Appropriazione indebita: il reato si consuma all'atto di cessazione della carica dell'amministratore
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Cassazione penale sez. II, 09/02/2021, n.11323

Nel caso di appropriazione indebita di somme di denaro relative ad un condominio da parte dell'amministratore, il reato si consuma all'atto della cessazione della carica, sicché la circostanza aggravante di cui all'art. 61, n. 7, c.p. deve essere valutata con riferimento all'unicità del danno subito dal condominio, a prescindere dai singoli segmenti di condotta progressivamente posti in essere.

La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO
La CORTE d'APPELLO di MILANO, con sentenza del 17/6/2019, ha confermato la sentenza pronunciata dal TRIBUNALE di MILANO in data 19/11/2018 nei confronti di B.E. in relazione al reato di cui all'art. 646 c.p..

1. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l'imputato che, a mezzo del difensore, ha dedotto i seguenti motivi.

1.1. Violazione di legge in relazione all'art. 646 c.p. Nel primo motivo la difesa rileva che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di appropriazione indebita in quanto il ricorrente non aveva lo scopo di trarre per sé o per altri una illegittima utilità, ma soltanto di utilizzare le somme oggetto di imputazione per recuperare i costi di gestione di altri condomini, ciò per coprire i costi della sua attività professionale in un periodo di difficoltà economica e con l'intento di restituirle non appena ne avesse avuto la possibilità.

1.2. Vizio di motivazione, anche sotto il profilo del travisamento della prova, in ordine alla ritenuta responsabilità dell'imputato. Nel secondo motivo la difesa rileva la mancanza, contraddittorietà ovvero manifesta illogicità della motivazione con specifico riferimento al mancato rilievo attribuito alla situazione concernente l'attività professionale dell'imputato, ovvero in relazione all'oggettiva difficoltà economia in cui questo versava. Situazioni queste specificamente dedotte in appello e che erano rilevanti ai fini della rilevanza penale della condotta e della sussistenza dell'elemento psicologico.

1.3. Violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità. Nel terzo motivo la difesa rileva che la Corte territoriale, considerando come unico il danno, in realtà determinato da una serie di condotte distinte, commesse in continuazione, avrebbe erroneamente applicato l'art. 61 c.p., n. 7.

1.4. Vizio di motivazione in ordine al rigetto del motivo di appello nel quale veniva richiesto di considerare prevalenti all'aggravante contestata le già concesse attenuanti generiche. Nel quarto e ultimo motivo la difesa rileva che la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare le difficoltà economiche nelle quali versava l'attività professionale dell'imputato. Elemento questo di rilievo quanto alla valutazione della complessiva gravità del fatto.

2. In data 25 gennaio 2021 sono pervenute le conclusioni scritte nelle quali il Procuratore Generale, in persona del Sost. Proc. Gen. Dott.ssa Valentina Manuali, chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso é inammissibile.

1. Nel primo e nel secondo motivo la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione, anche sotto il profilo del travisamento della prova, in ordine alla ritenuta responsabilità dell'imputato.

In specifico il ricorrente rileva che non costituirebbe reato, e d'altro canto difetterebbe sul punto l'elemento psicologico, la condotta dell'amministratore che, come nel caso di specie il B., utilizzi le somme ricevute dai condomini per effettuare, in un periodo di difficoltà economica, pagamenti relativi ad altri immobili dallo stesso amministrati.

La doglianza é manifestamente infondata.

Come correttamente evidenziato dalla pacifica giurisprudenza di legittimità anche in ipotesi analoghe a quella di specie, infatti, configura il reato di appropriazione indebita la condotta di chi, violando il vincolo di destinazione, utilizzi il denaro per esigenze diverse da quelle per le quali questo é stato conferito (cfr. diffusamente in Sez. 2, n. 57383 del 17/10/2018, Beretta, Rv. 274889 e da ultimo Sez. 2, n. 19519 del 15/01/2020, Grassi, Rv. 279336 e Sez. 2, n. 12618 del 13/12/2019, dep. 2020, Marcoaldi, Rv 278833).

Sotto tale profilo, pertanto, la distrazione del denaro ricevuto dai condomini e utilizzato per esigenze di altri immobili amministrati, ammessa dall'imputato, é stata correttamente qualificata come appropriazione indebita dai giudici di merito (cfr. Sez. 2, n. 50672 del 24/10/2017, Colaianni, Rv 271385; Sez. 2, n. 24857 del 21/4/2017, Forte, 270092; Sez. 2, n. 12869 del 8/3/2016, Pigato, Rv 266370).

Né d'altro canto la doglianza coglie nel segno sotto il profilo della insussistenza dell'elemento psicologico.

La distrazione delle somme, infatti, come ammesso, é stata effettuata consapevolmente con lo scopo di favorire altri condominii e per ovviare così alle difficoltà economiche nelle quali versava la propria attività professionale, cioè proprio per procurare a sé o ad altri l'ingiusto profitto richiesto dalla norma.

