Appropriazione indebita: condannato il segretario di partito che utilizzava il rimborso delle spese elettorali per far fronte a debiti personali
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Cassazione penale sez. II, 11/09/2019, n.9743

Integra il delitto di appropriazione indebita la condotta del segretario amministrativo di un partito politico che, essendo per statuto titolare del potere di gestione del patrimonio dell'ente, utilizzi il denaro a questo erogato a titolo di rimborso delle spese elettorali ai sensi della l. 3 giugno 1999, n. 157, per far fronte a debiti personali nei confronti di soggetti privati o dell'Erario, poiché dall'assenza di vincoli di destinazione pubblicistica delle somme percepite dal partito a detto titolo non può farsi discendere una totale libertà di utilizzazione delle stesse con atti di disposizione che danneggino la consistenza patrimoniale dell'ente.

La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 23 gennaio 2019 la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Milano in data 10 luglio 2017 ha:

- dichiarato non doversi procedere per mancanza di querela nei confronti di Bo.Um. e di Bo.Re. in relazione ai reati loro ascritti e nei confronti di B.F. con riferimento alle imputazioni da 1) a 85), con esclusione per tutti delle imputazioni di cui ai capi 2), 71), 75), 79), 84) in relazione alle quali era già stata pronunciata sentenza di assoluzione dal Tribunale di Milano e di cui ai capi 16), 47), 48), 49), 72), in relazione alle quali era già stata dichiarata dal Tribunale l'estinzione per prescrizione;

- assolto B.F. in relazione ai fatti di cui ai capi 86), 87), 88), 89), 100), 101), 102), 118), 123), 124), 199) e 200), con la formula "perchè il fatto non sussiste;

- dichiarato non doversi procedere nei confronti di B.F. in relazione ai reati a lui ascritti ai capi 103), 120), 121), 122), 135), 136), 146), 147), 148), 191), 192), 193), 194), 195), 196), 197), 198), 201), 202), 203), 204), 205), 206), 207), 208), 209), 234), 235), 239), 240), 241), 243), 244) ed in relazione ai reati di cui ai capi 255), 256), 257), 258), 259), 260), 261), 262), 297), quanto a questi ultimi per le sole condotte realizzate fino alla data del 19 marzo 2011, essendo i reati estinti per intervenuta prescrizione;

- riconosciuto nei confronti del B. le circostanze attenuanti generiche, ritenute equivalenti alle contestate aggravanti, rideterminando la pena irrogata allo stesso in quella di anni uno, mesi otto di reclusione ed Euro 750,00 di multa, con i benefici della sospensione condizionale e della non menzione nel certificato del casellario giudiziale;

- confermato nel resto la sentenza impugnata.

In sintesi, si è proceduto per fatti di appropriazione indebita aggravata e continuata (artt. 81 cpv., 110 c.p., art. 61 c.p., nn. 11 e 7, art. 646 c.p.) contestati a Bo.Um. (nella sua qualità di Segretario Federale della (OMISSIS) che aveva preventivamente o di volta in volta autorizzato i prelevamenti ed i pagamenti in favore di sè stesso e degli altri imputati), a B.F. (quale Segretario Amministrativo Federale incaricato ai sensi dell'art. 25 dello Statuto, dei compiti di gestione del patrimonio del partito politico (OMISSIS) e materiale realizzatore delle appropriazioni) ed a Bo.Re. (oltre a Bo.Ri. giudicato separatamente con le forme del rito abbreviato) quale richiedente e beneficiario delle somme di proprietà del predetto partito politico.

Le condotte delittuose, secondo l'ipotesi accusatoria, sarebbero consistite nell'appropriazione - mediante operazioni bancarie di varia natura (prelievi per contanti, bonifici, emissione di assegni, pagamenti con carta di credito) e per ragioni estranee agli interessi ed alle finalità dell'associazione politica - di denaro depositato sui conti correnti di quest'ultima e proveniente prevalentemente da finanziamento pubblico ai sensi della L. 3 giugno 1999, n. 157.

2. Ricorrono per Cassazione avverso la predetta sentenza il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Milano ed il difensore dell'imputato B., deducendo:

2.1. il Procuratore Generale:

Violazione di legge ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) per inosservanza della norma che consente di estendere ope legis gli effetti della querela nei confronti di tutti i concorrenti e per motivazione solo apparente in ordine al profilo della mancata estensione ai coimputati della querela presentata in data 27 novembre 2018 da S.M. in qualità di rappresentante della (OMISSIS) nei confronti del solo B.F..

Rileva, al riguardo, il ricorrente che nel caso in esame non si sarebbe fatta una corretta applicazione del disposto dell'art. 123 c.p. e che avrebbero errato i Giudici distrettuali a considerare quelle contestate al B. come "fattispecie mono-soggettive" in quanto dalla lettura del capo di imputazione è agevole ricostruire come le singole operazioni economiche relative alle appropriazioni di denaro siano parte di un'unica condotta delittuosa contestata agli imputati i quali, con le proprie azioni e con i ruoli dagli stessi rivestiti, hanno concorso (sia materialmente sia rafforzando ciascuno la volontà illecita dell'altro) nella realizzazione della complessiva appropriazione indebita delle somme oggetto di contestazione.

