Appropriazione indebita: momento e luogo di consumazione della fattispecie
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Tribunale Salerno sez. I, 10/07/2020, n.1175

Massima non presente

La sentenza integrale

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Ca.Ma. con citazione del 13/10/2017 veniva rinviato a giudizio per rispondere del reato di cui agli artt. 640 c.p., 646 c.p., 61 n. 2 c.p., 477 c.p., 482 c.p..

L'imputato era assente.

All'udienza celebrata in data 24/5/2018 il Giudice, ammessa la costituzione di parte civile, rinviava innanzi al presente Giudice Onorario nei termini di cui al verbale, qui richiamato. All'udienza del 26/4/2019, si rinviava disponendo la notifica alla persona offesa come da verbale, qui richiamato. All'udienza del 22/11/2019, aperto il dibattimento, acquisita documentazione, si rinviava disponendo la citazione dei testi. All'udienza del 14/2/2020, acquisite le sommarie informazioni, e documentazione afferente al recupero, si rinviava per la discussione. All'udienza del 10/7/2020, revocata l'ordinanza di ammissione dell'imputato a rendere esame, dichiarata l'utilizzabilità degli atti le parti concludevano come da verbale, qui richiamato.

Dalla disamina del materiale probatorio acquisito è emerso che Ga.Ra. aveva sporto querela depositata presso la Procura di Salerno in data 23/5/2014 per l'indebita detenzione della somma di danaro consegnata per il pagamento delle cartelle esattoriali. Aveva denunciato "in data 7/12/2012, dopo aver ricevuto la notifica di una cartella di pagamento (all. 1) emessa a seguito di un accertamento fiscale ,tutt'ora in fase di contenzioso presso la Corte di Cassazione, si recava presso gli uffici Eq. di Salerno. All'interno dei locali, in attesa del proprio turno, veniva avvicinato da tal Ca.Ma., il quale presentandosi quale procacciatore di affari, si promuoveva come soggetto idoneo e capace di seguire e risolvere problemi burocratici tra i quali quelli connessi a cartelle esattoriali di Eq.. L'esponente che aveva annotato il n. ro di telefono si rammentava del predetto Ca. quando in data 25/Ottobre/2013 veniva eseguito in suo danno pignoramento mobiliare per varie cartelle esattoriali, tra cui quella relativa al giudizio pendente presso la S.C. (all. 2). Pertanto lo contattava per poter ottenere la sospensione del pignoramento in atto, in attesa della pronuncia della Suprema Corte", "Quest'ultimo si proponeva, dietro modesto compenso, di eseguire e trattare la pratica e, a dimostrazione della sua serietà e competenza, depositava istanza per la rateizzazione del debito presso il competente ufficio Eq., istanza che successivamente veniva accolta, seppur parzialmente, e comunicata all'esponente unitamente al piano di ammortamento (all. 3). A questo punto il Ca. si diceva disponibile a trattare, anche, il prosieguo della pratica occupandosi del versamento delle rate di ammortamento. A tal proposito in data 12/12/2013, il Ga., alla presenza dell'architetto Dott. An.Ci., conferiva formale delega scritta al Ca. (all.4) e gli consegnava la somma di Euro 3000,00 in contanti per il pagamento delle prime due rate dell'importo rispettivamente di Euro 1.645,66, con scadenza 15/12/2013 e 1.219,46 con scadenza 15/01/2014; Successivamente, in data 14/1/2013, all'esponente veniva notificato atto di rinuncia al pignoramento eseguito in data 25/Ottobre/2013. Nei giorni seguenti il Ca. consegnava al denunciante copia delle ricevute di pagamento (all. 5) e lo invitava, più volte, a recarsi presso Eq. per completare, a suo dire, la pratica". "Il Dott. Po. presa visione della documentazione in possesso del Ga., li informava che la rinunzia al pignoramento era stata revocata in quanto il pagamento delle prime due rate del piano di ammortamento non trovava riscontro con le verifiche effettuate presso gli Uffici di Po.. Rappresentava loro che le ricevute di pagamento in possesso del Ga., stante le verifiche effettuate, dovevano considerarsi false". L'imputato, a cui aveva chiesto spiegazioni, aveva sostenuto, tra l'altro, che "il pagamento era stato effettuate presso l'ufficio postale di Eboli da un suo occasionale collaboratore. Pertanto si riservava di verificarne con attenzione l'operato e, qualora fosse risultato veritiero quanto affermato dal funzionario Eq., si impegnava, sin da quel momento, a risolvere il problema o a restituire l'intera somma ricevuta. Ad oggi il Ca., nonostante l'avvenuta revoca della sospensione del pignoramento (all. 6) non ha provveduto né al pagamento delle due rate per cui era stato delegato e per cui aveva ricevuto Euro 3.000,00 dal Sig. Ga., né alla restituzione della somma.". Ci.An., nel verbale di sommarie informazioni rese innanzi ai c.c. presso la Sezione di Polizia Giudiziaria della Procura di Salerno in data 20/2/2015, aveva confermato l'accaduto. Ib.Ja., in data 21/9/2012 aveva sporto denuncia querela presso i c.c. di Santa Cecilia di Eboli. Egli aveva dichiarato di aver consegnato a Ca.Ma. in data 29/30 giugno la somma di Euro 2.000,00, a titolo di cauzione per la locazione di un appartamento sito in via (...). Tale somma, pur richiesta non era stata restituita. Ar.Mi. in data 16/7/2012 aveva sporto querela presso i c.c. di Santa Cecilia di Eboli, per aver consegnato a Ca.Ma. in data 18/6/2012 la somma di Euro 1000,00 all'atto della sottoscrizione di ima proposta di contratto di locazione per un immobile sito in Eboli bivio di Santa Cecilia. Dopo aver appreso che l'immobile non era più disponibile, aveva richiesto la restituzione della somma di danaro già versata, di fatto non restituita. La documentazione prodotta in atti aveva confermato il denunciato (cfr documentazione in atti).

