Appropriazione indebita: ne risponde il conduttore di appartamento che asporta gli arredi dell'immobile locato
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Cassazione penale sez. II, 09/04/2019, n.23176

Integra il reato di appropriazione indebita la condotta del conduttore di un appartamento che asporti dall'immobile oggetto di locazione i relativi arredi, senza che, ai fini della sussistenza dell'illecito, sia necessaria la formale richiesta di restituzione da parte del locatore, essendo sufficiente che a detti beni sia stata data dall'agente una diversa destinazione rispetto a quella originaria.

La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 20/09/2018, la Corte di appello di Milano confermava la pronuncia di primo grado resa dal Tribunale di Busto Arsizio in data 13/10/2017, con la quale F.M. era stata condannata alla pena di mesi due di reclusione ed Euro 200,00 di multa per il reato di tentata appropriazione indebita.

2. Avverso detta sentenza, propone ricorso per cassazione la difesa di F.M., i cui motivi vengono di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..

Lamenta la ricorrente:

- violazione di legge ex art. 606 c.p.p., lett. e), per carenze motivazionali (primo motivo);

- violazione di legge ex art. 606 c.p.p., lett. b), per insussistenza dell'elemento oggettivo e soggettivo in capo all'imputata (secondo motivo);

- violazione di legge in relazione all'art. 131-bis c.p. (terzo motivo);

-violazione di legge ex art. 606 c.p.p., lett. e), in relazione all'omessa pronuncia in ordine alla richiesta di concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena (quarto motivo).

2.1. In relazione al primo motivo, si censura la decisione impugnata che ha errato nella valutazione di attendibilità delle dichiarazioni rese in primo grado dalla teste B.K., in presenza di plurimi elementi capaci di smentire la credibilità sia oggettiva che soggettiva del narrato.

2.2. In relazione al secondo motivo, si evidenzia il difetto dell'elemento oggettivo del reato in quanto la F., al momento del fatto, non aveva il possesso del bene; inoltre, nella fattispecie, difetta anche l'elemento soggettivo del reato, non avendo l'imputata la consapevolezza di compiere un atto di disposizione su bene altrui.

2.3. In relazione al terzo motivo, si censura la sentenza impugnata che ha ritenuto inesistente l'esimente di cui all'art. 131-bis c.p. pur in presenza di un valore complessivo del bene oggetto di appropriazione indebita pari ad Euro 447,10, iva inclusa.

2.4. In relazione al quarto motivo, si censura la sentenza impugnata che ha omesso di motivare in ordine alla richiesta di riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena, negato nonostante la mancanza di gravità o allarme sociale nel comportamento della F..

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.

2. Occorre a tal fine premettere che la sentenza di appello deve essere considerata a tutti gli effetti una c.d. "doppia conforme" della decisione di primo grado, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, essendo stati rispettati i seguenti parametri: a) la sentenza di appello ripetutamente si richiama alla decisione del Tribunale; b) entrambe le sentenze di merito adottano gli stessi criteri nella valutazione delle prove (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595).

Nel ricorso viene innanzitutto dedotto, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il vizio di contraddittorietà, manifesta illogicità e carenza della motivazione.

2.1. La rilevabilità del vizio di motivazione soggiace alla verifica del rispetto delle seguenti regole:

a) il vizio deve essere dedotto in modo specifico in riferimento alla sua natura (contraddittorietà o manifesta illogicità o carenza), non essendo possibile dedurre il vizio di motivazione in forma alternativa o cumulativa; infatti non può rientrare fra i compiti del giudice della legittimità la selezione del possibile vizio genericamente denunciato, pena la violazione dell'art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c);

b) per il disposto dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il vizio della motivazione deve essere desumibile dalla lettura del provvedimento impugnato, nel senso che esso deve essere "interno" all'atto - sentenza e non il frutto di una rivisitazione in termini critici della valutazione del materiale probatorio, perchè in tale ultimo caso verrebbe introdotto un giudizio sul merito valutativo della prova che non è ammissibile nel giudizio di legittimità: di qui discende, inoltre, che è onere della parte indicare il punto della decisione che è connotata dal vizio, mettendo in evidenza nel caso di contraddittorietà della motivazione i diversi punti della decisione dai quali emerga il vizio denunciato che presuppone la formulazione di proposizioni che si pongono in insanabile contrasto tra loro, sì che l'accoglimento dell'una esclude l'altra e viceversa (Sez. 1, n. 53600 del 24/11/2016, dep. 2017, Sanfilippo e altro, Rv. 271635);

c) il vizio di motivazione della sentenza, per il disposto dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), può altresì emergere dalla lettura di un atto del processo. In tal caso, per il rispetto del principio di autosufficienza dell'impugnazione, onere della parte procedere alla allegazione dell'atto specificato che viene messo in comparazione con la motivazione (Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, Schioppo, Rv. 270071);

d) il vizio di motivazione deve presentare il carattere della essenzialità, nel senso che la parte deducente deve dare conto delle conseguenze del vizio denunciato rispetto alla complessiva tenuta logico-argomentativa della decisione. Infatti, sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965);

e) il vizio di manifesta illogicità della motivazione consegue alla violazione di principi della logica formale diversi dalla contraddittorietà o dei canoni normativi di valutazione della prova ai sensi dell'art. 192 c.p.p. ovvero all'invalidità o alla scorrettezza dell'argomentazione per carenza di connessione tra le premesse della abduzione o di ogni plausibile nesso di inferenza tra le stesse e le conclusioni.

