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Omesso versamento IVA: il reato previsto dall'art. 10 ter D.lgs. 74/2000

REATI TRIBUTARI

Le ultime sentenze

Il testo dell'articolo

Analisi del reato

1. Elemento oggettivo del reato di omesso versamento IVA

Il reato di omesso versamento Iva di cui all'art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000 è un delitto omissivo ed istantaneo.

Si tratta inoltre di un reato proprio che si consuma nel momento in cui scade il termine previsto dalla legge per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta successivo: ciò che rileva è, pertanto, l'indicazione nella dichiarazione di un debito d'imposta e l'inadempimento alla conseguente e corrispondente obbligazione di pagamento.

2. Elemento soggettivo del reato di omesso versamento IVA

Per ciò che concerne la configurabilità dell'elemento soggettivo, si rappresenta che è sufficiente la consapevolezza di omettere il versamento dell'imposta dovuta sulla base della dichiarazione annuale presentata dall'obbligato, a prescindere dalle intenzioni e dalle condotte successivamente poste in essere dal debitore.

Ed invero, ciò che rileva, ai fini della configurabilità del reato, è il contenuto della dichiarazione annuale e l'inadempimento alla scadenza della obbligazione tributaria dalla stessa risultante.

Pertanto, il delitto di omesso versamento IVA è punibile a titolo di dolo generico, rappresentato dalla coscienza e volontà di non versare all'Erario le somme dovute a titolo di IVA nel periodo contributivo considerato.

Secondo un costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, la prova del dolo è insita nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta.

Ciò deriva anche dai principi affermati dalla sentenza delle Sezioni Unite "Romano" n. 37424 del 28/03/2013, secondo cui il debito verso il fisco relativo ai versamenti IVA è normalmente collegato al compimento delle operazioni imponibili.

Ogni qualvolta il soggetto d'imposta effettua tali operazioni riscuote già (dall'acquirente del bene o del servizio) l'IVA dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l'Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere l'obbligazione tributaria.

La giurisprudenza è costante nell'affermare, anche in conseguenza della riscossione delle somme e dell'obbligo di accantonamento, che la scelta di non pagare l'imposta dovuta prova il dolo: soprattutto quando risulti che al contempo si siano pagati altri debiti o che le somme, che avrebbero dovuto essere accantonate, siano state impiegate in altro; infatti, la scelta imprenditoriale attiene ai motivi a delinquere e non può pertanto minimamente escludere la sussistenza del dolo (Sez. 3 n. 43599 del 09/09/2015).

In tale prospettiva si è precisato, ancora, che il reato in esame è integrato dalla scelta consapevole di omettere i versamenti dovuti, non rilevando la circostanza che la società attraversi una fase di criticità e destini risorse finanziarie per far fronte al pagamento di debiti ritenuti più urgenti, elemento che rientra nell'ordinario rischio di impresa e che non può certamente comportare l'inadempimento dell'obbligazione fiscale contratta con l'erario (v. Cass. Sez. 3, 13/11/2018, n. 12906).

Sul punto esiste, peraltro, anche un orientamento della giurisprudenza, meno rigoroso, secondo cui, quanto alla incidenza dello stato di difficoltà o di crisi finanziaria dell'impresa obbligata al pagamento dell'imposta, al fine della dimostrazione della assoluta impossibilità di provvedere ai pagamenti omessi, occorrono l'allegazione e la prova della non addebitabili all'imputato della crisi economica che ha investito l'impresa e della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità che ne sia conseguita tramite il ricorso a misure idonee, da valutarsi in concreto (cfr. Sez. 3, n. 20266 del 08/04/2014; Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014; Sez. 3. N. 16035 del 10/10/2018).

Va, però, chiarito che le sentenze che hanno ritenuto possibile la rilevanza della crisi di liquidità partono sempre dal presupposto che, per escludere la volontarietà della condotta, è necessaria la dimostrazione della riconducibilità dell'inadempimento all'obbligazione verso l'Erario a fatti non imputabili all'imprenditore, che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico (v. Cass., Sez. 3, n. 16035 del 10/10/2018 in motivazione).

Occorre cioè la prova che il contribuente non sia stato in grado, per cause indipendenti dalla sua volontà, di reperire le necessarie risorse per l'adempimento dell'obbligo tributario (nonostante abbia posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un'improvvisa crisi di liquidità, le somme necessarie; cfr. Cass. Sez. 3, n. 5467 del 5/12/2013).

(Fonte: Tribunale Vicenza, 16/05/2022, (ud. 15/04/2022, dep. 16/05/2022), n.563)

Il D.lgs. n. 74/2000

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