La situazione accertata in sede dibattimentale implica che indipendentemente dalla volontà del querelante - la querela sporta nei confronti di uno dei compartecipi estenda la sua portata anche nei confronti degli altri concorrenti nel reato.

2.2. la difesa dell'imputato B.:

2.2.1. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione all'errata applicazione della L. n. 157 del 1999 per insindacabilità delle spese del partito politico ai sensi della L. n. 157 del 1991 e dell'art. 49 Cost..

Rileva la difesa del ricorrente che la sentenza della Corte di appello nella parte in cui ha affermato che non è possibile che il Segretario di un partito politico possa disporre a suo piacimento dei fondi dello stesso alla stregua di un patrimonio personale, si pone in contrasto con altra sentenza della Corte di appello di Genova (allegata per estratto al ricorso) nella quale si è, invece, ritenuto che ben potrebbe un partito politico (nel caso giudicato dalla Corte ligure sempre la (OMISSIS)) sostenere spese in favore del Segretario Federale sempre che dette spese siano condivise dagli altri organi del partito, abbiano regolari giustificativi, siano annotate con causale fedelmente rispettosa della destinazione e trovino corretta sintesi nel rendiconto, così da rendere trasparente e conoscibile agli elettori ed in generale ai cittadini la scelta fatta dal partito di come utilizzare l'rimborsi elettorali.

Non sarebbe quindi corretto ritenere che spese di vario genere, frequenti nel mondo della politica e riconducibili alle normali attività sociali e relazionali del partito (quali il pagamento di pranzi, regali, soggiorni ed altro) siano considerate come configuranti il reato di appropriazione indebita.

2.2.2. Vizi di motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) in relazione all'omessa considerazione del disavanzo positivo di cassa e della somma di 284 mila Euro utilizzata per esigenze del partito (OMISSIS).

Rileva, al riguardo, la difesa del ricorrente che nel corso del processo è emerso che la cassa del partito politico (OMISSIS) relativa al periodo contestato nel capo di imputazione ha registrato un incremento positivo di 338 mila Euro il che starebbe a significare che le uscite dovevano essere state compensate e quindi ripianate con entrate del medesimo importo oltre che con l'ulteriore apporto della somma indicata. Detto elemento sarebbe, però, stato ignorato dalla Corte di appello di Milano che si sarebbe trincerata dietro un illegittimo rovesciamento dell'onere della prova sostenendo che avrebbe dovuto essere l'imputato a fornire spiegazione del dato in questione.

Del resto, prosegue la difesa del ricorrente, è stato acquisito agli atti il verbale di dichiarazioni di D.N., segretaria amministrativa del Partito, che ha dichiarato che la somma di 284 mila Euro contestata all'imputato era in realtà da riferire a spese sostenute per lo stesso.

2.2.3. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione all'art. 124 c.p. e art. 129 c.p.p.. con riguardo all'intervenuta preclusione del diritto di querela, nonchè all'inesistenza dei fatti appropriativi.

Rileva al riguardo la difesa del ricorrente che:

a) l'approvazione all'unanimità da parte del partito (OMISSIS) dei bilanci per le annate oggetto di contestazione;

b) la mancata denuncia da parte del partito delle condotte di appropriazione indicate nei capi di imputazione;

c) la mancata costituzione di parte civile;

sono situazioni che risultano incompatibili con la volontà di presentare querela ed avrebbero determinato il configurarsi della situazione giuridica della rinuncia tacita alla querela di cui all'art. 124 c.p., commi 2 e 3.

Si sarebbe, quindi, resa necessaria nei confronti del B. una pronuncia di sentenza ex art. 129 c.p.p. per improcedibilità dell'azione penale nei confronti dello stesso.

Rileva, infine, la difesa del ricorrente che, sotto altro aspetto, la circostanza dell'approvazione all'unanimità da parte del partito (OMISSIS) dei bilanci nei quali erano indicate le spese effettuate dal tesoriere sarebbe tale da escludere la sussistenza del reato di appropriazione indebita in quanto, se il soggetto titolare del bene che si assume oggetto di appropriazione ratifica l'operato di colui che ha disposto del bene stesso, ciò fa venir meno l'antigiuridicità della condotta.

3. Il presente procedimento è stato chiamato all'udienza del 17 luglio 2019 nel corso della quale accertata la regolare costituzione delle parti, la difesa dell'imputato B. ha formulato una istanza di differimento dell'udienza per omesso o comunque ritardato deposito degli atti a norma dell'art. 610 c.p.p., comma 5, e art. 169 disp. att. c.p.p..

A detta istanza di rinvio si sono associati i difensori degli altri imputati mentre il Procuratore Generale si è rimesso alle valutazioni del Collegio.

Il Collegio ha quindi emesso motivata ordinanza (allegata al verbale di udienza) con la quale ha rigettato l'istanza di rinvio del procedimento, disponendo procedersi oltre nella trattazione del processo.

