RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d'appello di Lecce ha, con la sentenza impugnata, confermato quella emessa dal giudice di prima cura a carico di M.L. e S.M. per bancarotta fraudolenta continuata e aggravata in relazione al fallimento della Brindisi Calcio srl, dichiarato il 19/8/2004.
Secondo la ricostruzione operata dai giudici di merito M.L. amministratore unico della società dal 21/6/2001 al 29/4/2003 e, poi, Presidente del Consiglio di amministrazione dal 30/4/2003 al 19/12/2003 - e S.M..
- amministratore di fatto della medesima società - distrassero la somma di L. 88 milioni ottenuta come finanziamento dal comune di Brindisi per la ristrutturazione del campo di calcio dirottandola verso altra società amministrata da S. (la Papalini Partecipazioni spa: capo A); distrassero la somma di L. 447.000.000, apparentemente presente in cassa e mai consegnata ai successivi amministratori o al curatore (capo B); nel corso dell'esercizio 2000-2003 emisero simultaneamente, ma con scadenze differite, assegni per l'importo di Euro 174.908, tratti sulla Banca Meridiana, per "pagare compensi a giocatori, dirigenti, allenatori, custodi e autisti della squadra giovanile, senza registrare i relativi importi come costi di gestione della stessa (utilizzando il conto economico), bensì registrandoli come somme versate nella predetta cassa assegni (utilizzando dunque il conto finanziario), con conseguenti gravi anomalie contabili" (capo F); distrassero, immediatamente prima della nomina - avvenuta il (OMISSIS) - di N.U. a nuovo Presidente del Consiglio di amministrazione, la somma di Euro 76.838,71, contabilizzata in cassa-contanti e in cassa-assegni e non consegnata alla nuova dirigenza, nè al curatore (capo G); tennero le scritture contabili in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari (capo C).
2. Contro la sentenza suddetta hanno proposto ricorso per Cassazione i difensori di entrambi gli imputati, articolando censure in rito e in merito.
2.1. Il difensore di M.L. lamenta plurime violazioni della normativa fallimentare e processuale, nonchè plurimi profili di illogicità motivazionali.
a) Con un primo motivo si duole che la Corte d'appello abbia disatteso le spiegazioni - fornite dalla difesa - intorno alla contestata distrazione delle somme corrisposte dal Comune di Brindisi alla società. Ripete che la società sportiva aveva ricevuto dal Comune il contributo di L. 240 milioni per il rifacimento del manto erboso dello stadio di calcio e che aveva speso, in realtà, una somma inferiore, trattenendo, illegittimamente, la differenza (L. 76 milioni). Tale condotta era, al massimo, inquadrabile nella truffa o nell'appropriazione indebita, ma non nella bancarotta, anche se la somma suddetta era stata riversata alla controllante (la Papalini Partecipazioni srl), giacchè era rimasta comunque "nel perimetro patrimoniale del gruppo finanziatore dell'intera gestione societaria". E lamenta che di tanto la Corte d'appello non abbia tenuto minimamente conto.
b) Con altro motivo censura la sentenza impugnata per aver omesso di motivare intorno alla ritenuta distrazione della somma di L. 447.000.000, di cui al capo B), apparentemente presente in cassa e mai consegnata ai successivi amministratori o al curatore, nonchè della somma di Euro 174.908, di cui al capo F). Sul punto, deduce, la difesa aveva dimostrato, con documenti e con prova testimoniale, che le somme suddette erano state destinate al pagamento "in nero", di tecnici e giocatori, sicchè avevano avuto una destinazione conforme all'oggetto sociale. Al massimo, pertanto, sarebbe configurabile, nella specie, una bancarotta preferenziale, ormai prescritta.
