Bancarotta fraudolenta: sussiste in caso di cessione di beni che rientrino nell’autonoma disponibilità della società fallita
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Cassazione penale sez. V, 25/05/2022, n.27410

In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, possono formare oggetto di distrazione, oltre ai beni propri della società fallita, anche quelli che rientrino nella sua autonoma disponibilità e che costituiscano il patrimonio dei rapporti attivi facenti capo all'azienda, sicché il delitto è configurabile a carico dell'amministratore di una società fiduciaria che abbia distratto le somme a questa affidate dai singoli clienti.

La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata è stata confermata la decisione del Tribunale di Milano datata 4 aprile 2019, con cui S.G.:

- è stato condannato alla pena di anni sei e mesi sei di reclusione per i reati di bancarotta patrimoniale e documentale (capo 1, punti 1,2 e 4 dell'imputazione);

- è stato assolto - perché il fatto non sussiste - dalla bancarotta patrimoniale di cui al capo 1, punto 3, e dai reati di cui ai capi 2 e 3 della contestazione;

- è stato condannato alle pene accessorie fallimentari, in misura eguale alla durata della pena principale (tenendo conto della sentenza n. 222 del 2018 della Corte costituzionale) ed al risarcimento del danno alle parti civili costituite, con pagamento di una provvisionale.

La contestazione riguarda le distrazioni commesse dall'imputato, amministratore delegato di BKN Fiduciaria s.p.a., posta in liquidazione coatta amministrativa con D.M. Sviluppo Economico del 29.3.2010, e dichiarata in stato di insolvenza il 2.7.2010, aventi ad oggetto somme di denaro pari a circa 24 milioni di Euro, appartenenti ai fiducianti della BKN.

Le imputazioni sono state prospettate nei confronti di S.G. ma anche, in concorso, nei confronti dei suoi figli M. e V.A., separatamente giudicati, e quest'ultimo già condannato definitivamente per una parte delle condotte a lui ascritte, in forza del passaggio in giudicato parziale, derivato dall'annullamento con rinvio disposto con la sentenza Sez. 5, n. 28031 del 11/3/2019, Salvini, Rv. 276921 limitatamente al reato di occultamento di parte delle distrazioni per circa 13 milioni di Euro (capo 1, punto 2).

2. Ha proposto ricorso l'imputato, tramite il difensore, avv. A., deducendo quattro motivi.

2.1. Il primo argomento eccepito contesta il provvedimento d'appello sulla base del vizio di violazione di legge in relazione all'applicazione della disciplina penale della bancarotta fraudolenta distrattiva.

La tesi del ricorrente, che stigmatizza la concezione penalistica "dilatata" della nozione di possesso cui ha aderito la sentenza impugnata, è che nel patrimonio di una società fiduciante non possano essere ricomprese le somme affidate dai fiducianti, sia di provenienza lecita che illecita, le quali rimangono nella titolarità piena di questi ultimi, terzi conferenti, sicché la loro distrazione, precedente al commissariamento della società stessa, non può integrare il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione.

In altre parole, diversamente da quanto argomentato dai giudici di merito, a giudizio della difesa, i beni conferiti, affidati per la loro utilizzazione proficua alla società fiduciaria, restano pur sempre nella proprietà dei fiducianti. Non si configura un ingresso dei patrimoni dei fiducianti nel patrimonio della fiduciaria, in ragione della circostanza che di tale patrimonio la società fiduciaria ha un precario possesso, o meglio un mero diritto di utilizzazione per gli scopi richiesti dal fiduciante, e cioè l'utilizzazione proficua dei suoi beni.

La difesa, pertanto, conclude sostenendo che il ricorrente, nel momento in cui movimentava somme non sue, ma in suo possesso per la fiducia concordata, poteva rappresentarsi l'indebito arricchimento proprio, l'indebita appropriazione ovvero un atteggiamento truffaldino grave, ma di certo non si era rappresentato né aveva voluto un intento distrattivo da bancarotta prefallimentare.

2.2. Il secondo motivo di censura deduce vizio di contraddittorietà della motivazione in riferimento all'art. 2634 c.c..

La tesi del ricorrente, già proposta e rigettata in appello, è che la sua condotta avrebbe dovuto essere riqualificata nel delitto di infedeltà patrimoniale del mandato fiduciario verso alcuni fiducianti previsto dall'art. 2634 c.c., comma 2, sicché il reato avrebbe dovuto essere dichiarato prescritto.

