Bancarotta fraudolenta: sulla omessa tenuta della contabilità
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Cassazione penale sez. V, 31/01/2023, n.10968

In tema di bancarotta fraudolenta documentale per omessa tenuta della contabilità interna, lo scopo di recare danno ai creditori impedendo la ricostruzione dei fatti gestionali può essere desunto dalla complessiva ricostruzione della vicenda e dalle circostanze del fatto che ne caratterizzano la valenza fraudolenta colorando di specificità l'elemento soggettivo, che, pertanto, può essere ricostruito sull'attitudine del dato a evidenziare la finalizzazione del comportamento omissivo all'occultamento delle vicende gestionali.

La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza del 17.2.2021 la Corte di Appello di Palermo, in parziale riforma della pronuncia emessa in primo grado nei confronti di D.P.F., che lo aveva dichiarato colpevole del reato di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione, ha rideterminato, riducendole, le pene accessorie fallimentari al predetto inflitte, confermando nel resto la decisione del primo giudice.

2.Ricorre per cassazione l'imputato, tramite il difensore di fiducia, deducendo quattro motivi.

2.1.Col primo motivo deduce la violazione degli artt. 216, 223, 192 e il travisamento della prova. E' emerso che le scritture contabili della (Omissis) S.r.l. sino al 2011 erano tenute presso il magazzino dell'ex socio B., come confermato oltre che dallo stesso B. e dal curatore del fallimento di questi, anche dai verbalizzanti della G.d.f. escussi in dibattimento e che poi tale locale si allagò, e che in occasione dello sgombero dell'immobile in conseguenza della sua vendita all'asta a contabilità fu confusa con carta da conferire allo smaltimento e fu buttata risultando del tutto danneggiata al pari del computer che pure conteneva i dati contabili. B. avrebbe provveduto al suo smaltimento all'insaputa di D.P.. Sicché palesemente illogica è la motivazione della Corte di Appello che afferma che invece non vi sarebbe la prova della dispersione della contabilità per le ragioni indicate dalla difesa.

2.2.Col secondo motivo deduce la violazione degli artt. 216 e 217 oltre che dell'art. 192 c.p.p. La Corte di appello nel rigettare la richiesta di derubricazione della fattispecie in esame in quella di bancarotta semplice non ha considerato che secondo la costante giurisprudenza di questa Corte in caso di documentazione contabile incompleta irregolare o mancante l'eventuale bancarotta documentale si presume semplice laddove per l'applicazione dell'art. 216 L. Fall. occorre la prova che lo scopo dell'omissione sia quello di recare pregiudizio ai creditori. Il giudice di merito accedendo alla conclusione che nel caso di specie si versi nel caso della bancarotta fraudolenta documentale ha finito con l'affermare che questa e non quella semplice si presuma.

2.3.Col terzo motivo deduce che risulta del tutto pretermessa la valutazione del secondo motivo di appello con cui si era chiesto di disapplicare la recidiva non apparendo i precedenti dell'imputato forieri di maggiore colpevolezza.

2.4.Col quarto motivo deduce che la Corte di Appello ha erroneamente disatteso il motivo di appello, con cui si era invocata l'applicazione dell'attenuante di cui all'art. 219, comma 3, L. Fall., con una mera formula di stile, laddove si era rimarcato il rilievo secondo cui ai fini dell'applicazione di tale attenuante non rileva l'ammontare del passivo ma la differenza che la mancanza dei libri e delle scritture contabili ha determinato nella quota complessiva dell'attivo da ripartire tra i creditori, avendo riguardo alla consumazione del reato.

3. Il ricorso è stato trattato, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, senza l'intervento delle parti che hanno così concluso per iscritto:

il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso;

il difensore dell'imputato ha insistito nell'accoglimento del ricorso, illustrandoli nuovamente, in parte.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso è inammissibile

1.1.Il primo motivo di ricorso è inammissibile, essendo preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (ex multis, Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020 Ud. (dep. 11/02/2021) Rv. 280601 - 01).

