RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Bologna ha confermato la condanna di F.M. per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, frode fiscale continuata, occultamento o distruzione di documenti contabili e sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte reati connessi all'attività della (OMISSIS) s.r.l., poi divenuta Achim Gomme s.a.s, della quale l'imputato era socio accomodante ed amministratore di fatto e che falliva nel corso del 2012. In parziale riforma della pronunzia di primo grado - peraltro divenuta nel frattempo definitiva per l'imputato, in quanto non appellata, in riferimento ai concorrenti reati di ricorso abusivo al credito, inosservanza di pene accessorie ed appropriazione indebita - la Corte territoriale ha assolto per insussistenza del fatto il F. per uno degli addebiti di bancarotta patrimoniale contestatigli al capo 5) d'imputazione ed altresì, per non aver commesso il fatto, G.C.P. (moglie dello stesso) per il concorso nel reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, disponendo la riduzione al 50% della confisca per equivalente di un immobile alla stessa formalmente intestato, disposta in riferimento ai reati fiscali e comunque ritenuto per la parte assoggettata alla misura ablativa di proprietà del marito.
2. Avverso la sentenza ricorrono autonomamente i due imputati a mezzi dei rispettivi difensori.
2.1 Il ricorso proposto nell'interesse del F. articola otto motivi.
2.1.1 Con il primo ed articolato motivo vengono dedotti vizi della motivazione in merito alla ritenuta responsabilità dell'imputato per il reato di bancarotta patrimoniale. Il ricorrente lamenta innanzi tutto l'apoditticità della motivazione con la quale la Corte territoriale ha giustificato la qualificazione delle operazioni imputate come oggettivamente inesistenti, pur in presenza di elementi indiziari idonei a rivelare la mera inesistenza soggettiva delle stesse, costituendo la fallita il terminale di frodi "carosello" ad oggetto l'effettiva fornitura di pneumatici da parte di soggetti diversi dagli emittenti delle fatture il cui pagamento non potrebbe dunque assumere natura distrattiva. Irrilevante sarebbe in tal senso il fatto che alcuna traccia documentale della materiale consegna dei beni sia stata rinvenuta, costituendo dato di comune esperienza quelle per cui le "cartiere" interposte provvedano alla distruzione di qualsiasi documentazione fiscale, mentre lo stesso giudice dell'appello ha assolto l'imputato per uno dei fatti oggetto di contestazione, riconoscendo, per l'appunto, il suo inquadramento nello schema di una frode "carosello".
2.1.2 Non di meno tutti i pagamenti sarebbero stati effettuati in maniera tracciabile mediante bonifici o assegni circolari, mentre alcuna evidenza effettiva della loro retrocessione al F. è stata acquisita, nè tali potrebbero ritenersi per il ricorrente le anomalie registrate in merito ad alcuni dei pagamenti eseguiti in favore delle sole Fertrade e Twing Trading, posto che alcun accertamento è stato disposto in merito all'ulteriore destino delle somme, a loro volta tracciabile anche quando i pagamenti sarebbero stati effettuati ricorrendo all'emissione di assegni di valore inferiore a quello per cui era necessario, secondo la normativa antiriclaggio all'epoca vigente, apporre la clausola di non trasferibilità. Sul punto, peraltro, la sentenza risulterebbe altresì contraddittoria, laddove ammette che l'accertamento della retrocessione costituisce prova determinante dell'inesistenza oggettiva della sottostante operazione. La sentenza avrebbe poi riduttivamente interpretato e sostanzialmente travisato il significato di alcune conversazioni intercettate tra il L.T., il P. ed altri soggetti, dalle quali invece si evincerebbe come, nella generalità dei casi, le "cartiere" fossero meri soggetti interposti in reali forniture di pneumatici in favore della fallita.
2.1.3 Quanto alle singole vicende oggetto di contestazione, il ricorso censura la motivazione con la quale la Corte territoriale ha ritenuto provato la sostanziale inoperatività delle singole "cartiere" e l'inesistenza oggettiva delle operazioni che le hanno interessate ed in particolare che: a) con riguardo ad Eurogomme sarebbe stato trascurato il fatto che si tratta di società gestita dal D.V., effettivo fornitore della fallita; b) per Fertrade alcun elemento sarebbe stato acquisito in merito alla retrocessione dei pagamenti; c) quanto a MCS la segnalazione effettuata da Unicredit in merito ai prelevamenti in contanti fatti dall'amministratore della società in concomitanza con il pagamento delle fatture emesse nei confronti della fallita sarebbe stata illogicamente valutata come sintomatica di retrocessione nei confronti del F., potendo al più costituire indizio della restituzione delle somme a chi le aveva accreditate sul conto della società per valori pressochè coincidenti e cioè Globe s.r.L.; d) parimenti illogica, con riguardo a Central Tyre, sarebbe l'affermazione per cui il bonifico con causale sconosciuta effettuato da quest'ultima in favore di Medusa Investment per importi analoghi a quelli ricevuti a stesso mezzo dalla fallita in pagamento delle fatture costituirebbe un forte indizio dell'avvenuta retrocessione all'imputato di tali pagamenti, posto che alcun elemento che consenta di collegare la suddetta Medusa al F. sarebbe stato acquisito, mentre da risultanze processuali immotivatamente trascurate dai giudici dell'appello nel loro