Si contesta, altresì, la motivazione del provvedimento impugnato con cui è stata superata l'obiezione difensiva, motivazione che sarebbe contraddittoria là dove evoca una "apertura" della contestazione delittuosa per bancarotta ascritta all'imputato, idonea a renderla coerente con la condanna poi decisa sulla base del rilievo che al ricorrente non si sia sempre e solo riferita la condotta di diretta appropriazione dei beni dei fiducianti ma la più generale e comprensiva condotta di distrazione di detti beni.

Anche il richiamo alla sentenza n. 28031 del 2019 di questa Quinta Sezione Penale, emessa in relazione alla posizione del coimputato S.V.A., sarebbe improprio ed inconferente a superare il motivo d'appello, ora divenuto ragione di ricorso.

2.3. Il terzo motivo di censura deduce omessa motivazione in relazione al reato di bancarotta fraudolenta documentale.

Le anomalie contabili non erano determinate dalla volontà di ledere le ragioni dei creditori, ma funzionali allo scopo di occultare le gestioni dei cosiddetti fondi neri di alcuni fiducianti. In ogni caso, qualsiasi occultamento o manipolazione contabile dovrebbe essere ascritta al ricorrente fino al novembre 2009.

2.4. Un ultimo motivo di ricorso censura la sentenza d'appello in relazione al trattamento sanzionatorio per vizio di motivazione: i giudici di secondo grado hanno conferito rilievo ad un elemento negativo - il tentativo di protrarre ogni oltre tollerabilità la sospensione del processo da parte dell'imputato - che non rientra tra quelli previsti dall'art. 133 c.p.. Si tratta, invece, di un mero esercizio di facoltà processuali, dal significato neutro. Anche la prospettiva di un suo mancato comportamento riparatorio, quale ulteriore indice negativo, non tiene conto delle condizioni economiche attuali del ricorrente e del suo aver subito provvedimenti di confisca patrimoniale.

Infine, si contesta anche la mancata considerazione delle circostanze di contesto in cui sono stati commessi i reati, e cioè l'inserimento delle condotte del ricorrente, considerate "spregiudicate", in un ambito di ricerca speculativa di profitti da parte degli investitori fiducianti, consapevoli dei rischi economici ai quali andavano incontro e, d'altra parte, di tale consistenza patrimoniale da poter sostenere detti rischi.

Anche il concetto di danno causato alle vittime del reato, pertanto, assume un carattere differente, in simili condizioni concrete.

3. Il PG Dr. V. ha chiesto l'inammissibilità o il rigetto del ricorso con requisitoria scritta.

4. La parte civile B. s.p.a. in liquidazione coatta amministrativa ha depositato conclusioni difensive e nota spese (per 13.197,65 Euro oltre accessori di legge), accompagnate da un'ampia memoria difensiva nella quale rappresenta le ragioni in base alle quali il ricorso deve essere dichiarato inammissibile ovvero rigettato.

4.1. Anche la parte civile B. S.p.A., mediante il difensore avv. P., ha depositato conclusioni e nota spese per la somma di Euro 8.798,49 oltre accessori di legge.

4.2. La parte civile difesa dall'avv. P. ha depositato conclusioni e nota spese per la somma di Euro 1.449 oltre accessori di legge.

4.3. Le parti civili difese dall'avv. G. hanno depositato conclusioni e nota spese per la somma di Euro 1.680, oltre accessori di legge.

4.4. Le parti civili difese dall'avv. L. hanno depositato conclusioni e nota spese per la somma di Euro 3428,93 oltre accessori di legge.

Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è complessivamente infondato

2. All'analisi dei motivi di ricorso è opportuno premettere una sintesi dei passaggi fondamentali emersi dalle sentenze di merito e dalla sentenza di questa Quinta Sezione Penale n. 28031 del 2019, sopra citata ed emessa nei confronti di S.V.A., per una indispensabile messa a fuoco delle vicende di fatto sulle quali si innestano le questioni di diritto sottoposte al Collegio.

Nel novembre 2009, l'imputato, amministratore e dominus della fiduciaria BKN, venne ricoverato per un ictus: a seguito di tale evento emersero problemi di gestione dei patrimoni affidatigli dai soggetti fiducianti.

