Appropriazione indebita: se l'agente ha la detenzione del bene ma non l'autonomo potere dispositivo si configura il reato di furto
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Cassazione penale sez. IV, 25/10/2018, n.54014

In tema di reati contro il patrimonio, ove l'agente abbia la detenzione della cosa, in mancanza di un autonomo potere dispositivo del bene è configurabile il reato di furto e non quello di appropriazione indebita. (Nella fattispecie la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza impugnata che aveva qualificato come furto l'impossessamento di diversi elementi di un immobile – quali le porte, i radiatori e un armadio a muro – oggetto di vendita all'incanto, operato dai precedenti proprietari nel periodo in cui, dopo la vendita, erano stati autorizzati dall'acquirente a ritardarne il rilascio) .

La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Lecce, pronunciando nei confronti dell'odierno ricorrente, V.M., e del coimputato C.A.M., con sentenza del 20/11/2017, ha confermato la sentenza del Tribunale di Taranto, emessa in data 16/11/2015, appellata dagli imputati, con condanna alla rifusione delle spese del grado in favore della parte civile costituita.

Il Tribunale di Taranto aveva giudicato gli imputati per il reato di cui agli artt. 110,635 e 624 c.p., perchè in concorso tra loro, arrecavano danni nell'appartamento sito in (OMISSIS), già di loro proprietà, oggetto di vendita all'incanto in favore di A.L., impossessandosi al fine di trarne illecito profitto, di diversi elementi dell'immobile; accertato in (OMISSIS). Gli imputati, riqualificata l'imputazione nell'unica fattispecie di cui all'art. 624 c.p. e art. 625 c.p., n. 2, in concorso di circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alla contestata aggravante, erano stati condannati alla pena di mesi 8 di reclusione ed Euro 200,00 di multa, ciascuno, con sospensione della pena e non menzione, con condanna al risarcimento dei danni in favore di A.L., da liquidarsi in separata sede civile oltre alle spese di patrocinio e costituzione in giudizio, con una provvisionale immediatamente esecutiva di Euro 4.000,00.

2. Avverso la sentenza della Corte salentina ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, V.M., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:

a. Art. 606 c.p.p., lett. b) e c). Violazione ed errata applicazione dei criteri di ermeneutica probatoria, di cui all'art. 192 c.p.p., comma 1 e art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e) con riferimento all'accertata configurabilità della fattispecie criminosa di cui all'art. 624 c.p. e art. 625 c.p., n. 2.

Art. 606 c.p.p., lett. e). Mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, sub specie di travisamento della prova, anche in ordine al giudizio di attendibilità e coerenza intrinseca delle dichiarazioni rese dalla parte offesa.

Il ricorrente si duole che la corte di appello, aderendo totalmente alla ricostruzione operata dal primo giudice, abbia ritenuto sussistenti gli elementi delle fattispecie previste dagli artt. 624 e 625 c.p." fondando il proprio convincimento esclusivamente sulle dichiarazioni di parte civile senza verificare la conformità delle condotte ascritte alle fattispecie di riferimento e senza analizzare assolutamente le prove favorevoli all'imputato.

In particolare, sarebbero state ignorate le dichiarazioni rese da N.A.R. e C.G., che dichiaravano l'avvenuto inizio di lavori di ristrutturazione dell'impianto termico, ed altri interventi di riparazione.

La sentenza impugnata avrebbe ritenuto di analizzare la sola testimonianza della Nobile, affermandone l'inverosimiglianza, finendo in tal modo per operare un completo travisamento della prova, dal momento che in realtà gli elementi sottratti o erano completamente inutilizzabili, come i caloriferi, o erano di proprietà dell'imputato come l'armadio.

Sarebbe evidente, aggiunge il ricorrente, come, nel caso di specie, non siano state assolutamente considerate prove favorevoli e decisive, presenti negli atti processuali.

La valutazione delle deposizioni testimoniali di C. e N. avrebbe dovuto formare oggetto di seria considerazione, tanto più nel presente caso in cui il convincimento di colpevolezza risulta fondato sulla parola della p.o..

Sarebbe, inoltre, mancato il necessario vaglio di credibilità soggettiva ed oggettiva delle dichiarazioni della parte lesa.

Il V. ricorda i necessari passaggi per una corretta analisi e valutazione delle risultanze probatorie, lamentando la carenza dei doverosi passaggi motivazionali nella sentenza impugnata.

