Errore chirurgico
In questo articolo si affronta il caso di un chirurgo condannato in via definitiva per il reato di lesioni personali colpose (perforazione del tratto distale del colon) in paziente con diagnosi di prolasso emorroidario.
Indice:
1. Il caso
2. Il processo
6. La massima
1. Il caso
Un medico chirurgo veniva accusato di avere, in violazione delle leges artis e dei protocolli in materia, cagionato al paziente la perforazione del tratto distale del colon e conseguente stato settico, con una incapacità di attendere alle proprie occupazioni per un tempo superiore a 40 giorni.
In particolare, al medico venivano contestati i seguenti profili di addebito:
di avere omesso imprudentemente di valutare l'anamnesi patologica remota del soggetto che sottoponeva a intervento chirurgico di prolassectomia, invece di optare per la soluzione alternativa con altra tecnica;
di avere provocato, nel corso dell'intervento, un'ansa che finiva con il necrotizzare il tessuto;
di avere omesso negligentemente di indagare, mediante revisione per via endo-anale della linea di sutura, le complicanze di tipo emorragico dell'intervento;
di avere sottovalutato le condizioni ingravescenti del soggetto nel post-operatorio e così omettendo di esplorare le suture chirurgiche al fine di diagnosticare la perforazione dell'intestino;
nel corso del secondo intervento di colostomia differita, di avere omesso di valutare, per imperizia e negligenza, la lunghezza del meso-sigma che, stirato in modo incongruo, andava in parziale necrosi, determinando la perforazione della parete del sigma e un conglobato di aderenze, con conseguente formazione di volvolo ideale;
di avere continuato a sottovalutare le condizioni del paziente, alle quali si aggiungeva nei giorni successivi un serio problema di tipo respiratorio e imprudentemente omettendo di eseguire una colonscopia (effettuata solo dopo l'intervento di uno specialista esterno, mentre il paziente era ancora ricoverato presso l'ospedale che avrebbe consentito di rilevare lo stato settico in atto e l'ischemia del colon in corrispondenza della stomia eseguita in precedenza.
2. Il processo
All'esito del processo di primo grado, il medico veniva condannato per il reato di lesioni personali colpose e la sentenza veniva confermata nel successivo giudizio di appello.
La corte di cassazione rigettava il ricorso presentato dal medico e la condanna pronunciata nei suoi confronti diveniva definitiva.
3. I riferimenti
Giudici di merito: Tribunale di Milano - Corte di Appello di Milano
Autorità Giudiziaria: Quarta Sezione della Corte di Cassazione
Reato contestato: Lesioni personali colpose ex art. 590 c.p.
Sentenza: n.2170 (ud. 15/12/2021, dep. 19/01/2022)
4. La linea difensiva dei medici
In primo luogo, il medico rilevava che le complicazioni del primo intervento, pur prevedibili, non sarebbero sempre evitabili, anche in caso di corretta esecuzione tecnica dell'intervento, come deve ritenersi in base al verbale operatorio e neppure contestato dai consulenti del pubblico ministero. Ed ancora, sosteneva la difesa che un intervento più tempestivo non sarebbe stato efficace e ciò in quanto non vi erano elementi per sostenere che un diverso comportamento sarebbe servito a evitare le conseguenze prodottesi e l'evoluzione riscontrata.
La scelta "attendista" del medico non avrebbe violato alcuna linea guida o procedura codificata, rilevandosi che nella perizia si era precisato non esser stata rinvenuta prova (dal verbale operatorio e dal referto dell'esame istologico) che la perforazione del tratto distale del colon del L. fosse stata conseguenza dell'intervento eseguito dall'imputato, potendo prospettarsi anche un distacco parziale della sutura muco-cutanea di abboccamento dello stoma alla parete in fossa iliaca sinistra.
5. Le ragioni della condanna
Ad avviso dei giudici, andavano condivise le osservazioni peritali circa la procedura più indicata (secondo intervento per la revisione della sutura) nel caso concreto e la non correttezza di un atteggiamento attendista che poggiava sulla evidente necessità di conciliare un nuovo intervento con le condizioni generali del paziente che, tuttavia, non potevano che peggiorare con il trascorrere del tempo.