In ordine alla destinazione delle somme suddette lamenta anche che la Corte d'appello abbia ritenuto non indispensabile la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, richiesta dalla difesa, con motivazione generica e "inconsistente", parlando di "sovrabbondanza" della prova richiesta e attribuendo alla stessa un mero carattere esplorativo, laddove la ritenuta insufficienza - in funzione della tesi difensiva - della documentazione prodotta dalla difesa avrebbe dovuto indurre il giudicante a dare spazio alla prova dichiarativa dedotta.
c) Quanto all'ammanco della somma di Euro 76.838,71, contestata al capo G), lamenta che la sottrazione sia stata attribuita a M. nonostante il "lungo intervallo" intercorrente tra la cessazione dalla carica da parte di quest'ultimo e il fallimento; intervallo - di circa otto mesi - coperto dalla nuova amministrazione (composta di soggetti che ben conoscevano le vicende societarie), che pure aveva movimentato somme rilevanti (Euro 20 mila in data 26/1/2004 ed Euro 25.300 il 6/2/2004); tanto più, aggiunge, che di dette movimentazioni il nuovo amministratore (Novembre) "non aveva saputo dare risposta".
d) Quanto alla bancarotta documentale di cui al capo C) (a questa fattispecie è stata ricondotta dai giudici di merito, in realtà, anche l'ipotesi contemplata al capo F, indebitamente ascritta dal ricorrente alla bancarotta distrattiva), lamenta che non sia stata provata la finalità di pregiudicare i creditori, essendo le irregolarità contabili - non contestate - imposte dalla necessità di effettuare i pagamenti "in nero", funzionali al perseguimento dell'oggetto sociale: circostanza di cui i giudici di merito non hanno tenuto conto.
e) In ordine al trattamento sanzionatorio lamenta l'immotivato diniego delle attenuanti generiche e l'applicazione della recidiva per la bancarotta distrattiva e documentale, laddove è stata disapplicata per la bancarotta preferenziale (dichiarata, per questo, prescritta).
2.2. Il difensore di S.M. articola sette motivi di doglianza, tutti incentrati sulla violazione di legge e sul vizio di motivazione.
2.2.1. Col primo lamenta la violazione di plurime norme processuali e l'illogicità della motivazione con cui è stata rigettata l'eccezione di nullità della notifica dell'avviso di conclusione delle indagini e degli atti susseguenti, compresa la citazione a giudizio dinanzi al Tribunale e la notifica dell'estratto contumaciale della sentenza di primo grado, siccome effettuate nel domicilio irritualmente eletto (quello di un difensore che, già prima dell'effettuazione delle notifiche, era rinunciante al mandato). Deduce, al riguardo, che il "verbale di identificazione, invito a dichiarare o eleggere domicilio per le notificazioni e nomina difensore" redatto dalla Guardia di Finanza di San Giovanni Valdarno in data 9 febbraio 2006 era del tutto inidoneo allo scopo, e quindi inefficace, perchè non conteneva la locuzione di persona sottoposta ad indagini (anzi, si parlava, nello stesso, di "persona in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti"), nè quella di "procedimento penale"; inoltre, non conteneva l'indicazione dell'Autorità Giudiziaria cui comunicare eventuali variazioni del domicilio eletto. Per effetto di tanto S., rimasto contumace nel giudizio di primo grado, non ha avuto contezza del procedimento contro di lui instaurato.
Oltretutto, aggiunge, anche la dichiarazione di contumacia, fatta dal giudice di primo grado, è nulla, in quanto contenuta in un verbale di udienza che non è stato sottoscritto nè dal Giudice nè dall'ausiliario.
Lamenta che siffatte doglianze, sollevate dinanzi al Tribunale, non hanno ottenuto risposta dalla Corte d'appello, essendosi questa limitata a ribadire la regolarità delle notifiche, senza tener conto del vizio genetico concernente l'inidoneità della elezione di domicilio, come sopra effettuata.
2.2.2. Col secondo motivo si duole della motivazione - spesa dalla Corte d'appello - per dimostrare la qualità di "amministratore di fatto" in capo a S.. Motivazione che - deduce - ricalca pedissequamente quella del Tribunale e si fonda su un dato inconferente: il fatto che "le cause del fallimento si siano verificate nel periodo in cui tutti i poteri decisionali si erano concentrati nella mani della Brindisi Terminal Italia spa", socio di maggioranza della Brindisi Calcio spa ( S. era amministratore della B.T.I. spa); ovvero sulle dichiarazioni di soggetti (l'amministratore di diritto M., l'avv. C., il nuovo amministratore N.) interessati a scaricare su altri le proprie responsabilità, oltre che contraddittorie tra loro (il ricorrente riporta le dichiarazioni di C. e N., per dedurne la loro contraddittorietà). Oltretutto, aggiunge, si tratta di dichiarazioni non sottoposte a verifica di attendibilità, nonostante l'evidente interesse di M. (imputato) a scaricare su altri le sue responsabilità, nonostante risultasse ex actis che N. e C. si erano attribuite somme in un periodo (gennaio 2004) in cui risultava già lo stato di decozione della società e nonostante i testi suddetti avessero dimostrato di avere idee assolutamente vaghe sulla gestione societaria. Sotto altro profilo lamenta, infine, che non sia stato attribuito rilievo alle dichiarazioni del direttore sportivo Mo., il quale "vedeva tutto quello che accedeva in ordine alle retribuzioni dei calciatori" (si riferisce alla corresponsione di emolumenti in nero) e che ha escluso di aver mai parlato con S. di siffatto momento gestionale.