Così riassunti i fatti si osserva che la narrazione, benché sia stata articolata essenzialmente sul tenore delle affermazioni di soggetti titolari di un interesse antagonista con quello del giudicabile, è risultata coerente priva di evidenti incongruenze e perplessità che possano indurre a sospettare della veridicità, incisivamente concisa ed essenziale, costantemente volta a confermare la medesima versione dei fatti, di talché risponde senza dubbio positivamente ai canoni dettati dalla giurisprudenza al fine di valutare l'attendibilità intrinseca della deposizione, riscontrata, tra l'altro, nella produzione documentale e nell'ultronea dichiarazione.

All'uopo sulla valenza probatoria della deposizione testimoniale della persona offesa e della ammissibilità di assumere suddette dichiarazioni a fondamento della decisione, si osserva che la giurisprudenza di legittimità si è pronunciata sul punto, precisando che la testimonianza resa ha piena valenza probatoria, potendo rappresentare anche l'unico supporto probatorio a sostegno del libero convincimento del giudice, atteso che l'offeso gode di assoluta capacità di testimoniare. Certamente la posizione della persona offesa impone una rigorosa valutazione della intrinseca coerenza logica della narrazione resa, "ricorrendo all'utilizzazione ed all'analisi di qualsiasi elemento ricavabile dal processo che supporti concretamente il giudizio positivo di attendibilità, che deve essere affidato a circostanze fattuali oggettive, apprezzate e valutate, nella loro reale portata, dal giudice" (Cass. pen. sez. VI n. 13791/99, sez. I n. 13758/99).

