RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento impugnato, la Corte d'Appello di Palermo ha confermato la decisione di primo grado del Tribunale di Palermo con cui Me.Em. - amministratore della Keraedil, dichiarata fallita il (Omissis) e di altre due società coinvolte nei reati contestatigli nel presente processo - è stato condannato per i delitti di omessa dichiarazione IVA ascrittigli ai capi 1 e 2 (società G.ESSE Costruzioni Srl), relativi agli anni di imposta 2014 e 2015; per il delitto di occultamento dei libri e delle scritture contabili, previsto dall'art. 10 D.Lgs. n. 74 del 2000 (capo 3, ditta E.M. costruzioni, aperta sotto falsa identità); per il delitto di bancarotta fraudolenta distrattiva postfallimentare (capo 4, relativo alla Keraedil) limitatamente alla somma di ero 110.565 euro (corrispondente ai versamenti operati, per gli anni 2012 e 2013, sul conto corrente aperto con le false generalità di cui alla contestazione ex art. 494 cod. pen. imputatagli al capo 6); ed infine per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale (capo 5, per aver sottratto e distrutto le scritture contabili della Keraedil). All'imputato è stata inflitta la pena complessiva di anni cinque di reclusione, determinate le pene accessorie fallimentari in eguale misura.
2. Avverso la sentenza d'appello ricorre Me.Em., tramite il difensore, deducendo sei distinti motivi di censura.
2.1. Un primo argomento è diretto a contestare l'affermazione di responsabilità del ricorrente per i capi 1 e 2 dell'imputazione, avuto riguardo all'elemento soggettivo del reato, composto dal dolo generico di omessa dichiarazione e dal dolo specifico di evasione, inficiato dallo stato di malattia psichiatrica in cui egli versava al momento della commissione delle condotte: dalla documentazione difensiva prodotta in udienza era evidente che, dall'anno 2010 all'anno 2018, per la cura di una grave malattia, il ricorrente aveva sviluppato malattie psichiatriche gravi dovute all'assunzione di farmaci del tipo interferone (specificamente, una sindrome depressiva-ansiosa cronica di grado severo), con necessità di presa in cura da parte del competente Centro di Salute Mentale.
La Corte d'appello ha erroneamente abbinato l'insorgere della malattia psichiatrica all'anno 2018, escludendone per questo l'incidenza sui reati, riferiti ad anni di imposta precedenti, mentre, invece, il 2018 è solo il momento in cui è stata redatta la certificazione medica ospedaliera difensiva prodotta (datata (Omissis)), ma che, tuttavia, si caratterizza per un contenuto di storia clinica del ricorrente/paziente, ben antecedente alla data della sua redazione e che attestava la presenza della patologia psichiatrica grave già dal 2011.
2.2. La seconda censura deduce mancanza o manifesta illogicità della sentenza quanto al capo 3 dell'imputazione: non vi sarebbe risposta al motivo d'appello relativo all'assenza di prova del dolo specifico del reato di cui all'art. 10 D.Lgs. n. 74/2000, poiché la Corte palermitana si sarebbe limitata a valutare la presenza dell'elemento oggettivo del reato. L'entità degli importi fatturati risultanti era talmente esiguo, sostiene la difesa, da rendere evidente che l'occultamento delle scritture e della documentazione contabile non era finalizzato ad evadere le imposte, come richiesto dalla disposzione incriminatrice.
2.3. Un terzo motivo di ricorso eccepisce mancanza e manifesta illogicità della motivazione quanto al capo 4 ed al reato di bancarotta fraudolenta postfallimentare: la sentenza impugnata non ha chiarito quale fosse l'entità delle somme che l'imputato avrebbe potuto trattenere per il proprio sostentamento familiare, anche in relazione all'esiguità degli importi distratti, appena sufficienti a garantire il mantenimento dell'imputato.
2.4. La quarta eccezione proposta dal difensore attiene al vizio di motivazione riferito all'imputazione del capo 5, vale a dire la contestazione di bancarotta fraudolenta documentale riguardante la società fallita Keraedil, ed alla sussistenza della prova dell'elemento soggettivo del reato.
