RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale del riesame di Torino con l'ordinanza ora impugnata, ha confermato il provvedimento restrittivo emesso dal Gip del Tribunale di Novara, che applicava la misura cautelare della custodia cautelare in carcere nei confronti di P.L., quale rappresentante (legale del (Omissis) Spa, in ordine ai delitti di bancarotta fraudolenta per distrazione di somme di denaro (capi E e F), di cagionamento del dissesto con operazioni dolose consistite nel reiterato utilizzo di indebite compensazioni (capo H), nonché gli omessi versamenti all'Erario a seguito della utilizzazione in compensazione di crediti inesistenti (art. 10-quater, comma 2, D.Lgs. n. 74 del 2000, capi A e B).
2. Il ricorso per cassazione proposto nell'interesse di P.L. consta di cinque motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p..
3. Il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla eccezione di incompetenza territoriale formulata in sede di riesame. Lamenta il ricorrente che il Tribunale non avrebbe adeguatamente motivato in merito, ritenendo il vincolo della continuazione fra le condotte e richiamandosi al movente economico, per un verso trascurando che la competenza per i delitti tributari di indebita compensazione viene a radicarsi in (Omissis), quale luogo in cui avvenne l'invio del modello di pagamento rappresentante la compensazione, per altro verso in (Omissis) dato il criterio della continenza delle regiudicande, per la pendenza ivi di altro procedimento.
4. Il secondo motivo deduce violazione dell'art. 292, comma 2, lett. c), c.p.p. per mancanza di autonoma motivazione.
L'ordinanza impugnata, quanto alla inesistenza dei crediti portati in compensazione, ne trae la prova dalle conversazioni del ricorrente con altri coindagati, che però non sono state depositata dalla Procura della Repubblica di Novara: da ciò il difetto di autonoma valutazione dell'ordinanza genetica e poi di quella del Tribunale del riesame.
5. Il terzo motivo lamenta la violazione dell'art. 292, comma 2, lett. c) c.p.p. nonché vizio di motivazione in ordine ai gravi indizi di colpevolezza.
Il Tribunale del riesame non avrebbe dato risposta alla doglianza proposta dall'attuale ricorrente in ordine al ruolo di amministratore di fatto della (Omissis) Srl.
6. Il quarto motivo deduce violazione dell'art. 238 L. Fall. e assenza dei gravi indizi di colpevolezza.
L'ordinanza impugnata non avrebbe rilevato il difetto dei presupposti per l'iniziativa cautelare del pubblico ministero, previamente rispetto alla dichiarazione di fallimento, non intervenuta all'atto della emissione della ordinanza restrittiva.
7. Il quinto motivo lamenta violazione dell'art. 292, cornma 2, lett. c) c.p.p. e vizio di motivazione quanto alle esigenze cautelari.
L'ordinanza impugnata motiva in modo generico quanto al pericolo di inquinamento della prova, difettando di concretezza, come pure con riferimento all'omesso deposito delle conversazioni intercettate e della documentazione delle stesse.
8. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale, ha depositato requisitoria e conclusioni scritte - ai sensi dell'art. 23 comma 8, D.L. 127 del 2020 - con le quali ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
9. Il ricorso è stato trattato senza intervento delle parti, ai sensi dell'art. 23, comma 8, D.L. n. 137 del 2020, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto dell'art. 7, comma 1, D.L. n. 105 del 2021, la cui vigenza è stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dall'art. 94 del decreto legislativo 10 ottobre 2022, come modificato dall'art. 5-duodecies D.L. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Quanto al primo motivo va premesso che il tribunale del riesame può pronunciarsi sulla propria competenza, in sede di giudizio "de libertate", solo entro i limiti dei fatti sottoposti alla sua valutazione e, pertanto, non può accertare la connessione con altri reati sottoposti alla cognizione di un giudice territorialmente diverso (Sez. 4, n. 48273 del 28/09/2012, Minda, Rv. 253920 - 01; conf. N. 6458 del 2002 Rv. 224664 - 01).
Nel caso in esame, pertanto, risulta precluso il riferimento al procedimento pendente, e ai relativi reati, dinanzi all'autorità giudiziaria di (Omissis), come da decreto di perquisizione esibito.
Ritiene questa Corte di non doversi distaccare dal menzionato orientamento, considerato che la valutazione della sussistenza della continuazione in questa sede involgerebbe accertamenti di fatto inibiti al giudice della legittmità.