significato logico emergono importanti flussi di danaro dalla stessa Central Tyre verso società estere operanti nel settore, talchè quantomeno non può escludersi che nei confronti della fallita la stessa abbia agito come mera interposta nell'ambito di una frode "carosello" ad oggetto effettive forniture di pneumatici; e) sempre con riferimento a Central Tyre, frutto di travisamento sarebbe inoltre l'argomentazione tratta dalla documentazione relativa allo smaltimento da parte della fallita di carcasse di pneumatici, tra cui vi sarebbero quelli oggetto delle fatture incriminate - operazione asseritamente effettuata al fine di giustificare la mancata fisica acquisizione dei beni - posto che non vi è corrispondenza tra gli pneumatici forniti dalla società e indicati nelle citate fatture e quelli smaltiti, per come identificati nel processo verbale di constatazione richiamato in sentenza (analoga doglianza il ricorrente ha svolto con riguardo alle fatture emesse da FA Group); f) quanto a Gasco s.r.l. immotivate sarebbero le conclusioni recepite in sentenza in merito al carattere sintomatico dell'inesistenza oggettiva delle forniture dell'attribuzione in alcune fatture dell'onere del trasporto dei beni a carico della fallita; conclusioni fondate su interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dai dipendenti del F. in merito all'impossibilità per la fallita di effettuare con i propri mezzi tali trasporti che con il gravame di merito era stata censurata e che invece la Corte territoriale ha immotivatamente ribadito; inoltre, oltre al difetto di evidenza alcuna della retrocessione dei cospicui pagamenti effettuati in favore della suddetta società, i giudici del merito avrebbero ingiustificatamente ritenuto significative dell'inesistenza delle operazioni sottostanti quelle fatture che non indicano le modalità del trasporto; g) ancora con riguardo a Gasco, sarebbe inutilizzabile, in ragione del suo contenuto dichiarativo non precostituito rispetto al processo, la e-mail inviata in risposta da interrogazione degli inquirenti dal vettore indicato in altre fatture e nella quale lo stesso ha negato di aver mai intrattenuto rapporti con la menzionata società, affermando di averne avuti con il F., invece, ma solo relativamente ad interventi di soccorso stradale; nè rileva, per sostituire il contenuto probatorio inutilizzabile, quanto dichiarato nel processo dal teste di p.g. sul punto, avendo egli ammesso di non aver compiuto accertamenti sulla veridicità di quanto comunicato dal vettore; h) con riguardo a Geco la Corte territoriale avrebbe travisato le dichiarazioni del L.T., giacchè questi, contrariamente a quanto sostenuto in sentenza, avrebbe riferito esclusivamente dei rapporti intrattenuti dal F. con Twin Trading; quanto a quest'ultima, invece, i prelievi effettuati dal citato L.T. in concomitanza con il pagamento alla società delle fatture emesse non sarebbe logicamente sufficiente a provare l'avvenuta retrocessione, posto che non è stato accertato il destino delle somme prelevate e che lo stesso L.T. non ha confermato in dibattimento di averle restituite all'imputato, affermando invece di averli dati al M. senza aver mai effettivamente visto quest'ultimo consegnarli poi al F. o aver saputo che ciò fosse avvenuto; sul punto la sentenza avrebbe altresì trascurato di considerare l'ulteriore ammissione del teste - la cui attendibilità sarebbe indubitabile essendosi rivelato ostile all'imputato - circa l'esistenza di una corrispondenza commerciale tra i due soggetti menzionati, logicamente incompatibile con l'ipotizzata inesistenza oggettiva delle forniture cui si riferiscono le fatture.
2.1.4 Con il secondo motivo il ricorrente deduce errata applicazione della legge penale ed extrapenale rilevante in relazione all'affermata responsabilità dell'imputato per la distrazione di alcuni beni immobili conferiti al Gruppo Europeo d'Interesse Economico Ituk Pneus Tyre. In tal senso si lamenta l'inconfigurabilità del reato in conseguenza del fatto che alla costituzione del suddetto G.E.I.E. ed al conferimento di beni da parte dei soci non sia mai seguita l'iscrizione del Gruppo a norma dell'art. 6 del Regolamento CEE n. 25/7/2137 del 1985. Iscrizione che ha efficacia costitutiva e che sola, dunque, consente all'ente di acquistare la personalità giuridica, come desumibile dal terzo comma dell'art. 1 e dal secondo dell'art. 9 dello stesso Regolamento. In difetto di iscrizione, la proprietà sui beni conferiti non sarebbe dunque stata mai trasferita al G.E.I.E., che non esistendo ancora non poteva essere titolare di alcunchè, con conseguente impossibilità del contestato distacco dei medesimi beni dal patrimonio della fallita. A nulla rileva invece per il ricorrente che, in ragione della mancata iscrizione, i beni già conferiti debbano essere restituiti ai soci del Gruppo, trattandosi di obbligo da cui non è possibile desumere, come hanno fatto invece i giudici del merito, la pregressa traslazione della titolarità sugli stessi. Parimenti irrilevante la circostanza che l'atto costitutivo sia stato trascritto nei registri immobiliari, trattandosi di trascrizione non opponibile ai creditori personali dei soci conferenti fino all'avvenuta iscrizione dell'ente. Infine del tutto inconferente sarebbe il riferimento effettuato dalla sentenza ad una ipotetica maggior difficoltà che gli stessi creditori incontrerebbero nell'aggredire i beni conferiti anche solo a seguito della costituzione del Gruppo.
