Secondo la giurisprudenza di legittimità, la persona offesa è considerata dal legislatore, anche quando si costituisce parte civile, alla stregua di un qualunque testimone tanto che la Corte Costituzionale, con la decisione del 19 marzo 1992 nr. 115 ha escluso l'illegittimità dell'art. 197 lettera c), c.p.p., nella parte in cui non include tra i soggetti per i quali vi è l'incompatibilità con l'ufficio di testimone, la parte civile viene collocata in una posizione diversa rispetto a quella del testimone puro e ciò proprio per il ruolo che assume nell'ambito del processo, sia quando si costituisce parte civile nel processo penale, sia quando non eserciti tale facoltà.
Se infatti il testimone è per definizione una persona estranea agli interessi in gioco del processo, che si limita a rendere una deposizione su fatti a cui ha assistito personalmente, senza altre o diverse implicazioni, la persona offesa è per definizione in posizione di antagonismo nei confronti dell'imputato, per la semplice istanza di ottenere giustizia con la condanna di questi, ovvero perché portatore di un interesse privato al buon esito del processo e, con la costituzione di parte civile, di un evidente interesse, di natura economica, alle restituzioni ed al risarcimento del danno.
Ne deriva che se in relazione al contenuto delle dichiarazioni rese dal testimone, vanno seguiti i canoni di valutazione unanimamente e costantemente espressi dalla giurisprudenza, di merito e di legittimità, che si esprimono nel principio secondo il quale il giudice può motivare il proprio convincimento con una valutazione centrata sulla personalità del dichiarante e sulla attendibilità del contenuto intrinseco della dichiarazione, traendo la prova del fatto rappresentatogli dal semplice racconto del teste, senza la necessità di altri elementi che ne confermino la credibilità, con riferimento, invece, al contenuto della denuncia sporta dalla persona offesa occorre svolgere un esame più rigido e rigoroso della attendibilità intrinseca del narrato, e, qualora la piattaforma probatoria lo consenta, occorre valutare anche gli altri elementi probatori, verificando se gli stessi confortino o meno il contenuto della denuncia (Cfr., tra le altre, Cass. Sez. 1 del 19 novembre 1998 n. 12000).
Pertanto quando la persona offesa rappresenta il principale (se non il solo) testimone che abbia avuto la percezione diretta del fatto da provare e sia, quindi, sostanzialmente l'unico soggetto processuale in grado di introdurre tale elemento valutativo nel processo, affinché il suo racconto possa essere posto a fondamento del giudizio di colpevolezza dell'imputato, occorre sottoporlo ad una puntuale analisi critica, mediante la comparazione con il rimanente materiale probatorio acquisito (laddove ciò sia possibile) utilizzabile per corroborare la sua dichiarazione, ovvero, laddove una verifica "ab estrinseco" non sia possibile, attraverso un esame attento e penetrante della testimonianza, condotto con rigore e spirito critico, che investa la attendibilità della dichiarazione e la credibilità soggettiva di chi l'abbia resa e che, tuttavia, non sia improntato da preconcetta sfiducia nei confronti del teste, dovendosi comunque partire dal presupposto che, fino a prova contraria, il teste, sia esso persona offesa sia esso parte civile, riferisca fatti veri, o da lui ritenuti tali.
Fonte: Tribunale Nola, 19/12/2023, (ud. 18/12/2023, dep. 19/12/2023), n.2264