Ciò posto, per il reato di cui agli artt. 640 c.p., (capi A-B d'imputazione), consumato in danno di Ar.Mi. ed Ib.Ja., l'accadimento ricostruito in atti, riportato in estrema sintesi ha evidenziato un accordo, avente ad oggetto la locazione di immobili perfezionatosi con il versamento della somma richiesta, (Euro 2000,00 consegnati da Ib.Ja. in data 29-30/6 a titolo di cauzione, ed Euro 1000,00, consegnati da Ar.Mi. in data 18/6/2012). Ha altresì evidenziato l'inadempimento della prestazione da parte dell'imputato, (consegna dell'immobile per consentirne l'utilizzo), caratterizzata ab origine da un intento malizioso, esorbitante i confini della buona fede, (correttezza o lealtà), nell'esecuzione del contratto implicante il dovere di realizzare l'interesse contrattuale della controparte o comunque di non arrecarle un danno "I principi di correttezza e buona fede nell'esecuzione e nell'interpretazione dei contratti, di cui agli artt. 1175,1366 e 1375 c.c., rilevano sia sul piano dell'individuazione degli obblighi contrattuali, sia su quello del bilanciamento dei contrapposti interessi delle parti. Sotto il primo profilo, essi impongono alle parti di adempiere obblighi anche non espressamente previsti dal contratto o dalla legge, ove ciò sia necessario per preservare gli interessi della controparte; sotto il secondo profilo, consentono al giudice di intervenire anche in senso modificativo o integrativo sul contenuto del contratto, qualora ciò sia necessario per garantire l'equo contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o reprimere l'abuso del diritto" (Cass. civ. n. 20106/2009).

Invero, non è revocabile in dubbio che l'attività contrattuale posta in essere abbia configurato un comportamento causalmente efficiente nel generare una trasfigurazione della realtà esterna, (artificio), per conferire credibilità alla negoziazione ed alla prestazione economica derivante, realizzata tramite la consegna di somme di danaro all'odierno imputato, non restituite.

Orbene, per i reati contestati è intervenuta la causa estintiva della prescrizione calcolata ai sensi degli artt. 157 c.p. e 160 c.p.

Tanto premesso, considerato che i fatti sono stati accertati in data 18/6/2012 ed in data 29/6/2012, si può sostenere che la prescrizione, calcolata nella sua massima estensione pari ad anni sette e mesi sei, sia intervenuta approssimativamente nel mese di dicembre dell'anno 2019.

Per i reati di cui agli artt. 646 c.p., 477 c.p., 482 c.p., (capo C d'imputazione), si rileva che il dato fattuale ha evidenziato la stipulazione di un negozio giuridico tra l'imputato ed il denunciante, consistito nell'assunzione dell'incarico professionale per la cura degli incombenti relativi al pagamento di due cartelle esattoriali di Eq. per un importo pari ad Euro 3000,00 consegnati dal denunciante. Ha altresì evidenziato che l'imputato aveva attestato il buon esito dell'incarico con la consegna al committente di due ricevute dell'avvenuto versamento della somma di Euro 3000,00, effettuato presso gli uffici delle poste italiane, prive di riscontro.

Posta tale premessa di ordine fattuale, nel merito delle singole imputazioni, per il reato di cui all'art. 646 c.p., si deduce che sono stati individuati elementi dotati di una pregnanza probatoria tale da sostenere con certezza l'indebito trattenimento della somma di Euro tremila, conseguita in ragione della relazione professionale esistente tra le parti, mediante l'esercizio di un potere uti dominus sulla stessa non aliunde giustificato, inequivocabilmente indicativo di un possesso inconferente con la conservazione della legalità, in quanto con l'omessa restituzione, nei termini innanzi rilevati, è stata descritta una detenzione qualificabile come univoco antecedente dell'esercizio di un dominio esclusivo incompatibile con il diritto del denunciante, in quanto eccedente le facoltà connesse agli originari accordi.

In punto di diritto si argomenta che la fattispecie di cui all'art. 646 cp consiste in una appropriazione intesa, quale comportamento rivelatore della volontà dell'agente di comportarsi nei confronti del bene come se ne fosse il proprietario, realizzando in tal modo l'interversione del possesso (Cass. pen. sez. II n. 13347/11), pertanto la mera violazione della prestazione restitutoria del bene appare insufficiente ad integrare un arbitrario impossessamento, ove non accompagnata da elementi ultronei al rifiuto e positivizzanti la volontà di fare propria la cosa (ad esempio venderla ad un terzo, consumarla, nasconderla etc.) (Cass. sez II n 218/72, sez. V n 673/83).