2.1.5 Con il terzo motivo il ricorrente denunzia ulteriori vizi della motivazione in merito alla ritenuta sussistenza del reato di bancarotta documentale. Oggetto di contestazione è l'occultamento o la distruzione delle scritture contabili, condotta che per il periodo successivo al settembre del 2011 non è logicamente configurabile, stante la sostanziale cessazione dall'attività della fallita, circostanza che i giudici dell'appello avrebbero dovuto considerare anche ai fini della valutazione della mera eventuale omessa tenuta della contabilità. Quanto al periodo antecedente la Corte territoriale avrebbe omesso invece di confutare, travisandone il significato, i rilievi svolti con il gravame di merito in ordine alla inverosimiglianza dell'ipotesi di fraudolenta sottrazione dei libri contabili in ragione della consapevolezza da parte del F. dell'esistenza di copia informatica pressochè integrale delle scritture presso la società incaricata della gestione del software applicativo della contabilità, dove la stessa è stata regolarmente rinvenuta.
2.1.6 Analoghe doglianze vengono proposte con il quarto motivo in merito al reato di occultamento o distruzione di documenti contabili. In relazione a tale capo il ricorrente eccepisce altresì che i giudici di merito, per il periodo successivo al settembre 2011, hanno ritenuto che il F. abbia invero omesso di tenere la contabilità, condotta eccentrica rispetto a quelle incriminate dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10, e che pertanto l'imputato, quantomeno limitatamente a tale periodo, avrebbe dovuto essere assolto.
2.1.7 Con il quinto motivo si lamenta errata applicazione della legge penale in merito al mancato assorbimento del sopra menzionato reato tributario in quello di bancarotta documentale, nonostante la tesi della sussistenza di un rapporto di specialità tra le norme incriminatrici che configurano le due fattispecie sia stata condivisa da un orientamento del giudice di legittimità e debba comunque ritenersi imposta dalla clausola di riserva prevista nel citato D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10.
2.1.8 Con il sesto motivo vengono dedotti vizi della motivazione in merito al reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. Quanto alla presunta sottrazione dei beni immobili conferiti nel G.E.I.E. di cui si è detto il ricorrente richiama le argomentazioni svolte nel secondo motivo in relazione alla concorrente imputazione di distrazione degli stessi beni. Con riguardo invece alla cessione delle quote della Tansini Gomme alla suocera ingiustificata sarebbe l'affermazione di responsabilità dell'imputato una volta che questi e la moglie sono stati assolti dal concorrente reato di circonvenzione di incapace, tanto più che la Corte territoriale, ai fini della effettiva configurabilità del dolo specifico necessario per la sussistenza del reato, ha omesso di considerare il reale e più logico motivo che ha spinto il F. alla vendita e cioè l'esigenza di acquisire liquidità per fronteggiare la impellente crisi debitoria. Motivo riscontrato dalla situazione patrimoniale della fallita successiva alla dismissione dalla quale emergerebbe la consistente riduzione dell'esposizione bancaria della società e il progressivo azzeramento di quella verso i fornitori e le controllate, risultati ottenuti proprio attraverso l'impiego della liquidità conseguita attraverso la cessione della Tansini. In relazione, infine, all'affitto di due rami d'azienda manifestamente illogica sarebbe la motivazione della sentenza. Infatti l'evocata sproporzione per difetto del canone annuale negoziato è valutazione arbitraria ed apodittica e comunque in contrasto con le dichiarazioni del teste B. - non considerate dai giudici del merito il quale ne ha invece sottolineato semmai l'incongruità per eccesso rispetto ai valori di mercato. Non meno illogico sarebbe l'altro argomento impegnato dai giudici del merito e cioè che l'affittuaria fosse società costituita all'uopo (che però non si identifica, come erroneamente ritenuto in sentenza, con il G.E.I.E. di cui si detto) e gestita da due dipendenti della fallita, circostanza tutt'altro che anomala attesa l'esperienza maturata nel settore dagli stessi e la volontà di garantire la continuità operativa aziendale che sarebbe stata compromessa dalle vicende giudiziarie del F. e dalla cessazione dell'attività della fallita. Peraltro attraverso i due contratti non si è verificato alcun depauperamento del patrimonio della società, non compromettendo così gli interessi erariali, ma anzi meglio garantendoli, tanto da doversi ritenere il fatto non tipico.
2.1.9 Con il settimo motivo viene eccepita l'erronea applicazione della legge penale anche in questo caso per il mancato assorbimento del reato tributario nella bancarotta questa volta patrimoniale e limitatamente al conferimento dei beni immobili nel G.E.I.E., mentre con l'ottavo vengono dedotti ulteriori vizi della motivazione in merito al ritenuto concorso dell'imputato nel reato di frode fiscale contestato in relazione alla società affittuaria dei rami d'azienda. Reato proprio del legale rappresentante della stessa e non imputabile al F. in difetto di evidenza alcuna del suo concorso materiale o morale nella sua consumazione, la quale avviene con la presentazione della dichiarazione fiscale. Inconferenti in senso contrario sarebbero le dichiarazioni rese sulla vicenda dal L.T., che ha affermato di essere stato istigato dal F. all'emissione delle fatture per operazioni inesistenti oggetto dell'imputazione. Infatti tali dichiarazioni potrebbero al più provare il concorso dell'imputato nel reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8, mentre del tutto apodittica sarebbe l'affermazione della Corte territoriale per cui egli sarebbe stato il gestore di fatto della società utilizzatrice.