2.2.3. Col terzo motivo lamenta che, in ordine al reato di cui al capo A) (la distrazione della somma di L. 88.000.000) la Corte d'appello si sia limitata ad operare il rinvio alla sentenza di primo grado e ne abbia riprodotto il contenuto, senta tener conto delle deduzioni difensive. In punto di prova, lamenta che i giudici abbiano attribuito a S. - in base a mere congetture - la decisione di trasferire la somma alla controllante e che abbiano immotivatamente disatteso fa tesi difensiva, perorata dall'amministratore di diritto, secondo cui si era trattato della restituzione di un finanziamento, e quindi di una operazione infragruppo.
2.2.4. Col quarto motivo lamenta che la Corte di merito non abbia fornito alcuna spiegazione intorno alla ragioni della condanna per i reati di cui ai capi B) ed F), limitandosi a negare rilevanza alle deduzioni difensive, imperniate sulla ripetuta deduzione di un giro di affari in nero, necessario alla sopravvivenza della società e dimostrato dalla documentazione prodotta dal coimputato M., l'unico in grado, per la qualifica rivestita, di dare contezza della destinazione data alle somme risultanti dalla contabilità. Sotto altro profilo contesta, poi, la qualificazione - data dai giudici di merito - ai pagamenti "in nero", ai quali deduce - la "giurisprudenza più recente" nega la qualità distrattiva, nonchè il fatto che i pagamenti suddetti siano avvenuti "in epoca di palese dissesto della società", posto che la crisi del Brindisi Calcio ha coinciso, invece, con la decisione - presa repentinamente - del socio di maggioranza di "foraggiarla".
2.2.5. Col quinto motivo lamenta che la condanna per il capo G) sia avvenuta sulla base delle inattendibili dichiarazioni del teste N., che aveva tutto l'interesse a scaricare su altri le responsabilità dell'ammanco e che, insieme all'altro teste C. (percettore di 5.000 Euro), si è reso beneficiario, nel periodo in cui è stato amministratore, quantomeno della somma di Euro 13.000 "senza alcuna giustificazione contabile".
2.2.6. Col sesto motivo si duole della motivazione relativa alla bancarotta documentale, ricollegata - dal giudice di primo grado - al "gonfiamento" della cassa e all'accertata mancanza dei partitari contabili per l'anno 2002. Senonchè, deduce, i giudici non hanno tenuto conto del fatto che la discordanza tra il dato contabile e quello reale è dipesa dal meccanismo di gestione della società, nonchè del fatto che la contabilità è stata ricostruita pressochè in toto, con minimo sforzo, da parte del curatore e dei consulenti di parte. Inoltre, non hanno tenuto conto del fatto che la bancarotta documentale deve essere assistita dal dolo specifico di realizzare un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori. Peraltro, aggiunge, il mancato reperimento dei mastrini del 2002 non può essere ricondotto automaticamente alla responsabilità dell'asserito amministratore di fatto.
2.2.7. Col settimo ed ultimo motivo si duole del trattamento sanzionatorio, determinato - come già lamentato in appello - attraverso l'illegittima applicazione della recidiva, maì contestata e comunque insussistente in concreto, e della immotivata parificazione del trattamento riservato ai due imputati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi di entrambi gli imputati pongono, dal punto di vista oggettivo, le medesime questioni, per cui vanno trattati unitariamente, salva la disamina delle questioni relative alla posizione di ognuno.