Quanto poi alla censura di omessa motivazione sul punto, deve evidenziarsi come il Tribunale del riesame abbia ritenuto sussistente il vincolo della continuazione fra le condotte, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, rappresentato dalla volontà di trarre personali profitti dalla gestione illecita di società da destinare al fallimento o alla cessione a terzi.
Si tratta di motivazione non manifestamente illogica né contraddittoria, dalla quale deriva il radicarsi della competenza presso l'autorità giudiziaria in (Omissis), luogo in cui si sono consumate le più gravi condotte di bancarotta fraudolenta contestate.
D'altro canto, in tema di continuazione, l'accertamento del requisito della unicità del disegno criminoso costituisce una questione di fatto rimessa alla valutazione del giudice di merito, il cui apprezzamento è sindacabile in sede di legittimità solo ove non sia sorretto da adeguata motivazione, il che nel caso in esame non è (Sez. 1, n. 12936 del 03/12/2018, dep. 2019, D'Andrea, Rv. 275222 - 01; N. 25094 del 2007 Rv. 237014 - 01, N. 49969 del 2012 Rv. 254006 - 01).
Pertanto il motivo è manifestamente infondato.
3. Il secondo motivo è generico.
Il ricorrente trascura che il Tribunale del riesame, per ritenere sussistenti i gravi indizi di colpevolezza in ordine agli omessi pagamenti all'Erario per l'utilizzo di crediti inesistenti in compensazione, non faccia riferimento esclusivo alle conversazioni intercettate: ai foll. 8 e ss. l'ordinanza impugnata evidenzia la natura di "cartiere" delle società (Omissis) srI nonché della (Omissis) srl, risultando inesistenti i beni aziendali e le sedi aziendali, oltre che incongruenti le risultanze fiscali.
A fronte di ciò il ricorrente, deducendo la sostanziale inutilizzabilità delle conversazioni richiamate nell'ordinanza cautelare, per un verso non indica specificamente a quali conversazioni faccia riferimento, per altro avrebbe dovuto indicare l'incidenza di tali conversazioni sul quadro indiziario cautelare, a fronte di altri elementi, quelli richiamati dal Tribunale del riesame, che chiarivano donde fosse tratto il convincimento della inesistenza dei crediti portali in compensazione.
A riguardo pacifico è l'orientamento per cui, in tema di ricorso per cassazione, è onere della parte che eccepisce l'inutilizzabilità di atti processuali indicare, pena l'inammissibilità del ricorso per genericità del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresì la incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, Rv. 243416).
4. Il terzo motivo è anche generico.
Il Tribunale del riesame indica gli elementi indiziari attestanti che P. fosse amministratore della (Omissis), consistenti nelle conversazioni telefoniche intercettate (foll. 20 e ss. della ordinanza impugnata), ma aggiunge che altri elementi si traggono anche dalle dichiarazioni dei coindagato B., che in sede di interrogatorio riferiva come l'amministratore delle due società, titolari dei crediti portati in compensazione dalla (Omissis), fosse proprio P..
A fronte di tale motivazione il ricorso risulta aspecifico.
Difatti il motivo reitera quello formulato con la memoria in sede di riesame, senza prendere atto delle argomentazioni della motivazione impugnata.
Va richiamata la consolidata giurisprudenza che ha affermato l'inammissibilità del ricorso per cassazione in caso di mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione. Sul piano generale, si è evidenziato che i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili "non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato" (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568), e che le ragioni di tale necessaria correlazione tra la decisione censurata e l'atto di impugnazione risiedono nel fatto che quest'ultimo "non può ignorare le ragioni del provvedimento censurato" (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425). Più in paricolare, si è ritenuto "inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso" (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone, Rv. 243838). Nella medesima prospettiva è stata rilevata, per un verso, l'inammissibilità del ricorso per cassazione "i cui motivi si limitino a enunciare ragioni ed argomenti già illustrati in atti o memorie presentate al giudice a quo, in modo disancorato dalla motivazione del provvedimento impugnato" (Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, Candita, Rv. 244181). E non è comunque sufficiente, ai fini della valutazione di ammissibilità, che ai motivi di appello vengano aggiunte "frasi incidentali di censura alla sentenza impugnata mera mente assertive ed apodittiche, laddove difettino di una critica argomentata avverso il provvedimento ‘attaccatò e l'indicazione delle ragioni della loro decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice di merito" (Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584).
Per altro la motivazione resa dal Tribunale del riesame non è manifestamente illogica, né contraddittoria, quanto al riconoscimento del ruolo di amministratore di fatto a P. anche per la (Omissis).
