Appropriazione indebita: ne risponde l'amministratore di condominio che senza autorizzazione fa confluire i soldi dei condomini su conto a lui intestato
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Cassazione penale sez. II, 17/10/2018, n.57383

L'amministratore di più condominii che, senza autorizzazione, faccia confluire i saldi dei conti attivi dei singoli condominii su un unico conto di gestione, a lui intestato, risponde del reato di appropriazione indebita, a prescindere dalla destinazione finale del saldo cumulativo ad esigenze personali dell'amministratore o ad esigenze dei condominii amministrati, in quanto tale condotta comporta di per sé la violazione del vincolo di destinazione impresso al denaro al momento del suo conferimento .

La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO
1.1 Con sentenza del 13.6.2016, resa nell'ambito del proc. pen. 445/2017 RGA, il Tribunale di Milano aveva riconosciuto B.C. responsabile del reato di cui all'art. 81 cpv. c.p., art. 646 c.p., art. 61 c.p., n. 7 e art. 11 c.p. (esclusi gli episodi relativi al Condominio di via (OMISSIS) con riguardo ai fatti del (OMISSIS); quelli di cui al decreto del 26.6.2012 per i fatti commessi dal (OMISSIS) e quelli di cui al capo c) della rubrica) sicchè, ritenuto il vincolo della continuazione tra i diversi fatti di reato e considerate le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, lo aveva condannato alla pena complessiva di anni 5 di reclusione ed Euro 4.800,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali; il Tribunale aveva inoltre condannato il B. a risarcire i danni patiti dalle costituite parti civili da liquidarsi, per ciascuna di esse, in separata sede ma liquidando, comunque, le provvisionali ivi indicate; lo stesso Tribunale aveva assolto il B. dai fatti di falso in scrittura privata e dichiarato non doversi procedere in merito ad altri episodi di appropriazione indebita in quanto ormai prescritti ovvero, per il fatto di cui al capo c) del decreto di citazione a giudizio del 26.6.2012, per intervenuta remissione della querela;

1.2 con sentenza del 6.7.2017, resa nell'ambito del proc. pen. 6216/17 RGA, il Tribunale di Milano aveva ritenuto B.C. responsabile di altri due episodi di appropriazione indebita e, pertanto, ritenuto anche in tal caso il vincolo della continuazione, esclusa la aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 7, lo aveva condannato alla pena di anni 2 e mesi 3 di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa, dichiarando nel contempo prescritti i fatti contestati al capo a) della rubrica commessi in data antecedente il (OMISSIS);

2. la Corte di Appello di Milano, con sentenza del 21.2.2018, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato in ordine ai fatti di appropriazione indebita di cui al procedimento n. 6216/2017 RGA perchè estinti per intervenuta prescrizione nonchè, inoltre, e per lo stesso motivo, ai fatti di appropriazione indebita di cui al procedimento n. 445/2017 commessi sino alla data del (OMISSIS); di conseguenza, ha rideterminato la pena inflitta al prevenuto in quella di anni 3 e mesi 1 di reclusione ed Euro 2.700,00 di multa confermando quindi nel resto le sentenze impugnate e condannando il B. a rifondere le spese del grado in favore delle costituite parti civili;

3. ricorre per Cassazione, tramite il difensore, B.C. lamentando:

3.1 inosservanza ed errata applicazione della legge penale ovvero di altre norme giuridiche di cui si debba tener conto nell'applicazione della legge penale, mancanza ovvero manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento oltre che dall'atto di appello e dalle ordinanze dibattimentali di primo grado impugnate in merito alla disposta sospensione del decorso del termine di prescrizione: richiama il motivo di appello che era stato articolato in merito alle ordinanze del 29.6.2015 e del 6.6.2016 del Tribunale rese nell'ambito del procedimento n. 445/2017 RGA e con cui aveva segnalato che il differimento dell'udienza era stato suggerito dalla opportunità di escutere gli ultimi testi di fronte al giudice che, come preannunziato, avrebbe sostituito quello che aveva sin'allora condotto il processo, ciò al fine di evitare eventuali rinnovazioni e, dunque, realizzare una economia di mezzi processuali; osserva che già all'udienza del 23.10.2015, di fronte al nuovo giudice, era stata segnalata la erroneità della declaratoria di sospensione del decorso dei termini di prescrizione e, in particolare, del riferimento operato dal giudicante al disposto di cui all'art. 159 c.p., n. 3, ciò non di meno ribadito all'udienza del 6.6.2016; sottolinea, dunque, la manifesta erroneità ed illogicità della sentenza della Corte di Appello di Milano che, nel ritenere infondata la censura, ha fatto riferimento alla possibilità di una "applicazione" del primo giudice per completare il processo; come, anche, alla possibilità della difesa di consentire alla rinnovazione della istruttoria mediante lettura delle dichiarazioni rese nel corso del processo; sottolinea come nel caso di specie il differimento non fosse stato sollecitato nell'interesse dell'imputato o del difensore ma era stato disposto per ragioni di opportunità che lo stesso giudicante avrebbe dovuto autonomamente cogliere e condividere;

3.2 inosservanza ed errata applicazione della legge penale ovvero di altre norme giuridiche di cui si debba tener conto nell'applicazione della legge penale, nello specifico l'art. 646 c.p.; contraddittorietà ed illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento in ordine alla sussistenza di tutte le condotte appropriative tanto sul piano oggettivo che sul piano dell'elemento soggettivo e difetto di motivazione con riferimento alla contestata responsabilità dell'imputato: anche in tal caso la difesa richiama i termini dell'atto di appello con cui era stata contestata l'impostazione della decisione del Tribunale che aveva indifferenziatamente ritenuto come fatti di appropriazione indebita tutte le condotte che si erano sostanziate nella fuoriuscita di denaro dai singoli conti correnti di ciascun condominio per confluire su quell'unico conto corrente, a lui intestato, ed utilizzato come conto "di gestione" dei pagamenti per tutti condomini da lui amministrati; segnala, allora, la erroneità della decisione impugnata con cui la Corte di Appello ha condiviso l'impostazione del giudice di primo grado giudicando irrilevante, ai fini del delitto in esame, che almeno parte delle somme confluite sul conto corrente "di gestione" fossero state effettivamente utilizzate per i pagamenti dovuti ai fornitori dei singoli condomini; sottolinea che la tematica dei pagamenti "incrociati" (ovvero eseguiti per talun condominio con i fondi di pertinenza di altro condominio) non era mai stata affrontata tant'è che la stessa Corte di Appello, dopo aver introdotto questa argomentazione, è tornata a parlare di pagamenti "cumulativi" (ovvero di pagamenti eseguiti per ciascun condominio con le somme cumulativamente confluite nel conto "di gestione") avendo infine, i giudici di merito, dovuto ammettere di non essere in grado di quantificare gli importi effettivamente "distratti" ovvero di cui egli si era effettivamente "appropriato" tanto che gli importi indicati nelle provvisionali erano nettamente inferiori rispetto a quelli indicati nei rispettivi capi di imputazione; rileva la inadeguatezza della motivazione anche in punto di elemento soggettivo del reato;

3.3 mancanza di motivazione risultante dal testo della sentenza impugnata, dall'atto di appello oltre che dalle deposizioni dei testi in relazione alla credibilità degli amministratori "pro tempore" subentrati nella gestione dei condomini: rileva come la Corte di Appello abbia respinto le censure articolate in merito alla attendibilità delle ricostruzioni contabili fornite dai nuovi amministratori condominiali nonostante fosse emersa, per taluno dei condomini, l'erroneità del metodo utilizzato e consistente nel sommare qualsiasi voce arbitrariamente ritenuta ammanco, considerando a tal fine, e procedendo ad una loro sommatoria, gli scoperti di conto, le fatture non pagate e gli assegni intestati al B. e "fuoriusciti" dal conto corrente condominiale; in particolare, la Corte non ha affatto "risolto" la censura che era stata sollevata con l'atto di appello ove si era già evidenziato quanto pure specificamente contestato nel corso del giudizio di primo grado, ovvero che i prelievi indebiti non potevano essere sommati con altre voci se non moltiplicando in maniera arbitraria gli importi sottratti;