1. Il delitto di bancarotta per distrazione è qualificato dalla violazione del vincolo legale che limita, ex art. 2740 c.c., la libertà di disposizione dei beni dell'imprenditore che li destina a fini diversi da quelli propri dell'azienda, sottraendoli ai creditori. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte da cui non si intravedono motivi per discostarsi - in tema di reati fallimentari, per beni del fallito ex art. 216 L.F. si intendono tutti quelli che fanno parte della sfera di disponibilità del patrimonio, indipendentemente dalla proprietà. Nella definizione di tale sfera si prescinde dal modo di acquisto dei beni, di tal che anche quelli ottenuti con sistemi illeciti ed in particolare per appropriazione indebita (o truffa) rientrano in tale novero. Tanto, perchè l'obiettività giuridica di quest'ultimo reato e quella della bancarotta sono diverse, in quanto l'"iter" criminoso del primo si esaurisce con l'acquisto dei beni mentre la sottrazione degli stessi è successiva e si ricollega ad una nuova ed autonoma azione, con la conseguenza che i due reati possono concorrere (Cass., 8373 del 27/9/2013; N. 2373 del 14/12/1988; N. 23318 del 17/03/2004; N. 44159 del 20/11/2008; N. 45332 del 9/10/2009). Infondata, pertanto, la pretesa degli imputati di stabilire un rapporto dì esclusione tra la truffa o l'appropriazione indebita della somma di L. 88 milioni e la bancarotta patrimoniale.
Per il resto, anche le ulteriori doglianze relative alla contestata distrazione della somma suddetta sono manifestamente infondate, data l'assoluta irrilevanza della deduzione difensiva riportata in parte narrativa (la somma - riversata alla Papalini Partecipazioni srl - era rimasta "nel perimetro patrimoniale del gruppo finanziatore dell'intera gestione societaria"), dal momento che l'appartenenza della società Brindisi Calcio allo stesso "gruppo" (circostanza, peraltro, tutta da dimostrare, non bastando, a tal fine, le parziali coincidenze dell'assetto proprietario) non legittima la "libera" circolazione dei capitali tra le diverse entità del gruppo. Tanto, a prescindere dall'esistenza di "vantaggi compensativi" per la controllata, non provati nella specie ed esclusi, comunque, con motivazione esaustiva, dal giudice di merito (pag. 7 della sentenza impugnata). Non è, pertanto, la sentenza d'appello elusiva delle questioni poste dall'appellante M., ma è il ricorso di quest'ultimo a prescindere dalle corrette riflessioni del giudicante, sicchè ne va affermata - anche per tale via - la inammissibilità. Il medesimo vizio presenta, sul punto, il ricorso di S., giacchè si limita alla riproposizione della tesi sostenuta, in giudizio, dal coimputato M. (secondo cui si era trattato di un finanziamento infragruppo) e debitamente confutata dal giudice d'appello, il quale - contestato solo in maniera assertiva - ha escluso che il processo abbia fornito la prova od offerto indizi di precedenti finanziamenti operati dalla Papalini Partecipazioni srl alla Brindisi Calcio srl.
Quanto alla prova - in capo a S. - del dolo (vale a dire, la consapevolezza e volontà di deprivare la società fallita di una propria attività), sono più che sufficienti le riflessioni del giudicante intorno alla posizione occupata dall'imputato nella Brindisi Calcio srl e al beneficiario del trasferimento, che ne facevano - secondo ogni logica - il soggetto certamente compartecipe della decisione di trasferire la somma alla società suddetta. D'altra parte, sarebbe semplicemente grottesco pensare che S. - dominus della società disponente e di quella beneficiaria - sia rimasto estraneo alla decisione di trasferire la somma alla Papalini Partecipazioni srl.
