RITENUTO IN FATTO
1.1 Con sentenza in data 13 ottobre 2021, la corte di appello di Palermo, confermava la pronuncia del Tribunale monocratico di Trapani del 2 ottobre 2020, che aveva condannato alle pene di legge C.S. perché ritenuto responsabile di appropriazione indebita.
1.2 Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, avv.to Alagna, deducendo con distinti motivi:
- violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione all'art. 646 c.p. ed alla scriminante della compensazione; si sosteneva al proposito che il C. aveva esercitato un proprio diritto nascente dalla prestazione lavorativa effettuata in favore della società Craparotta Group s.r.l. che non risultava essere stata retribuita così che, l'incasso della somma di circa 4.000 Euro a fronte del pagamento di alcune fatture da parte dei clienti della predetta società, era avvenuto a fronte di un credito certo, liquido ed esigibile, circostanza questa dimostrata dall'ottenimento di successivo provvedimento in sede di giudizio di lavoro nel corso del quale era stato riconosciuto l'importo di 8.000 Euro a suo favore;
- violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. e) in relazione al ragionevole dubbio sussistente in ordine alle somme effettivamente ricevute ed incassate dal C..
CONSIDERATO IN DIRITTO
2.1 Il ricorso è manifestamente infondato e deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.
Il primo motivo ripropone una doglianza già adeguatamente affrontata e risolta dalla corte di appello la quale ha già precisato come, al momento del trattenimento da parte del C. delle somme versate dai clienti della Craparotta group srl a titolo di pagamento di alcune fatture, il diritto alla retribuzione del C., nominato amministratore di un ramo di azienda, non potesse ritenersi certo, liquido ed esigibile.
Al proposito, infatti, occorre ricordare come nel reato di appropriazione indebita non opera il principio della compensazione con credito preesistente, allorché si tratti di crediti non certi, né liquidi ed esigibili (Sez. 2, n. 293 del 04/12/2013, Rv. 257317 - 01). Ne deriva affermare che non basta la sola prestazione dell'attività lavorativa per ritenere il credito dotato dei requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità e potersi così agire direttamente in compensazione, dovendo invece farsi riferimento alle previsioni contrattuali ovvero ai provvedimenti emessi in favore del soggetto che agisce in compensazione; e nel caso in esame non risulta proprio che il C. avesse al momento della percezione delle fatture già determinato il proprio diritto di credito e, neppure, che fosse stata stabilita una retribuzione da parte della società, con facoltà di prelievo diretto delle somme incassate.
2.2 Quanto al secondo motivo, lo stesso è manifestamente infondato posto che la regola di giudizio compendiata nella formula "al di là di ogni ragionevole dubbio" rileva in sede di legittimità esclusivamente ove la sua violazione si traduca nella illogicità manifesta e decisiva della motivazione della sentenza, non avendo la Corte di cassazione alcun potere di autonoma valutazione delle fonti di prova. (Sez. 2, n. 28957 del 03/04/2017, Rv. 270108 - 01). E nel caso in esame alcuna illogicità manifesta pare ravvisabile posto che i giudici di merito hanno ricostruito l'avvenuto incasso delle fatture sulla base di plurimi elementi di prova correttamente interpretati. In conclusione, l'impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 3; alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 1 giugno 2022.
Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2022