Approfondimenti
Indice:
4. Le pronunce
5. Conclusioni
1. Premessa generale
Nell’ordinamento penale attuale coesistono modelli diversi di confisca e ciò perché, al sorgere di nuove esigenze di politica criminale da soddisfare, diverse possono essere le finalità perseguite dal legislatore.
Allo stato, dunque, non è più utile parlare di “confisca”; è più opportuno invece discorrere di “confische”. Nel diritto penale contemporaneo, infatti, la confisca può atteggiarsi a sanzione, a misura di prevenzione e misura di sicurezza.
2. La confisca come misura di sicurezza
La confisca, quale misura di sicurezza, è prevista e disciplinata dal Libro I, “Dei reati in generale”, Capo II, “Delle misure di sicurezza patrimoniali”, agli artt. 236 a 240 bis c.p.
Le regole generali applicabili alla confisca intesa in questa dimensione sono indicate dall’art. 236 co. 2 c.p., che recita: “Si applicano anche alle misura di sicurezza patrimoniali le disposizioni degli artt. 199, 200 prima parte, 201 prima parte, 205 prima parte e numero 3 del capoverso e, salvo che si tratti di confisca, le disposizioni del primo e secondo capoverso dell’art. 200 e 210 c.p.
Dalla norma in parola, dunque, si ricava che delle norme in materia di misure di sicurezza personali alla confisca non si applicano le regole dell’art. 200 e 210 c.p.
L’art. 200 c.p., rubricato “Applicabilità delle misure di sicurezza rispetto al tempo, al territorio e alle persone”, dispone che le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione. La norma, proseguendo, prevede altresì che se la legge del tempo in cui deve eseguirsi la misura di sicurezza è diversa si applica la legge in vigore al tempo della esecuzione.
L’art. 210 c.p., rubricato “Effetti della estinzione del reato o della pena”, statuisce che l’estinzione del reato impedisce l’applicazione delle misure di sicurezza e ne fa cessare l’esecuzione.
3. I rapporti tra estinzione del reato e confisca
La disposizione che più rileva a questi fini, e cioè alla disamina dei rapporti tra estinzione del reato per prescrizione e confisca, è appunto l’art. 210 c.p.
Dal combinato disposto degli artt. 210 e 236 c.p. si ricava un dato: la confisca, diversamente dalle altre misure di sicurezza, non è incompatibile con l’estinzione e pertanto anche in caso di estinzione la confisca può essere comunque utilmente irrogata e mantenuta.
Lo scrutinio dei rapporti tra estinzione del reato, da un lato, e la confisca, dall’altro, è stato però per lo più affidato al dibattito giurisprudenziale. Sul punto, invero, sono almeno quattro le pronunce che hanno rinnovato a vario titolo i termini della questione. Si tratta delle Sezioni Unite Carlea del 1993, De Maio del 2008, Lucci del 2015 e Cipriani 2021.
4. Le pronunce
La prima sentenza in ordine di tempo intervenuta sul tema è la nota sentenza delle Sezioni Unite Carlea n. 5 del 25 marzo 1993.
Il quesito posto alla Corte di Cassazione riguarda la possibilità di irrogare una confisca ai sensi dell’art. 722 c.p, per il reato di partecipazione a giuochi d’azzardo, allorquando la condanna per il detto reato non possa essere dichiarata per il sopravvenire della causa di estinzione dell’amnistia.
A parere della Corte di Cassazione per stabilire se la confisca possa essere disposta sempre, e cioè anche in caso di proscioglimento, o, invece, in presenza di una sentenza di condanna, l’interprete è tenuto a verificare le singole disposizioni di riferimento, che sono sia l’art. 240 c.p. che le varie disposizioni speciali, come appunto quella individuata dall’art. 722 c.p.
Il ragionamento seguito dalle Sezioni Unite per giungere a questo esito si snoda attraverso l’esegesi dell’art. 236 c.p. e del sistema complessivo della confisca quale misura di sicurezza.
L’art. 236 c.p., in questa sede, assume un preciso significato: non quello di individuare i casi di applicazione della confisca, ma quello di indicare all’interprete le disposizioni da applicare in tema di misure di sicurezza patrimoniali contribuendo a delinearne la disciplina complessiva.