2.5. Un quinto motivo di ricorso denuncia vizio di motivazione manifestamente illogica quanto al trattamento sanzionatorio, non rideterminato nonostante la riperimetrazione dell'imputazione di bancarotta distrattiva operata dalla Corte d'appello, che ha reso certamente meno grave la condotta di reato accertata.
2.6. Un ultimo motivo eccepisce vizio di motivazione manifestamente illogica ed omessa, quanto all'esame dell'eccezione difensiva dedicata ad invocare la concedibilità delle circostanze attenuanti generiche, invece negate, e la mancata determinazione della pena sul minimo edittale (si evidenzia che vi sarebbero state le condizioni per ritenere le stesse attenuanti prevalenti rispetto alla contestata recidiva).
La sentenza impugnata non ha tenuto in dovuto conto le precarie condizioni psicologiche e la patologia del ricorrente che hanno inciso sulla sua lucidità negli anni oggetto delle contestazioni, ancorché non siano state ritenute idonee a fondare il convincimento della sua incapacità di intendere e di volere. Tale omessa valutazione è derivata anche dall'errore nel datare nel tempo l'insorgere della patologia, secondo le linee ricostruttive già esposte con il primo motivo di ricorso. Inoltre, il ricorrente evidenzia anche l'incoerenza della mancata considerazione, ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche e della determinazione dell'entità della pena, della riperimetrazione più favorevole all'imputato dell'entità delle somme distratte.
2.7. Il difensore del ricorrente ha depositato conclusioni scritte con le quali, ribadendo le ragioni di ricorso e la funzione del giudizio d'appello, ha chiesto l'annullamento della sentenza impugnata.
5. Il Sostituto PG Lucia Odello ha chiesto il rigetto del ricorso con requisitoria scritta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è complessivamente infondato.
2. Il primo motivo che la difesa oppone per scalfire le ragioni della sentenza impugnata è inammissibile poiché, in sintesi, pretende di ricostruire, diversamente da quanto accertato con logica motivazione dai giudici d'appello, la patologia del ricorrente e la sua incidenza sulle condotte di reato attribuitegli ai capi 1) e 2) dell'imputazione (due reati di cui all'art. 5 D.Lgs. n. 74 del 2000, per l'omessa presentazione della dichiarazione IVA per gli anni di imposta 2014 e 2015 relativamente alla società G.ESSE Costruzioni, della quale era rappresentante legale).
Si tratta di ragioni che, peraltro, doppiano pedissequamente quelle già proposte in sede di appello e superate con ampia motivazione dalla Corte territoriale.
In particolare, il motivo tende a rivalutare gli esiti della perizia medica disposta dal giudice di primo grado, proprio per l'esigenza di verificare le affermazioni difensive riguardo allo stato psichico del ricorrente negli anni dal 2010 al 2018.
Emerge dalle argomentazioni della sentenza che la perizia ha dato atto dell'insussistenza di documentazione medica attestante la patologia psichica del ricorrente precedentemente al 2018: dunque, il motivo di ricorso non è centrato rispetto a tale conclusione, ma presuppone una riscrittura della prova peritale e documentale in senso favorevole al ricorrente che pretende di riferire la patologia agli anni nei quali è stata riscontrata l'omessa dichiarazione IVA.
Inoltre, il ricorso neppure si confronta pienamente con l'ulteriore ratio che ha determinato la Corte d'Appello a rigettare l'analoga eccezione proposta innanzi a sé, vale a dire la conclusione peritale che il disturbo dichiarato fosse comunque di "entità clinica modesta". Da qui, le conclusioni della sentenza impugnata coerentemente volte ad escludere l'incidenza della patologia sulle omissioni costituenti recto. Qualsiasi tentativo del ricorrente, poi, di rimettere in gioco le valutazioni dei giudici di secondo grado, coerenti e logiche rispetto ai dati peritali, si scontra con l'orientamento consolidato di questa Corte regolatrice, ribadito dal Collegio, secondo cui il giudice di legittimità non può operare una differente valutazione degli esiti della prova scientifica, trattandosi di un accertamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità, se congruamente argomentato (cfr., da ultimo, Sez. 1, n. 58465 del 10/10/2018, T., Rv. 276151 e, in precedenza, Sez. 5, n. 6754 del 7/10/2014, dep. 2015, C., Rv. 262722). Tale regola interpretativa si applica alla perizia medica che ha chiarito la situazione di patologia psichica da cui è afflitto il ricorrente, sia per il periodo di insorgenza acclarata che per la sua entità e rilevanza.