3.4 inosservanza ed errata applicazione della legge penale ovvero di altre norme giuridiche di cui si debba tener conto nell'applicazione della legge penale, nello specifico l'art. 507 c.p.p.; mancanza ovvero manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento oltre dall'atto di appello e dall'ordinanza del 6.6.2016: rileva come la Corte di Appello abbia ritenuto non censurabile la decisione del Tribunale di non ammettere, ai sensi dell'art. 507 c.p.p., la documentazione offerta dalla difesa e rappresentata dalle copie "fronte retro" di tutti gli assegni tratti sul conto "di gestione" giudicando tale integrazione non necessaria e meramente defatigatoria; osserva che, al contrario, la impossibilità di ricostruire esattamente gli importi di cui esso ricorrente si sarebbe effettivamente "appropriato" risulta invece evidente come anche lo è l'impossibilità di accertare il "quantum" dell'elemento materiale del reato contestato; sottolinea l'erroneità della affermazione della Corte di Appello secondo cui la esistenza del delitto di appropriazione indebita sussisterebbe anche a prescindere dalla effettiva destinazione (di parte) delle somme per pagamenti relativi a debiti condominiali; di qui, anche la arbitrarietà della affermazione secondo cui l'imputato non avrebbe contribuito a ricostruire la destinazione e l'ammontare delle somme distratte essendo tale produzione finalizzata proprio a questo; ribadisce di non aver affatto disperso la "contabilità parallela" dimostrando, invece, di voler chiarire in maniera puntuale l'esatta entità delle ritenute "distrazioni";

3.5 inosservanza ed errata applicazione della legge penale ovvero di altre norme giuridiche di cui si debba tener conto nell'applicazione della legge penale, nello specifico l'art. 539 c.p.p., mancanza ovvero manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato con particolare riferimento alla concessione delle provvisionali sul risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite: rileva come la Corte di Appello abbia ritenuto esaustiva e corretta la corposa motivazione con cui il giudice di primo grado aveva proceduto alla liquidazione delle provvisionali ritenendo di poter conteggiare tutti gli importi portati da assegni che non risultavano emessi per finalità proprie dei condomini amministrati e, comunque, basandosi di conteggi effettuati dagli amministratori subentrati; in particolare, la sentenza impugnata avrebbe frainteso il motivo di appello ritenendo che la mancata acquisizione di tutti gli assegni non avrebbe potuto modificare i termini della disamina effettuata dal Tribunale che non ha potuto affermare che tutti gli assegni "prelevati" dall'imputato fosse stati oggetto di appropriazione indebita e che, pertanto, fossero automaticamente fonte di danno liquidabile;

4. In data 1.10.2018, la difesa del Supercondominio "(OMISSIS)", di Milano, già costituito parte civile, ha depositato una memoria difensiva in cui ha contrastato i motivi di ricorso articolati nell'interesse dell'imputato insistendo perchè l'impugnazione sia ritenuta inammissibile in quanto manifestamente infondata ovvero, comunque, respinta, con conseguente conferma delle statuizioni civili emesse in suo favore.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perchè articolato su censure manifestamente infondate ovvero non consentite in questa sede.