A questo punto il difensore dell'imputato B., unitamente al proprio assistito (presente in udienza) ha formulato dichiarazione di ricusazione dei componenti del Collegio giudicante ex art. 38 c.p.p., comma 2, chiedendo alla Corte di consentire un rinvio di almeno 3 giorni per consentire il deposito in cancelleria della predetta dichiarazione in forma scritta.

Il Collegio, preso atto della predetta dichiarazione, ha invitato le parti a presentare le rispettive conclusioni, dopodichè, stante lo sbarramento di cui all'art. 37 c.p.p., comma 2, ha rinviato il processo in prosecuzione all'udienza del giorno 11 settembre 2019, ore 15:00 in attesa della decisione da parte del Giudice competente sulla predetta dichiarazione di ricusazione.

Il giorno 18 luglio 2019 è stata depositata nella Cancelleria di questa Corte la dichiarazione scritta di ricusazione a firma dell'imputato B.F. ed in pari data la Sesta Sezione penale della Corte di cassazione ha dichiarato inammissibile detta ricusazione, condannando l'imputato al pagamento della somma di Euro 1.500 in favore della Cassa delle ammende.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso formulato del Procuratore Generale è manifestamente infondato.

Va detto subito che i fatti-reato di appropriazione indebita in contestazione agli imputati, procedibili d'ufficio all'epoca della loro consumazione per effetto della circostanza aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 11, sono divenuti perseguibili a querela di parte a seguito dell'emanazione del D.Lgs. 10 aprile 2018, n. 36, art. 10 che ha abrogato l'art. 646 c.p., comma 4.

Il Segretario Federale e legale rappresentante del partito politico (OMISSIS) interessato dalla vicenda, ricevuta l'informativa di cui all'art. 12, comma 2, del citato D.Lgs., ha quindi presentato in data 27 novembre 2018 tempestiva e formale querela nei confronti del solo imputato B.F. "con specifico riferimento alle contestazioni di cui ai capi da 86 a 297" ma non nei confronti di Bo.Um., di Bo.Re. e dello stesso B.F. per i capi da 1 a 85 della rubrica delle imputazioni.

In relazione alla situazione descritta, come già sopra evidenziato, la Corte di appello ha dichiarato non doversi procedere per mancanza di querela nei confronti di Bo.Um. e di Bo.Re. in relazione ai reati loro rispettivamente ascritti e nei confronti di B.F. con riferimento alle imputazioni da 1) a 85), con esclusione peraltro delle imputazioni in relazione alle quali era già stata pronunciata sentenza di assoluzione dal Tribunale di Milano e di quelle in relazione alle quali era già stata dichiarata dal Tribunale l'estinzione per prescrizione.

I Giudici distrettuali così testualmente hanno motivato la loro decisione sul punto:

"Non può... essere accolta l'interpretazione estensiva abbracciata dal Procuratore Generale tesa a sostenere che la presentazione della querela nei confronti del B. per i capi da 86 a 297 abbia l'effetto di estendere anche agli altri coimputati l'atto di querela, nonostante la diversa manifestazione di volontà espressa dalla persona offesa dal reato.

Il concorso nel reato dei tre imputati, affermato nel cappello preliminare all'imputazione, viene poi, infatti, articolato e descritto nei singoli capi di imputazione, che vengono suddivisi in tre distinte parti.

La prima sezione, ove viene contestato il concorso tra Bo.Re., Bo.Um. e B.F., comprende i capi intercorrenti dal n. 1) al n. 69), la seconda sezione, ove viene contestato il concorso tra Bo.Um. e B.F., comprende i capi dal n. 70) al n. 85) e la terza sezione, ove sono previste singole imputazioni a carico del solo B.F., comprende i capi dal n. 86) al n. 297).

Non vi è dubbio che la terza sezione comprenda fattispecie mono-soggettive a carico del B., dato che la stessa sentenza del tribunale così le definisce (vedi a pag. 30 della sentenza) e considerato che l'introduzione dell'imputazione, che prevede il concorso degli imputati, viene poi precisata nelle successive sezioni dell'impianto accusatorio, con l'analitica specificazione degli imputati di volta in volta ritenuti concorrenti nelle varie contestazioni.

Non è pertanto possibile sostenere che l'aver presentato S.M., in qualità di Segretario Federale e legale rappresentante della (OMISSIS), querela nei confronti di B.F.: "con specifico riferimento alle contestazioni di cui ai capi da 86 a 297" e quindi con riferimento a capi di imputazione ben individuati e contestati a B. senza il concorso con gli altri imputati, possa portare ad estendere l'azione penale nei confronti di tutti gli imputati".

Ciò doverosamente premesso, occorre partire dal dettato dell'art. 123 c.p. il quale dispone testualmente che "la querela si estende di diritto a tutti coloro che hanno commesso il reato".