Il perito aveva concluso nel senso che un intervento di revisione più tempestivo avrebbe quantomeno limitato l'aumento di volume dell'ematoma e che la tempestività dell'intervento di revisione era indicata costantemente in tutte le pubblicazioni scientifiche sull'argomento.
Oltre a ciò, era stato evidenziato come le decisioni assunte dopo il primo intervento non avessero fatto altro che assecondare il problema emorragico, come quella di somministrare al paziente un farmaco lassativo.
Era stato proprio l'errore nella effettuazione della stomia (secondo intervento) e l'immobilismo nell'intervenire in una situazione di costante aggravamento (che aveva connotato il comportamento del medico dopo entrambi gli interventi) a determinare le condizioni che avevano reso necessaria la resezione del colon e definitiva la stomia.
Proprio con riferimento al secondo intervento, peraltro, e alla riconducibilità della perforazione riscontrata in sede endoscopica a una non corretta esecuzione dell'intervento da parte dell'imputato, il testimone Tizio aveva riferito in ordine alle condizioni del paziente all'arrivo presso il secondo nosocomio (sostanzialmente in pericolo di vita) e alla necessità che la funzionalità della stomia praticata con l'intervento del 26 novembre venisse controllata entro 72 ore massimo, laddove nella specie erano trascorsi ben dieci giorni da quello in cui l'imputato aveva operato il paziente per la seconda volta e prima che si effettuasse il necessario controllo.
Il teste aveva poi affermato che la stomia era stata praticata in maniera non corretta, essendosi verificata una eccessiva trazione sui vasi del sigma con conseguente danno ischemico, ciò che aveva reso necessario il terzo intervento.
Tali affermazioni non sono state smentite dal perito, il quale si era limitato ad affermare che non vi era traccia della perforazione nel diario operatorio e nel referto dell'esame istologico, il che lo aveva spinto a formulare l'ipotesi che si fosse determinato un distacco parziale della sutura muco-cutanea di abboccamento dello stoma alla parete in fossa iliaca di sinistra.
6. La massima
Nella sentenza in argomento, la Suprema Corte ha affermato che la perizia rappresenta effettivamente un indispensabile strumento euristico nei casi in cui l'accertamento dei termini di fatto della vicenda oggetto del giudizio imponga l'utilizzo di un sapere extra giuridico e, in particolare, qualora si registrino difformi opinioni, espresse dai diversi consulenti tecnici di parte intervenuti nel processo, di talché al giudice è chiesto di effettuare una valutazione ponderata che involge la stessa validità dei diversi metodi scientifici in campo, della quale è chiamato a dar conto in motivazione, fornendo una razionale giustificazione dell'apprezzamento compiuto e delle ragioni per le quali ha opinato per la maggiore affidabilità di una determinata scuola di pensiero rispetto ad un'altra (cfr. sez. 4, n. 49884 del 16/10/2018, Rv. 274045, proprio in un caso di responsabilità sanitaria). Di talché, si giustifica anche la affermazione secondo cui costituisce giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità se logicamente e congruamente motivato, l'apprezzamento - positivo o negativo - dell'elaborato peritale e delle relative conclusioni da parte del giudice di merito, il quale, ove si discosti dalle conclusioni del perito, ha l'obbligo di motivare sulle ragioni del dissenso (cfr. sez. 1, n. 46432 del 19/4/2017, Fierro e altri, Rv. 271924; ma anche sez. 5, n. ‘9831 del 15/12/2015, dep. 2016, P.G., P.C. in proc. Minichini e altri, Rv. 267566).
7. La sentenza della corte di cassazione
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d'appello di Milano ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale cittadino aveva ritenuto R.O. responsabile del reato di lesioni colpose gravi ai danni di L.L., contestatogli nella qualità di medico chirurgo in servizio presso il nosocomio ove il paziente era stato ricoverato con diagnosi, formulata dal medesimo R., di prolasso emorroidario, condannandolo, in solido con il responsabile civile M. S.p.A., al risarcimento dei danni patiti dalle parti civili, con provvisionale e spese.