"Il reato di appropriazione indebita si consuma nel momento e nel luogo in cui l'agente, tiene consapevolmente un comportamento oggettivamente eccedente la sfera delle facoltà ricomprese nel titolo del suo possesso e incompatibile con il diritto del proprietario, in quanto significativo dell'immutazione del mero possesso in dominio (come, ad esempio, l'atto di disposizione del bene riservato al proprietario o l'esplicito rifiuto di restituzione della cosa posseduta). Ne consegue che il momento consumativo non è necessariamente integrato dalla mancata restituzione della cosa nel termine pattuito, potendo ad essa attribuirsi valore sintomatico di una condotta appropriativa pregressa. (Nel caso di specie, relativo alla mancata restituzione di libri da parte di un agente alla casa editrice, in violazione delle previsioni del contratto estimatorio, la Corte ha ritenuto consumato il delitto nel luogo in cui era esercitato il possesso dei beni e non in quello in cui la merce doveva essere restituita)" (Cass. pen., Sez. II, 11/07/2008, n. 31041).

Apprezzato che appare indubbio che sia stato descritto un accadimento materiale sussumibile nella fattispecie contestata dall'accusa, si rileva che il delineato accadimento sia oggettivamente e soggettivamente riconducibile all'imputato, parte del negozio giuridico.

È di tutta evidenza che l'imputato, non eseguendo l'incarico e trattenendo le spettanze del denunciante, a questo punto sine titulo, abbia assunto un comportamento, non altrimenti valutabile, se non nei termini del conseguimento di un ingiusto profitto.

"In tema di appropriazione indebita, l'intenzione di restituire il maltolto può far venire meno il dolo che informa tale reato solo a condizione che si manifesti al momento dell'abuso del possesso e sia accompagnata dalla certezza della possibilità di restituzione" (Cass. pen., sez. II, 22/02/2005, n. 9992/05).

Analoghe considerazioni valgono per la fattispecie di cui agli artt. 477 c.p., 482 c.p. Invero l'art. 477 c.p. disciplina il falso materiale commesso da pubblico ufficiale e si concretizza quando l'atto nella sua realtà fenomenica fa apparire come venuto ad esistenza un atto mai formato; mentre l'art. 482 c.p., pur costituendo una figura autonoma di reato e non una ipotesi attenuata rispetto al reato di cui all'art. 477 c.p., si differenzia da questi esclusivamente per la diversità del soggetto attivo del delitto, facendo riferimento alla commissione del falso da parte di un privato (Cass. pen. sez. V n. 46326/07).

Non è revocabile in dubbio che la formazione della documentazione contraffatta, consegnata al denunciante, abbia cristallizzato una circostanza inequivocabilmente idonea per ritenere configurato l'elemento materiale della fattispecie assunta violata, in quanto risulta incontrovertibile la formazione di un mendacio dotato dei requisiti sufficienti per carpire la buona fede sulla sua genuinità, pacificamente desumibile da una riproduzione escludente una imitazione del vero grossolana.

In effetti, premesso che deve trattarsi di una imitazione macroscopica, rilevabile ictu oculi da una persona dotata di comune discernimento ed avvedutezza, la formazione di un giudizio di valore positivo in merito all'esistenza di un falso innocuo risulta intrinsecamente compromessa da una percezione del falso costatata da soggetti dotati di strumenti di indagine non accessibili al cittadino comune.

Parimenti può ritenersi configurata la circostanza aggravante di cui all'art. 61 n. 2 c.p., sul presupposto del confezionamento di documenti non genuini per rappresentare fittiziamente il buon esito dell'incarico professionale e conseguentemente trattenere le somme "L'aggravante di cui all'art. 61 n. 2 c.p. intende punire la maggiore intensità della condotta delittuosa posta in essere dall'imputato, il quale pur di pervenire alla consumazione del reato-fine non arretra nemmeno di fronte all'eventualità di commettere anche un altro reato, così dimostrando una maggiore capacità criminosa. Ne consegue che proprio tale maggiore pericolosità rende indifferente che il reato-fine sia stato solo tentato o consumato, ovvero che allo stesso debba applicarsi una causa di non punibilità o di estinzione o di improcedibilità, in quanto ciò che rileva ai fini dell'applicabilità dell'aggravante è il rapporto che lega la commissione dei due reati" (Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 32688 del 1 agosto 2003).