Questa Corte di legittimità, al riguardo, ha già avuto modo di chiarire, con un assunto che anche l'odierno Collegio ritiene di condividere, che "... ai sensi dell'art. 123 c.p. per il principio dell'unicità del reato concorsuale, la querela sporta contro uno dei compartecipi si estende a tutti coloro che hanno commesso il reato. Ne deriva che nessuna improcedibilità deriva dal fatto che la persona offesa abbia sporto querela soltanto contro uno o alcuni degli autori del reato, escludendone gli altri, poichè la querela dispiega "ope legis" i propri effetti nei confronti di tutti i soggetti che hanno concorso a commettere il reato, anche senza, ed eventualmente contro, la volontà del querelante. Infatti la querela è condizione di punibilità del fatto-reato, e non di uno o di taluno soltanto degli autori; con essa si rimuove soltanto l'ostacolo della perseguibilità di taluni reati, restando al pubblico ministero il potere di accertamento e di persecuzione dei rei, sicchè la querela tempestivamente proposta, conserva valore nei riguardi di coloro che, non indicati inizialmente, risultino poi autori o compartecipi del reato" (Sez. 3, n. 1654 del 28/11/1997, dep. 1998, Verrastro, Rv. 209570).

Quanto affermato è deducibile anche dal testo dell'art. 336 c.p.p. che testualmente recita "La querela è proposta mediante dichiarazione nella quale, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, si manifesta la volontà che si proceda in ordine a un fatto previsto dalla legge come reato" atteso che, se il legislatore avesse voluto legittimare il potere del querelante di selezionare tra gli autori di un reato quelli nei confronti dei quali richiedere che si proceda, non solo non avrebbe formulato il vigente testo dell'art. 123 c.p. ma anche nell'art. 336 c.p.p. avrebbe usato un'espressione del tipo "manifesta la volontà che si proceda contro l'autore di un reato" e non avrebbe richiamato genericamente il "fatto previsto dalla legge come reato".

A questo punto, dato per assodato che la querela determina la condizione di procedibilità del "reato" alla quale consegue poi l'individuazione e la punizione di tutti i suoi autori (che sarà invece l'Autorità Giudiziaria ad individuare) e che in presenza di più fatti-reato perseguibili a querela rimane nel potere del querelante scegliere per quali reati formulare richiesta affinchè si proceda, il focus della questione giuridica si deve spostare nel verificare se nel caso in esame ci si trova in presenza di un unico reato concorsuale, ovvero in presenza di una pluralità di fatti-reato, ciò perchè sempre questa Corte di legittimità ha già avuto modo condivisibilmente di chiarire che "Il principio dell'"indivisibilità" della querela, stabilito dall'art. 123 c.p., trova il limite nel fatto-reato in essa considerato ed opera, quindi, unicamente rispetto ai soggetti che quel fatto hanno commesso... Condizione essenziale è, peraltro, che si tratti di concorso nello stesso reato. Pertanto, l'effetto estensivo non si verifica quando, pur trattandosi dello stesso titolo di reato e pur essendo identico l'oggetto, il reato venga posto in essere mediante fatti distinti da persone che non abbiano agito con una volontà associata" (Sez. 5, n. 8773 del 30/05/1994, Caselli, Rv. 199239).

E' però altrettanto evidente che tale valutazione non può certo dipendere solo da come il Pubblico Ministero abbia ritenuto di strutturare il capo di imputazione ma deve dipendere anche dall'accertamento dei fatti che consentano di affermare se ci si trovi o meno in presenza di condotte "concorsuali", cioè rientranti nell'alveo dell'art. 110 c.p..

Si tratta ora di applicare i principi generali sopra indicati al caso qui in esame.

Pacifico è, innanzitutto, che i 297 fatti contestati nell'imputazione sono autonomi episodi, ciascuno caratterizzato da un proprio ambito spazio-temporale, con la conseguenza che è ben possibile per la persona offesa selezionare quelli in relazione ai quali presentare querela.

La Corte di appello sul punto ha, poi, correttamente rilevato che il capo di imputazione de quo pur caratterizzato da un incipit generale nel quale è indicato anche l'art. 110 c.p. e sono descritti i ruoli di Bo.Um. e Re. (oltre a quello di Bo.Ri.), nonchè di B., distingue e separa in autonome sezioni le imputazioni "concorsuali" da quelle elevate ad uno solo degli imputati tanto è vero che:

- i fatti di cui ai punti da 1 a 20 sono indicati come commessi in concorso tra Bo.Re., Bo.Um. e B.F.;

- i fatti di cui ai punti da 21 a 69 sono indicati come commessi in concorso tra Bo.Ri., Bo.Um. e B.F.;

- i fatti di cui ai punti da 70 a 85 sono indicati come commessi in concorso tra Bo.Um. e B.F.;

- i fatti di cui ai punti da 86 a 297 sono imputati al solo B. e per essi non v'è alcuna menzione del concorso di altri.

Lo stesso Tribunale a pag. 30 della relativa sentenza, trattando delle imputazioni di cui ai punti da 86 a 297, parla di "contestazioni... come fattispecie monosoggettiva" anche se poi, trattando delle dichiarazioni del B., aggiunge a pag. 32 l'inciso " B. aveva ammesso di avere utilizzato - con il consenso del Segretario Federale - fondi della (OMISSIS) per far fronte a debiti personali (egli era all'epoca anche imprenditore operante in vari settori, da quello immobiliare a quello della ristorazione e della gestione di stabilimenti balneari) nei confronti di soggetti privati suoi creditori, ma anche dell'Erario".