2. Secondo "l'editto accusatorio, l'imputato avrebbe, una volta formulata la diagnosi di cui sopra, in violazione delle leges artis e dei protocolli in materia, cagionato al L. la perforazione del tratto distale del colon e conseguente stato settico, con una incapacità di attendere alle proprie occupazioni per un tempo superiore a 40 giorni, omettendo imprudentemente di valutare l'anamnesi patologica remota del soggetto che sottoponeva a intervento chirurgico di prolassectomia, invece di optare per la soluzione alternativa con tecnica (OMISSIS); provocando, nel corso dell'intervento, un'ansa che finiva con il necrotizzare il tessuto; omettendo negligentemente di indagare, mediante revisione per via endo-anale della linea di sutura, le complicanze di tipo emorragico dell'intervento; sottovalutando le condizioni ingravescenti del soggetto nel post-operatorio e così omettendo di esplorare le suture chirurgiche al fine di diagnosticare la perforazione dell'intestino; nel corso del secondo intervento di colostomia differita, omettendo di valutare, per imperizia e negligenza, la lunghezza del meso-sigma che, stirato in modo incongruo, andava in parziale necrosi, determinando la perforazione della parete del sigma e un conglobato di aderenze, con conseguente formazione di volvolo ideale; continuando a sottovalutare le condizioni del paziente, alle quali si aggiungeva nei giorni successivi un serio problema di tipo respiratorio e imprudentemente omettendo di eseguire una colonscopia (effettuata solo dopo l'intervento di uno specialista esterno, mentre il paziente era ancora ricoverato presso l'ospedale (OMISSIS)) che avrebbe consentito di rilevare lo stato settico in atto e l'ischemia del colon in corrispondenza della stomia eseguita in precedenza. Nell'occorso, il paziente sarebbe stato, poi, sottoposto presso altra struttura ospedaliera, a un terzo intervento eséguito da diverso specialista in laparotomia con rimozione della colostomia, mediante resezione del colon di sinistra e deviazione del piccolo intestino (in (OMISSIS)).
Il primo profilo di colpa (intervento chirurgico eseguito con la tecnica operatoria della prolassectomia) è venuto meno, avendo i giudici di merito ritenuto che la scelta di eseguire quel tipo di intervento era stata formulata in maniera corretta, secondo quanto spiegato dai periti nominati.
3. L'imputato ha proposto ricorso, a mezzo di difensore, formulando un unico motivo, con il quale ha dedotto la contraddittorietà della motivazione e la sua distonia con le risultanze della perizia chirurgico-medico-legale eseguita su incarico del Tribunale. In particolare, la difesa rileva che le complicazioni del primo intervento, pur prevedibili, non sarebbero sempre evitabili, anche in caso di corretta esecuzione tecnica dell'intervento, come deve ritenersi in base al verbale operatorio e neppure contestato dai consulenti del pubblico ministero e della parte civile. Ne' è stato affermato dai periti che un intervento più tempestivo sarebbe stato efficace, avendo costoro concluso - da un punto di vista controfattuale - che non vi erano elementi per sostenere che un diverso comportamento sarebbe servito a evitare le conseguenze prodottesi e l'evoluzione riscontrata. Il perito P. aveva sì affermato che la scelta di intervenire nuovamente con maggiore tempestività costituiva la procedura normalmente seguita (anche dallo stesso ausiliario), ma che essa non poteva dirsi la più valida in maniera assoluta.
Sotto altro profilo, il R., con la sua scelta "attendista" non avrebbe violato alcuna linea guida o procedura codificata, rilevandosi che nella perizia si era precisato non esser stata rinvenuta prova (dal verbale operatorio e dal referto dell'esame istologico) che la perforazione del tratto distale del colon del L. fosse stata conseguenza dell'intervento eseguito dal R., potendo prospettarsi anche un distacco parziale della sutura muco-cutanea di abboccamento dello stoma alla parete in fossa iliaca sinistra, con ciò avendo gli stessi periti negato, secondo la prospettazione difensiva, l'attribuzione materiale dell'evento alla condotta dell'imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso va rigettato.