Viene riportata un'ampia parte della stessa sentenza a riprova dell'asserita violazione ed dell'errata applicazione dei criteri di ermeneutica probatoria nonchè dell'illogicità e contraddittorietà della motivazione.

b. Art. 606 c.p.p., lett. b). Violazione ed inosservanza dell'art. 646 c.p. con riferimento alla qualificazione giuridica della condotta contestata.

Art. 606 c.p.p., lett. e). Motivazione manifestamente carente, illogica e contraddittoria.

Il ricorrente rileva di aver reiterato, nei motivi di appello, la richiesta di derubricazione del reato nella fattispecie di appropriazione indebita prevista dall'art. 646 c.p., che presuppone il possesso del denaro o della cosa mobile altrui, evidenziando che il V. continuando ad occupare l'immobile aveva pacificamente il possesso dei beni mobili presenti al suo interno.

Riporta la motivazione della sentenza impugnata sul punto, sostenendo una mancata risposta dei giudici di appello alle doglianze difensive.

La motivazione impugnata contrasterebbe con l'orientamento più recente di questa Corte che definisce la differenza tra le fattispecie di furto e appropriazione indebita fondata sulla nozione di possesso.

Precisa, quindi, che nel diritto penale la nozione di possesso ricomprende anche i titolari di diritti personali di godimento, come il locatario ed evidenzia che la distinzione tra possesso e detenzione sarebbe essenzialmente terminologica, rilevando ai fini della configurabilità del reato la condotta della sottrazione nel caso di furto e della semplice appropriazione quando il bene è già posseduto dall'agente.

Riporta quindi i diversi orientamenti giurisprudenziali sulla natura giuridica del possesso, concludendo che nel caso in esame il V., continuando ad abitare l'appartamento, in virtù della proroga concessagli, anche successivamente al trasferimento di proprietà in favore dell' A., ne aveva il pieno possesso. E pertanto, la fattispecie applicabile sarebbe quella prevista dall'art. 646 c.p. e non quella ritenuta in sentenza.

Ricorda infine che nel caso di specie la riqualificazione del reato comporterebbe l'improcedibilità per difetto di querela, dal momento che la postuma querela intervenuta sarebbe priva di data e sottoscrizione.

c. Art. 606 c.p.p., lett. b). Violazione ed inosservanza dell'art. 131 bis c.p. per mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. Art. 606 c.p.p., lett. e). Motivazione manifestamente carente, illogica e contraddittoria.

Ci si duole del mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto e lamenta anche vizio motivazionale su tale punto.

Il ricorrente ricorda i presupposti per l'applicazione dell'istituto e rileva che nel presente giudizio entrambi i giudici di merito abbiano implicitamente valutato in senso positivo la particolare tenuità irrogando una sanzione vicina al minimo edittale, riconoscendo le attenuanti generiche e anche la non menzione, nei confronti di un soggetto incensurato non abituato a delinquere.

Pertanto, sostiene che sarebbe stata fornita un'implicita risposta a quanto richiesto dall'imputato avendo di fatto accolto la tesi dell'esiguità del nocumento valutabile ai fini dell'applicazione della causa ex art. 131 bis c.p..

Di conseguenza, si assume che sarebbe del tutto illogico il denegato riconoscimento della causa di non punibilità sostenuto, nell'impugnato provvedimento, con l'affermazione dell'insussistenza dei presupposti necessari.

d. Art. 606 c.p.p., lett. e). Motivazione manifestamente carente, illogica e contraddittoria in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p. in un giudizio di prevalenza ex art. 69 c.p. rispetto alla contestata circostanza aggravante.

Anche su tale punto, il ricorrente lamenta l'illogicità della motivazione, del tutto avulsa dai dati probatori emersi nel corso dell'istruttoria.

La sentenza impugnata escludendo l'applicazione delle attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p. in un giudizio di prevalenza sulla contestata aggravante avrebbe impedito il concreto adeguamento della pena, imponendo l'irrogazione di una pena del tutto sproporzionata all'effettiva entità dei fatti e inidonea a favorire la risocializzazione dell'imputato.

Sarebbe sostanzialmente mancata un'adeguata valutazione dell'effettiva gravità della condotta, con una interpretazione in mala partem delle emergenze processuali e l'adozione di un motivazione carente ed illogica.

Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata, anche rispetto alle statuizioni civili.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso appare manifestamente inammissibile per la genericità dei motivi proposti, che non soddisfano l'onere di un'adeguata critica alle motivazioni della sentenza impugnata, mostrandosi tra l'altro manifestamente infondati.

2. La Corte di Appello di Lecce ha fornito un'adeguata ed articolata motivazione, che non si presta a censure in punto di diritto.

Sul primo motivo di ricorso la motivazione del provvedimento impugnato ha logicamente esposto l'iter seguito nel convincimento di penale responsabilità indicando i riscontri effettuati alle dichiarazioni della parte lesa, che risultano confermate da prove dichiarative e documentali, tra cui il verbale di immissione dell' A. nel possesso dell'immobile redatto dall'Ufficiale giudiziario, le fotografie allegate a tale verbale e quelle, invece, allegate all'atto di stipula del mutuo.

Come ricorda la sentenza impugnata, Luca A., all'esito di un'asta giudiziaria conclusasi con il decreto di trasferimento dell'immobile emesso dal Tribunale civile di Taranto in data 10 marzo 2011, acquistato la proprietà dì un appartamento sito in (OMISSIS), alla (OMISSIS), fino a quel momento occupato da C.A.M. e dall'odierno ricorrente V.M., che ne erano i precedenti proprietari.

L' A., venendo incontro ad una richiesta in tal senso della C. e della V., ebbe a concedere loro una proroga del termine fissato per il rilascio dell'immobile e per la sua materiale immissione nel possesso, ritardando l'accesso all'immobile rispetto al momento del suo acquisto, accollandosi le spese di locazione di altro immobile ove nel frattempo ha vissuto.

La persona offesa, per acquistare l'appartamento, stipulò un mutuo bancario previo esperimento di una perizia sul valore dell'appartamento da parte di un fiduciario dell'istituto di credito. E in quell'occasione furono anche fatte delle foto dello stato dell'immobile.

Tuttavia la situazione che si presentò nel momento in cui il C. e la V. finalmente consegnarono l'unica chiave dell'appartamento al custode giudiziario risultò essere ben diversa ed è stata descritta dall'ufficiale giudiziario che ha redatto il verbale di immissione dell' A. nel possesso dall'immobile ed è documentata dalle fotografie scattate in quel frangente: la dott.ssa An. ha confermato di aver verificato le presenza dei danni descritti dai tecnici nominati dall' A. nella relazione, sottolineando che, nel corso dei precedenti accessi in quello stesso immobile, la condizione di conservazione dell'appartamento era buona (come peraltro si rileva dalle due fotografie allegate all'atto di stipula del mutuo) e lo stesso non presentava alcuna delle "rimozioni" successivamente rilevate e confermate in dibattimento, visionando le fotografie mostratele dal P.M..

La sentenza impugnata evidenzia che la testimonianza della Ab. dimostra, quindi, che rispetto al momento dell'immissione nel possesso, la situazione dell'immobile quale descritta nella relazione dei tecnici, Geometra S. e Arch. I., è rimasta sostanzialmente immutata.

Del resto - si legge ancore nel provvedimento impugnato - la visione delle fotografie scattate in data 12.5.2011 dal fotografo Ve.Ac., - menzionate nel verbale di udienza civile del 12.5.2011, contenente altresì una sommaria descrizione dello stato dell'immobile dopo la consegna delle chiavi al custode ad opera dell'esecutato V. - chiaramente dimostra che l'appartamento è stato malamente spogliato di ogni cosa rimovibile, ancorchè non immediatamente riutilizzabile altrove, essendo mancante dei radiatori, divelti segandone i tubi (con conseguente sgocciolamento dell'acqua e formazione di macchie sul pavimento), di arredi fissi (quale un grande armadio a muro nell'ingresso ed altre strutture a muro in origine presenti in una camera tinteggiata di azzurro), con danneggiamento dell'intonaco, di faretti ad incasso, di due porte (con il distacco dei telai e delle mostrine, con conseguente danneggiamento dell'intonaco), di tutte le placche degli interruttori e di alcuni frutti, con danneggiamento delle cassette dei fili elettrici (lasciati "penzolanti" dai fori dei muri), e persino di pezzi di battiscopa.