La Corte di appello, nella sentenza che in questa sede ci occupa (cfr. pag. 13 e segg.), pur richiamando a sua volta il contenuto delle dichiarazioni del B. (pag. 18), ha mostrato, come detto, di condividere l'impostazione del Tribunale, sostanzialmente ritenendo la sussistenza di una diversità oggettiva tra i fatti contestati a titolo di concorso ai Bo. ed al B. da quelli contestati solo a quest'ultimo in tal modo addivenendo alla decisione contestata nel ricorso del Procuratore Generale.

Ritiene l'odierno Collegio che l'imputazione così come testualmente strutturata non sembra dare adito a dubbi - in claris non fit interpretatio - circa l'individuazione di "a chi" sono contestate le singole azioni di appropriazione indebita ed il fatto che il compendio probatorio - in particolare le menzionate dichiarazioni del B. nella parte in cui ha affermato che certe operazioni (in particolare se superiori ad un dato importo) non potevano essere effettuate senza il consenso del Segretario Federale - avrebbero potuto per ipotesi portare a ritenere un concorso di altro soggetto rispetto al B. nei fatti di cui ai punti da 86 a 297 giammai potrebbe portare ad un annullamento della sentenza impugnata.

Del resto, i Giudici di entrambi i gradi di merito erano inevitabilmente legati ai limiti decisionali tracciati dal Pubblico Ministero con la formulazione dell'imputazione e la conseguente ripartizione degli addebiti, pena il rischio di incorrere nella violazione di cui all'art. 522 c.p.p..

Se il Tribunale o la Corte di appello, nelle rispettive valutazioni di merito sul compendio probatorio, avessero ritenuto di ipotizzare una condotta concorsuale di Bo.Um. o di altri nei fatti-reato di cui ai capi da 86 a 297 la strada maestra sarebbe stata quella di disporre la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero per le sue determinazioni, ma giammai gli stessi avrebbero potuto motu proprio procedere nei confronti del Bo. per episodi allo stesso formalmente non contestati. Un conto è, infatti, l'estensione della procedibilità a tutti i concorrenti nel reato mentre ben altra è la questione della contestazione della relativa imputazione al soggetto "concorrente" che è idonea a garantire il pieno esercizio del diritto di difesa.

La Pubblica Accusa, dal canto proprio, ben avrebbe potuto autonomamente attivarsi, non essendole certo stata pregiudicata la possibilità di tentare di modificare (o di precisare) l'imputazione in sede dibattimentale di primo grado o di procedere all'instaurazione di autonomo processo nei confronti dell'eventuale concorrente e di certo non può dolersene in questa sede chiedendo un annullamento della sentenza impugnata che determinerebbe un inammissibile superamento di un dato oggettivo: ai Bo. ed in particolare ad Bo.Um. non risultano essere mai stati formalmente contestati i fatti di cui ai capi da 86 a 297.

In conclusione, il ricorso del Pubblico Ministero contiene corrette osservazioni in stretto punto di diritto circa la generale questione dell'estensibilità della querela ma gli indicati principi, per le ragioni evidenziate, non sono applicabili nel caso in esame il che, come detto, rende manifestamente infondato e, quindi inammissibile ex art. 606 c.p.p., comma 3, il relativo gravame.

2. Il primo motivo di ricorso formulato nell'interesse dell'imputato B., è manifestamente infondato.

Giova, innanzitutto, premettere che non è in questa sede in discussione il fatto che il B. abbia effettuato le spese ed i pagamenti oggetto di contestazione nei capi da 86 a 237 (limitatamente a quelli per i quali è intervenuta affermazione di penale responsabilità) atteso che risulta che l'imputato sul punto è confesso e, come evidenziato dai Giudici di merito, detta confessione ha ottenuto ampi riscontri anche di natura documentale.

La questione, verte, invece, sul fatto che nel predetto motivo di gravame si sostiene la tesi secondo la quale ben potrebbe un partito politico sostenere spese in favore del Segretario Federale (o di terzi) sempre che dette spese siano condivise dagli altri organi del partito, abbiano regolari giustificativi, siano annotate con causale fedelmente rispettosa della destinazione e trovino corretta sintesi nel rendiconto, così da rendere trasparente e conoscibile agli elettori ed in generale ai cittadini la scelta fatta dal partito di come utilizzare i rimborsi elettorali, con la conseguenza che non sarebbe quindi corretto ritenere che spese di vario genere, frequenti nel mondo della politica e riconducibili alle normali attività sociali e relazionali del partito siano considerate come configuranti il reato di appropriazione indebita.