2. La Corte territoriale ha richiamato l'istruttoria dibattimentale che aveva riguardato sia la ricostruzione storica del fatto, che la sua valutazione tecnica. Tenuto conto delle doglianze veicolate con il motivo di ricorso e ristretta la valutazione ai residui profili di colpa, una volta venuto meno l'addebito inerente alla tipologia del primo intervento, quanto alla ricostruzione dei fatti, deve precisarsi che la condotta ascritta al R. ha riguardato la fase post operatoria relativa al primo intervento, nonché la esecuzione del secondo, anche in relazione alla perforazione del colon riscontrata in sede di colonscopia. Proprio le incertezze sulla causa della perforazione, peraltro, rilevate tra i pareri acquisiti a al processo sino a quel momento avevano indotto il Tribunale a disporre perizia.
In base agli esiti di essa, analiticamente esposti nella sentenza censurata, era stato accertato che la complicazione insorta all'esito del primo intervento (emorragia della linea di sutura della mucosa), pur rara, era prevedibile ma non prevenibile, poiché la sutura viene effettuata con mezzo meccanico; alcuni dati emersi dal diario clinico (andamento clinico emodinamico, valori dell'emocromo), però, erano stati sottovalutati o non considerati, sebbene indicativi dell'esistenza di una perdita ematica continua, anche se modesta, come confermato dalla comparsa di una fibrillazione atriale parossistica che aveva richiesto l'intervento stabilizzatore di un cardiologo, evento da ricollegarsi alla anemizzazione progressiva del paziente e ai valori dell'emoglobina in costante diminuzione.
Il perito, poi, pur esprimendosi in termini meramente probabilistici in ordine all'incidenza di un intervento più tempestivo sulla interruzione della sequenza e la limitazione dei danni, affermava che una tempestiva revisione delle linee di sutura era l'intervento indicato in tutte le pubblicazioni scientifiche sul tema (indicazione osservata anche dall'ausiliario nel suo reparto) e che la maggiore tempestività avrebbe limitato l'aumento di volume dell'ematoma, riferendo che, nella prassi, in alcuni casi esso era stato risolutivo, in altri no. Tuttavia, aveva poi chiarito che, alla luce della ingravescenza del quadro settico, l'atteggiamento "attendista" non poteva essere in alcun modo giustificato, esso avendo un senso solo nel caso in cui si prospettasse la necessità di contemperare la esecuzione di un nuovo intervento con le condizioni generali del paziente che, tuttavia, nella specie, erano andate via via peggiorando con il trascorrere del tempo.
Infine, quanto all'ulteriore addebito (perforazione procurata nel corso del secondo intervento), il perito affermava che non vi era certezza che essa fosse conseguenza della sua esecuzione poiché non ve ne era traccia nel verbale operatorio e neppure nel referto dell'esame istologico, ipotizzando pertanto un possibile distacco parziale della sutura muco-cutanea di abboccamento dello stoma alla parete della fossa iliaca sinistra.
Dato tale quadro probatorio, il Tribunale aveva ritenuto incontestato che alla tecnica adottata nella esecuzione del primo intervento fosse ricollegato, quale conseguenza tipica, il copioso sanguinamento, la cui corretta gestione sconsigliava, in base alla buona prassi, un atteggiamento attendista e indicava la strada della revisione delle linee di sutura.
Nel condurre, poi, il giudizio controfattuale, quel giudice aveva operato un rinvio alle stesse conclusioni peritali: alla stregua delle evidenze il ritardo nell'intervento aveva assecondato il progressivo peggioramento delle condizioni generali già critiche del paziente, in tal senso deponendo anche il dato di esperienza offerto dal perito, indicativo di una prassi in tal senso consolidata. Il sanguinamento post-operatorio, tardivamente interrotto, aveva alimentato l'accrescimento dell'ematoma sino a determinare la perforazione intestinale. Anche dopo il secondo intervento, peraltro, non era stato debitamente valutato il quadro delle condizioni del paziente, ancora ingravescenti, soprattutto con riferimento al controllo della stomia, che avrebbe dovuto avvenire in un arco temporale compreso tra le 48 e le 72 ore e che, invece, era stato effettuato solo 10 giorni dopo.