I giudici del merito, nelle rispettive pronunce di primo e secondo grado - che in quanto conformi si integrano in un unicum argomentativo - con motivazione adeguata in quanto del tutto logica e puntuale, hanno evidenziato che D.P. non consegnò al curatore fallimentare le scritture contabili (neppure quelle fino al 2009 risultate tenute), e che, in ogni caso, nel corso di una verifica fiscale del 26.5.2011 egli aveva ammesso che la contabilità relativa agli anni d'imposta 2010 e 2011 non era stata aggiornata neppure nelle macchine elettrocontabili. Del tutto implausibile, argomenta il giudice del gravame, è quindi la affermata (e smentita dalle dichiarazioni rese in sede di verifica fiscale dallo stesso D.P.) tenuta della contabilità sino al 2011 e la relativa distruzione conseguente ad un allagamento del locale in cui era stata (asseritamente) riposta. Dal 2011 e sino alla data del fallimento (2015) risultava peraltro omessa del tutto la tenuta di qualunque tipo di scrittura contabile.

Sicché il motivo è anche manifestamente infondato non sussistendo i vizi denunciati.

1.2. Il secondo motivo, con il quale si lamenta la mancata derubricazione del reato nella meno grave fattispecie di cui all'art. 217 L. fall., in difetto di un "dolo qualificato", è manifestamente infondato.

Dagli elementi esposti, il giudice dell'appello desume che appare evidente anche la sussistenza della prova del necessario coefficiente soggettivo del dolo specifico di arrecare pregiudizio ai creditori attraverso la condotta di omessa tenuta delle scritture contabili (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata).

Il coefficiente soggettivo ricercato in concreto, in ogni caso, regge al confronto con i parametri giurisprudenziali ai quali il Collegio si è richiamato, poiché la Corte d'Appello ha motivato l'attribuzione psicologica del delitto di bancarotta fraudolenta documentale per omessa tenuta in coerenza con i caratteri del dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori ovvero mancata tenuta per diversi anni delle scritture contabili (per ben cinque anni, dal 2010 al fallimento dichiarato nel 2015).

La Corte territoriale ha ritenuto integrata l'ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale per omessa tenuta della contabilità (dando atto in motivazione che la contabilità sia quella tenuta fino al 2009 che quella successiva, omessa, non è in ogni caso stata messa a disposizione degli organi fallimentari), ad integrare la quale la giurisprudenza di legittimità ritiene necessario l'elemento psicologico del dolo specifico, vale a dire il fine di recare pregiudizio ai creditori, che nella specie è stato logicamente desunto dal consapevole protrarsi del comportamento omissivo per numerosi anni - dall'estensione del comportamento omissivo certamente volontario, consapevole e finalisticamente orientato - del tutto incompatibile con la fattispecie meno grave della bancarotta semplice.

Tale impostazione in diritto è corretta.

Premesso che l'occultamento delle scritture contabili, per la cui sussistenza è necessario dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, consistendo nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari, anche sotto forma della loro omessa tenuta, costituisce una fattispecie autonoma ed alternativa - in seno all'art. 216, comma 1, lett. b), L. Fall. - rispetto alla fraudolenta tenuta di tali scritture, in quanto quest'ultima integra un'ipotesi di reato a dolo generico, che presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi (cfr. Sez. 5, n. 18634 del 1/2/2017, Autunno, Rv. 269904; Sez. 5, n. 26379 del 5/3/2019, Inverardi, Rv. 276650), deve annotarsi che integra il reato di bancarotta documentale fraudolenta, e non quello di bancarotta semplice, l'omessa tenuta della contabilità interna quando lo scopo dell'omissione è quello di recare pregiudizio ai creditori, impedendo la ricostruzione dei fatti gestionali (cfr. Sez., n. 18320 del 07/11/2019 Ud. (dep. 16/06/2020), Morace, Rv. 279179 - 01); e tale scopo ben può essere desunto dalla complessiva ricostruzione della vicenda, dalle circostanze del fatto che ne caratterizzano la valenza fraudolenta, colorando di specificità l'elemento soggettivo (cfr. motivazione della sentenza Morace, cit., in cui si impernia la ricostruzione dell'elemento soggettivo del dolo specifico sul'"attitudine del dato ad evidenziare la finalizzazione del successivo comportamento omissivo all'occultamento delle vicende gestionali (...)); e nel caso di specie, le circostanze della persistenza nel tempo dell'omissione e della non veritiera giustificazione della mancanza delle scritture, inserite nel complesso della vicenda - che ha fatto emergere ingentissima esposizione debitoria per crediti privilegiati di circa due milioni di Euro oltre quelli chirografari - hanno indotto il giudice del merito a concludere per la sussistenza del dolo specifico.