Alla stregua di questa interpretazione il combinato disposto degli artt. 236 e 210 c.p. in nessun caso potrebbe annullare la condizione richiesta dalla legge per l’applicazione della confisca, dovendosi piuttosto far riferimento alle singole disposizioni richiamate per potersi stabilire di volta in volta se la misura presupponga la condanna o possa essere disposta anche in seguito al proscioglimento.
Utilizzando una espressione della Corte: “se è vero che l’estinzione del reato non impedisce l’applicazione della misura di sicurezza, è pure vero che l’applicazione deve essere resa possibile dalle norme che regolano specificamente la misura e che se invece questa applicazione non è possibile non lo può diventare solo perchè essa in via generale non è esclusa”.
Alla stregua di questo ragionamento pertanto le Sezioni Unite Carlea giungono all’affermazione del principio per cui, per stabilire se debba farsi luogo a confisca, in caso di estinzione del reato, deve aversi riguardo alle previsioni dell’art. 240 c.p. e alle varie disposizioni speciali che prevedono i casi di confisca. Ne deriva, di conseguenza, che, applicando il detto principio, nei casi di confisca previsti dall’art. 240 co. 1 e co. 2 n. 1 c.p., come in quello previsto dall’art. 722 c.p., essendo richiesta la condanna, la confisca non può essere disposta se il reato è estinto, mentre ad una diversa conclusione occorre pervenire per la ipotesi delle cose intrinsecamente pericolose di cui all’art. 240 co. 2 n. 2 c.p., il quale impone la confisca anche in caso di proscioglimento.
La successiva tappa in questo percorso evolutivo sono le SU De Maio, sent. n. 38834 del 10 luglio /2008.
La pronuncia origina dal ricorso proposto dal pubblico ministero avverso un provvedimento che, in sede di esecuzione, aveva disposto la restituzione dei beni costituenti il prezzo del reato a norma dell’art. 240 co. 2 n. 1 c.p. nell’ambito di un procedimento per corruzione conclusosi con declaratoria di prescrizione.
Le Sezioni Unite De Maio ribadiscono i principi espressi dalle Sezioni Unite Carlea. In specie confermano il principio di diritto secondo cui la confisca obbligatoria delle cose costituenti il prezzo del reato previsto dall’art. 240 co. 2 n. 1 c.p. non può essere disposta in caso di estinzione del reato perchè in tale ipotesi difetta il presupposto richiesto dalla norma in questione: la condanna dell’imputato.
La soluzione a cui giungono queste Sezioni Unite è determinata non solo dagli esiti già raggiunti dalle Sezioni Unite Carlea in ordine all’art. 236 c.p., ma anche dalla interpretazione dell’art. 240 co. 2 c.p.
In specie nel ragionamento della Corte l’avverbio “sempre”, con cui si apre il disposto del co. 2 dell’art. 240 c.p., è adoperato per indicato una preclusione alla valutazione discrezionale del giudice nel potere di disporre la confisca. In specie, a parere delle Sezioni Unite, l’avverbio “sempre” equivarrebbe alla espressione “è sempre ordinata la confisca di cui all’art. 240 co. 2 c.p.”, da contrapporsi al co. 1 dell’art. 240 c.p., dove invece il significato da attribuirsi alla disposizione è “il giudice può ordinare la confisca”.
Ne deriva pertanto che l’avverbio “sempre” è finalizzato solo a contrapporre la confisca obbligatoria a quella facoltativa e non anche a indicare i casi in cui la confisca può essere emessa in presenza o in assenza di condanna.
Il novum delle Sezioni Unite De Maio rispetto al precedente del 1993, che pur non consente di modificare l'interpretazione che ha portato alla formulazione dell'indicato principio di diritto, ponendosi invece quale motivo di riflessione per il legislatore, riguarda un aspetto preciso e cioè i poteri di accertamento del giudice chiamato a pronunciarsi sulla confisca. In specie in questa sentenza la Corte afferma che per disporre la confisca in caso di estinzione del reato il giudice dovrebbe comunque svolgere degli accertamenti che lo porterebbero a superare i limiti della cognizione connaturata alla particolare situazione processuale.