2.2. Va, inoltre, osservato che in tema di ricorso per cassazione, le doglianze relative alla violazione dell'art. 192 c.p.p. riguardanti l'attendibilità dei testimoni dell'accusa, non essendo l'inosservanza di detta norma prevista a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, non possono essere dedotte con il motivo di violazione di legge di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), ma soltanto nei limiti indicati dalla lett. e) della medesima norma, ossia come mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulti dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti specificamente indicati nei motivi di gravame (Sez. 1, n. 42207 del 20/10/2016, dep. 2017, Pecorelli e altro, Rv. 271294).

2.3. Parimenti, non è denunciabile con ricorso in cassazione, la violazione di norme penali processuali sotto il profilo della lett. b) dell'art. 606 c.p.p., essendo tale disposizione attinente ai soli casi di erronea applicazione di norme penali sostanziali, e sotto tale ultimo profilo non è legittima la denuncia di vizi della motivazione surrettiziamente introdotti al di fuori dei circoscritti limiti dettati dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

2.4. Va ancora osservato che non può formare oggetto di ricorso per cassazione la valutazione di contrasti testimoniali, la scelta tra divergenti versioni ed interpretazione dei fatti e l'indagine sull'attendibilità dei testimoni, salvo il controllo di congruità e logicità della motivazione. Infatti, il giudizio sulla rilevanza ed attendibilità delle fonti di prova è devoluto insindacabilmente ai giudici di merito e la scelta che essi compiono, per giungere al proprio libero convincimento, con riguardo alla prevalenza accordata a taluni elementi probatori, piuttosto che ad altri, ovvero alla fondatezza od attendibilità degli assunti difensivi, quando non sia fatta con affermazioni apodittiche od illogiche, si sottrae al controllo di legittimità della Corte Suprema.

2.5. Nell'approcciarsi alla disamina che seguirà, deve altresì richiamarsi il costante insegnamento di questa Suprema Corte, secondo il quale, in presenza di un articolato compendio probatorio, non è consentito limitarsi ad una valutazione atomistica e parcellizzata dei singoli elementi, nè procedere ad una mera sommatoria di questi ultimi, ma è necessario, preliminarmente, valutare i singoli elementi indiziari per verificarne la certezza (nel senso che deve trattarsi di fatti realmente esistenti e non solo verosimili o supposti) e l'intrinseca valenza dimostrativa (di norma possibilistica) e successivamente procedere ad una esame globale degli elementi certi, per accertare se la - astratta - relativa ambiguità di ciascuno di essi isolatamente considerato, possa in una visione unitaria risolversi, consentendo di attribuire il reato all'imputato "al di là di ogni ragionevole dubbio" e cioè, con una alto grado di credibilità razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative astrattamente formulabili, siano prive di qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all'ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana (cfr., ex multis, Sez. 1, n. 20461 del 12/04/2016, Graziadei, Rv. 266941; Sez. 1, n. 44324 del 18/04/2013, Stasi, Rv. 258321; Sez. 1, n. 51457 del 21/06/2017, Taglio e altro, Rv. 271593).

Sulla base di questi principi va esaminato l'odierno ricorso.

3. Manifestamente infondato è il primo motivo.

La Corte territoriale, con motivazione del tutto congrua e priva di vizi logico-giuridici, ha riconosciuto come l'istruttoria dibattimentale avesse consentito di accertare come la persona offesa, Z.E., una volta ottenuto il rilascio di uno dei due immobili locati all'imputata F.M., aveva constatato come la cucina presente all'interno dell'appartamento già abitato dalla F. fosse stata smontata ed aveva altresì appreso che quest'ultima aveva autorizzato tale B.K., sublocataria di altra unità abitativa sempre di proprietà dello Z. ed anch'essa locata alla F., ad asportare la cucina dell'appartamento lasciato libero dalla F., così compensando la caparra della stessa F. e non restituita alla B..

Detta ricostruzione fattuale, e segnatamente che la cucina da smontare da parte della B. fosse proprio quella di proprietà dello Z., aveva trovato conferma nelle parole dell'imputata all'ufficiale giudiziario in data (OMISSIS) al momento della consegna delle chiavi dell'appartamento rilasciato, non potendo attribuirsi, all'evidenza, altro significato - nella valutazione della Corte territoriale - alla frase della donna che testualmente precisò "nell'appartamento si trova una cucina da smontare a cura della B....".