1. Manifestamente infondato è il primo motivo.

All'udienza del 29.6.2015, di fronte al Tribunale di Milano, il giudice procedente aveva segnalato il suo prossimo trasferimento sicchè i difensori delle parti civili costituite avevano anticipato il loro consenso alla rinnovazione, mediante lettura dei relativi verbali, della istruttoria dibattimentale sin'allora espletata mentre il difensore dell'imputato, nel riservarsi siffatta valutazione, aveva richiesto che i testi presenti in aula fossero ascoltati all'udienza successiva, di fronte al giudice che sarebbe subentrato nella conduzione del processo; il Tribunale, accogliendo la richiesta, aveva pertanto differito all'udienza del 23.10.2015 l'escussione dei testi presenti diffidando questi ultimi a comparire a quella data ed autorizzando i difensori a citare gli altri testi per quel giorno; nel contempo, aveva sospeso i termini di prescrizione con decisione che sarebbe stata ribadita all'udienza del 6.6.2016.

Sostiene la difesa del ricorrente che il rinvio all'udienza condotta dal nuovo giudice, era stato sollecitato proprio al fine di evitare una "rinnovazione" del dibattimento, non potendo per ciò stesso essere ricondotta tra le esigenze della difesa tali da determinare la sospensione del decorso del termine di prescrizione ai sensi dell'art. 159 c.p..

Ebbene, è pacifico che il provvedimento di rinvio del processo, disposto dal giudice su istanza della parte richiedente, dà sempre luogo alla sospensione dei termini di prescrizione per l'intera durata del rinvio ex art. 159 c.p., a prescindere dalle ragioni che la stessa parte ha posto a fondamento della richiesta, salvo che esse consistano in un legittimo impedimento della parte o del difensore poichè, in tal caso, la sospensione ha una durata massima di sessanta giorni (cfr., Cass. Pen., 3, 28.5.2014 n. 41.349, Zappalorti; Cass. Pen., 7, 25.1.2016 n. 8.124, Nascio; Cass. SS.UU., 31.3.2016 n. 15.427, Cavallo, relativa alla sospensione del processo su richiesta dell'imputato o del suo difensore, disposta oltre il termine previsto per la formazione del silenzio-rifiuto ex D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36).

Alla luce della lettura dell'art. 159 c.p., comma 1, lett. a), il rinvio del processo comporta sempre la sospensione del termine di prescrizione laddove sia stato sollecitato dalla difesa o dall'imputato con il solo limite che la durata della sospensione non potrà mai essere superiore ai 60 giorni (oltre la sua durata) laddove la richiesta sia fondata sulla esistenza di un legittimo impedimento dell'uno o dell'altro.

Nel caso di specie, è escluso che il differimento del processo sia stato determinato da esigenze proprie dell'ufficio atteso che i testi presenti ben avrebbero potuto essere escussi all'udienza per la quale erano stati citati ed alla quale, peraltro, erano presenti, fatta salva ogni determinazione delle difese a sollecitarne la (solo eventuale e non scontata) nuova audizione quando fosse subentrato il nuovo giudicante.

In realtà, il differimento è stato disposto proprio su richiesta e per venire incontro alle esigenze della difesa dell'imputato che, in tal modo, ha evitato di far sentire i testi all'udienza per la quale erano stati citati così ad un tempo, evitando di dover operare alcuna valutazione sulla opportunità di consentire alla rinnovazione "virtuale" dell'istruttoria e, contemporaneamente, di ottenere comunque uno slittamento del processo che non poteva essere "premiato" con il decorso del termine di prescrizione.

2. Manifestamente infondati sono anche i motivi di ricorso articolati sul "merito" della decisione e che, in realtà, hanno tutti come presupposto, in diritto, la identificazione degli elementi costitutivi della condotta integrante il delitto di appropriazione indebita; in particolare, la questione che è stata posta (in maniera esplicita nel quarto motivo di ricorso ma che è in realtà sottesa anche alle censure mosse con gli altri motivi) è quella della integrazione del delitto di appropriazione indebita attraverso e mediante la mera "distrazione" del denaro dai conti correnti intestati ai singoli condomini piuttosto che con la definitiva acquisizione delle somme da parte dell'imputato con la loro destinazione ad esigenze di natura "personale".

