Appropriazione indebita: non sussiste in mancanza della prova del dolo specifico della condotta dell'amministratore che trattiene somme ricevute dai debitori sociali
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Cassazione penale sez. II, 01/03/2019, n.19147

Non integra il reato di appropriazione indebita, in mancanza della prova del dolo specifico di conseguire un ingiusto profitto o un vantaggio che si ponga come "danno patrimoniale" cagionato alla società, il trattenimento a titolo di compenso, da parte dell'amministratore di una società di capitali, di somme ricevute dai debitori sociali.

La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 01/02/2018, la Corte d'Appello di Torino ha confermato la sentenza emessa in data 14/07/2017 dal Tribunale di Aosta, con la quale M.C. era stato condannato alla pena di giustizia in relazione al delitto di appropriazione indebita di somme di pertinenza della LIOY s.r.l., nonchè al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita M.G..

2. Ricorre per cassazione M.C., deducendo, con un primo ricorso a firma dell'avv. Francesco Carboni:

2.1. Violazione di legge con riferimento alla ritenuta configurabilità del delitto in relazione alle somme trattenute a titolo di compenso per l'attività svolta quale amministratore della LIOY s.r.l.. Si osserva al riguardo che il compenso era stato deliberato sin dalla nomina del M. quale amministratore, ed era stato attribuito anche a chi era subentrato nella carica, da ritenere onerosa perchè riconducibile al mandato ex art. 1720 c.c..

2.2. Vizio di motivazione con riferimento alle altre spese.

Si deduce che il M. aveva dato piena prova documentale sia dei versamenti effettuati dai debitori della società sul suo conto corrente, sia dei pagamenti effettuati, operando su quel conto, nell'interesse della società. Si evidenzia altresì che tali operazioni erano temporalmente coincidenti, e risalivano ad epoca in cui la società era stata oggetto di diverse procedure esecutive: sicchè il versamento sui conti sociali delle somme dovute dai debitori, in quel frangente di esposizione debitoria, avrebbe impedito di effettuare i necessari pagamenti, quanto alla riferibilità dei pagamenti a debiti societari, trattavasi di circostanza non contestata neanche dalla parte civile. Si censura inoltre la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui aveva ritenuto possibile che i versamenti INPS fossero riferibili ad altre società, in quanto quei versamenti risultavano dai libri contabili sociali. Si contesta infine la configurabilità delle aggravanti contestate.

3. Con ricorso a firma dell'altro difensore avv. Liliana Pintus, il M. deduce:

3.1. Erronea applicazione dell'art. 646 c.p., non avendo il ricorrente posto in essere alcuna condotta di ritenzione o distrazione, ed avendo anzi agito nell'esclusivo interesse della società: era dunque da escludere anche qualsiasi suo intento di spogliare la società. Quanto poi alle somme imputate a titolo di compenso, il ricorrente richiama la giurisprudenza che aveva escluso il reato anche in ipotesi di compenso non ancora determinato, censurando la diversa conclusione cui era giunta la Corte d'Appello.

3.2. Erronea applicazione con riferimento alle aggravanti contestate, sia perchè la somma di Euro 17.000 (da ripartire in tre anni, relativa al compenso) non poteva evidentemente costituire un danno di rilevante gravità, sia perchè l'aver agito nell'esclusivo interesse societario escludeva in radice l'aggravante dell'abuso di prestazione d'opera.

3.3.. Si censura la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui aveva ritenuto dirimente la mancata produzione di quietanze liberatorie, idonee a comprovare l'effettivo soddisfacimento, con i pagamenti, di ragioni creditorie vantate nei confronti della società. Al riguardo, si osserva che i pagamenti erano stati effettuati con bonifici bancari tracciabili, che recavano tra l'altro la causale del pagamento: ciò che rendeva privo di senso il rilascio di quietanze liberatorie, anche perchè i bonifici non erano mai stati revocati nè alcuna azione era stata intentata per il recupero di quei crediti. Si evidenzia altresì che il ricorrente non era stato in grado di produrre documenti della contabilità della LIOY, di cui non aveva alcuna disponibilità essendo cessato dalla carica.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.