Per il resto, il motivo tende a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all'apprezzamento del materiale probatorio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito.

Invero, le conclusioni circa la responsabilità della ricorrente risultano adeguatamente giustificate dal giudice di merito attraverso una puntuale valutazione delle prove, che ha consentito una ricostruzione del fatto esente da incongruenze logiche e da contraddizioni: tanto basta per rendere la sentenza impugnata incensurabile in questa sede, non essendo il controllo di legittimità diretto a sindacare direttamente la valutazione dei fatti compiuta dal giudice di merito, ma solo a verificare se questa sia sorretta da validi elementi dimostrativi e sia nel complesso esauriente e plausibile.

Esula, infatti, dai poteri della Suprema Corte quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260; Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074).

In conclusione, non essendo evidenziabile alcuna delle pretese incongruità, carenze o contraddittorietà motivazionali dedotte dalla ricorrente, la censura, essendo incentrata, surrettiziamente, tutta su una rivalutazione di elementi fattuali e, quindi, di mero merito, va come detto - dichiarata manifestamente infondata.

4. Aspecifico è il secondo motivo.

La ricorrente si è limitata a riprodurre le medesime questioni già devolute in appello e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese, con motivazione del tutto coerente e adeguata che non è stata in alcun modo sottoposta ad autonoma e argomentata confutazione.

Costituisce, ormai, pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici.

4.1. Invero, la mancanza di specificità del motivo va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell'art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), alla inammissibilità della impugnazione (in tal senso, Sez. 2, n. 29108 del 15/07/2011, Cannavacciuolo non mass.; conf., Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 2, n. 19951 del 15/05/2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 1, n. 39598 del 30/09/2004, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, n. 15497 del 22/02/2002, Palma, Rv. 221693).

4.2. Nel merito della doglianza, si osserva come la Corte territoriale, dopo aver premesso che è preciso obbligo del locatario quello di restituire, al termine della locazione, l'immobile nelle medesime condizioni in cui lo aveva ricevuto - e, nella specie, completo degli arredi e degli altri beni ivi presenti - abbia riconosciuto la ricorrenza dell'elemento soggettivo del reato in contestazione in capo alla F., in presenza di una indiscutibile coscienza e volontà di appropriarsi della posseduta cosa mobile altrui, sapendo di agire senza averne diritto ed allo scopo di trarre per sè o per altri una legittima utilità.

Invero, la giurisprudenza di questa Suprema Corte ha riconosciuto che il godimento del conduttore di un immobile - e quindi il possesso del medesimo, inteso nel più ampio contenuto che acquista rilevanza per la legge penale - è limitato dalle clausole contrattuali relative allo uso della cosa ed alle sue modalità. La disponibilità dei mobili costituenti arredamento del bene locato da parte del conduttore non eccede i limiti segnati dall'uso; ma, se lo stesso conduttore sottrae tali mobili distogliendoli dalla loro originaria destinazione, si viene a costituire una nuova situazione giuridica, creata invito domino, da cui deriva una interversione del titolo del possesso, indipendentemente dalla formale cessazione del rapporto di locazione. Di tal che, non occorre da parte del locatore la previa richiesta di restituzione ovvero una diffida in tal senso, in quanto la volontà di interversione del titolo del possesso si è già manifestata - come avvenuto nella fattispecie con la diversa destinazione assegnata dall'imputata ai beni costituenti arredamento dell'immobile, con conseguente configurabilità a suo carico del reato di appropriazione indebita (cfr., Sez. 2, n. 4958 del 22/12/2011, dep. 2012, Accosta, Rv. 251807).

5. Caratterizzato da aspecificità oltre che da manifesta infondatezza è il terzo motivo.

Anche in relazione al medesimo, la Corte territoriale, con valutazione di merito discrezionale, assistita da non manifesta illogicità, ha ritenuto che il valore intrinseco del bene (Euro 447) fosse tale da escludere l'applicazione della particolare tenuità dell'offesa ex art. 131 bis c.p., in assenza di iniziative anche solo parzialmente risarcitorie da parte della ricorrente.

A fronte di dette argomentate conclusioni, quest'ultima si limita a reiterare inammissibilmente la richiesta di applicazione del beneficio senza confrontarsi con le valutazioni di merito operate in sentenza.

6. Generico e comunque manifestamente infondato è il quarto motivo.

La Corte territoriale correttamente omette di rispondere in ordine alla richiesta di riconoscimento della sospensione condizionale della pena in presenza di motivo di gravame proposto in termini del tutto generici ed assertivi, senza alcuna motivazione a supporto in ordine alla ricorrenza dei presupposti oggettivi e soggettivi e, come tale, del tutto inidoneo a consentire una valutazione (necessariamente impedita) in ordine alla meritevolezza del beneficio.

7. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell'art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro duemila.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 9 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2019

Appropriazione indebita: ne risponde il conduttore di appartamento che asporta gli arredi dell'immobile locato

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