La difesa, nel secondo motivo, ha insistito anche sulla questione dei pagamenti "incrociati" (ovvero eseguiti per talun condominio con i fondi di pertinenza di altro condominio pure amministrato dal medesimo B.) che, a suo dire, sarebbe stata introdotta dalla Corte di Appello senza aver formato oggetto di dibattito processuale dove era stato sempre fatto riferimento a pagamenti "cumulativi", ovvero eseguiti per tutti i condomini amministrati dall'imputato con i fondi confluiti nel conto "di gestione" appositamente da lui acceso a suo nome.

In realtà, la distinzione tra pagamenti "incrociati" e pagamenti "cumulativi" non ha ragion d'essere trattandosi di espressioni utilizzate per descrivere il medesimo meccanismo pacificamente posto in essere dal B. che, come accennato, aveva acceso un conto corrente a lui intestato e nel quale aveva fatto confluire gli importi accreditati sui conti correnti dei singoli condomini per poi utilizzare la provvista così formata per effettuare tutti i pagamenti relativi a tutti i condomini; in tal modo, infatti, una volta confluite tutte le somme sul conto "comune", è evidentemente fisiologico e "automatico" che le spese di un condominio siano pagate con i soldi di altro condominio sicchè, come è evidente, non ha senso alcuno distinguere tra pagamenti "incrociati" e pagamenti "cumulativi".

Fatta questa premessa, che ha consentito di accennare alle modalità di gestione, da parte del ricorrente, dei fondi di pertinenza dei singoli condomini, la questione di diritto che è stata correttamente posta nel ricorso è quella relativa alla integrazione del delitto di appropriazione indebita che, è opportuno chiarirlo sin da subito, correttamente, i giudici di merito hanno individuato nella "distrazione" degli importi accreditati sui singoli conti correnti per esser fatti confluire nel conto "comune".

Ritiene il Collegio che la risposta fornita dalla Corte di Appello, sia corretta: non v'è dubbio, infatti, che la sola "distrazione" dei fondi confluiti sui singoli conti correnti dei singoli condomini ed il loro accredito, in assenza di autorizzazione, su un conto corrente "di gestione" intestato ad esso imputato e destinato ai pagamenti di tutti i condomini da lui amministrati sia condotta idonea ad integrare il delitto di appropriazione indebita correttamente contestato.

Ed infatti, con affermazione risalente nel tempo ma ancora valida stante la persistenza del quadro normativo di riferimento, questa Corte ha affermato che la specifica indicazione del "denaro" (a fianco di quella, in forma alternativa, di "cosa mobile"), contenuta nell'art. 646 c.p., consente di ritenere che il legislatore, allo scopo di evitare incertezze e di reprimere gli abusi e le violazioni del possesso del danaro, ha inteso chiaramente precisare che anche il denaro può costituire oggetto del reato di appropriazione indebita, atteso che anche il denaro, nonostante la sua "ontologica" fungibilità, può essere oggetto di trasferimento relativamente al mero possesso, senza che al trasferimento del possesso si accompagni anche quello della proprietà.

Ciò di norma si verifica, oltre che nei casi in cui sussista o si instauri un rapporto di deposito o un obbligo di custodia, nei casi di consegna del danaro con espressa limitazione del suo uso o con un preciso incarico di dare allo stesso una specifica destinazione o di impiegarlo per un determinato uso: in tutti questi casi il possesso del danaro non conferisce il potere di compiere atti di disposizione non autorizzati o, comunque, incompatibili con il diritto poziore del proprietario e, ove ciò avvenga si commette il delitto di appropriazione indebita (cfr., Cass. Pen., 2, 24.10.2017 n. 50.672, P.C. in proc. Colaianni; conf., Cass. Pen., 2, 25.10.1972 n. 4584, Girelli; cfr., anche, Cass. Pen., 2, 21.4.2017 n. 24.857, Forte; Cass. Pen.,2, 8.3.2016 n. 12.869, Pigato; Cass. Pen., 5, 26.5.2014 n. 46.474, Nicoletti, resa in tema di appropriazione da parte del consulente di una società, di una somma di denaro destinata al soddisfacimento di un creditore).