2. Non hanno fondamento nemmeno le censure relative alla ritenuta distrazione delle somme che - secondo entrambi i ricorrenti - sarebbero state destinate alla corresponsione di emolumenti "in nero" a tecnici e giocatori della squadra di calcio. Tale giustificazione, infatti, oltre ad essere stata giudicata - con argomenti fondati sulla realtà del compendio processuale - del tutto priva di elementi di prova, è comunque insufficiente. Infatti, come è già stato rilevato dalla giurisprudenza di legittimità (puntualmente riportata nella sentenza di primo grado e sostanzialmente ignorata dai ricorrenti), seppur con riferimento a fattispecie parzialmente diversa, "la costituzione di rapporti di lavoro al di fuori della contabilità ordinaria costituisce un fatto illecito che, oltre a ledere le norme previste a tutela dei lavoratori, viola la regolarità dell'intera attività contabile della società, rendendo impossibile qualsiasi controllo, e sovrapponendo la gestione personale dei singoli amministratori a quella degli organi sociali. Il lavoro "nero", costituisce quindi "oggettivamente", una modalità di gestione alternativa delle risorse sociali, attraverso la quale, in contrasto con la legge e con le norme statutarie, viene impiegata forza lavoro, non assunta dalla società, ed integrante una vera e propria forma di "distrazione" perchè la retribuzione viene effettuata con capitali sociali non regolarmente registrati" (Cass., n. 26636 del 28/4/2004, non massimata). Tali argomenti, sviluppati con riferimento all'assunzione e alla retribuzione in nero di lavoratori, valgono, a maggior ragione, con riferimento alla corresponsione - a titolo grazioso - di somme "in nero" ai tecnici e ai calciatori di una squadra di calcio, giacchè, anche in questo caso, alla gestione "ordinaria" della società (vale a dire, quella effettuata in base alla legge, alle norme statutarie e ai contratti regolarmente stipulati) si sovrappone quella personale dell'amministratore, che decide, in tal modo, la destinazione delle risorse sociali, al di fuori di ogni controllo e secondo le proprie personali valutazioni, le proprie preferenze ed il proprio personale interesse. Tale impostazione non contraddice affatto la giurisprudenza citata dal ricorrente S. (Cass., n. 13531 del 29/1/2015; Cass., n. 35611 del 14/5/2010; Cass., n. 48511 del 5/10/2011), la quale si riferisce a situazioni tutt'affatto diverse: il pagamento "in nero" di lavoro straordinario, svolto da dipendenti regolarmente assunti, al fine di evitare il pagamento degli oneri previdenziali e assicurativi (così le prime due sentenze citate), ovvero al pagamento in nero di lavori a domicilio (così la terza sentenza citata). Si trattava, infatti, in tutti i casi, di retribuzioni di lavori svolti - in prospettazione nell'interesse della società fallita, rientranti nell'oggetto dell'attività caratteristica, ed eseguiti sulla base di decisioni assunte dall'organo gestorio, seppur con modalità non ortodosse. Nella specie, invece, si è trattato - stando alla prospettazione difensiva - di compensi corrisposti al di fuori di qualsiasi obbligo contrattuale (del tutto assertivo essendo il riferimento ad una "prassi" - a cui la Brindisi Calcio non avrebbe potuto sottrarsi - imperante nel settore), e quindi di regalie, premi, et similia, che, per essere rimessi all'arbitrio dell'amministratore (di diritto o di fatto) non sono in alcun modo riconducibili a determinazioni societarie, seppur prese ed attuate in violazione delle regole della corretta gestione. Nessun appunto può muoversi, pertanto, al giudice d'appello, che ha ritenuto irrilevante l'integrazione istruttoria richiesta, in quanto, seppur fosse stato dimostrato che tecnici e calciatori avevano ricevuto somme "in nero", non per questo gli esborsi relativi sarebbero rientrati nel novero degli "impieghi" effettuati per conto e nell'interesse della fallita.
Consegue a tanto che, come correttamente ritenuto dai giudici di merito, vanno senz'altro iscritti al capitolo distrazione gli ammanchi - per L. 447.000.000 contestati al capo 8).
3. Infondate sono pure le censure riguardanti la ritenuta distrazione della somma di Euro 76.838,71, di cui al capo G), da parte degli odierni imputati. La riconduzione dell'ammanco - risultante dalla contabilità e nemmeno contestato nella sua effettività - alla gestione M. - S. è stata spiegata, oltre che con le dichiarazioni di N. e C., col fatto che, già prima del passaggio delle consegne ai nuovi amministratori, avvenuto il (OMISSIS), il Collegio sindacale aveva segnalato le forti differenze tra il contante presente fisicamente in cassa (normalmente pari a poche centinaia di Euro se non a zero) e quello risultante dalla contabilità (normalmente pari a decine di migliaia di Euro) (pag. 25 della sentenza di primo grado). E quindi in base a circostanze obbiettive, accertate dall'organo (il collegio sindacale) istituzionalmente preposto al controllo societario, e non già in base alla sole, contestate dichiarazioni dei testi sopra nominati, a cui i giudici di merito hanno attribuito credibilità fondata su incontrovertibili dati documentali. D'altra parte, entrambi glì imputati tralasciano di considerare che la valutazione della credibilità dei testimoni costituisce un tipico giudizio di merito su cui, a meno di insanabili illogicità (non segnalate) o smentite provenienti da altri elementi della istruttoria espletata (neppure esse segnalate), non è consentito alcuna sovrapposizione ricostruttiva del giudice di legittimità.