Quanto alla perforazione del colon, poi, il Tribunale precisava che essa ineriva alla ricostruzione fattuale della vicenda e che, pertanto, la sua verifica doveva essere scrutinata alla luce del complessivo materiale probatorio. Sul punto, quel giudice aveva valorizzato la testimonianza del chirurgo ( O.) che aveva eseguito il terzo intervento presso altra struttura: costui aveva dichiarato che all'esame endoscopico si era chiaramente visto il buco nell'intestino. L'esame, peraltro, non era stato particolarmente invasivo o complicato, tanto da esser eseguito nel giro di mezz'ora, utilizzando lo stesso varco offerto dalla stomia (cfr. pag. 31 della sentenza appellata, in cui si dà parimenti atto del riscontro contenuto nel relativo referto, ove si era precisato che l'endoscopio era passato attraverso il buco, consentendo la visione della cavità addominale). Era rimasta, invece, indimostrata la tesi difensiva secondo cui sarebbe stato proprio l'endoscopista a produrre la perforazione nel corso di quell'esame, ipotesi invero neppure contemplata dai consulenti della difesa.
Proprio con riferimento a questo secondo segmento della condotta, peraltro, il Tribunale ha esaminato l'aspetto della incidenza della sopravvenuta polmonite del paziente sulla scelta "attendista" dell'imputato, rilevando, intanto, che di tale polmonite (che sarebbe stata ab ingestis) non vi era traccia nel diario operatorio degli anestesisti, avendone parlato solo l'imputato nel documento di dimissione del paziente, senza che l'anestesista presente all'operazione l'avesse confermato. Peraltro, il problema polmonare non poteva giustificare l'atteggiamento colposamente "attendista", poiché la complicazione era stata riscontrata ben quattro giorni prima del secondo intervento. Infine, la stomia realizzata con il secondo intervento del (OMISSIS) era tutt'altro che funzionante, essendo risultata trofica al controllo del 30/11 successivo (necessitato da una crisi respiratoria con intubazione oro-tracheale del paziente) e ancora al 6/12 non si era verificata una normale canalizzazione. Si era, dunque, reso necessario il terzo intervento, per accertare le cause del persistente stato settico e del ritardo nella canalizzazione intestinale, manifestatisi dopo il primo intervento e nel decorso del post-operatorio, nonostante la stomia realizzata con il secondo.
3. La Corte territoriale, premesso che la successione dei fatti non era contestata (il L. essendo stato affetto da prolasso mucoso settoriale esterno, congestione emorroidaria e prolasso rettale interno; il primo intervento avendo determinato le conseguenze che avevano poi richiesto un secondo, entrambi eseguiti dall'imputato e, quindi, un terzo, eseguito dal Dott. O. presso altro ospedale), ha riesaminato il materiale probatorio alla luce delle doglianze veicolate con i motivi d'appello. Ha così precisato - a fronte della asserita mancanza di prova che un tempestivo intervento avrebbe determinato conseguenze differenti, sul pianto del giudizio controfattuale, secondo il protocollo delineato dalle Sezioni unite Franzese del 2002 - che sotto la supervisione dell'imputato le condizioni della persona offesa avevano avuto un andamento ingravescente, sia in conseguenza dell'atteggiamento attendista tenuto dopo il primo intervento, che per la errata esecuzione del secondo, a seguito del quale il R. aveva continuato a mantenere lo stesso atteggiamento immobilista, pur non avendo la stomia effettuata il 26/11/2014 iniziato a funzionare entro il termine massimo delle 72 ore. Il L. era arrivato presso la nuova struttura sanitaria in condizioni che ne avevano richiesto l'immediato ricovero in terapia intensiva, la sua stabilizzazione e, quindi, sottoposizione al terzo intervento, in pericolo di vita quindi per grave sepsi, con episodio di fibrillazione atriale durante il trasporto; le condizioni del paziente erano migliorate solo dopo l'intervento di pulizia addominale ove era stata rilevata una peritonite.
Quanto, poi, all'assunto secondo cui la resezione praticata con il terzo intervento sarebbe stata inutile (come avrebbe dimostrato l'esame istologico), avendo determinato una stomia definitiva, la Corte ha precisato che - al momento in cui era intervenuto il chirurgo O. - l'addome del paziente era meteorico e la stomia non era canalizzata da giorni (il secondo intervento essendo stato effettuato dieci giorni prima dal R., laddove la stomia avrebbe dovuto cominciare a funzionare già dopo 48 ore, al massimo 72). Il secondo intervento, inoltre, non era stato effettuato correttamente, essendosi verificata una eccessiva trazione sui vasi del sigma e un conseguente danno ischemico, come confermato dal teste O., a nulla rilevando l'esame istologico negativo e non avendo ricevuto conferma, neppure da parte dei consulenti ascoltati nel processo, la tesi che la perforazione fosse stata provocata durante l'esame endoscopico.