Vale richiamare anche le ragioni alla base dell'opzione ermeneutica qui condivisa: in tema di prova scientifica, invero, la Cassazione non deve stabilire la maggiore o minore attendibilità scientifica delle acquisizioni esaminate dal giudice di merito e, quindi, se la tesi accolta sia esatta ma solo se la spiegazione fornita sia razionale e logica; essa, infatti, non è giudice delle acquisizioni tecnico-scientifiche, essendo solo chiamata a valutare la correttezza metodologica dell'approccio del giudice di merito al relativo sapere, che include la preliminare, indispensabile verifica critica in ordine all'affidabilità delle informazioni utilizzate ai fini della spiegazione del fatto. Da tali considerazioni deriva che il giudice di legittimità non può operare una differente valutazione degli esiti della prova suddetta, trattandosi di un accertamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità, se congruamente argomentato.
3. Il secondo motivo di censura, riferito al reato di cui al capo 3) - la condotta di occultamento di libri, registri e scritture contabili dei quali è obbligatoria la tenuta, costituente reato ai sensi dell'art. 10 D.Lgs. n. 74 del 2000, relativo alla società E.M. Costruzioni -, è reiterativo di ragioni già proposte in appello e manifestamente infondato. La sentenza impugnata, nel rispondere all'analoga censura difensiva in sede di impugnazione di merito, ha efficacemente rilevato come, ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 10 D.Lgs. n. 74 del 2000, potessero essere prese in considerazione, quali elementi di prova, le fatture emesse dalla società e ritrovate presso imprese clienti e fornitrici. Attraverso di esse, infatti, è stato possibile desumere, indirettamente, la condotta di occultamento o distruzione delle scritture contabili.
Le conclusioni, logiche e ampiamente motivate, della sentenza d'appello sono attaccate solo superficialmente e in modo aspecifico dal ricorrente, senza tener conto, peraltro, della costante giurisprudenza di legittimità in materia.
E difatti, in tema di reati tributari, poiché la fattura deve essere emessa in duplice esemplare, il ritrovamento di uno di essi presso il terzo destinatario dell'atto può far desumere che il mancato rinvenimento dell'altra copia presso l'emittente sia conseguenza della sua distruzione o del suo occultamento (S"ez. 3, n. 41683 del 2/3/2018, Vitali, Rv. 274862). Le fatture, infatti, costituiscono documenti che, oltre a rappresentare costi sostenuti e a incidere sulla ricostruzione dei redditi del destinatario di essi, sono comunque dimostrativi dell'esistenza di introiti a carico del soggetto emittente (Sez. 3, n. 15236 del 16/1/2015, Chiarella, Rv. 263050).
4. Il terzo ed il quarto motivo di ricorso sono infondati.
Entrambe le eccezioni della difesa puntano a riscrivere le conclusioni alle quali sono giunti entrambi i giudici di merito, in relazione ai due reati di bancarotta fraudolenta per i quali è intervenuta sentenza di condanna: quella distrattiva di cui al capo 4) e quella documentale contestata al capo 5).
4.1. Quanto alla prima, la sentenza impugnata è molto chiara nell'evoluzione del proprio argomentare. Considerata la piattaforma probatoria nel suo complesso, la prova dell'attività distrattiva post-fallimentare, secondo i giudici d'appello, diviene immediatamente percepibile - limitatamente alla somma di euro 110.565, entro la quale è stata riperimetrata la distrazione - attraverso l'analisi del conto corrente della banca Unicredit di cui era titolare la società EM Costruzioni, creata dall'imputato, sotto falsa identità, dopo la dichiarazione di fallimento della Keraedil e con lo stesso oggetto sociale; vale a dire lo svolgimento di opere di edilizia, proprio allo scopo di continuare l'attività della fallita, all'indomani della dichiarata decozione, e di introitarne i guadagni, sottraendoli alla procedura fallimentare.