Con motivazione del tutto logica i giudici del gravame del merito evidenziano che l'assenza di fotografie di bagni e caldaia non consente di riscontrare le dichiarazioni della persona offesa in ordine al danneggiamento dei primi e dell'asportazione della seconda, ma che la capillare opera di spoliazione da parto, dei debitori esecutati rende assolutamente verosimile il racconto dell' A., la deposizione del quale viene ritenuta massimamente attendibile, essendo del tutto comprensibile che lo stesso, dopo aver sporto "a caldo" la prima denuncia avendo assistito al trasloco e visto portare via porte e radiatori dal suo appartamento, verificando poi i danni - l'abbia in seguito integrata (cosa che si era riservato di fare già nella denuncia del 12.5.2011, ove si legge: "... un armadio a muro è stato letteralmente scardinato ed asportato e altro ancora da meglio quantificare"), non appena ha constatato il danneggiamento o la mancanza di altri beni (quale, appunto, la caldaia).

3. La Corte territoriale opera un buon governo della richiamata costante giurisprudenza di legittimità in materia di testimonianza della persona offesa.

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno ormai da tempo definitivamente fugato ogni dubbio sul punto, affermando che le regole dettate dall'art. 192 c.p.p., comma 3, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (così SS.UU. n. 41461 del 19/7/2012, Bell'Arte ed altri, Rv. 253214, che in motivazione hanno altresì precisato come, nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi; conf. Sez. 3, n. 40849 del 18/7/2012, M., Rv. 253688; Sez. 1, n. 34712 del 2/2/2016, Ausilio, Rv. 267528, caso in cui, in applicazione del principio, la Corte ha escluso che all'erronea indicazione dell'età apparente dell'imputato, da parte della persona offesa, potesse attribuirsi - in via preventiva e presuntiva - una valenza invalidante della credibilità di quest'ultima, ritenendo immune da censure la decisione di merito che, all'esito di una approfondita valutazione, aveva ritenuto attendibili le sue dichiarazioni).

Nel solco di tale pronuncia si è condivisibilmente ribadito (Sez. 5, n. 1666 del 08/7/2014, Pirajno ed altro, Rv. 261730) che le dichiarazioni della persona offesa, costituita parte civile, possono da sole, senza la necessità di riscontri estrinseci, essere poste a fondamento dell'affermazione di responsabilità penale dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve, in tal caso, essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. A tal fine è necessario che il giudice indichi le emergenze processuali determinanti per la formazione del suo convincimento, consentendo così l'individuazione dell'iter logico-giuridico che ha condotto alla soluzione adottata; mentre non ha rilievo, al riguardo, il silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame qualora si tratti di deduzione disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, non essendo necessaria l'esplicita confutazione delle specifiche tesi difensive disattese ed essendo, invece, sufficiente una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione implicita di tale deduzione senza lasciare spazio ad una valida alternativa.

Ebbene, la Corte tarantina ha fatto corretta applicazione di tali principi, pervenendo alla conclusione che le dichiarazioni rese dalla persona offesa in dibattimento fossero perfettamente credibili ed ampiamente riscontrate dalle ulteriori risultanze processuali, rappresentate da prove dichiarative e documentali.

I giudici del gravame del merito hanno anche evidenziato come le stesse non divergano in alcun modo da quanto denunciato dallo stesso Arcardio nelle denunce e nelle integrazioni di quercia, avendo il testimone semplicemente riportato quanto da lui constatato durante il trasloco degli imputati e verificato non appena è stato immesso nel possesso dell'immobile.

Coerente con tale assunto è il rilievo che il fatto che l' A., nella sua deposizione dibattimentale, abbia genericamente dichiarato che "hanno rotto tutto", ricomprendendo anche, in maniera generica, porte e "finestre", il "bagno", la "vasca", cose non indicate specificamente nelle denunce ed integrazioni delle stesse e non raffigurate nelle fotografie, non dimostri affatto la sua inattendibilità, sia perchè egli non ha sostenuto che tali oggetti siano stati divelti ed asportati dalla loro sede propria - per cui ben può aver inteso riferirsi al cattivo funzionamento di serramenti o rubinetti, constatato in seguito - sia perchè egli ha semplicemente fornito una descrizione del desolante stato dell'appartamento acquistato ed agognato per quasi un anno, in attesa che gli imputati lo rilasciassero, comprensibilmente rimarcando la propria delusione nel constatare l'assoluta gratuità dell'asportazione di arredi fissi - pannelli radianti, porte con telai e mostrine, cassettine, placche, faretti, il tutto con il danneggiamento dell'intonaco dotati di un intrinseco valore ma che non avrebbero potuto trovare utile collocazione altrove e che era stata posta in essere, nella sua percezione, per ritorsione nei confronti di chi si era aggiudicato quell'appartamento a seguito di regolare asta giudiziaria.