Ritenuta la rispondenza tra il dato fattuale e la fattispecie violata, si evidenzia la riconducibilità della stessa all'odierno imputato, potendosi sostenere configurato l'elemento soggettivo, ovvero l'immutatio veri, in quanto l'intenzionale contraffazione della documentazione e la sua inescusabilità mutuano pacifica evidenza dalla natura dell'atto destinato a provare la veridicità di fatti vertenti su dati rilevanti per la definizione dell'iter, necessariamente noti, in quanto rientranti nella sfera cognitiva dell'imputato, incaricato di seguire la pratica.

Si ritiene che nel caso in esame non possa trovare accoglimento l'istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto previsto dal DLgs n. 28 del 16/3/2015 entrato in vigore in data 2/4/2015 con cui è stato introdotto l'art. 131 bis c.p.

Invero non sono stati prospettati elementi per ritenere la particolare tenuità dell'offesa, mancando informazioni idonee ad esprimere un siffatto giudizio di valore per una condotta avente quale presupposto un giudizio di pericolosità ed una imputazione plurima.

Tanto premesso, acclarata la responsabilità dell'imputato, valutati i criteri di cui all'art. 133 cp, concesse le attenuanti generiche in giudizio di prevalenza sulla contestata aggravante, in considerazione del fatto come emerso, ritenuta la continuazione tra i reati, avuto riguardo alle modalità spazio temporali della condotta certamente sorretta dall'unicità del programma criminoso, si stima equo comminare la pena di mesi due di reclusione ed Euro duecento di multa (pena base mesi due di reclusione ed Euro duecento di multa, diminuita per il riconoscimento delle attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante a mesi uno e giorni dieci di reclusione ed Euro centocinquanta di multa, aumentata per il reato avvinto di giorni venti di reclusione ed Euro cinquanta di multa).

Consegue per legge la condanna al pagamento delle spese processuali.

Ritenuti sussistenti i presupposti per la formulazione di un giudizio prognostico favorevole in merito all'astensione dal compimento di ulteriori reati, si concede il beneficio della sospensione condizionale della pena.

Per la costituita parte civile, Ga.Ra., avuto riguardo al periodo di pendenza del procedimento de quo ed alla notula di compenso, qui integralmente richiamata, si liquida la somma di Euro milleduecento per onorario e spese, oltre IVA e CPA, come per legge, se dovuti.

Si condanna altresì al risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede rilevandosi che tale pronuncia costituisce una mera declaratoria iuris (Cass. pen. sez. IV n. 7008/94).

Ai sensi dell'art. 537 c.p.p. va dichiarata la falsità dei bollettini di versamento in conto corrente postale acquisiti in atti e se ne dispone la totale cancellazione.

PQM
P.Q.M.
nei confronti di Ca.Ma., per i reati di cui ai capi A-B d'imputazione, letto l'art. 531 cpp dichiara non doversi procedere per intervenuta prescrizione estintiva del reato ascritto; per il capo C d'imputazione letto l'art. 533 cpp, concesse le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante e ritenuta la continuazione tra i reati, condanna l'imputato alla pena di mesi 2 di reclusione ed Euro 200,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.

Pena sospesa nei termini e condizioni di legge.

Per la costituita parte civile, Ga.Ra., liquida la somma di Euro 1200,00 per onorario e spese, oltre IVA e CPA come per legge se dovuti.

Condanna altresì al risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede.

Letto l'art. 537 cpp, dichiara la falsità dei bollettini di versamento in conto corrente postale in atti e ne dispone la cancellazione.

Motivazione contestuale.

Così deciso in Salerno il 10 luglio 2020.

Depositata in Cancelleria il 10 luglio 2020.

Appropriazione indebita: momento e luogo di consumazione della fattispecie

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