4. Il motivo è infondato.
Alcune censure sono, innanzitutto, propositive di argomentazioni rassegnate al vaglio della Corte di merito e da questa affrontate con motivazione del tutto congrua, logica e non contraddittoria, coerente con le conclusioni dei periti e con le testimonianze acquisite. Tutte ruotano essenzialmente sulla divergente opinione che attiene, da un lato, all'efficacia salvifica di un intervento più tempestivo, avuto riguardo all'osservazione del postoperatorio e al progressivo aggravamento delle condizioni del paziente; dall'altro, alla errata esecuzione dell'intervento di realizzazione della colon stomia, con riferimento al quale si è anche addebitato al R. di avere atteso la canalizzazione oltre il tempo di osservazione massimo consentito (72 ore), perseverando in quell'atteggiamento attendista più volte evocato negli atti processuali. In entrambi i casi, tuttavia, la Corte di merito non ha offerto una spiegazione contraddetta dalle conclusioni, ma, al contrario, prendendo tali conclusioni come punto di partenza, ha operato una valutazione globale delle evidenze raccolte, integrando gli esiti di quell'accertamento, non già attraverso un sapere scientifico difforme, ma attraverso elementi fattuali aliunde emersi. Ciò ha fatto sia con riferimento all'efficacia salvifica di un secondo intervento di revisione più tempestivo (in questo caso, peraltro, attingendo alle stesse conclusioni finali del perito); che avuto riguardo alla perforazione dell'intestino, escludendo la tesi difensiva rimasta priva di seri appigli fattuali.
Così ragionando, i giudici territoriali si sono tuttavia attenuti, contrariamente a quanto asserito a difesa, ai principi più volte affermati in materia dalla giurisprudenza di legittimità: la perizia rappresenta effettivamente un indispensabile strumento euristico nei casi in cui l'accertamento dei termini di fatto della vicenda oggetto del giudizio imponga l'utilizzo di un sapere extra giuridico e, in particolare, qualora si registrino difformi opinioni, espresse dai diversi consulenti tecnici di parte intervenuti nel processo, di talché al giudice è chiesto di effettuare una valutazione ponderata che involge la stessa validità dei diversi metodi scientifici in campo, della quale è chiamato a dar conto in motivazione, fornendo una razionale giustificazione dell'apprezzamento compiuto e delle ragioni per le quali ha opinato per la maggiore affidabilità di una determinata scuola di pensiero rispetto ad un'altra (cfr. sez. 4, n. 49884 del 16/10/2018, Rv. 274045, proprio in un caso di responsabilità sanitaria). Di talché, si giustifica anche la affermazione secondo cui costituisce giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità se logicamente e congruamente motivato, l'apprezzamento - positivo o negativo - dell'elaborato peritale e delle relative conclusioni da parte del giudice di merito, il quale, ove si discosti dalle conclusioni del perito, ha l'obbligo di motivare sulle ragioni del dissenso (cfr. sez. 1, n. 46432 del 19/4/2017, Fierro e altri, Rv. 271924; ma anche sez. 5, n. ‘9831 del 15/12/2015, dep. 2016, P.G., P.C. in proc. Minichini e altri, Rv. 267566).