D'altra parte, in una fattispecie che presenta profili di affinità rispetto al caso di specie, ovvero di condotte comunque di natura distrattiva poste in essere in ambito infragruppo, il legislatore ha avuto cura di introdurre, con l'art. 2634 c.c., comma 2, una specifica causa di non punibilità per fatti che, altrimenti, sarebbero oggettivamente (e soggettivamente) distrattivi quali, per l'appunto, pagamenti eseguiti da una società rispetto a debiti facenti capo ad altra società del medesimo gruppo.

Questa Corte ha, in particolare, affermato che, nel caso di bancarotta fraudolenta per distrazione, qualora il fatto si riferisca a rapporti intercorsi tra società appartenenti a un medesimo gruppo, l'interesse che esclude l'effettività della distrazione e la configurabilità del reato non può ridursi alla partecipazione al gruppo stesso nè identificarsi nel vantaggio della società controllante, in quanto il collegamento tra le società e l'appartenenza a un gruppo imprenditoriale unitario è solo la premessa per individuare uno specifico e concreto vantaggio per la società che compie l'atto di disposizione patrimoniale (cfr., Cass. Pen., 5, 17.12.2008 n. 1.137, Vianello; cfr., anche, Cass. Pen., 5, 30.6.2016 n. 46.689, PG in proc. Coatti, Cass. Pen., 5, 26.6.2015 n. 8.253, Moroni secondo cui, per escludere la natura distrattiva di un'operazione infragruppo invocando il maturarsi di vantaggi compensativi, non è sufficiente allegare la mera partecipazione al gruppo, ovvero l'esistenza di un vantaggio per la società controllante, dovendo invece l'interessato dimostrare il saldo finale positivo delle operazioni compiute nella logica e nell'interesse del gruppo, elemento indispensabile per considerare lecita l'operazione temporaneamente svantaggiosa per la società depauperata).

Nel caso di specie, peraltro, non è evidentemente configurabile, tra i diversi condomini amministrati dal B., alcun legame di "gruppo" sicchè nemmeno in astratto è possibile immaginare un vantaggio per il singolo condominio a veder confluire le sue risorse in un calderone unitario dal quale attingere per i pagamenti di tutti.

Ma i principi affermati in materia fallimentare confermano che si ha "distrazione" e, quindi, appropriazione indebita, non soltanto quando chi ha la materiale disponibilità del denaro se ne appropri per finalità sue proprie e personali ma anche quando, in ogni caso, e senza alcuna autorizzazione del titolare, gli imprima una destinazione diversa da quella che ne aveva legittimato la detenzione.

3. Come accennato in precedenza, questa conclusione consente di risolvere, nel senso della loro manifesta infondatezza, gli altri motivi di ricorso formulati sul "merito" della decisione qui impugnata: così, in particolare, il secondo motivo con il quale la difesa aveva denunziato il vizio di motivazione da cui sarebbe stata affetta la sentenza impugnata laddove era stata respinta la censura che era stata formulata con l'atto di appello nella quale era stata contestata l'impostazione del Tribunale che, per l'appunto, aveva indifferenziatamente ritenuto come fatti di appropriazione indebita tutte le condotte che si erano concretizzate nella fuoriuscita di denaro dai singoli conti correnti di ciascun condominio per confluire su quell'unico conto corrente, intestato al B., ed utilizzato come conto "di gestione" dei pagamenti per tutti condomini da costui amministrati.

Una volta ribadita la correttezza, in diritto, di siffatta impostazione, risulta infatti irrilevante (ai fini della ritenuta integrazione della fattispecie di reato in esame) la circostanza, sottolineata dalla difesa che, sul punto, ha lamentato un difetto di motivazione, che almeno parte delle somme confluite sul conto corrente "di gestione" fossero state effettivamente utilizzate per i pagamenti dovuti ai fornitori dei singoli condomini.