La questione risulta essere stata ampiamente esaminata nella sentenza della Corte di appello di Milano (pag. 15 e segg.) e deve subito evidenziarsi che, contrariamente agli assunti difensivi e come correttamente evidenziato nella sentenza impugnata, larga parte dei prelievi di denaro dai fondi della (OMISSIS) risultano essere stati utilizzati dal B. per far fronte a debiti personali nei confronti di soggetti privati suoi creditori o dell'Erario e comunque a favore di soggetti che "nulla hanno a che vedere con la (OMISSIS)" e, per quanto riguarda le società "si trattava di enti con i quali il B. aveva debiti riconducibili ad operazioni immobiliari da lui intraprese, ovvero alla gestione di locali o stabilimenti balneari. Il tutto finalizzato al proprio guadagno personale".

Il motivo di ricorso che qui ci occupa non contraddice tali affermazioni dei Giudici di merito e, francamente, affermare che spese di tale natura (per non dire dei pagamenti per le violazioni al Codice della strada) possano essere ritenute riconducibili alle normali attività sociali e relazionali del partito appare a tal punto fuor di luogo da non essere meritevole di ulteriori osservazioni.

Quanto, poi, alle ulteriori spese di altra natura già il Tribunale (v. pag. 31 della relativa sentenza) - con una decisione richiamata anche dalla Corte di appello (pag. 17 della sentenza impugnata), aveva chiarito che "assolutamente generiche... oltre che prive di riscontro, (sono) le dichiarazioni secondo le quali le ingenti spese sostenute per la ristorazione (segnatamente a beneficio del (OMISSIS), in cui B. per sua stessa ammissione, aveva una cointeressenza) sarebbero tutte da riferire a "colazioni di lavoro" nell'interesse del partito, ovvero che le spese per gli articoli di gioielleria, fiori, armi ed attrezzature subacquee sarebbero tutte e comunque da ricol(OMISSIS)re a finalità istituzionali della (OMISSIS)".

In sostanza, il quadro che emerge a seguito degli accertamenti effettuati nella naturale sede del giudizio di merito è quello sia di spese di natura assolutamente personale sostenute dal B., sia di spese aventi natura potenzialmente rientrante in ampio concetto di "spese di rappresentanza" ma in relazione alle quali l'interessato non ha allegato alcun elemento per farle rientrare in tale categoria.

Del resto è fin troppo ovvio osservare che se si fosse trattato di spese rientranti nella normale attività di rappresentanza del partito, non solo le stesse sarebbero state correttamente contabilizzate con adeguati supporti documentali ma non si spiegherebbero le ragioni per le quali - come accertato dai Giudici di merito ed adeguatamente evidenziato nelle rispettive sentenze - B. era "letteralmente terrorizzato di essere rimosso dall'incarico di tesoriere della (OMISSIS), soprattutto a causa dei controlli che alcuni esponenti della (OMISSIS), ed in particolare C.R., membro del Comitato Amministrativo, volevano realizzare sull'intera gestione delle ricorse del partito, con il grave ed attuale rischio di portare alla luce le gravi irregolarità e le ingenti appropriazioni di fondi realizzate da B. in favore della famiglia Bo., oltre che in favore di sè stesso" (v. pag. 20 sentenza di appello).

A ciò si aggiungono i seguenti ulteriori elementi:

a) il B. era semplicemente il Segretario "Amministrativo" del partito al quale erano quindi demandati ai sensi dell'art. 25 dello Statuto principalmente poteri di gestione del patrimonio dello stesso, situazione che dal punto di vista penalistico determinava la creazione di una situazione di "possesso" rilevante ai sensi dell'art. 646 c.p. (cfr. in tal senso le condivisibili osservazioni del Tribunale a pag. 54 della relativa sentenza);

b) l'art. 24 dello Statuto della (OMISSIS) elenca le spese del movimento così determinandole: "spese generali federali, spese per la stampa, attività di informazione, di propaganda, editoria, discografia, emittenza radiotelevisiva e qualunque altro strumento di comunicazione; spese per campagne elettorali; investimenti; sovvenzioni a sostegno di altri movimenti autonomisti; ogni altra spesa inerente le finalità del Movimento, comprese le spese delle Sezioni Nazionali e Provinciali".

Detti elementi hanno correttamente portato i Giudici di merito a rilevare che quelle oggetto delle imputazioni elevate al B. sono spese estranee allo statuto del partito.

In un simile quadro, si inserisce la problematica più di vasta portata e ribadita anche nel ricorso che in questa sede ci occupa circa i limiti nell'uso dei fondi erogati ai partiti politici in forza della L. 3 giugno 1999, n. 157, che regola il rimborso per le spese elettorali) soprattutto con riguardo alla possibilità per i partiti di derogare ai limiti posti dai singoli statuti.

Ritiene, tuttavia, l'odierno Collegio che nel caso in esame si tratta di una questione priva di pratica rilevanza.

Non è, infatti, qui in discussione l'uso che il partito politico può fare dei contributi ricevuti in forza della legge citata, questione che involge i rapporti tra i partiti e lo Stato che eroga tali somme, ma il ben diverso rapporto di natura privatistica che (OMISSIS) alcune figure del partito e la gestione dei fondi dello stesso secondo i precisi limiti del relativo Statuto.