2.1.10 Il 3 giugno 2017 il difensore dell'imputato ha proposto motivi nuovi. Con i primi due lamenta violazione di legge eccependo l'omessa notifica all'imputato della citazione per il giudizio d'appello, notificata ai sensi dell'art. 157 c.p.p., comma 8 - bis, ad uno dei difensori di fiducia nonostante egli avesse in precedenza dichiarato domicilio in luogo diverso. Nullità tempestivamente dedotta ed erroneamente ritenuta sanata dalla Corte territoriale per l'idoneità della notifica a garantire all'imputato la conoscenza dell'atto, operando così una indebita inversione dell'onere probatorio in ordine al difetto di tale conoscenza, invece da presumersi proprio in ragione della irregolarità della procedura di notifica e la cui insussistenza doveva invece costituire oggetto di puntuale e positivo accertamento da parte del giudice dell'appello. Sotto altro profilo il ricorrente eccepisce inoltre l'omessa notifica sempre all'imputato dell'estratto contumaciale della sentenza d'appello, con conseguente nullità di tutti gli atti successivi al deposito della sentenza in conseguenza della mancata decorrenza del termine per proporre ricorso personale. Con il terzo ed il quinto motivo nuovo vengono ribadite le censure svolte nei primi due, nonchè nel quarto, quinto sesto e settimo motivo del ricorso principale, mentre con il quarto si eccepisce il difetto dell'elemento soggettivo dei reati di frode fiscale e con il sesto errata applicazione della legge penale e vizi della motivazione relativi alla parziale conferma della confisca dell'immobile intestato alla moglie dell'imputato.
2.2 Il ricorso proposto nell'interesse di G.C.P. articola due motivi.
2.2.1 Con il primo vengono dedotti errata applicazione della legge penale e vizi della motivazione in merito alla conferma della confisca del 50% dell'immobile di via (OMISSIS) intestato all'imputata. In proposito viene evidenziato come la G.C. sia stata definitivamente assolta nel giudizio d'appello anche dal residuo addebito D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 11, per il quale era stata condannata in primo grado, dove già era stata assolta dall'imputazione ex art. 643 c.p.. Conseguentemente non sarebbe possibile procedere alla confisca anche solo parziale del bene di sua esclusiva proprietà in quanto persona estranea ai reati contestati al marito ai sensi ed agli effetti dell'art. 240 c.p., comma 3. Nè ricorrono i presupposti per ritenere si tratti di intestazione fittizia del bene, invero acquistato in epoca di molto antecedente a quella della consumazione dei reati addebitati al F.; ipotesi che in ogni caso la stessa sentenza ha escluso.
2.2.2 Analoghi vizi vengono dedotti con il secondo motivo. In tal senso la ricorrente censura l'affermazione della Corte per cui il citato F. sarebbe comunque contitolare di fatto dell'immobile in questione, in quanto lo stesso è nella sua disponibilità (coabitandolo con la moglie) e aveva fornito la maggior parte della provvista necessaria al suo acquisto. Affermazione contraddittoria, una volta esclusa espressamente l'ipotesi dell'interposizione fittizia, e comunque errata in difetto della prova della provenienza illecita della suddetta provvista. Infatti la proprietà su un bene si acquista esclusivamente nei modi indicati dagli artt. 922 e ss. c.c.. Nella specie la proprietà sull'immobile è stata acquistata per effetto di un contratto di compravendita che l'ha trasferita a favore della ricorrente e non anche del marito, risultando dunque giuridicamente inconferenti i concetti di "contitolarità di fatto" e "disponibilità" evocati dalla sentenza ai fini di costituire la presunta comproprietà del bene in capo al F., affermata, ma non dimostrata dai giudici territoriali. Peraltro che questi fosse domiciliato presso l'immobile di cui si tratta non è certo circostanza idonea a conferirgli alcun potere di disporne, mentre dall'eventualità che egli abbia contribuito a finanziarne l'acquisto non discende alcuna contitolarità di fatto sul medesimo, rilevando la stessa esclusivamente nell'ambito dei rapporti obbligatori tra i due coniugi o, come prospettato con il gravame di merito, rappresentando una donazione del F. alla moglie della relativa somma e non già dell'immobile stesso, come malamente inteso dalla Corte territoriale nel confutare i motivi d'appello. In realtà su quest'ultimo punto la decisione impugnata si rivela altresì frutto dell'errata interpretazione delle risultanze documentali acquisite al processo, dalle quali emerge come la ricorrente già in sede di preliminare avesse pagato con proprie risorse la maggior parte del prezzo, mentre alcuna evidenza sussiste circa il fatto che la provvista utilizzata per il saldo provenisse dal F., i cui versamenti sul conto cointestato con la moglie citati in sentenza sono dunque serviti al più al parziale rimborso del mutuo acceso da entrambi i coniugi per finanziare l'acquisto dell'immobile e i successivi lavori di ristrutturazione dello stesso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso del F. è fondato negli esclusivi limiti che di seguito verranno esposti.
2. Innanzi tutto devono essere dichiarati inammissibili i motivi nuovi ad eccezione del terzo e del quinto che si limitano a ribadire peraltro le censure proposte con il ricorso principale ed al cui esame si provvederà congiuntamente a quello dei motivi del suddetto ricorso.
2.1 Manifestamente infondata è innanzi tutto l'eccezione relativa all'omessa notifica dell'estratto contumaciale della sentenza d'appello, che, contrariamente a quanto sostenuto, è stato invece regolarmente notificato all'imputato a mani proprie dalla p.g. il 24 luglio 2016. Quanto all'altra eccezione processuale sollevata con il primo dei motivi nuovi deve rilevarsene l'inammissibilità, in quanto con la stessa non viene dedotta una nullità assoluta, bensì a regime intermedio che non poteva essere sollevata per la prima volta, per l'appunto, con i motivi nuovi, come invece avvenuto.