La giurisprudenza di legittimità, in simili fattispecie, da molti anni oramai ritrova i caratteri di tipicità del reato di bancarotta fraudolenta post-fallimentare. Ed infatti, va ribadito che integra il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale post-fallimentare la condotta di colui che, dopo essere stato dichiarato fallito, intraprenda una nuova attività dalla quale tragga ricavi consistenti e, comunque, eccedenti i redditi necessari per il mantenimento proprio e della propria famiglia, omettendo di conferirli a favore della procedura concorsuale in corso, in violazione dell'art. 46 L. fall, (cfr., tra le altre, Sez. 5, n. 16606 del 9/3/2010, Quero, Rv. 247256; vedi anche Sez. 5, n. 23619 del 11/4/2016, Caseti, Rv. 266916). Nella disposizione richiamata, infatti, si enunciano i beni non compresi nel fallimento, tra i quali, appunto, i guadagni dell'attività lavorativa nei limiti suddetti, e cioè solo se ricompresi, per valore, tra quelli necessari al mantenimento personale e familiare.
Ed è pur vero che, al fine di individuare la parte di guadagno che ecceda i limiti di cui all'art. 46 L. fall., qualora questi non siano stati previamente determinati dal giudice delegato al fallimento, a tale determinazione deve procedere incidentalmente il giudice penale (Sez. 5, n. 24493 del 19/3/2013, Mangiola, Rv. 256321); tuttavia, nel caso di specie, tale accertamento può dirsi compiuto dalla sentenza impugnata, che ha ricondotto nella categoria dei beni non sottratti alla procedura una cifra di introiti obbiettivamente consistente, transitata direttamente nelle casse della nuova società edile, artificiosamente costituita dal ricorrente proprio per proseguire la sua attività di impresa e percepirne i guadagni senza riversarli nella massa fallimentare per la parte voluta dal legislatore.
L'accertamento che la somma di danaro citata, versata sul conto corrente della EM Costruzioni negli anni 2012 e 2013, fosse il provento dell'attività di impresa proseguita ex novo con la nuova società integra, poi, una questione di fatto, logicamente argomentata e motivata dalla doppia pronuncia conforme sul punto (divergente solo limitatamente al quantum), che si sottrae per tale parte al sindacato di legittimità. Giova aggiungere che proprio la rideterminazione delle somme ritenute "distratte", poiché non conferite alla massa fallimentare, nonostante la loro autoevidente destinazione di guadagno al di là del necessario al mantenimento familiare del ricorrente, costituisce riprova dell'attenzione con cui la Corte palermitana ha verificato i rapporti dell'imputato rispetto alla azienda fallita ed a quella con identico oggetto attraverso cui ha proseguito la sua impresa, in violazione dell'art. 46 L. fall.
4.2. Allo stesso modo si rivelano manifestamente infondate le censure contenute nel quarto motivo di ricorso, per la soddisfacente capacità delle argomentazioni utilizzate dalla Corte palermitana di fondare la prova del dolo del delitto di bancarotta fraudolenta documentale: il collegamento del coefficiente soggettivo doloso di tale reato alla condotta distrattiva ritenuta provata è del tutto logico e la sentenza impugnata si è orientata secondo tale condivisibile parametro interpretativo, valorizzando il dato della funzionalizzazione della bancarotta documentale ad impedire la ricostruzione del patrimonio della fallita, depauperato nel senso già chiarito. Sono stati, altresì, puntualizzati anche alcuni indicatori sintomatici (la costituzione con generalità false della nuova società di cui avvalersi per continuare l'attività d'impresa anche dopo il fallimento, percependone i guadagni a discapito della procedura; l'evasione fiscale e l'occultamento delle scritture contabili realizzate in relazione a tale nuova azienda). Si tratta di elementi fattuali e logici in linea con gli indirizzi interpretativi della giurisprudenza di legittimità (cfr., da ultimo, Sez. 5, n. 10968 del 31/1/2023, Di Pietra, Rv. 284304).