Per essere ancora più chiari: un conto è la eventuale possibilità per il partito di "allargare" l'ambito di utilizzazione dei fondi ricevuti, ma se lo vuol fare occorre una delibera ad hoc del partito stesso che manifesti tale specifica intenzione e che modifichi lo Statuto nel senso desiderato, ed altro è che i soggetti chiamati ad amministrare il partito ed i suoi fondi compiano operazioni che, travalicando i limiti statutari, si risolvono in una indebita appropriazione di fondi per ragioni personali.

Essendo i partiti politici associazioni private non riconosciute, prive di personalità giuridica e dunque regolate dall'art. 36 c.c., e segg., gli stessi infatti dispongono per effetto dei contributi di un patrimonio proprio (denominato "fondo comune" dall'art. 37 c.c.) che rimane separato sia da quello degli associati che da quello delle persone fisiche che compongono gi organi statutari.

Il richiamo all'art. 49 Cost. contenuto nel motivo di ricorso che in questa sede ci occupa è, pertanto, del tutto improprio, non essendo come detto, qui in discussione la ben diversa libertà dei cittadini che si associano in partiti politici ed il rapporto di questi verso lo Stato perchè in questo caso il partito non è il soggetto agente ma è la persona offesa dalla condotta dei propri rappresentanti.

Corretta e condivisibile è, quindi, l'osservazione operata dalla Corte di appello (pag. 15 della sentenza impugnata) che, dopo avere esaminato il contenuto della sentenza n. 10094 del 15 maggio 2015 delle Sezioni Unite Civili di questa Corte che ha ricostruito l'evoluzione normativa dei finanziamenti ai Partiti ed ha sancito l'assenza di qualsivoglia vincolo di destinazione delle somme percepite da un partito a titolo di rimborso per spese elettorali, ha evidenziato che dalla mancanza di un vincolo di destinazione pubblicistica delle somme erogate ai Partiti politici a titolo di rimborso delle spese elettorali, non può farsi discendere una totale libertà di utilizzazione delle somme in questione anche con atti di disposizione patrimoniale che danneggino la consistenza patrimoniale del Partito stesso.

3. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso formulato nell'interesse dell'imputato B. nel quale sono denunciati vizi di motivazione della sentenza impugnata in relazione all'omessa considerazione del disavanzo positivo di cassa e della somma di 284 mila Euro utilizzata per esigenze del partito (OMISSIS).

La questione era stata posta con i motivi di appello ed alla stessa vi ha dato risposta la Corte di appello alle pagg. 28 e 29 dell'impugnata sentenza, congruamente motivando proprio sotto i profili dedotti da parte ricorrente. Inoltre detta motivazione, non è certo apparente, nè "manifestamente" illogica e tantomeno contraddittoria.

Per contro deve osservarsi che parte ricorrente, sotto il profilo del vizio di motivazione nella valutazione del materiale probatorio, tenta in realtà di sottoporre a questa Corte di legittimità un nuovo giudizio di merito sul punto.

Al Giudice di legittimità è infatti preclusa - in sede di controllo della motivazione - la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti e del relativo compendio probatorio, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell'ennesimo giudice del fatto, mentre questa Corte Suprema, anche nel quadro della nuova disciplina introdotta dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, è - e resta - giudice della motivazione.

In sostanza, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965).

In punto di fatto si impone solo una considerazione: il ricorso, a dir del vero assai generico sul punto, tende a sostenere che non sono state adeguatamente prese in considerazione poste positive presenti nel patrimonio del Partito.

Ora, fermo restando che non è detto che gli atti di appropriazione indebita per essere considerati come tali avrebbero dovuto portare al totale svuotamento delle casse del Partito, e che, come evidenziato, ci si trova in presenza di operazioni del B. pacificamente integranti il reato di cui all'art. 646 c.p., neppure parte ricorrente risulta aver dimostrato la provenienza delle somme facenti parte delle poste attive ed il loro col(OMISSIS)mento ai fini di ripianamento della situazione con le somme oggetto di contestata appropriazione.

Quanto poi, alla somma di 284 mila Euro che la teste D.N. avrebbe dichiarato essere stata destinata dal B. al pagamento in contanti di forniture di beni e servizi nell'interesse della (OMISSIS) (così come emergente dal rapporto "(OMISSIS)" redatto dalla società privata PWC) la Corte di appello, con motivazione congrua e logica nonchè rispondente ai principi di diritto in materia enunciati da questa Corte di legittimità, ha rilevato testualmente quanto segue (pag. 29 della sentenza impugnata): "L'imputato non ha fornito alcuna spiegazione al dato in questione, nonostante la sua vicinanza alla prova e il totale disordine contabile riscontrato dai consulenti e dalla società privata PWC può essere considerato un elemento giustificativo dell'indicata discrepanza, potendo anche non essere esatta l'indicazione contabile di partenza".