2.2 Le altre questioni sollevate con il quarto ed il sesto dei motivi nuovi sono parimenti inammissibili in quanto attingono punti della sentenza impugnata che non avevano costituito oggetto di doglianza con il ricorso principale. Infatti alcun rilievo è stato formulato con riguardo all'elemento soggettivo dei reati di frode fiscale di cui al capo 1), in relazione al quale, pervero, in assoluto non sono stati proposti motivi in via principale. Altrettanto dicasi per la parziale conferma della confisca dell'immobile intestato alla moglie del F., capo della sentenza del tutto trascurato dal ricorrente in prima battuta. Peraltro il sesto motivo nuovo sarebbe comunque inammissibile, non vantando il ricorrente alcun interesse ad impugnare tale capo, posto che egli nega di vantare diritti sul bene confiscato.
3. Venendo al ricorso principale del F., il primo motivo risulta fondato esclusivamente con riguardo alle censure aventi ad oggetto la distrazione conseguente al pagamento delle fatture Geco, mentre nel resto (come anche il terzo dei motivi nuovi) deve ritenersi in parte infondato ed in parte inammissibile.
3.1 La sentenza impugnata ha desunto la prova della natura distrattiva dei pagamenti di numerose fatture relative a forniture di pneumatici innanzi tutto dall'assenza di alcuna evidenza dell'effettiva acquisizione da parte della fallita dei beni oggetto delle presunte transazioni, registrando altresì l'acquisizione di ulteriori elementi indiziari convergenti nel rivelare l'inesistenza oggettiva delle operazioni oggetto delle medesime fatture. In altri termini la Corte territoriale ha prima di tutto rilevato come l'imputato, nella sua qualità di amministratore della fallita non abbia saputo giustificare gli esborsi sostenuti da quest'ultima.
3.2 In proposito deve allora ribadirsi il consolidato insegnamento di questa Corte per cui la prova della distrazione o dell'occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, ad opera dell'amministratore, della destinazione dei suddetti beni (Sez. 5, n. 8260/16 del 22 settembre 2015, Aucello, Rv. 267710; Sez. 5, n. 19896 del 7 marzo 2014, Ranon, Rv. 259848; Sez. 5, n. 11095 del 13 febbraio 2014, Ghirardelli, Rv. 262740; Sez. 5, n. 22894 del 17 aprile 2013, Zanettin, RV. 255385; Sez. 5, n. 7048/09 del 27 novembre 2008, Bianchini, Rv. 243295; Sez. 5, n. 3400/05 del 15 dicembre 2004, Sabino, Rv. 231411). Nè tale principio comporta, come incidentalmente sostenuto nel ricorso, una effettiva inversione dell'onere probatorio nel processo penale. Il ricorrente infatti trascura la costante elaborazione giurisprudenziale seguita dal giudice di legittimità, la quale si ancora alla peculiarità della normativa concorsuale. In tal senso va infatti ricordato che l'imprenditore è posto dal nostro ordinamento in una posizione di garanzia nei confronti dei creditori, i quali ripongono la garanzia dell'adempimento delle obbligazioni dell'impresa sul patrimonio di quest'ultima. Donde la diretta responsabilità del gestore di questa ricchezza per la sua conservazione in ragione dell'integrità della garanzia. La perdita ingiustificata del patrimonio o l'elisione della sua consistenza danneggia le aspettative della massa creditoria ed integra l'evento giuridico sotteso dalla fattispecie di bancarotta fraudolenta. Non di meno la L.Fall., art. 87, comma 3, (anche prima della sua riforma) assegna al fallito obbligo di verità circa la destinazione dei beni di impresa al momento dell'interpello formulato dal curatore al riguardo, con espresso richiamo alla sanzione penale. Immediata è la conclusione che le condotte descritte all'art. 216, comma 1, n. 1 (tra loro sostanzialmente equipollenti) hanno (anche) diretto riferimento alla condotta infedele o sleale del fallito nel contesto dell'interpello. Osservazioni che giustificano la solo apparente inversione dell'onere della prova ascritta al fallito nel caso di mancato rinvenimento di cespiti da parte della procedura e di assenza di giustificazione al proposito (o di giustificazione genericamente resa in termini di spese, perdite ed oneri attinenti o compatibili con le fisiologiche regole di gestione). Trattasi, invero, di sollecitazione al diretto interessato della dimostrazione della concreta destinazione dei beni o del loro ricavato, risposta che (presumibilmente) soltanto egli, che è (oltre che il responsabile) l'artefice della gestione, può rendere (Sez. 5, n. 7588 del 26 gennaio 2011, Buttitta e altri, in motivazione).
3.3 L'accertamento dell'ingresso nel patrimonio della fallita dei beni oggetto delle fatture contestate e del loro successivo destino non è stato poi ritenuto provato dalla mera emissione di queste ultime e dalla loro eventuale registrazione nella contabilità della fallita, essendo state qualificate le sottostanti operazioni oggettivamente inesistenti sulla base del compendio indiziario sulla cui valutazione si sono accentrate le censure del ricorrente. Censure che sono infondate al limite dell'inammissibilità, denunciando il limite di un approccio parcellizzato alla piattaforma probatoria, e che spesso si riducono alla mera prospettazione di letture alternative di singole risultanze, traducendosi nell'indebita sollecitazione rivolta al giudice di legittimità a rivalutarle, senza però individuare effettivi profili di manifesta illogicità nella motivazione dispiegata dal giudice dell'appello a sostegno dell'interpretazione posta a fondamento della decisione.