4. Parimenti infondata è stata argomentatamente ritenuta la doglianza secondo la quale lo stato dei luoghi constatato dall'ufficiale giudiziario al momento dell'immissione in possesso del nuovo proprietario sarebbe stato diverso da quello riportato ai consulenti dell' A. nella loro relazione, spiegata dai giudici di appello con il fatto che il confronto tra le fotografie scattate il (OMISSIS) e quelle allegate alla relazione S.- I. mostrano, da diverse angolazioni, la medesima situazione di fatto, le seconde semplicemente raffigurando ulteriori particolari non visibili nelle prime.

Non corrisponde al vero, inoltre, la censura oggi riproposta circa il mancato apprezzamento delle deposizioni rese a discolpa dell'imputato che invece sono state adeguatamente valutate e ritenute inverosimili per consapevole mendacio o, nell'ipotesi più benevola, per errato ricordo del momento in cui le testimoni erano entrate nell'appartamento.

Ricorda infatti la sentenza impugnata che a tali testi sono state mostrate, come pacificamente risulta dal verbale del 21.9.2015, pag. 10, le "fotografie prodotte all'udienza del 4.11.2013" ovvero quelle scattate in data (OMISSIS) dal fotografo incaricato dal custode giudiziario al momento dell'accesso subito dopo il rilascio dell'immobile. Ne consegue, secondo i giudici del gravame del merito, che, o i testi a discarico hanno mentito nel momento in cui hanno sostenuto che quella ivi raffigurata non era la condizione in cui si trovava l'appartamento nel momento in cui lo hanno visionato, oppure hanno errato nel ricordare di essere entrate nell'appartamento subito prima del suo rilascio da parte dei coniugi V.- C..

Del tutto priva di aporie logiche appare, dunque, la ritenuta inverosimiglianza della tesi giustificativa delle cosiddette asportazioni per una ristrutturazione, oltre che incompatibile per le modalità con cui era stata attuata (asportazione dei caloriferi con taglio degli attacchi, fili elettrici esposti, ecc...).

Rispetto ad una motivata, logica e coerente pronuncia qual è quella impugnata, il ricorrente chiede una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma un siffatto modo di procedere è inammissibile perchè trasformerebbe questa Corte di legittimità nell'ennesimo giudice del fatto.

5. Sul secondo motivo di ricorso, corretta appare la qualificazione giuridica del reato, quale furto aggravato e non appropriazione indebita, data dai giudici di merito.

Presupposto della fattispecie criminosa punita dall'art. 646 c.p., che vale a distinguerla da quella del reato di furto, è la situazione di possesso della cosa altrui, sorto in base a qualsiasi titolo, purchè non idoneo al trasferimento della proprietà.

Pur richiamando i medesimi concetti di natura civilistica, la nozione di possesso della fattispecie incriminatrice dell'appropriazione se ne differenzia, involgendo ogni situazione giuridica che si concretizza nel potere di disporre della cosa in modo autonomo al di fuori della sfera di vigilanza del proprietario, abbracciando in tal senso anche la detenzione (cfr. la sentenza n. 34851/2008, Vergori, non mass.).

Sul punto questa Corte di legittimità, con una giurisprudenza ormai radicata nel tempo, ha chiarito che il possesso a qualsiasi titolo implica un potere di fatto sulla cosa, che comprende almeno qualche facoltà di disporre della cosa stessa, per cui se l'agente non ha alcuna facoltà idonea ad esercitare il possesso, deve ravvisarsi il delitto di furto e non di appropriazione indebita (Sez. 2, n. 8789 del 14/6/1985, Hadugu, Rv. 170628 in un caso relativo ad un agente incaricato della custodia e sorveglianza della cosa nel luogo ove essa si trovava).