In punto di diritto appare solo doveroso ricordare che il "principio di vicinanza della prova", contestato dalla difesa del ricorrente, è ben noto in dottrina ed in giurisprudenza (v. Sez. 2, n. 7484 del 21/01/2014, Baroni, Rv. 259245), essendo stato chiarito che "in tema di distribuzione dell'onere probatorio, spetta alla pubblica accusa la prova del reato; tuttavia, ove l'imputato deduca eccezioni o argomenti difensivi, spetta a lui provare o allegare, sulla base di concreti ed oggettivi elementi fattuali, le suddette eccezioni perchè è l'imputato che, in considerazione del principio della cd. "vicinanza della prova", può acquisire o quantomeno fornire, tramite l'allegazione, tutti gli elementi per provare il fondamento della tesi difensiva".

Ciò vale naturalmente più in generale anche con il problema legato alla effettiva destinazione di tutte le somme contestate al B. (anche alla luce della confessione dallo stesso resa) relative a pranzi, cene, acquisti di beni di varia natura in relazione al quale la Corte di appello ha correttamente richiamato il contenuto della sentenza appena indicata secondo la quale "in tema di appropriazione indebita, l'imputato che neghi la sussistenza della condotta ascrittagli ha l'onere di provare o allegare, non un fatto negativo, consistente nel mancato accadimento di quanto gli è addebitato, e segnatamente nella mancata appropriazione, ma specifiche circostanze positive contrarie a quelle provate dalla pubblica accusa, dalle quali possa desumersi che il fatto in contestazione non è avvenuto".

4. Manifestamente infondato è, infine, anche il terzo motivo di ricorso formulato nell'interesse dell'imputato B. nel quale sostanzialmente si deduce l'improcedibilità dell'azione penale nei confronti dell'imputato in quanto si sarebbe precedentemente determinata una rinuncia tacita alla querela ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 124 c.p., commi 2 e 3.

Va detto subito che trattasi di questione che la difesa del ricorrente non ha documentato di avere specificamente sottoposto alla Corte di appello nonostante abbia avuto la possibilità di farlo attraverso la presentazione "motivi nuovi" ex art. 585 c.p.p., comma 4, stante l'intervenuta riforma normativa successiva alla scadenza del termine per la presentazione dei motivi originari di appello, ma antecedente alla celebrazione del giudizio, atteso che la querela risulta essere stata proposta dal legale rappresentante del Partito (OMISSIS) in data 27 novembre 2018 e che il giudizio di appello si è celebrato in data 23 gennaio 2019 e ciò ne comporterebbe ex sè la declaratoria di inammissibilità ex art. 606 c.p.p., comma 3, ultima parte.

In ogni caso e per solo dovere di completezza, ritiene il Collegio di evidenziare che nel caso in esame non ricorre un'ipotesi di rinuncia tacita alla presentazione della querela atteso che per potersi parlare di rinuncia tacita ex art. 124 c.p., commi 2 e 3, deve emergere in modo chiaro ed univoco la volontà di non querelarsi.

Orbene tali elementi non possono certo rilevarsi nel fatto che il Partito abbia approvato i bilanci per le annate oggetto di contestazione, atteso che emerge pacificamente dalle sentenze di merito (v. in particolare pagg. 19 e 20 della sentenza di appello) la totale inattendibilità dei rendiconti depositati dal Movimento Politico per gli esercizi 2008, 2009, 2010 e 2011 unita all'assidua preoccupazione (emergente anche dalle conversazioni intercettate) che venissero alla luce le gravi irregolarità e le ingenti appropriazioni realizzate dal B. in favore della famiglia Bo. oltre che in favore di sè stesso. Ci si trova quindi di fronte ad una approvazione di bilanci contenenti dati artefatti che giammai potrebbe essere considerata alla stregua di una ratifica delle condotte di appropriazione indebita contestate.

Il fatto, poi, che il partito non si sia attivato per denunciare le condotte di appropriazione indicate nei capi di imputazione è del tutto irrilevante atteso che in origine si trattava di fatti-reato perseguibili d'ufficio scoperti attraverso un'autonoma attività di investigazione portata avanti dalle competenti Autorità. Del resto, l'assunto difensivo è smentito dal fatto che appena si è reso necessario a seguito dell'intervenuta riforma dell'art. 646 c.p. il Partito per mezzo del suo legale rappresentante si è attivato nel presentare formale e tempestiva querela.

Del tutto irrilevante è, infine, anche il fatto che il Partito non abbia ritenuto di costituirsi parte civile nel processo. Trattasi di una libera scelta del "se" e del "come" tutelare i propri interessi economici che è cosa ben diversa dal richiedere che si proceda in relazione ad un determinato reato e che non equivale di certo ad una rinuncia tacita a presentare una querela che, come si è detto, al momento in cui il processo ebbe ad iniziare non era neppure richiesta.

5. Per le considerazioni or ora esposte, dunque, entrambi i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili.

6. Alla inammissibilità del ricorso dell'imputato B. consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonchè, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergente dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186) al versamento della somma ritenuta equa di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso del Procuratore Generale.

Dichiara inammissibile il ricorso di B.F. che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 11 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2020

Appropriazione indebita: condannato il segretario di partito che utilizzava il rimborso delle spese elettorali per far fronte a debiti personali

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