4. Quanto alla bancarotta documentale (oggetto delle contestazioni di cui ai capi C ed F), decisive sono le riflessioni, sviluppate da entrambi i giudici di merito, intorno alla totale inattendibilità di una contabilità che registrava tutte le operazioni finanziarie in cassa contanti ed in cassa assegni, con frequenti giroconti da un conto all'altro; che mancava totalmente dei partitari contabili relativi all'anno 2002; che presentava, nei vari periodi, una cassa contanti regolarmente superiore alla consistenza fisica; che evidenziava l'emissione di assegni per importi significativi (Euro 174.908) - destinati al pagamento di calciatori, dirigenti, custodi, autisti - senza registrare i relativi importi come costi di gestione e senza l'annotazione dei beneficiari (pagg. 18 e segg. della sentenza di I grado, richiamata e integrata da quella d'appello). Trattasi, secondo ogni logica e in base a elementari regole d'esperienza, di situazione obbiettivamente idonea ad impedire la ricostruzione, da parte degli organi fallimentari, della situazione economica e finanziaria dell'impresa, sicchè assertiva e indimostrata è la deduzione di entrambi i ricorrenti che quella ricostruzione sarebbe stata effettuata - con minimo sforzo - da parte del curatore e dei consulenti di parte. Di nessun momento, poi, è l'ulteriore deduzione difensiva, secondo cui la discordanza tra il dato contabile e quello reale sarebbe dipesa dal meccanismo di gestione della società (i "pagamenti in nero"), giacchè non può essere addotta a scusante la situazione di illegalità in cui gli imputati si erano volontariamente messi. Ed erronea, infine, è la deduzione finale, secondo cui la bancarotta documentale deve essere assistita dal dolo specifico di realizzare un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, giacchè tale finalismo connota la bancarotta fraudolenta documentale cd. specifica (sottrazione, distruzione o falsificazione delle scritture contabili) e non già quella "generica", integrata dalla cosciente volontà di rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari. E di tale reato devono rispondere entrambi gli imputati, giacchè sull'amministratore di fatto grava la totalità dei doveri connessi alla carica e sull'amministratore di diritto grava, in via addirittura principale, il compito di assicurare, anche attraverso l'opera di vigilanza, la regolare tenuta delle scritture contabili (Cass., n. 642 del 30/10/2013).
5. Venendo all'esame delle doglianze specifiche dei ricorrenti, non merita accoglimento il motivo in rito di S., concernente la regolarità della vocatio in ius. La correttezza dei rilievi difensivi in ordine alla presenza di irregolarità nel verbale di elezione di domicilio del 9/2/2006 non comporta, infatti, che siano affette da nullità assoluta le notificazioni eseguite presso il difensore. Posto che le irregolarità riguardanti l'elezione di domicilio non rilevano ex sè (nessuna conseguenza è ricollegata dalla legge alla formazione di un verbale improprio), ma per gli effetti che determinano sulla validità delle successive notificazioni, si rileva che, nella specie, la notifica eseguita presso il difensore di fiducia, nel domicilio dichiarato, era certamente idonea ad assicurare la conoscenza degli atti al soggetto che aveva effettuato l'elezione, importando unicamente una difficoltà di comunicazione delle eventuali variazioni del domicilio, stante la mancata indicazione dell'Autorità giudiziaria procedente. Di nessun rilievo, invece, è il fatto che, nel verbale, redatto dalla Guardia di Finanza, non era indicata la qualità di "imputato" o "indagato", dal momento che tale qualità è attribuita al soggetto dall'Autorità Giudiziaria (con la notifica dell'avviso di conclusione delle indagini o di qualsiasi altro atto con cui è dato avvio al procedimento penale) e si desumeva, comunque, dal