Nella specie, sia la Corte d'appello che il Tribunale prima di questa hanno precisato che la prova scientifica non aveva smentito la ricostruzione in chiave accusatoria, fornendo anzi elementi decisivi, e che la componente di incertezza apparentemente residuata all'esito dell'esame dei periti era stata colmata dalle altre evidenze raccolte. Il Tribunale, in particolare, ha richiamato la prova dichiarativa (testimonianze dei medici del reparto del R.) per affermare come fosse sì emerso il continuo monitoraggio del paziente, ma anche che gli impegni operativi e organizzativi del R. non gli avevano concretamente consentito di dedicare la dovuta attenzione alla valutazione dei dati che gli venivano comunicati, ai riscontri analitici e alle verifiche strumentali non essendosi accompagnata la osservazione diretta del paziente (cfr. pag. 29 della sentenza appellata). Su tale base fattuale, dunque, i giudici di merito hanno collocato le osservazioni peritali circa la procedura più indicata (secondo intervento per la revisione della sutura) nel caso concreto e la non correttezza di un atteggiamento attendista che poggiava sulla evidente necessità di conciliare un nuovo intervento con le condizioni generali del paziente che, tuttavia, non potevano che peggiorare con il trascorrere del tempo (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata). Peraltro, era stato lo stesso perito P. a concludere nel senso che un intervento di revisione più tempestivo avrebbe quantomeno limitato l'aumento di volume dell'ematoma e che la tempestività dell'intervento di revisione era indicata costantemente in tutte le pubblicazioni scientifiche sull'argomento. Oltre a ciò, già nella sentenza appellata era stato evidenziato come le decisioni assunte dopo il primo intervento non avessero fatto altro che assecondare il problema emorragico, come quella di somministrare al paziente un farmaco lassativo (cfr. pag. 27 della sentenza appellata).
Tutto ciò ha consentito alla Corte d'appello di procedere alla verifica controfattuale in termini di elevata credibilità razionale, secondo il protocollo delineato dalle Sezioni unite Franzese del 2002, affermando che era stato proprio l'errore nella effettuazione della stomia (secondo intervento) e l'immobilismo nell'intervenire in una situazione di costante aggravamento (che aveva connotato il comportamento del R. dopo entrambi gli interventi) a determinare le condizioni che avevano reso necessaria la resezione del colon e definitiva la stomia.
Proprio con riferimento al secondo intervento, peraltro, e alla riconducibilità della perforazione riscontrata in sede endoscopica a una non corretta esecuzione dell'intervento da parte dell'imputato, il teste O. aveva riferito in ordine alle condizioni del paziente all'arrivo presso il secondo nosocomio (sostanzialmente in pericolo di vita) e alla necessità che la funzionalità della stomia praticata con l'intervento del 26 novembre venisse controllata entro 72 ore massimo, laddove nella specie erano trascorsi ben dieci giorni da quello in cui il R. aveva operato il paziente per la seconda volta e prima che si effettuasse il necessario controllo. Il teste aveva poi affermato che la stomia era stata praticata in maniera non corretta, essendosi verificata una eccessiva trazione sui vasi del sigma con conseguente danno ischemico, ciò che aveva reso necessario il terzo intervento.
Tali affermazioni non sono state smentite dal perito P., il quale si era limitato ad affermare che non vi era traccia della perforazione nel diario operatorio e nel referto dell'esame istologico, il che lo aveva spinto a formulare l'ipotesi che si fosse determinato un distacco parziale della sutura muco-cutanea di abboccamento dello stoma alla parete in fossa iliaca di sinistra (cfr. pag. 28 della sentenza appellata). E tuttavia, la risposta dei giudici territoriali alla relativa doglianza difensiva, riproposta in questa sede, non appare contraddittoria come assume la difesa: rivendicato correttamente il compito di valutare il quadro probatorio nella sua interezza, quei giudici hanno confutato l'argomento difensivo (con il quale si era inteso introdurre, in sostanza, il ragionevole dubbio che la perforazione fosse stata praticata durante l'esecuzione dell'esame endoscopico), rilevando che la tesi era rimasta sfornita di riscontri, a fronte della obiettiva osservazione del buco (di cui si era dato atto nel referto dell'esame endoscopico), attraverso il quale era appunto passato l'endoscopio, ma anche della testimonianza del chirurgo O., il cui contenuto è stato ritenuto coerente con quel referto (cfr. pag. 31 della sentenza appellata). La difesa, in realtà, non si è confrontata con tali argomentazioni, limitandosi a richiamare dati che ritiene introduttivi di elementi di dubbio, superati dai giudici territoriali con motivazioni coerenti tra di loro e non efficacemente aggredite dalle formulate censure.
5. Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché la rifusione delle spese sostenute dalle costituite parti civili, liquidate come in dispositivo; accessori secondo legge.
PQM
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, in solido con il responsabile civile MULTIMEDICA SpA, alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili in questo giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 3.000,00, oltre accessori come per legge, in favore di L.L. e in Euro 3.000,00, oltre accessori come per legge, in favore di V.B.M..
Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2022
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