Il Ministero dello Sviluppo Economico dispose, dunque, un'ispezione amministrativa, affidandola a D.B., successivamente nominato commissario liquidatore, al momento della sottoposizione a liquidazione coatta amministrativa della società.

Prima della dichiarazione dello stato di insolvenza (2 luglio 2010), si rivelò anche l'esistenza di un conflitto di interessi in cui versava D., che risultava intrattenere stretti ed intensi rapporti di amicizia con S.V., con il quale aveva anche partecipato a gare automobilistiche sponsorizzate dalla BKN e che era risultato amministratore della PENTAGRAM s.a., società con sede in (OMISSIS), che gestiva patrimoni e intratteneva rapporti economici e finanziari anche con la BKN, in quanto alcuni fiducianti di quest'ultima, clienti di S.G. - come B.C., F.E. e G.E. - erano clienti anche della Pentagram.

Emerse, altresì, che, in occasione del c.d. scudo fiscale-ter, S.V. aveva invitato i clienti interessati allo scudo fiscale a firmare polizze emesse da altra società, per utilizzare il doppio schermo delle polizze e della società fiduciaria, avvalendosi della BKN per le operazioni; in tal senso, risultavano dieci polizze gestite da Pentagram, e "scudate" tramite BKN. In seguito all'arresto di D., subentrava, quale commissario liquidatore, la Prof.ssa M., che, premesso il dovere di separazione assoluta tra i patrimoni della società e quelli dei fiducianti, accertava che, per almeno 21 milioni di Euro, tale separazione non vi era stata, e che il patrimonio di alcuni fiducianti era stato costituito in garanzia di terzi sconosciuti, a loro insaputa, grazie al sistema adottato da S.G., che era formalmente intestatario di tutte le posizioni dei fiducianti e aveva la firma su tutti i conti.

La distrazione dei 21 milioni di Euro era avvenuta secondo due modalità: 1) le somme di denaro di singoli fiducianti venivano fatte confluire nel patrimonio di altri fiducianti o di terzi estranei a BKN, o nel patrimonio di BKN; 2) i beni patrimoniali dei fiducianti venivano costituiti in pegno a garanzia di altri fiducianti non titolari di mandati o di terzi estranei a BKN.

Vennero calcolati, complessivamente, circa 21,1 milioni di Euro che la Commissaria M. considerò essere stati interamente oggetto di distrazione da parte di chi gestiva BKN, poiché non vennero reperite sui conti correnti riferibili ai singoli fiducianti della società.

Il fallimento non riuscì, pertanto, a restituire per intero le somme oggetto di appropriazione ai creditori fiducianti insinuatisi, poiché per la maggior parte non vennero materialmente reperite.

2.1. La Corte d'Appello, nella sentenza impugnata, condividendo la ricostruzione fattuale e giuridica della sentenza di primo grado, ha ricordato come sia configurabile la distrazione di somme fiduciariamente affidate dai singoli clienti ad una società fiduciaria ed intestate alla società fiduciaria - la fallita BKM, in questo caso - segnalando che tali somme sono comunque da ritenersi cespiti riconducibili alla società fiduciaria ed effettivamente entrati a far parte del suo patrimonio.

I contratti sottostanti al rapporto fiduciario, infatti, individuati civilisticamente quali "mandati senza rappresentanza", implicano comunque, dal punto di vista penalistico, che al patrimonio della fallita siano attribuiti tutti i beni ed i diritti dei quali l'imprenditore ha avuto a qualunque titolo il possesso, persino se provenienti da reato.

Sulla base di tali premesse, il giudice d'appello ha condiviso la prospettiva del giudice di primo grado con cui si evidenziava che, proprio in ragione del fatto che l'imputato si dimostrò in grado di esercitare in concreto il proprio potere dispositivo sui beni, titoli e valori conferiti in gestione fiduciaria alla fallita, ne conseguì il possesso, inteso come facoltà di servirsene.

La situazione di confusione tra il patrimonio della fallita e quelli dei singoli fiducianti ed i poteri dispositivi dell'amministratore della fallita, odierno imputato, su detti patrimoni ha determinato i giudici di merito a ritenere configurato il reato di bancarotta distrattiva: si è ritenuto integrato il reato ogni qualvolta tali beni/diritti/valori sono fuoriusciti dal patrimonio della fallita senza una causa legittima, a causa della gestione impropria, venendo così dispersi.

Dunque, la Corte territoriale evidenzia come non si considera che integri distrazione ai danni della società fiduciaria fallita il mero utilizzo improprio delle somme conferitele fiduciariamente, bensì si configura bancarotta distrattiva qualora vi sia la dimostrazione concreta che il denaro sia fuoriuscito dalla disponibilità della fallita, in assenza di un titolo giustificativo legittimo, essendo stato distolto dal patrimonio imprenditoriale senza adeguata contropartita, venendo così sottratto alla sua funzione di garanzia dei creditori sociali.

3. La struttura argomentativa logico-giuridica della sentenza impugnata ben sopporta la verifica cui il ricorso la chiama dinanzi al Collegio; ed i primi due motivi di censura si rivelano complessivamente infondati, essendo volti a contestare la qualificazione giuridica della condotta come bancarotta fraudolenta patrimoniale, non negandone la sua consistenza fattuale.

3.1. Il ricorrente, in particolare, dubita dell'esattezza di quella che ritiene essere una concezione penalistica "dilatata" della nozione di possesso, cui ha aderito la sentenza impugnata: secondo la difesa, nel patrimonio di una società fiduciante non possono essere ricomprese le somme affidate all'ente dai fiducianti, le quali rimangono nella titolarità piena di questi ultimi, terzi conferenti, sicché la loro distrazione, precedente al commissariamento della società stessa, non può integrare il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale.

Non si configurerebbe, in questa prospettiva, l'ingresso dei patrimoni dei fiducianti nel patrimonio della fiduciaria, in ragione della circostanza che di tale patrimonio la società fiduciaria ha un precario possesso, o meglio un mero diritto di utilizzazione per gli scopi richiesti dal fiduciante, e cioè l'utilizzazione proficua dei suoi beni.

Al più, avrebbe potuto ritenersi integrato, nella condotta del ricorrente, il reato di infedeltà patrimoniale del mandato fiduciario verso alcuni fiducianti, previsto dall'art. 2634 c.c., comma 2, da dichiararsi prescritto.

3.2. La tesi difensiva non può essere condivisa.

Questa Corte ha già affermato che, conseguita per una causa atipica di negozio o in conseguenza di un reato, dagli amministratori di una società fiduciaria posta in liquidazione coatta, la disponibilità dei titoli e valori conferiti dai fiducianti, questi, al pari di ogni altro bene patrimoniale, si considerano oggetto di bancarotta fraudolenta (così Sez. 5, n. 7814 del 22/03/1999, Di Maio, Rv. 213866).

Ciò perché, di seguito al fallimento, si attribuiscono al patrimonio d'impresa, oltre ai diritti nascenti da rapporti suscettibili di valutazione economica, tutti i beni che hanno fatto capo all'imprenditore nella gestione della sua attività, e pertanto anche quelli di cui ha avuto soltanto il possesso (così ancora Sez. 5, n. 7814 del 22/03/1999, Di Maio, Rv. 213866; vedi anche, in motivazione, Sez. 5, n. 28031 del 11/3/2019, Salvini, Rv. 276921).

Pertanto, integra la distrazione rilevante ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 216 L. Fall. di bancarotta fraudolenta patrimoniale, la condotta di colui che, in qualità di presidente del consiglio di amministrazione e amministratore delegato di una società finanziaria successivamente fallita, costituisca - ad esempio - in pegno titoli di stato (Sez. 5, n. 36595 del 16/04/2009, Bossio, Rv. 245132 nonché la citata sentenza n. 28031 del 2019).

Ancora a proposito di reati fallimentari riguardanti società fiduciarie, un'ulteriore sentenza, proprio in risposta ad un motivo di ricorso sostanzialmente analogo al presente, in cui si tendeva a sostenere la separazione tra il patrimonio della fiduciaria ed i beni dei clienti ad essa affidati, ha stabilito che possono essere oggetto di distrazione non solo i beni patrimoniali della società dichiarata fallita, ma anche tutti i beni che rientrino nella disponibilità autonoma della società e che costituiscano il patrimonio dei rapporti attivi facenti capo all'azienda (vedi, in motivazione, Sez. 5, n. 20108 del 17/3/2016, Lande, Rv. 267404-01, in una fattispecie di indebita utilizzazione di titoli e denaro di investitori da parte di una società di intermediazione finanziaria, che conferma Sez. 5, n. 36595 del 2009, cit., resa in una fattispecie di costituzione in pegno, da parte degli amministratori di una società finanziaria, di titoli acquistati su mandato dei clienti). In altre parole, il patrimonio di una società fiduciaria è distinguibile dai titoli dati in gestione dai fiducianti, che non passano, pertanto, in proprietà della fiduciaria, se la società non abbia ottenuto la facoltà di servirsi di tali titoli; e tuttavia tale facoltà è implicita nel possesso dei beni gestiti dall'imprenditore, in qualsiasi modo tale possesso sia stato da lui ottenuto, e perciò detti beni sono attribuiti al patrimonio dell'impresa fallita, sicché, conseguita per causa atipica di negozio o in conseguenza di reato, dagli amministratori di una società fiduciaria posta in liquidazione coatta, la disponibilità dei titoli e valori conferiti dai fiducianti, essi al pari di ogni altro bene patrimoniale si considerano oggetto di bancarotta fraudolenta, in quanto, a seguito di fallimento, si attribuiscono al patrimonio d'impresa, oltre ai diritti nascenti da rapporti suscettibili di valutazione economica, tutti i beni che hanno fatto capo all'imprenditore nella gestione della sua attività, e pertanto quelli di cui ha avuto il possesso (Sez. 5, n. 7814 del 22/03/1999, Di Maio, Rv. 213866; conf. Sez. 5, n. 22872 del 14/04/2003, Cipolli, Rv. 224538).

Come per i beni di provenienza illecita, così per qualsiasi altro bene acquisito al patrimonio della fallita, ciò che conta, ai fini della configurabilità della bancarotta fraudolenta patrimoniale, è la consistenza obiettiva del patrimonio societario, prescindendo dai modi della sua formazione, con la conseguenza che detti beni, una volta entrati nel patrimonio della società, diventano cespiti sui quali i creditori possono soddisfare le loro ragioni (Sez. 5, n. 45332 del 9/10/2009, Rapisarda, Rv. 245156; Sez. 5, n. 8373 del 27/9/2013, Mancinelli, Rv. 259041).

Deve, pertanto, concludersi, con specifico riguardo alla fattispecie in esame, che in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, è configurabile la distrazione di somme fiduciariamente affidate dai singoli clienti ad una società fiduciaria in liquidazione coatta amministrativa e poi fallita, poiché possono essere oggetto di distrazione non solo i beni patrimoniali propri della società stessa, ma anche tutti i beni che rientrino nella sua disponibilità autonoma e che costituiscano il patrimonio dei rapporti attivi facenti capo all'azienda.

La configurabilità del delitto di bancarotta patrimoniale in un'ipotesi come quella di specie esclude, pertanto, parallelamente, la ricostruzione della condotta ascritta al ricorrente in termini di infedeltà patrimoniale del mandato fiduciario, ai sensi dell'art. 2634 c.c., comma 2, condotta che, eventualmente, avrebbe potuto ritenersi assorbita in quella, più grave, prevista dalla legge fallimentare, ma che certo non può configurarsi una volta che il fallimento sia intervenuto (vedi Sez. 5, n. 18775 del 18/12/2014, dep. 2015, Scalera, Rv. 264069).

Invero, l'art. 2634 c.c. - nella parte che qui interessa - prescrive che gli amministratori, i direttori generali e i liquidatori, che, avendo un interesse in conflitto con quello della società, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio, compiono o concorrono a deliberare atti di disposizione dei beni sociali, cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale, sono puniti con la reclusione da sei mesi a tre anni; ed al comma 2 precisa: la stessa pena si applica se il fatto è commesso in relazione a beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi, cagionando a questi ultimi un danno patrimoniale.

Come è evidente, si tratta di condotte che prendono in considerazione la vita dell'ente prima dell'eventuale fallimento e sono costruite anche in funzione generalpreventiva, per disincentivare l'operato di amministratori infedeli e garantire la regolare gestione della società, ma che non possono ritenersi configurabili in relazione a fattispecie che, partendo dal dato giuridico-fattuale incontrovertibile del fallimento - individuano poi nella sottrazione di risorse sociali priva di adeguata giustificazione la ragione di incriminazione.