3.Il terzo motivo è inammissibile in quanto generico e, comunque, manifestamente infondato.

La Corte territoriale, con motivazione adeguata, ha confermato il giudizio di equivalenza delle attenuanti generiche con la contestata recidiva (in tal modo implicitamente ritenendo corretta la valutazione del primo giudice in punto di recidiva), alla luce della gravità della condotta e della personalità dell'imputato.

Rispetto a tale valutazione, che recepisce quella del primo giudice (che, quanto alla recidiva, aveva valorizzato non soltanto i precedenti penali anche specifici, ma aveva espresso un motivato giudizio di ingravescente pericolosità sociale), manca qualsiasi specifico confronto; mancante, in verità, già nell'atto di appello.

4.Il quarto motivo è inammissibile in quanto generico.

Il ricorrente, a fronte dei dati emersi che depongono per un ingente passivo (che sebbene non costituisca il parametro a cui ancorare la valutazione della speciale tenuità del danno è pur sempre sintomatico delle proporzioni in gioco) non ha allegato alcuno specifico elemento in forza del quale i giudici del merito avrebbero dovuto ritenere integrata l'attenuante del danno di lieve entità di cui all'art. 219 L. Fall..

L'attenuante in esame è stata esclusa, in quanto (come ben evidenziato dal primo giudice), in tema di bancarotta fraudolenta documentale, la speciale tenuità del fatto di cui all'art. 219, comma 3, L. Fall., deve essere valutata in relazione al danno causato alla massa creditoria in seguito all'incidenza che le condotte integranti il reato hanno avuto sulla possibilità di esercitare le azioni revocatorie e le altre azioni poste a tutela degli interessi creditori (così Sez. 5, n. 19304 del 18/01/2013, Rv. 255439 - 01; cfr. altresì Sez. 5, n. 7888 del 03/12/2018 Ud. (dep. 21/02/2019), Rv. 275345 - 01 che in motivazione ha osservato che l'occultamento delle scritture contabili, rendendo impossibile la ricostruzione dei fatti di gestione dell'impresa fallita, impedisce la stessa dimostrazione del danno, onde la mancanza delle scritture non può essere utilizzata per presumere circostanze favorevoli all'imputato, salvo che le contenute dimensioni dell'impresa - non sussistenti nel caso di specie - non rendano plausibile la determinazione di un danno particolarmente ridotto.).

La Corte territoriale, recependo le conclusioni del primo giudice, ha dunque correttamente escluso il "lievissimo" pregiudizio, in mancanza di qualsivoglia elemento che potesse giustificarne la ravvisabilità, non offerto neppure dal ricorrente (che si era limitato secondo quanto lo stesso prospetta in ricorso a lamentare che ai fini della sussistenza di tale attenuante non rileva il dato del passivo accertato).

2. Dalle ragioni sin qui esposte deriva la declaratoria di inammissibilità del ricorso, cui consegue, per legge, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento, nonché, trattandosi di causa di inammissibilità determinata da profili di colpa emergenti dal medesimo atto impugnatorio, al versamento, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000,00 in relazione alla entità delle questioni trattate.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2023.

Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2023

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