3.3.1 In tal senso va osservato come la Corte territoriale non abbia negato che la fallita - nella sua vasta campagna di evasione fiscale - abbia fatto ricorso a fatture relative ad operazioni sia oggettivamente, che soggettivamente inesistenti (tanto da aver assolto l'imputato per uno dei fatti contestati proprio in ragione della ritenuta probabilità che questo avesse ad oggetto operazioni del secondo tipo) anche provenienti dagli stessi soggetti. Ma dall'accertamento della solo soggettiva inesistenza di alcune operazioni non discende, come pretenderebbe sostanzialmente il ricorrente, che tutte le operazioni anomale debbano necessariamente aver avuto tale natura.
Tutt'altro che illogica è poi la conclusione cui è pervenuta la sentenza impugnata in ordine alla qualificazione di alcune operazioni come oggettivamente inesistenti in ragione, tra l'altro, della rilevata assenza di qualsiasi traccia documentale attestante l'effettività delle stesse o il ruolo di mero interposto in una frode "carosello" dell'emittente, traccia che laddove rinvenuta ha invece e per l'appunto consentito l'opposta qualificazione di altre operazioni. Ed in proposito manifestamente infondata è l'obiezione del ricorrente basata sulla presunta massima d'esperienza per cui le "cartiere", alla cessazione del loro ciclo operativo, provvederebbero alla distruzione integrale di qualsiasi documentazione. Massima che non ha alcun riscontro effettivo nell'esperienza giudiziaria (che restituisce invece una realtà assai eterogenea che sfugge a qualsiasi generalizzazione nel senso indicato), ma la cui validità è, soprattutto, clamorosamente smentita proprio da quanto accertato nel presente processo, dove sono state acquisite svariate tracce documentali relative alla attività di interposizione soggettiva proprie delle menzionate "cartiere".
3.3.2 Quanto alla retrocessione delle somme date in pagamento delle fatture, la motivazione della sentenza, contrariamente a quanto eccepito, non risulta contraddittoria. Infatti il giudice dell'appello si è limitato ad evidenziare come, laddove acquisita, la prova della restituzione del danaro all'utilizzatore dimostra in maniera diretta e incontrovertibile l'inesistenza oggettiva dell'operazione sottostante. Affermazione condivisibile e dalla quale non può ricavarsi a contrariis, come pretende in maniera del tutto illogica il ricorrente, che in difetto di tale prova non possa procedersi altrimenti e con eguale certezza alla suddetta qualificazione. In tal senso la Corte territoriale ha evidenziato alcuni fatti evocativi dell'anomalo comportamento di taluni emittenti oggettivamente in grado di comprovare, unitamente agli altri dati acquisiti sulla loro incapacità operativa, che si tratta di soggetti dediti non solo all'interposizione fittizia (circostanza che di per sè costituisce un ulteriore indizio a carico del F.), ma non ha ritenuto provata in via diretta la retrocessione dell'imputato dei pagamenti effettuati dalla fallita nei confronti della medesima, desunta per l'appunto dal compendio indiziario nel suo complesso.
3.3.3 Ai fini della prova della contestata distrazione, non è poi necessario accertare in favore di chi sia avvenuta la retrocessione dei pagamenti, bensì, più semplicemente (come si è illustrato in precedenza) dimostrare che non sussiste evidenza alcuna dell'effettiva acquisizione al patrimonio della fallita dei beni oggetto delle operazioni fatturate ovvero dello storno in favore della medesima (e non dell'imputato) delle somme pagate. Conseguentemente inconferenti sono le doglianze del ricorrente sulla presunta omessa considerazione della costante tracciabilità dei pagamenti. Frutto di travisamento della motivazione della sentenza impugnata, invece, sono quelle relative al valore di emissione di alcuni degli assegni circolari utilizzati per il pagamento delle fatture. Infatti la Corte territoriale non ha inteso escludere la tracciabilità dei pagamenti, ma soltanto evidenziare la volontà di rendere meno "vistosa" l'entità dei pagamenti cui si riferiscono attraverso l'adozione del ben noto espediente di assegnare a ciascuno un valore inferiore alla soglia presa in considerazione dalle norme antiriciclaggio. Circostanza peraltro non illogicamente considerata dai giudici del merito - seppure quasi incidentalmente - nell'ambito della valutazione complessiva del compendio indiziario.