2. L'odierno ricorrente è stato tratto a giudizio per il delitto di appropriazione indebita delle somme, meglio specificate in rubrica, costituenti canoni di locazione spettanti alla LIOY s.r.l. che egli - nella qualità di amministratore unico della predetta società dal 2009 al 2014 - aveva fatto versare dai debitori sul proprio conto corrente personale, anzichè su quello della società amministrata.

2.1. La linea difensiva del M., nel giudizio di merito, non è stata quella di contestare di aver tenuto tale condotta, ma di respingere qualsiasi rilievo penale della stessa sostenendo - con un riscontro documentale, basato sulle risultanze delle operazioni effettuate dal proprio conto corrente - di aver in questo modo inteso evitare che la liquidità sul conto fosse esposta alle plurime procedure esecutive che in quel periodo erano state intraprese in danno della società, e di aver soprattutto utilizzato le somme versate dai debitori sociali per estinguere una pluralità di esposizioni debitorie, come dettagliatamente esposto nelle memorie depositate nel giudizio di merito e, da ultimo, nelle tabelle riportate nel ricorso dell'avv. Carboni (cfr. pag. 4 ss. dell'atto di impugnazione ed in particolare pag. 6, dedicata alla analitica ricostruzione delle varie tipologie di esposizioni della società onorate con bonifici o assegni tratti sul conto del ricorrente: debiti verso fornitori che avevano intrapreso procedure esecutive ed erano stati soddisfatti con pagamenti ai difensori; debiti per oneri fiscali, per servizi, ecc.). Nella prospettiva del ricorrente, il confronto tra le somme riportate nel capo di imputazione (tabella "Versamenti") e quelle elencate nella tabella "Pagamenti" (comprendente anche le somme trattenute a titolo di compenso per l'attività di amministratore, su cui cfr. infra, p. 2.4) aveva anzi evidenziato un credito nei confronti della LIOY s.r.l.

2.2. La Corte territoriale ha disatteso la prospettazione difensiva, pur dando atto dell'esistenza in atti di fatture e parcelle di creditori della società, per la ritenuta insufficienza della produzione documentale, ed in particolare per la mancanza delle "relative quietanze di avvenuto pagamento". Con riferimento ai bonifici in favore dell'INPS, la Corte territoriale ha ipotizzato che le trattenute previdenziali potessero aver riguardato soggetti diversi dai dipendenti della LIOY s.r.l., "ben potendo l'imputato, almeno in ipotesi, aver contemporaneamente rivestito la qualifica di amministratore anche di altre società"; così come la causale riportata nei bonifici "non è verificabile nella sua rispondenza alla effettiva ragione del pagamento cui si riferisce".

In definitiva, ad avviso della Corte, il M. avrebbe dovuto documentare "con inequivocabile certezza" l'effettivo soddisfacimento di ragioni creditorie sociali "mediante quietanze liberatorie": e ciò "in ossequio al principio di prossimità e disponibilità della prova" (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata).

2.3. E' al riguardo opportuno ricordare, anzitutto, che, secondo un consolidato indirizzo interpretativo espresso da questa Suprema Corte, "non integra il reato di appropriazione indebita, ma una mera condotta di distrazione non rilevante ai sensi dell'art. 646 c.p., il compimento, da parte dell'amministratore di una società di capitali, di atti di disposizione patrimoniale comunque idonei a soddisfare anche indirettamente l'interesse sociale, e non un interesse esclusivamente personale del disponente" (Sez. 2, n. 30942 del 03/07/2015, Costantin, Rv. 264555).

In tale condivisibile prospettiva ermeneutica, la motivazione della sentenza impugnata non si sottrae alle censure proposte nei motivi di ricorso.

In linea di principio - e salvo quanto si vedrà in ordine alle somme trattenute a titolo di compenso - la Corte d'Appello non ha ritenuto priva di plausibilità la prospettazione difensiva: ha tuttavia escluso che quest'ultima fosse stata adeguatamente dimostrata, ed in tale prospettiva ha per un verso formulato rilievi congetturali (quale quello secondo cui i pagamenti INPS potrebbero in astratto riferirsi a vicende di altre società, qualora il M. fosse stato amministratore anche di queste ultime).