richiamo - nel verbale di elezione di domicilio - dell'art. 161 c.p.p. e dall'invito, rivolto al dichiarante, di nominare un difensore. Nella specie, non può essere, però, la mancata indicazione dell'Autorità giudiziaria procedente a determinare la nullità della vocatio in ius, posto che l'imputato non ha mai inteso variare il domicilio eletto e tale domicilio non è divenuto inidoneo, sicchè le notifiche a quel domicilio effettuate sono andate tutte a buon fine (come dimostrato dal fatto che l'appello è stato presentato da S. dopo che l'avv. Mariani aveva notiziato l'imputato, in data 30 aprile 2013, dell'avvenuta notifica, presso il suo domicilio, dell'estratto contumaciale della sentenza di I grado). A tanto va aggiunto, in via conclusiva, che, ove si ritenesse che, in conseguenza delle irregolarità contenute nel verbale di elezione del 9/2/2006, si siano verificate nullità concernenti la notifica dell'avviso di conclusione delle indagini, della citazione a giudizio o dell'estratto contumaciale, si tratterebbe di nullità tardivamente dedotte e quindi inidonee a determinare la nullità della pronuncia impugnata. Posto, infatti, che non si sarebbe di fronte ad un'omessa notifica, rilevante ai sensi dell'art. 179 c.p.p., comma 1, ma di notifica irregolare, e perciò comportante una nullità di carattere intermedio, la nullità concernente la notifica dell'avviso di conclusione delle indagini, del decreto di citazione per l'udienza preliminare e del decreto che ha disposto il giudizio andava dedotta o rilevata prima della deliberazione della sentenza di primo grado (art. 180): cosa che, pacificamente, non è avvenuta, in quanto all'udienza dibattimentale del 7 giugno 2012 il difensore di S. si limitò a dedurre il cambio di domicilio dell'avv. Mariani; fatto, questo, irrilevante ai fini che qui interessano, perchè la notifica all'imputato eseguita presso il difensore di fiducia domiciliatario è valida anche se materialmente effettuata in luogo diverso da quello indicato nell'atto di elezione (Cass., n. 19981 del 4/4/2014; Cass., n. 41432 del 29/9/2011).
Le conclusioni sopra rassegnate non cambiano se si considera che S. è stato assistito, nel corso del giudizio di primo grado, da un difensore d'ufficio (circostanza su cui il ricorrente ha particolarmente insistito). Infatti, il difensore che venga designato di ufficio a norma dell'art. 97 c.p.p., comma 4, per l'ipotesi di assenza del difensore di fiducia o di ufficio, assume la qualità di sostituto e, in applicazione dell'art. 102 c.p.p., comma 2, gli spetta di esercitare i diritti e di assumere i doveri del difensore precedente fino a quando quest'ultimo non vi provveda personalmente quale titolare dell'ufficio di difesa. La decadenza dalla facoltà di dedurre le nullità eventualmente verificatesi non subisce variazioni, pertanto, a seconda che l'imputato sia assistito da un difensore d'ufficio o fiduciario.
6. Parimenti infondato è l'ulteriore motivo in rito di S., concernente la mancata sottoscrizione del verbale dell'udienza in cui venne dichiarata la sua contumacia. Infatti, l'omessa sottoscrizione finale da parte del Presidente del collegio del verbale di udienza e quella, nei fogli intermedi, da parte dello stesso Presidente e del cancelliere non determinano alcuna nullità (Cass., n. 10424 del 24/4/1987); certamente non determina la nullità del giudizio. Si tratterebbe, infatti, di nullità viziante l'atto destinato a documentare lo svolgimento di quella particolare udienza, ma non l'intero giudizio, della regolarità del quale fanno fede tutti i verbali precedenti e successivi e il dispositivo pronunciato all'esito del dibattimento. Tanto, senza considerare che lo stesso ricorrente rimanda ad un orientamento "prevalente" della giurisprudenza, secondo cui si tratterebbe di nullità relativa, non tempestivamente eccepita.