Del pari, manifestamente infondato è il quarto motivo di ricorso, nel quale si è lamentato il difetto ovvero la manifesta illogicità della motivazione laddove la Corte di Appello aveva condiviso la decisione del Tribunale di non ammettere, ai sensi dell'art. 507 c.p.p., la documentazione offerta dalla difesa e rappresentata dalle copie "fronte retro" di tutti gli assegni tratti sul conto "di gestione" giudicando tale integrazione non necessaria e meramente defatigatoria.

Anche in tal caso, infatti, una volta concluso nel senso che di "appropriazione indebita" si deve parlare con riferimento a tutti gli importi "distratti" dai singoli conti correnti, risulta del tutto irrilevante, ai fini della penale responsabilità dell'imputato, la ricostruzione e la individuazione di quelli dei quali il B. si sarebbe effettivamente "appropriato" nel senso di averne fatto una utilizzazione "personale".

4. Il terzo motivo, con il quale è stato denunziato il vizio di motivazione sulla attendibilità delle ricostruzioni contabili fornite dai nuovi amministratori condominiali non trova, a ben guardare, un corrispondente motivo di appello con cui fosse stato specificamente contestato quanto invece e soltanto in questa sede è stato dedotto ovvero che, per taluno dei condomini, era ad avviso della difesa emersa l'erroneità del metodo utilizzato nel calcolare gli ammanchi, consistente nel sommare qualsiasi voce arbitrariamente ritenuta ammanco, considerando a tal fine, e procedendo ad una loro sommatoria, gli scoperti di conto, le fatture non pagate e gli assegni intestati al B. e "fuoriusciti" dal conto corrente condominiale.

Il motivo, pertanto, è precluso ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 3.

5. Il quinto motivo lamenta le modalità di determinazione del danno risarcibile ai fini della quantificazione delle riconosciute provvisionali; ma anche in tal caso la censura non trova corrispondenza in una doglianza ritualmente avanzata con l'atto di appello nel quale il rilievo circa la quantificazione delle provvisionali (cfr., pagg. 33-34 dell'atto di appello) risulta del tutto generico limitandosi la difesa a lamentare il "metodo" utilizzato per quantificare il danno senza, tuttavia, riuscire a formulare alcuna mirata censura sulla determinazione e quantificazione delle singole provvisionali pur a fronte della (a parere dello stesso appellante) "corposa" motivazione spesa dal Tribunale proprio su questo versante.

Ed è pacifico, d'altro canto, che l'inammissibilità dell'atto di appello per difetto di specificità dei motivi, che pure la Corte territoriale non abbia qualificato come tale, può essere rilevata anche in Cassazione ai sensi dell'art. 591 c.p.p., comma 4 (cfr., Cass. Pen., 2, 9.6.2017 n. 36.111, PG in proc. P) e che, per contro, deve ritenersi inammissibile, per carenza d'interesse, il ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado che non abbia preso in considerazione un motivo di appello inammissibile "ab origine" per manifesta infondatezza, in quanto l'eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio (cfr., in tal senso, Cass. Pen., 6, 6.10.2015 n. 47.722, Arcone; Cass. Pen., 2, 16.12.2014 n. 10.173, Bianchetti).

6. L'inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., della somma di Euro 2.000,00 alla Cassa delle Ammende, non ravvisandosi ragione alcuna d'esonero.

7. Nel contempo, vanno liquidate - nella misura indicata in dispositivo - le spese in favore delle costituite parti civili che ne hanno fatto richiesta.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende nonchè alla rifusione delle spese del grado in favore delle parti civili Supercondominio (OMISSIS), del Condominio di via (OMISSIS) e del Condominio di via (OMISSIS), liquidate in Euro 3.510,00, ciascuno, oltre spese generali nella misura forfettaria del 15%, Cpa e Iva.

Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2018

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