5. Il quarto motivo è aspecifico e manifestamente infondato.
Va premesso che in tema di bancarotta fraudolenta, ai sensi dell'art. 238 L. Fall. è legittimo, prima della sentenza dichiarativa di fallimento, lo svolgimento di attività di indagine in relazione al reato in questione, a condizione che ricorrano indizi dello stato di insolvenza o che concorrano gravi motivi e sia stata presentata domanda per ottenere la dichiarazione di fallimento (Sez. 5, n. 20000 del 15/03/2019, Fondazione Istituto D'Arte e Mestieri Vincenzo Roncalli, Rv. 275307 - 01, in relazione al sequestro preventivo;.Sez. 5, n. 43871 del 09/11/2005, Gaito, Rv. 232731 - 01).
Il Tribunale del riesame con una accurata e attenta motivazione riepiloga ai foll. 24 e ss. gli elementi legittimanti l'applicazione dell'art. 238 L. Fall.: per un verso il Tribunale di Novara, attivata la procedura fallimentare, poi archiviata per desistenza del ricorrente, aveva emesso ai sensi dell'art. 7 L. Fall. decreto in cui dava atto della condizione di insolvenza della società calcistica disponendo la trasmissione degli atti al pubblico ministero, che a sua volta il 21 aprile 2022 formulava autonoma istanza di fallimento, rispetto alla quale pende la procedura fallimentare.
Il Tribunale del riesame valutava pertanto congrue le mol:ivazioni del pubblico ministero, in ordine allo stato di insolvenza, sia per il debito di Euro 1.500.000,00 nei confronti dell'Erario, sia anche per quelli nei confronti di creditori insinuatisi al passivo con istanze successive, oltre che per la esclusione dal campionato professionistico della società, per lo svincolo d'autorità dei giocatori disposto dalla (Omissis) 9 agosto 2021, con conseguente deciso ridimensionamento degli incassi e delle sponsorizzazioni, dal che l'impossibilità di risolvere lo stato di grave indebitamento.
Anche in questo caso, a fronte delle specifiche e concrete indicazioni contenute nell'ordinanza impugnata, il ricorrente si limita a denunciare la motivazione apparente che, invece, per quanto evidenziato, risulta argomentare e corredare di dati fattuali la condizione che consentiva l'esercizio dell'azione penale, per i quali non vi è alcuna censura specifica.
E dunque, l'art. 238, comma 2, L. Fall. prevede in tema di bancarotta che l'azione penale sia iniziata anche prima della dichiarazione di fallimento nel caso previsto dall'art. 7 L. Fall. e in ogni altro in cui concorrano gravi motivi e già esista o sia contemporaneamente presentata domanda per ottenere la dichiarazione suddetta.
Nel caso in esame si è verificato quanto previsto dall'art. 7, comma 2, in quanto l'insolvenza risultava al pubblico ministero dalla segnalazione proveniente dal giudice che l'aveva rilevata nel corso del procedimento civile.
Ne consegue il verificarsi delle condizioni per l'esercizio dell'azione penale, che si estrinseca anche nella richiesta di misura cautelare personale.
Infatti, come è stato osservato, con motivazione che questo Collegio condivide, l'art. 238, comma 2, L. Fall. consente, ai soli fini procedimentali, di "anticipare" l'iniziativa del Pubblico Ministero, rispetto ai termini "naturali" propri del diritto penale sostanziale, consentendo una deroga a quanto previsto dal precedente comma, per cui non occorre attendere la dichiarazione di fallimento.
L'esercizio "anticipato" dell'attività processuale e', comunque, imposta al pubblico ministero, nell'ambito rigidamente circoscritto da tre limitazioni: la tipologia della fattispecie (la norma accenna testualmente ai soli artt. 216,217,223,224, L. Fall. riferimento che, per quanto riguarda i casi di restrizione della libertà, non può che avere carattere tassativo); le ipotesi dell'art. 7 o altro grave motivo; il già esistente o il contemporaneo inoltro dell'istanza di fallimento.