7. Nel merito, vanno disattese le doglianze di S. concernenti la ritenuta qualità di amministratore di fatto della Brindisi Calcio spa. Ed invero, l'attribuzione all'imputato della qualità di amministratore di fatto si fonda, nel giudizio della Corte territoriale, su una serie di circostanze di fatto riferite dai testi C. e N., nonchè dal coimputato M.; è risultato, per tale via, che S. - amministratore delegato della Brindisi Terminal Italia spa, che era stata prima socio al 50% della società fallita; poi, dal 2001, socio di maggioranza; quindi, titolare dell'80% del capitale sociale e, infine, dal febbraio 2002, socio unico della fallita - era il dominus incontrastato della Brindisi Calcio spa, in quanto interveniva direttamente nell'amministrazione della società e prendeva le decisioni più rilevanti, agendo direttamente sul suo uomo di fiducia (il M., che ricopriva, proprio su proposta di S., l'incarico formale dì amministratore). E che l'individuazione del ruolo dell'imputato nella Brindisi Calcio spa non sia avvenuta sulla base delle sole (dubbie, secondo il ricorrente) prove dichiarative è dimostrato dal trasferimento, in data 22/8/2001, della somma di L. 130 milioni dal conto della società fallita alla Papalini Partecipazioni spa, amministrata proprio da S.. Tanto, nello stesso giorno in cui la Brindisi Calcio riceveva il finanziamento di L. 245.000.000 dal comune di Brindisi. Si comprende, quindi, perchè da tali elementi fattuali il giudice di merito abbia tratto la prova logica dell'assunzione, da parte del ricorrente, della qualità di amministratore di fatto: non già in sostituzione dell'amministratore di diritto, ma in pieno accordo con lui e in regime di concorso nella realizzazione degli illeciti; il percorso argomentativo seguito nella sentenza è pienamente osservante dei criteri di valutazione della prova dettati dall'art. 192 c.p.p., anche sotto il profilo dell'apprezzamento di quelli che nella motivazione sono considerati indici rivelatori, e che possono agevolmente ricondursi alla nozione di indizi gravi, precisi e concordanti.
8. E' fondata, invece, la doglianza di S. concernente l'applicazione della recidiva. L'esame del certificato penale evidenzia, infatti, che l'imputato ha riportato condanne solo successivamente al 2004 (dal 2005 al 2011), sicchè alla data di dichiarazione del fallimento (19/8/2004) era incensurato. Di conseguenza, la sentenza va annullata sul punto con l'eliminazione dell'aumento di pena disposto per la recidiva (mesi sei di reclusione).
9. E' infondato, infine, l'ulteriore motivo di M., concernente, anche in questo caso, l'applicazione della recidiva e il diniego delle attenuanti generiche. La Corte d'appello ha infatti preso in considerazione l'istanza dell'imputato, rivolta alla mitigazione del trattamento sanzionatorio, e l'ha disattesa in considerazione dei "precedenti, anche specifici", da cui M. è gravato, nonchè dell'assenza di elementi ulteriori, suscettibili di valutazione positiva. Ha così ritenuto, in maniera implicita ma chiarissima, che nessun affidamento è possibile fare sulla resipiscenza dell'imputato e che le condanne riportate non costituiscono, per lui, remora alla commissione di nuovi reati; il che dà ragione sia del diniego delle attenuanti generiche, sia dell'applicazione della recidiva, trattandosi di motivazione che trova fondamento nei parametri di valutazione posti dall'art. 133 c.p.. Contrariamente all'assunto del ricorrente, nessuna contraddizione è possibile rilevare nella motivazione resa, sul punto, dal giudicante, giacchè il Tribunale, allorchè ha preso in considerazione la recidiva, lo ha fatto solo per aggravare il trattamento sanzionatorio e la Corte d'appello si è limitata a confermare il giudizio del primo giudice. Niente autorizza a ritenere, pertanto, che i reati di cui ai capi D) ed E) siano stati dichiarati prescritti per una valutazione di inoperatività della recidiva, invece che per un errore di calcolo del Tribunale, a cui la Corte d'appello non ha potuto porre rimedio per l'assenza di impugnazione del Pubblico Ministero.
10. Consegue a tanto l'annullamento della sentenza impugnata limitatamente all'applicazione della recidiva per S.. Il ricorso di M. va invece rigettato ed il ricorrente condannato, ai sensi dell'art. 592 c.p.p., comma 1, e art. 616 c.p.p, al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, relativamente a S.M. e limitatamente alla contestata recidiva; recidiva che esclude eliminando il relativo aumento di pena di mesi sei di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso di S.. Rigetta il ricorso di M.L., che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2016.
Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2016