Già in precedenza si era peraltro affermato - e va qui ribadito - che i confini tra il reato di furto e quello di appropriazione indebita sono stabiliti in base all'estensione della detenzione: il possesso a qualsiasi titolo implica un potere di fatto sulla cosa, che comprende non tanto la mera esistenza della cosa nelle mani dello agente, quanto almeno qualche facoltà di disporre della cosa stessa.

Se l'agente non ha alcuna facoltà idonea ad esercitare il possesso, deve ravvisarsi il delitto di furto e non di appropriazione indebita. (Sez. 2, n. 1392 del 24/10/1977 dep. il 1978, Leogrande, Rv. 137835 in relazione ad un caso in cui è stato ravvisato il delitto di furto nella sottrazione di tondini di ferro da un camion, pervenuto nello stabilimento e sottoposto a pesatura, da parte di dipendenti dello stesso stabilimento).

Nel caso che ci occupa, ad avviso del Collegio, correttamente si è ritenuto il furto aggravato, non potendo riconoscersi, per effetto della mera autorizzazione a permanere temporaneamente nell'appartamento da parte del proprietario e del custode, alcun autonomo potere dispositivo della cosa.

La circostanza che l'imputato avesse mantenuto la detenzione dell'immobile, non ne presuppone la conservazione del possesso come potere dispositivo che di fatto, a seguito della procedura espropriativa, gli è stato sottratto con la nomina del custode del bene pignorato, già per effetto dell'espropriazione e prima del trasferimento di proprietà in favore dell'acquirente.

6. Manifestamente infondati sono anche i motivi di ricorso relativi alla mancata riconosciuta prevalenza delle pur concesse circostanze attenuanti generiche sulle contestate aggravanti e alla mancata applicazione al caso che ci occupa della speciale causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p..

Quanto al primo, per la Corte territoriale non vi sono ragioni per ritenere che le già riconosciute attenuanti generiche vadano ritenute addirittura prevalenti rispetto alla contestata aggravante, trattandosi di fatti gravi, in ragione del danno economico e morale cagionato alla persona offesa, profondamente prostrata a causa della condotta dei prevenuti, e caratterizzati da particolare intensità del dolo e da modalità ritorsive nei confronti dell' A., del tutto incolpevole - e niente affatto "giustificati" dalla esasperazione e disperazione di perdere la propria casa, essendo l' A. soggetto del tutto estraneo alle ragioni che avevano condotto al pignoramento e, comunque, mostratosi disponibile a venire incontro alle esigenze della famiglia V.- C., dando loro il tempo di reperire con calma una nuova sistemazione.

La sentenza impugnata si colloca pertanto nell'alveo del consolidato e condivisibile dictum di questa Corte di legittimità secondo cui le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell'equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. Un., n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931; conf. Sez. 2 n. 31543 dell'8/6/2017; Pennelli, Rv. 270450; Sez. 4, n. 25532 del 23/5/2007, Montanino Rv. 236992; Sez. 3, n. 26908 del 22/4/2004, Ronzoni, Rv. 229298). E nel giudizio ex art. 69 c.p., così come nella determinazione, in misura inferiore a quella massima consentita dalla legge, della riduzione di pena dovuta al giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, il giudice può valorizzare anche i precedenti penali relativi a reati depenalizzati o estinti, trattandosi di fattispecie che rimangono significative di una predisposizione dell'imputato a violare la legge penale (cfr. Sez. 5, n. 45423 del 6/10/2004, Mignogna ed altri, Rv. 230579).

Quanto al mancato riconoscimento della causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p. certamente non può riconoscersi nel benevolo trattamento sanzionatorio riservato all'odierno ricorrente in considerazione dell'incensuratezza e delle condizioni in cui è maturata la commissione del reato l'implicito riconoscimento della tenuità del danno che è stato, invece, espressamente definito notevole.

La Corte tarantina rileva che non vi sono i presupposti per ritenere la particolare tenuità del fatto, avendo riguardo "al danno complessivamente cagionato alla vittima, tutt'altro che tenue, ed alle modalità particolarmente insidiose della condotta".

La sentenza, dunque, si colloca nell'alveo del dictum delle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133 c.p., comma 1, delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entità del danno o del pericolo (Sez. Un. n. 13681 del 25/2/2016, Tushaj, Rv. 266590).

7. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2018

Appropriazione indebita: se l'agente ha la detenzione del bene ma non l'autonomo potere dispositivo si configura il reato di furto

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