3.3.4 Assertive, manifestamente infondate e sostanzialmente virate sul merito sono invece le censure concernenti la valutazione del significato probatorio delle conversazioni intercettate tra il L.T., il P. ed altri soggetti. Quanto al presunto travisamento delle captazioni, va ricordato che tale vizio, per essere deducibile in questa sede, deve riguardare il significante della prova e non già il significato della medesima, introducendo così nel giudizio un elemento probatorio invero inesistente (ex multis Sez. 5, n. 18542 del 21 gennaio 2011, Carone, Rv. 250168). Ed in tal senso è allora appena il caso di evidenziare come in realtà le obiezioni del ricorrente riguardino, per l'appunto, la mera interpretazione del significato probatorio delle frasi captate e non la ricostruzione del loro esatto contenuto. Ciò premesso, il presunto valore generale che dovrebbero assumere le considerazioni svolte dai conversanti, formando così la prova della natura soggettivamente inesistente di tutte le operazioni intercettate, è invece asserzione del tutto apodittica e priva di alcun fondamento logico. Infatti non si comprende per quale motivo nelle suddette conversazioni i protagonisti, evocando apparentemente il meccanismo dell'interposizione fittizia, avrebbero fatto riferimento alla generalità delle operazioni intrattenute con il F. e non solo, come sostenuto dalla sentenza, a quelle soggettivamente inesistenti, che pure la sentenza riconosce essere state poste in essere tra la fallita ed i soggetti coinvolti nelle captazioni. Nè ha qualche pregio l'ulteriore obiezione per cui tale confutazione dell'argomentazione difensiva sarebbe viziata da un vero e proprio cortocircuito logico, fondandosi sulla certezza di un fatto l'effettiva esistenza di operazioni oggettivamente inesistenti - che invece non sarebbe stato dimostrato. Infatti i giudici del merito hanno ancorato la prova di tali operazioni su ben altri elementi e dunque del tutto legittimamente e logicamente hanno interpretato le conversazioni di cui si tratta nel senso indicato, una volta accertato che effettivamente erano state poste in essere anche operazioni solo soggettivamente inesistenti.
3.3.5 Passando ai rilievi concernenti i singoli fatti imputati, generici sono quelli relativi alle fatture emesse da Eurogomme, già sottoposti al giudice dell'appello e da questi confutati con motivazione con la quale il ricorrente non si è sostanzialmente confrontato. Peraltro il fatto che D.V., gestore della citata società, sia stato in altre occasioni e con altre ditte fornitore "reale" o interposto della fallita è circostanza priva di rilevanza sul piano logico e inidonea a superare l'argomentazione principale spesa in sentenza e cioè l'accertata inoperatività della citata Eurogomme. Generiche sono altresì le doglianze relative alle fatture di Fertrade, posto che il ricorrente si limita a rievocare le già esaminate obiezioni sulla mancata acquisizione di prova certa della retrocessione delle somme pagate dalla fallita (per la cui confutazione si rinvia a quanto illustrato in precedenza), ma non contesta quanto affermato dalla sentenza sul punto e cioè che la società non commerciava pneumatici, come riferito tra l'altro dal suo rappresentante legale.
3.3.6 Per quanto riguarda le fatture di MCS, deve rilevarsi come la Corte territoriale si sia limitata a rispondere ai rilievi svolti in proposito con il gravame di merito, legittimamente rinviando alla motivazione della pronunzia di primo grado per l'individuazione degli indici rivelatori dell'inesistenza oggettiva delle operazioni cui si riferiscono le fatture. Quanto ai prelievi effettuati sul conto della società, la sentenza non ha affermato che questi riguardino le somme versate dal F. piuttosto che quelle bonificate dalla Globe s.r.l., ma ha solo evidenziato come MCS, nello stesso periodo, abbia posto in essere comportamenti fortemente sintomatici di una retrocessione, rivelando la sua familiarità con tale pratica. In maniera tutt'altro che manifestamente illogica, dunque, i giudici dell'appello hanno ritenuto la circostanza un indizio da valutarsi congiuntamente agli altri rilevati e non contestati dal ricorrente.
3.3.6 Con riguardo alla vicenda Central Tyre il ragionamento svolto in sentenza circa la retrocessione per mezzo di Medusa delle somme accreditate alla società solo due giorni prima dalla fallita non può ritenersi manifestamente illogico, come sostenuto dal ricorrente, solo perchè non sono stati accertati gli eventuali rapporti di quest'ultima con il F.. Infatti la sostanziale contestualità dei due trasferimenti e la corrispondenza (per la quasi totalità) delle somme trasferite costituiscono indubbi ed oggettivi indici sintomatici della affermata retrocessione, che in maniera logica sono stati valorizzati alla luce del compendio indiziario nel suo complesso considerato. Ancora una volta dunque le critiche avanzate con il ricorso risentono dell'approccio atomistico alla piattaforma probatoria seguito dal ricorrente, ma si rivelano ulteriormente generiche nella misura in cui hanno omesso di confrontarsi con alcuni snodi del ragionamento probatorio, che ad esempio si fonda sulla smentita da parte di ABC Logistica di aver mai rilasciato i DDT indicati in una delle fatture incriminate. Meramente assertiva è invece l'obiezione relativa al presunto travisamento operato dalla polizia giudiziaria in merito all'affermata identità tra gli pneumatici oggetto di smaltimento da parte della fallita e quelli indicati nelle fatture emesse da Central Tyre (ed analoghe conclusioni devono essere rassegnate con riguardo alle identiche obiezioni svolte in riferimento alle forniture asseritamente effettuata da FA Group). Infatti il ricorrente si limita ad escludere tale identità senza riportare o allegare i contenuti documentali che dimostrerebbero l'errore, non consentendo dunque a questa Corte di apprezzare l'entità del vizio denunziato.