4. Il terzo motivo di censura è inammissibile perché aspecifico e reiterativo delle ragioni proposte nell'atto d'appello, senza confronto alcuno con le ampie motivazioni della sentenza impugnata riguardo alla sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta documentale a carico del ricorrente.

Si è messa in risalto in entrambe le sentenze di merito l'esistenza di sistematiche ed imponenti attestazioni non veritiere o fuorvianti della contabilità sociale, soprattutto con riguardo alla gestione di fondi fiduciari, descritte non soltanto dalla commissaria M. ma anche nella relazione del commissario D., che, pur coinvolto nella gestione illecita della liquidazione coatta da parte dei S., non pote' fare a meno di segnalarle. La sentenza d'appello rileva come tali appostazioni ed annotazioni non veritiere siano state funzionali alla necessità di occultare la gestione illecita dei fondi conferiti nella società fiduciaria e le numerose distrazioni realizzate attraverso l'infedele impiego delle risorse dei clienti del ricorrente, terzi conferenti fiducianti.

Neppure è utile al ricorrente, come ha già sottolineato la Corte d'Appello, sostenere che le anomalie contabili non erano determinate dalla volontà di ledere le ragioni dei creditori, ma funzionali allo scopo di occultare le gestioni dei cosiddetti fondi neri di alcuni fiducianti, poiché tale giustificazione non esclude la configurabilità del reato, in relazione al quale non rileva il movente.

Le condotte ascritte al ricorrente fino al novembre 2009 sono, inoltre, esattamente quelle in relazione alle quali egli è stato condannato, come si evince chiaramente dalla motivazione del provvedimento impugnato che, alla pag. 29, ben chiarisce le condizioni di diversificazione delle anomalie contabili a lui ascrivibili rispetto a quelle commissionate dal figlio S.V.A. al commissario liquidatore infedele D..

Il motivo di censura, pertanto, esposto in modo estremamente generico, risulta anche di scarsa comprensibilità nella finalizzazione difensiva oltre che, di fondo, prospettato in fatto e volto, più probabilmente, ad ottenere una diversa ricostruzione dei risultati di prova già ampiamente esaminati dalle due conformi pronunce di merito.

5. Infine, è inammissibile anche l'eccezione difensiva rivolta a contestare la mancata concessione delle attenuanti generiche e la dosimetria sanzionatoria.

La Corte d'Appello, ispirandosi alle ragioni già esposte dal giudice di primo grado, ha espresso il proprio convincimento relativamente alla conservazione del trattamento sanzionatorio, sia con riguardo alle aggravanti che per quel che attiene all'impossibilità di riconoscere al ricorrente le circostanze attenuanti generiche, mettendo in risalto, sotto tale secondo profilo: la "straordinaria" gravità della condotta; il non commendevole comportamento processuale ed extraprocessuale del ricorrente, che non ha mai accennato ad alcun comportamento riparatorio nei confronti di coloro i quali sono stati negativamente coinvolti, con i loro patrimoni, nelle sue condotte criminali; la personalità dell'imputato pervicacemente orientata ad ingannare il prossimo nei rapporti commerciali, al fine di trarne profitto.

Si tratta di argomentazioni del tutto logiche che, pertanto, si sottraggono al sindacato di legittimità.

6. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Deve essere disposta, altresì, la condanna dell'imputato anche alla rifusione delle spese alle parti civili costituite e precisamente, viste le note conclusive e le memorie:

5000 Euro alla parte civile difesa dall'avv. C.i; 3.500 Euro alla parte civile difesa dall'avv. P.; 1.500 Euro alle parti civili difese dall'avv. G.i; 3.300 Euro alle parti civili difese dall'avv. L,; 1.400 Euro alla parte civile difesa dall'avv. P.i.

Tutte le spese vengono disposte oltre agli accessori di legge.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile difesa dall'avvocato C., che liquida in complessivi Euro 5.000,00; dalla parte civile difesa dall'avvocato P. che liquida in Euro 3.500,00; dalle parti civili difese dall'avvocato G.che liquida in Euro 1.500; dalle parti civili difese dall'avvocato L. che liquida in complessivi Euro 3.300,00 e dalla parte civile difesa dall'avvocato P. che liquida in complessivi Euro 1400,00, tutte oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2022.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2022

Bancarotta fraudolenta: sussiste in caso di cessione di beni che rientrino nell’autonoma disponibilità della società fallita

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