Per altro verso, la Corte d'Appello ha invocato un principio di "prossimità e disponibilità della prova" che sembra prestare il fianco all'obiezione difensiva (cfr. pag. 15 del ricorso avv. Pintus) secondo cui il M., una volta cessato dalla carica, non aveva più avuto alcuna disponibilità della documentazione concernente la contabilità della LIOY s.r.l. (dalla quale si sarebbe potuto evincere la riferibilità alla società dei versamenti INPS: cfr. pag. 7 ricorso avv. Carboni), ed era stato quindi nell'impossibilità di produrla (fermo restando che, nell'ottica difensiva, la causale riportata nel bonifico rendeva ultroneo il riferimento a quietanze liberatorie). D'altra parte, le deduzioni difensive (svolte in appello e riproposte nell'odierna sede) circa l'estinzione di diverse procedure esecutive, in conseguenza dei pagamenti effettuati dal M. dal proprio conto, non hanno trovato alcun tipo di confutazione nel percorso argomentativo della sentenza impugnata.

2.4. In relazione alle somme trattenute dal M. a titolo di compenso per l'attività di amministratore, la Corte d'Appello ha invece senz'altro affermato la configurabilità del reato, sottolineando che - in assenza di una delibera assembleare e di una conseguente autorizzazione all'incasso - l'amministratore dovrà ritenersi titolare di una mera aspettativa creditoria (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata).

E' tuttavia opportuno porre in evidenza che questa Suprema Corte ha ricostruito in termini ben diversi la situazione soggettiva dell'amministratore, affermando che "non integra il reato di appropriazione indebita la condotta dell'amministratore di una società che dispone in bilancio accantonamenti a titolo di compenso, ancora non determinato, nel suo ammontare, per l'attività svolta in tale qualità, in quanto l'atto compiuto non è volto al conseguimento di un ingiusto profitto o di un vantaggio che si ponga come "danno patrimoniale" cagionato alla società, bensì ad assicurare il soddisfacimento di un diritto soggettivo perfetto" (Sez. 2, n. 36030 del 22/05/2014, Fusiello, Rv. 260846).

In tale condivisibile ottica interpretativa, va evidenziato che, se è vero che l'appostazione in bilancio di una somma a titolo di compenso è evidentemente cosa diversa dal trattenimento, per la stessa ragione, di somme ricevute da debitori della società, non meno vero è che anche la seconda condotta ipotizzata deve necessariamente essere supportata, per potersi configurare il delitto di cui all'art. 646 c.p., dal dolo specifico di conseguire "un ingiusto profitto o di un vantaggio che si ponga come "danno patrimoniale" cagionato alla società".

Tale specifico aspetto non è stato adeguatamente lumeggiato dalla sentenza impugnata: e ciò anche in considerazione delle deduzioni difensive svolte in appello e poi nella sede odierna, in ordine all'erogazione di compensi agli amministratori che avevano preceduto e seguito il ricorrente nella carica, pur in assenza di delibere assembleari (pag. 11 ricorso avv. Pintus), e alle dichiarazioni rese in dibattimento dalla parte civile M.G. in ordine ai crediti vantati a titolo di compenso per l'attività di amministratore della LIOY svolta dall'agosto 2014 al febbraio 2016 (cfr. pag. 3 ricorso avv. Carboni e, in precedenza, pag. 9 dell'atto di appello).

3. Le considerazioni fin qui svolte impongono l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio ad altra Sezione della Corte d'Appello di Torino, per una nuova valutazione delle risultanze processuali in ordine all'effettivo impiego delle somme confluite nel conto personale del M., e alla configurabilità dell'elemento soggettivo del reato a lui ascritto anche quanto alla parte trattenuta a titolo di compenso per l'attività svolta quale amministratore della LIOY s.r.l..

P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte d'Appello di Torino.

Così deciso in Roma, il 1 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2019

Appropriazione indebita: non sussiste in mancanza della prova del dolo specifico della condotta dell'amministratore che trattiene somme ricevute dai debitori sociali

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