3.3.7 Manifestamente infondate o generiche sono anche le doglianze relative alle fatture emesse da Gasco. Per l'ennesima volta esse si concentrano su un segmento del materiale probatorio su cui si fonda il ragionamento probatorio della sentenza impugnata, trascurando di confrontarsi con quest'ultimo nel suo completo sviluppo argomentativo. In tal senso va allora osservato che la Corte territoriale ha innanzi tutto ritenuto oggettivamente inesistenti le operazioni descritte nelle menzionate fatture in ragione dell'accertata inoperatività sia della suddetta Gasco, che dei suoi apparenti fornitori. Irrilevante, per le ragioni già ripetutamente illustrate, è poi il mancato accertamento della retrocessione delle somme pagate nel 2008, mentre, quanto alle dichiarazioni dei dipendenti della fallita sull'effettività dei trasporti realizzati in proprio dalla stessa, quelle del ricorrente si rivelano censure in fatto, tese a sollecitare una inammissibile rivalutazione di tali dichiarazioni sulla base di una mera interpretazione soggettivamente orientata delle medesime. Parimenti versata in fatto è l'obiezione per cui la mancanza di alcuni DDT o dell'indicazione nei medesimi dell'identità del vettore sarebbe stata sopravalutata dalla Corte, atteso che la circostanza, nell'ambito del quadro indiziario dato, tutt'altro che illogicamente è stata ritenuta sintomatica dell'oggettiva inesistenza delle operazioni sottostanti, mentre la possibilità che anche in tali casi sia stata proprio la fallita ad effettuare i trasporti è null'altro che una congettura priva di una qualsiasi base fattuale idonea a giustificarla. Ininfluente è poi l'eccepita inutilizzabilità della email inviata dalla F.lli Pa. agli inquirenti, posto che la sentenza espressamente ha rinunziato ad utilizzarla a fini probatori, mentre generiche e manifestamente infondate sono le censure relative al valore probatorio della deposizione del Ten. Riso della GdF in merito all'esito negativo degli accertamenti esperiti su eventuali trasporti effettuati dalla suddetta ditta su incarico della Gasco o della fallita, la cui eccepita incompletezza è fatta discendere dalla prospettazione in via meramente astratta della eventualità che la stessa abbia operato per conto di altro soggetto, senza che però venga indicata al contempo una qualche risultanza oggettiva che avrebbe dovuto orientare in tal senso l'investigazione nel caso concreto e che invece sarebbe stata ignorata.
3.3.8 Infondate sono infine le doglianze relative alla valutazione dei rapporti intrattenuti dalla fallita con Twin Trading. La Corte territoriale ha tenuto conto del ridimensionamento in sede dibattimentale da parte del L.T. delle dichiarazioni rese dallo stesso in precedenza, ma ha comunque evidenziato (incontestata sul punto) come egli abbia comunque riferito di aver ricevuto l'ordine da parte del M. in almeno un'occasione di andare a prelevare il danaro destinato ad essere restituito al F., previa detrazione del compenso per l'emissione delle false fatture. Dichiarazione che unitamente agli altri elementi indiziari valutati è stata logicamente ritenuta dalla Corte territoriale idonea a fondare la prova dei fatti addebitati all'imputato. Nè la tenuta del discorso giustificativo è compromessa dalle obiezioni svolte con il ricorso. Che il L.T. non abbia assistito alla materiale retrocessione delle somme non inficia il valore indiziario della sua dichiarazione, così come il mancato accertamento dell'effettiva destinazione al F. delle somme prelevate dal conto della società subito dopo l'avvenuto pagamento delle fatture, per le ragioni già evidenziate in precedenza, non deprime la sintomaticità della circostanza, tanto più in difetto di documentazione attestante la mera interposizione della Twin Trading, invece rinvenuta con riferimento ad altre operazioni correttamente qualificate come solo soggettivamente inesistenti. Invero ciò che il ricorrente non ha saputo confutare cadendo nel consueto vizio di analisi parcellizzata del compendio indiziario - è l'idoneità probatoria determinata dalla sinergia tra gli elementi considerati dalla sentenza. Quanto poi alle ulteriori dichiarazioni del L.T. ad oggetto il carteggio commerciale tra la fallita e la Twin Trading, si tratta di obiezione generica nella misura in cui il ricorso si limita a riportare solo alcuni brani selezionati della deposizione nell'eccepire il travisamento della prova per omessa considerazione della medesima. Deve allora ribadirsi che l'ammissibilità della deduzione di tale vizio in sede di legittimità, qualora la prova omessa o travisata abbia natura dichiarativa, presuppone l'onere di riportarne integralmente il contenuto, non potendo il ricorrente limitarsi ad estrapolarne alcuni brani, giacchè così facendo viene impedito al giudice di legittimità di apprezzare compiutamente il significato probatorio delle dichiarazioni e, quindi, di valutare l'effettiva portata del vizio dedotto (Sez. 4 n. 37982 del 26 giugno 2008, Buzi, rv 241023; Sez. F., n. 32362 del 19 agosto 2010, Scuto ed altri, Rv. 248141). Non di meno il ricorso non ha dimostrato - ma solo affermato - la decisività di tali dichiarazioni, posto che il suddetto carteggio è logicamente compatibile anche con l'intenzione di rafforzare l'apparenza dell'effettività delle operazioni sottostanti e non esclusivamente come apoditticamente sostenuto con quella di giustificare operazioni soggettivamente inesistenti, comunque avvenute tra le due società.
3.4 Come accennato, colgono invece nel segno le obiezioni del ricorrente in merito alla natura distrattiva delle operazioni effettuate dalla fallita con Geco, posto che la Corte territoriale solo apoditticamente ha affermato che le dichiarazioni del L.T. confermerebbero l'inesistenza oggettiva di tali operazioni, dichiarazioni che dalla stessa motivazione sembrerebbero invece essere state rese con riguardo a quelle intercorse con la Twin Trading. