenti specie di costo del credito.


4. La decisione delle Sezioni Unite

Come si è detto, la questione ha trovato soluzione nella decisione delle Sezioni Unite, le quali ritengono che, alla luce della ratio legis della disciplina antiusura (la tutela del fruitore del finanziamento, repressione della criminalità economica, direzione del mercato creditizio e stabilità del sistema bancario) nonché per l'esigenza di piena tutela del soggetto debitore, "il concetto di interesse usurario e la relativa disciplina repressiva non possano dirsi estranei all'interesse moratorio"; anche il tasso di mora è quindi assoggettato alla normativa antiusura.

Secondo la Corte la disciplina antiusura intende sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi, convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, inclusi gli interessi moratori che sono comunque convenuti e costituiscono un possibile debito per il finanziato: i primi considerano il presupposto della puntualità dei pagamenti dovuti, mentre i secondi incorporano l'incertus an e l'incertus quando del pagamento.


4.1 Le conseguenze dell'usurarietà degli interessi in mora

Acclarato ciò, per quanto attiene alle conseguenze dell'accertata usurarietà degli interessi di mora, le Sezioni Unite sostengono che in caso di accertamento di avvenuto superamento della soglia antiusura da parte del tasso di mora si applichi l'art. 1815, comma 2, cod. civ., ma in una lettura interpretativa che preservi il prezzo del denaro in modo la norma possa trovare una interpretazione che, pur sanzionando la pattuizione degli interessi usurari, faccia seguire la sanzione della non debenza di qualsiasi interesse, ma limitatamente al tipo che quella soglia abbia superato.

Invero, ove l'interesse corrispettivo sia lecito, e solo il calcolo degli interessi moratori applicati comporti il superamento della predetta soglia usuraria, ne deriva che solo questi ultimi sono illeciti, restando invece applicabile l'art. 1224, comma 1, cod. civ., con la conseguente applicazione degli interessi nella misura dei corrispettivi lecitamente pattuiti.

Infatti, secondo la Corte, caduta la clausola degli interessi moratori, resta un danno per il creditore insoddisfatto, con la conseguenza che il danno da inadempimento di obbligazione pecuniaria deve essere automaticamente ristorato con la stessa misura degli interessi corrispettivi, già dovuti per il tempo dell'adempimento in relazione alla concessione ad altri della disponibilità del denaro.

La nullità della clausola sugli interessi moratori, infatti, non porta con sé anche quella degli interessi corrispettivi, per cui anche i moratori saranno dovuti in minor misura, in applicazione dell'art. 1224 cod. civ.


4.2 Gli effetti concreti

Quanto agli effetti concreti, tenuto conto che il contratto di mutuo è un contratto di durata, agli effetti dell'art. 1458 c.c., in considerazione del carattere non istantaneo, ma prolungato della durata del prestito, e dell'utilità per il mutuatario consistente nel godimento del danaro - retribuito dalla controprestazione, degli interessi, caduta la clausola sugli interessi moratori, le rate scadute al momento della caducazione del prestito restano dovute nella loro integralità, comprensive degli interessi corrispettivi in esse già conglobati, oltre agli interessi moratori sull'intero nella misura dei corrispettivi pattuiti; tale effetto, peraltro, richiede che in sé il tasso degli interessi corrispettivi sia lecito.


4.3 La questione delle rate a scadere

Per quanto attiene le rate a scadere, sorge l'obbligo d'immediata restituzione dell'intero capitale ricevuto, sul quale saranno dovuti gli interessi corrispettivi, ma attualizzati al momento della risoluzione: infatti, fino al momento in cui il contratto ha avuto effetto, il debitore ha beneficiato della rateizzazione, della quale deve sostenere il costo, pur ricalcolato attualizzandolo, rispetto all'originario piano di ammortamento non più eseguito; da tale momento e sino al pagamento, vale l'art. 1224, comma 1, c.c.


4.4 La commissione di estinzione anticipata

Assume poi rilievo la questione relativa all'inclusione del costo relativo alla commissione di estinzione anticipata nella verifica di usurarietà dei tassi di interesse pattuiti. In proposito, deve rilevarsi che tale voce di costo è meramente eventuale, in quanto dipende dalla scelta del mutuatario, e non è collegata all'erogazione del credito.

Infatti, mentre gli interessi attengono alla fase fisiologica del finanziamento, remunerano la banca per il prestito richiesto dal mutuatario e costituiscono il costo del denaro per il mutuatario, la penale per estinzione anticipata del mutuo costituisce un elemento eventuale del negozio, funzionale ad indennizzare il mutuante dei costi collegati al rimborso anticipato del credito, ossia del mancato guadagno.

Pertanto, sostenere che il tasso soglia ex L.108/1996 sarebbe superato per effetto dell'inclusione nel TAEG dell'incidenza percentuale della penale per l'estinzione anticipata del mutuo, significherebbe affermare la possibilità di sommare fra loro voci eterogenee per natura e funzione, quali gli interessi corrispettivi e la penale di cui di discute. In definitiva, "la commissione per estinzione anticipata è il corrispettivo di un diritto di recesso ad nutum del finanziato, pertanto, non è né una sanzione per inadempimento, né un costo del credito e, quindi, non deve essere conteggiata né nell'oggetto del giudizio di usurarietà delle sanzioni per gli inadempimenti (in particolare, degli interessi di mora), né nell'oggetto del giudizio di usurarietà delle condizioni del credito".

In adesione a tale orientamento giurisprudenziale, da cui, allo stato, non sussiste ragione di discostarsi, si ritiene che, ai fini della verifica di usurarietà dei tassi di interessi, va esclusa la voce di costo relativa alla commissione di estinzione anticipata.


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