In questo senso, da un lato, rileverebbero gli ampi poteri di accertamento del fatto in capo al giudice che rilevi la sussistenza di una causa estintiva del reato, previsti dall'art. 578 c-è-è-, in tema di interessi civili, o dall'art. 425, comma 4 c.p.p.; dall’altro rileverebbe l’affermazione della Corte Costituzionale nella sentenza n. 85 del 2008 in cui si indica che nella categoria delle sentenze di proscioglimento si comprendono, accanto a quelle ampiamente liberatorie con formule in fatto, anche «sentenze che, pur non applicando la pena, comportano - in diverse forme e gradazioni - un sostanziale riconoscimento della responsabilità dell'imputato o, comunque, l'attribuzione del fatto all'imputato stesso e ciò in particolare vale per le dichiarazioni di estinzione del reato per prescrizione».
È possibile, dunque, affermare, ad avviso delle Sezioni Unite De Maio, che, "in caso di estinzione del reato il riconoscimento al giudice di poteri di accertamento al fine dell'applicazione della confisca medesima non possono dirsi necessariamente legati alla facilità dell'accertamento medesimo e che quindi tale accertamento possa riguardare non solo le cose oggettivamente criminose per loro intrinseca natura (art. 240, co. 2, n. 2, c.p.), ma anche quelle che sono considerate tali dal legislatore per il loro collegamento con uno specifico fatto reato".
In ordine di tempo la sentenza successiva intervenuta sul punto la sentenza delle Sezioni Unite Lucci, n. 31617 del 26 giugno 2015.
I quesiti ai quali le Sezioni Unite sono state chiamate a fornire risposta furono due, di questi uno solo rilevante a questi fini. In particolare si chiedeva alla Corte di Cassazione a Sezioni Unite di stabilire eventualmente entro quali limiti potesse essere disposta ex art. 240 co. 2 n. 1 c.p. ovvero ex art. 322 c.p. la confisca diretta del prezzo o del profitto del reato nel caso in cui il processo si fosse concluso con una sentenza dichiarativa di estinzione del reato.
Sul punto le Sezioni Unite hanno affermato il seguente principio di diritto: il giudice, nel dichiarare la estinzione del reato per intervenuta prescrizione, può disporre a norma dell’art. 240 co. 2 n. 1 c.p. la confisca del prezzo e ai sensi dell’art. 322 ter c.p. la confisca diretta del prezzo o del profitto del reato a condizione che vi sia stata una precedente pronuncia di condanna e che l’accertamento relativo alla sussistenza dl reato, alla penale responsabilità dell’imputato e alla qualificazione del bene da confiscare come prezzo o profitto rimanga inalterato nel merito dei successivi gradi di giudizio.
La soluzione indicata dalla sentenza Lucci non è altro che l’applicazione dei principi affermati, da un lato, dalla Corte EDU nella sentenza Varvara c. Italia, in tema di confisca urbanistica, e, dall’altro, della Corte Costituzionale nella nota sentenza n. 49 del 2015.
In specie, nella decisione Varvara contro Italia del 2013, la Corte EDU ritenne pena la confisca urbanistica, prevista dall’art. 44 co. 2 d.P.R. n. 380 del 2011, e dichiarò questa illegittimamente applicata per violazione del principio di legalità previsto dall’art. 7 CEDU e art. 1 Prot. Addizionale n. 1 alla Convenzione essendo stata applicata con sentenza di proscioglimento del reato urbanistico per intervenuta prescrizione.
Nella pronuncia n. 49 del 2015 la Corte Costituzionale si pronunciò sulla questione di legittimità costituzionale del menzionato art. 44, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 9, 32, 41, 42 e 117 Cost., nella parte in cui, in forza proprio della interpretazione della CEDU, tale disposizione «non può applicarsi nel caso di dichiarazione di prescrizione del reato anche qualora la responsabilità penale sia stata accertata in tutti i suoi elementi».
Per la Corte Costituzionale la questione veniva a essere se, alla luce di una interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente conforme, il giudice europeo allorché si esprime in termini di “condanna” abbia a mente la forme del pronunciamento del giudice ovvero la sostanza che necessariamente si accompagna a tale pronuncia, laddove essa infligga una sanzione criminale ai sensi dell’art. 7 CEDU.
A giudizio della Consulta l’orientamento della Corte EDU, come espresso anche nella pronuncia Varvara, pare essere proprio nella direzione del mero accertamento della responsabilità e, dunque, verso la nozione sostanziale di “condanna”.
In ragione di ciò la Corte Costituzionale ha dichiarato l’inammissibilità della questione sollevata e contestualmente ha affermato un principio, tra l’altro conforme alle sue precedenti decisioni riguardanti la confisca urbanistica. In particolare la sentenza n. 49 del 2015 ha inteso esprimere il principio per cui nell’ordinamento interno l’accertamento della responsabilità può anche essere contenuto in una sentenza di proscioglimento per prescrizione del reato, sempre che questa abbia adeguatamente motivato in ordine alla responsabilità personale di chi è soggetto alla misura ablativo, sia esso l’autore del fatto ovvero il terzo di mala fede.
Stante tali premesse, le Sezioni Unite Lucci hanno esteso tali conclusioni, valide per la confisca urbanistica, notoriamente intesa come sanzione, anche alla diversa ipotesi della confisca intesa come misura di sicurezza, considerando che ciò che vale per la premessa maggiore non può non valere anche per la minore.
In specie le Sezioni Unite Cipriani hanno considerato in questi termini: se la prescrizione non è incompatibile con un accertamento di responsabilità idoneo a legittimare l’applicazione di una misura ablatoria che, al lume della giurisprudenza europea, deve essere qualificata come pena, a fortiori simili approdi devono essere valorizzati quando venga in rilievo una misura come la confisca che non è sanzione, ma misura di sicurezza.
La Corte di Cassazione ha desunto la natura di misura di sicurezza della confisca in parola da un argomento di tipo funzionale. In particolare la Corte ha ritenuto dirimente la circostanza che la confisca del prezzo del reato non giunge mai al punto di intaccare l’imputato in misura eccedente il pretium sceleris, direttamente desunto dal fatto illecito. L’acquisizione all’erario della res, secondo il ragionamento della Corte, non potrebbe avere alcuna finalità repressiva e punitiva, la ratio dello spossessamento essendo un’altra e cioè quella di privare chi ha compiuto un crimine della res di cui è entrato illegittimamente nella disponibilità.
Il principio delle Sezioni Unite Lucci allora appare chiaro perché non è altro che il risultato dell’applicazione della logica sillogistica: se è convenzionalmente e costituzionalmente corretto ritenere che la confisca urbanistica, sanzione nell’ordinamento interno e sovranazionale, possa essere applicata anche quando il processo esiti in una sentenza di proscioglimento per sopravvenuta esistenza di una causa di estinzione del reato, essendo comunque idonea a esprimere un accertamento di responsabilità, allora è anche possibile che ciò si verifichi con riferimento a una confisca che non sia sanzione ma misura di sicurezza come nel caso di specie.
In conclusione per le Sezioni Unite Lucci per l’applicazione della misura di sicurezza della confisca è necessario e sufficiente un accertamento della responsabilità, che può e deve confluire in una pronuncia che, non solo sostanzialmente, ma anche formalmente, la dichiari. L’esistenza del reato, la circostanza che l’autore abbia percepito una somma e che questa abbia rappresentato il prezzo del reato stesso devono dunque formare oggetto di una condanna, i cui termini essenziali non abbiano nel corso del giudizio subito mutazioni alla stregua della regola dell’”al di là di ogni ragionevole dubbio”.
Nel caso specifico della prescrizione, poi, per potersi consentire il mantenimento della confisca, la formula terminativa del giudizio deve rivelarsi anodina in punto di responsabilità e confermare in un certo senso la preesistente e necessaria pronuncia di condanna, secondo una prospettiva non dissimile da quella tracciata all’art. 578 c.p.p. in tema di decisione sugli effetti civili nel caso di sopravvenuta declaratoria di estinzione del reato per prescrizione
In conclusione il principio di diritto che emerge dalle richiamate decisioni delle Sezioni Unite Carlea e De Maio, può, dunque, essere sintetizzato nei seguenti termini: la dichiarazione di estinzione del reato non consente di disporre la confisca diretta in tutti i casi in cui l'adozione del provvedimento ablativo è condizionata, da una norma di legge, alla pronuncia di un giudicato formale di condanna, ad eccezione dei casi in cui il Legislatore preveda che alla confisca dei beni economici dell'autore di un fatto costituente reato, la cui responsabilità formi comunque oggetto di un esaustivo accertamento giudiziale, si debba (in caso di confisca obbligatoria) o si possa (in caso di confisca facoltativa) procedere in assenza di una sentenza di condanna (definitiva).
L’ultima pronuncia in ordine di tempo risale alla sentenza n. 52 del 2021 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nota anche come sentenza Cipriani.
Alle Sezioni Unite in parola è stato rivolto il seguente quesito e cioè se, intervenuta sentenza di condanna in primo grado, il giudice di appello, che successivamente abbia pronunciato nei confronti dell’imputato sentenza di proscioglimento per estinzione del reato per decorso del relativo termine di prescrizione, possa mantenere in vita la confisca facoltativa diretta dei beni economici dello stesso imputato, disposta, all’esito del giudizio di primo grado, ai sensi dell’art. 240 co. 1 c.p. in quanto costituente profitto del reato di cui all’art. 416 c.p.
La Corte di Cassazione ha aderito alla soluzione negativa per una serie di ragioni.
La principale ragione ostativa all’accoglimento alla tesi estensiva prospettata dal ricorrente è da individuarsi nel principio di legalità, che nel diritto penale contemporaneo si distilla in una serie di corollari, tra cui il principio di tassatività e il divieto di analogia.
In specie, a giudizio della Corte, l’estensione dei principi espressi dalle Sezioni Unite Lucci con riguardo alla confisca obbligatoria ex art. 240 co. 2 n. 1 c.p. alla confisca facoltativa di cui all’art. 240 co. 1 c.p. si porrebbe in inevitabile contrasto con tali principi, perché obliterebbe irrimediabilmente il dato letterale della disposizione che prevede in maniera espressa quale condizione di applicazione della confisca come misura di sicurezza “la sentenza di condanna”.
Nel ragionamento della Corte questa soluzione risulterebbe come l’unica possibile per altre due ragioni, che in verità si pongono a sostegno dell’argomento su riportato.
In specie, da un lato, rileva il particolare giudizio demandato dall’art. 240 co. 1 c.p. al giudice. Questi è tenuto a compiere una valutazione prognostica riguardo alla idoneità incentivante al delitto del possesso di tali beni, che, diversamente dal caso della confisca obbligatoria, non sono assistiti da una presunzione assoluta di pericolosità oggettiva e soggettiva. Ne deriva, secondo la pronuncia in commento, che non sarebbe possibile scindere una tale valutazione da una prospettiva anche punitiva da parte del giudice, propria ed esclusiva della sola sentenza di condanna e non anche di una di proscioglimento.
Dall’altro, a giudizio della Corte di Cassazione, depone in questo senso anche l’argomento sistematico e in particolare i due recenti interventi normativi, che hanno prima inserito nel codice di rito (art. 6, co. 4, d. Igs. 1 marzo 2018, n. 21) e poi novellato (art. 1, co. 4, lett. f), I. 9 gennaio 2019, n. 3) l'art. 578 bis c.p.p. Quest’ultimo, infatti, coerentemente con l’approdo raggiunto dalla pronuncia, include nel suo ambito di applicazione solo la confisca obbligatoria e non anche quella facoltativa, estromettendola. Tale circostanza a parere delle Sezioni Unite non può non essere portatrice di un qualche valore per l’argomento trattato perchè, pur se da interpretare anche alla luce di altri argomenti, è comunque già chiaramente espressiva di una certa sensibilità del legislatore.
Alla stregua di tali argomenti le Sezioni Unite Cipriani hanno ritenuto illegittima l’operazione di estensione dei principi espressi dalle Sezioni Unite Lucci al caso di confisca facoltativa ex art. 240 co. 1 c.p.
5. Conclusioni
La disamina delle pronunce della giurisprudenza di legittimità avutesi nel corso del tempo su questo argomento dimostra la profonda complessità con cui le soluzioni possono essere elaborate, che involge diritti fondamentali difficili da bilanciare tra loro, soprattutto in circostanze, come questa, dove ognuno di questi assume un equilibrio precario a seconda dei tempi.
Ne deriva che l’unica conclusione, che possa godere di una certa stabilità, è quella di assumere sì la consapevolezza che con riguardo alle confisca possono aversi tante combinazioni tante quante sono le ipotesi di confisca, ma anche che ognuna di queste è valida solo e sempre rispetto al proprio caso.