Ed a tali conclusioni di infondatezza delle ragioni di ricorso si giunge con evidenza, anche volendo prescindere dalla dichiarata genericità del motivo d'appello, rilevata dalla sentenza impugnata (cfr. pag. 10), che si riverbererebbe in ogni caso sull'attuale deduzione di mancanza di motivazione del provvedimento di secondo grado. Infatti, non può formare oggetto di ricorso per cassazione, che è, pertanto, sul punto inammissibile, l'eccezione riferita al difetto di motivazione della sentenza di appello in ordine a motivi generici, pur se proposti insieme ad altri motivi specifici, poiché i motivi generici restano viziati da inammissibilità originaria anche quando la decisione del giudice dell'impugnazione non pronuncia in concreto tale sanzione (Sez. 3, n. 10709 del 25/11/2014, dep. 2015, Botta, Rv. 262700; Sez. 5, n. 44201 del 29/9/2022, Testa, Rv. 283808).
Il ricorrente si prodiga nel sostenere le proprie ragioni in maniera apparentemente dettagliata, ma, in verità, poco centrata rispetto al reato di bancarotta fraudolenta documentale cui sono rivolte le censure.
Tuttavia, ritiene il Collegio che debba ritenersi comunque inammissibile, ai sensi dell'art. 606, comma 3, ultima parte, cod. proc. pen., il ricorso che deduca una questione che abbia costituito oggetto di generica prospettazione nei motivi di gravame, anche se successivamente essa sia stata illustrata in termini specifici con la proposizione del ricorso in cassazione (Sez. 2, n. 34044 del 20/11/2020, Tocco, Rv. 280306).
5. I motivi di ricorso attinenti al trattamento sanzionatolo ed al diniego del beneficio delle circostanze attenuanti generiche sono inammissibili perché manifestamente infondati.
La Corte d'Appello ha motivato adeguatamente sui profili di immeritevolezza delle circostanze attenuanti generiche, la cui applicazione, come noto, non costituisce un diritto conseguente all'assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle stesse (Sez. 3, n. 24128 del 18/3/2021, De Crescenzo, Rv. 281590; conf. Sez. 1, n. 3529 del 1993, Rv. 195339-01), in una valutazione complessiva dei parametri dell'art. 133 cod. pen. che può indurre anche il giudice a dare prevalenza ad uno solo di essi, motivando al riguardo (cfr. Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, Martinenghi, Rv. 279838).
Nel caso di specie, viceversa, non soltanto si è dato atto dell'assenza di elementi giustificativi di ordine positivo per il riconoscimento del beneficio, ma la sentenza impugnata ha valorizzato, in chiave negativa, anche al fine della congruità del trattamento sanzionatorio già determinato, alcuni fattori idonei a stabilizzarne l'entità già individuata: l'aver posto in essere più violazioni di disposizioni penali nel medesimo contesto di azione; l'aver agito fraudolentemente anche utilizzando false generalità; la personalità criminale desumibile dai precedenti penali).
6. L'instaurarsi del rapporto processuale e la complessiva infondatezza del ricorso non determinano effetti rilevanti ai fini della prescrizione dei reati in relazione ai quali potrebbe essere decorso il termine utile poiché, come insegnano le Sezioni Unite nella sentenza n. 6903 del 27/5/2016, dep. 2017, Aiello, Rv. 268966, in caso di ricorso avverso una sentenza di condanna cumulativa, che riguardi più reati ascritti allo stesso imputato, l'autonomia dell'azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione impedisce che l'ammissibilità dell'impugnazione per uno dei reati possa determinare l'instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali i motivi dedotti siano inammissibili, con la conseguenza che per tali reati, nei cui confronti si è formato il giudicato parziale, è preclusa la possibilità di rilevare la prescrizione maturata dopo la sentenza di appello.
L'inammissibilità dei motivi di ricorso afferenti ai capi di imputazione che riguardano i reati diversi dalle ipotesi di bancarotta fraudolenta, quindi, sigla il giudicato di condanna.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 17 gennaio 2024.
Depositato in Cancelleria il 27 marzo 2024.