2. Nel terzo motivo la difesa deduce la violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità in quanto i giudici di merito avrebbero considerato come unico il danno, in realtà determinato con una serie di condotte distinte, commesse in continuazione.

La doglianza é manifestamente infondata.

La valutazione in ordine alla sussistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 7, come correttamente evidenziato dalla Corte territoriale e pure nel solco dei principi enucleati da Sez. U, Sentenza n. 3286 del 27/11/2008, dep. 2009. Chiodi, Rv. 241755, deve essere effettuata in considerazione della peculiarità delle modalità di commissione del reato e della diversa incidenza, laddove questo sia stato commesso con una pluralità di condotte, dell'istituto della continuazione nella determinazione del danno.

Il reato di appropriazione indebita in danno di un condominio, infatti, se pure commesso con una serie di operazioni, presenta dei profili di specificità che impongono di procedere, come effettuato nel caso di specie, a una valutazione caso per caso.

La circostanza che il reato non si consumi al momento in cui viene posta in essere la singola condotta quanto, piuttosto, all'atto della cessazione della carica - in quanto in tale momento, in mancanza di restituzione degli importi, si verifica l'interversione del possesso (da ultimo Sez. 2, n. 19519 del 15/01/2020, Grassi, Rv. 27933)- infatti, é significativa dell'unitarietà dell'azione complessivamente posta in essere della quale le singole apprensioni/distrazioni, se pure per altri versi autonomamente rilevanti, sono dei segmenti.

In tale situazione, d'altro canto, e sempre con riferimento alla valutazione della consistenza del danno, si aggiunge il fatto che il soggetto che subisce il danno é unico, il condominio, di talché una valutazione parcellizzata dello stesso non avrebbe ragion d'essere, ciò soprattutto con riferimento a condotte analoghe.

Ragioni queste per le quali in conclusione - pure a fronte della suddivisione delle condotte nelle tre "macro aree" indicate dal primo giudice ai fini della quantificazione della pena (disposizione di bonifici per un importo già da solo sufficiente di 58.991,57 Euro; emissione di assegni bancari per 12.517,30 Euro; mancato versamento su conti correnti del condominio per 5.520,00 Euro, cfr. pag. 3 e 5 della sentenza di primo grado) - la circostanza aggravante é stata correttamente ritenuta dai giudici di merito per l'ammanco complessivo del condominio, pari a 77.028,87 Euro.

3. Nel quarto motivo il ricorrente deduce il vizio di motivazione in ordine al rigetto del motivo di appello nel quale veniva richiesto di considerare prevalenti all'aggravante contestata le già concesse attenuanti generiche.

Nella valutazione complessiva della gravità del reato, infatti, la Corte territoriale avrebbe omesso di tenere nella dovuta considerazione le ragioni per le quali l'imputato aveva commesso il reato, cioè le difficoltà economiche nelle quali versava l'attività professionale dello stesso.

La doglianza é manifestamente infondata.

La sentenza impugnata, con riferimento alla misura della pena inflitta all'imputato, contenuta per altro entro limiti prossimi al minimo edittale, infatti, fa buon governo della legge penale e dà conto delle ragioni che hanno guidato, nel rispetto del principio di proporzionalità, l'esercizio del potere discrezionale ex art. 132 c.p. della Corte di merito, e ciò anche in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche, tenuto conto, quanto a quest'ultimo aspetto, del danno complessivamente arrecato e alla reiterazione delle condotte.

Le censure mosse a tale percorso argomentativo, assolutamente lineare, sono meramente assertive e, in parte, orientate anche a sollecitare, in questa sede, una nuova e non consentita valutazione della congruità della pena (Sez. Un. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Rv. 266818).

La sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell'art. 62 bis c.p., d'altro canto, é oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talché la stessa motivazione, purché congrua e non contraddittoria, non può essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell'interesse dell'imputato (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, RV. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, RV. 248244; n. 42688 del 24/09/2008, Caridi, RV 242419).

Il giudice, nell'esercizio del suo potere discrezionale deve quindi motivare nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l'adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo. Pertanto il diniego delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente fondato anche sull'apprezzamento di un solo dato negativo, oggettivo o soggettivo, che sia ritenuto prevalente rispetto ad altri, disattesi o superati da tale valutazione perché in tal modo viene formulato comunque, sia pure implicitamente, un giudizio di disvalore sulla sua personalità (Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, RV. 265826; n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, RV. 249163; Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010, Straface, RV. 248737).

All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende che, ai sensi dell'art. 616 c.p. e considerati i profili di colpa, si ritiene di quantificare in Euro duemila.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2021

Appropriazione indebita: il reato si consuma all'atto di cessazione della carica dell'amministratore

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