La ratio della disposizione è agevolmente rinvenibile nella esigenza di interrompere comportamenti la cui protrazione, alla luce della già maturata insolvenza, renda definitivo o più dannoso l'esito della condotta delittuosa, atteso quello che si prospetta come inevitabile ed imminente perfezionamento del venire ad esistenza giuridica del delitto di bancarotta. Infatti l'elernento oggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale è costituito dal distacco - con qualsiasi forma e con qualsiasi modalità esso avvenga - del bene dal patrimonio dell'imprenditore, con conseguente possibilità di depauperazione patrimoniale nei confronti dei creditori e la fattispecie si perfeziona al momento del distacco del bene dal patrimonio, cosicché il reato viene ad esistenza giuridica con la dichiarazione di fallimento (Sez. 5, n. 11928 del 17/01/2020, Capacchione, Rv. 278983 - 01; Sez. 5, n. 4739 del 23/03/1999, Olivieri Rv. 213120; Sez. 5, n. 6869 del 27/01/1999, Iannacione, Rv. 213599; in motivazione, Sez. 5, n. 11936 del 05/02/2020, De Lise, Rv. 278985 - 01).
Da tanto discende che il legislatore ha dato rilevanza, per i limitati ma significativi fini di ordine processuale, ai profili di probabile lesione degli interessi dei creditori, in seno ad una condotta che è ancora carente del crisma giudiziale dichiarativo dell'insolvenza ed indefettibile premessa alla procedura concorsuale.
In tale contesto, la Corte di Cassazione ha già ritenuto ammissibile in siffatto contesto l'emissione di misure cautelari, non avendo evidentemente considerato che la mancata venuta ad esistenza giuridica del delitto si risolva in un ostacolo incompatibile con l'esercizio dell'azione penale, nel suo dispiegarsi anche nella fase delle indagini preliminari e della domanda cautelare, ben potendo essere integrati i "gravi indizi di colpevolezza" richiesti dall'art. 273, comma 1, c.p.p. (Sez. 5, n. 16000 del 10/02/2012, Daccò, Rv. 252309 - 01; Conf. N. 8363 del 2006 Rv. 233236 - 01, N. 21288 del 2007 Rv. 236925 - 01).
Pertanto, può affermarsi il principio per cui è legittima l'applicazione di misure cautelari personali per il reato di bancarotta anche prima della pronunzia della sentenza dichiarativa del fallimento, qualora ricorrano le condizioni previste dall'art. 238, comma 2, L. Fall. per l'esercizio anticipato dell'azione penale -nel caso previsto dall'art. 7 L. Fall. e in ogni altro in cui concorrano gravi motivi e già esista o sia contemporaneamente presentata domanda per ottenere la dichiarazione di fallimento - nel suo dispiegarsi nell'esercizio dei poteri propri delle indagini preliminari, compreso quello di domanda cautelare.
Il quarto motivo è quindi generico oltre che manifestamente infondato.
4. Il quinto motivo lamenta il deficit motivazionale quanto al pericolo di inquinamento probatorio giustificante la misura cautelare, oltre che il difetto di autonoma valutazione da parte del Gip e del Tribunale del riesame per l'utilizzo delle captazioni. A ben vedere su tale ultimo profilo la censura trova risposta nel principio su richiamato, formulato da Sez. U, Fruci.
La motivazione impugnata rende conto del pericolo concreto e specifico di alterazione del quadro probatorio comprovato dal contenuto delle captazioni che dimostrano come, fino alla primavera del 2022, P. abbia cercato un commercialista ‘compiacente' per ‘aggiustare il bilanciò e si avvalga anche di un complicità di chi ‘lavora con l'Agenzia delle Entrate', il tutto funzionale a alterare le scritture contabili.
Il pericolo è valutato, senza illogicità manifeste, concreto e la censura rivolta alla ritenuta ‘attitudine al mendacio e all'artifiziò risulta assolutamente infondata.
Inoltre il motivo di doglianza è anche aspecifico, in quanto non censura l'altra ratio decidendi, relativa alla sussistenza del pericolo di reiterazione del reato, sulla quale il Tribunale del riesame rende analogamente contestuale e congrua motivazione (cfr. fol. 32).
E' infatti inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso per cassazione che si limiti alla critica di una sola delle rationes decidendi poste a fondamento della decisione, ove siano entrambe autonome ed autosufficienti, in quanto da una pronuncia favorevole su di esse non potrebbe derivare all'impugnante quella modificazione della sua situazione processuale in cui si sostanzia l'interesse che, per espresso dettato normativo, deve sottostare ad ogni impugnazione (Sez. 3, n. 30021 del 14/07/2011, F., Rv. 250972; Sez. 3, n. 27119 del 05/03/2015, P.G. in proc. Bertozzi, Rv. 264267; Sez. 3, n. 2754 del 06/12/2017, Bimonte, Rv. 272448).
Ne consegue la genericità del motivo.
5. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p. (come modificato ex L. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, così equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere la parte in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. 13/6/2000 n. 186).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. Pen.
Così deciso in Roma, il 08 marzo 2023.
Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2023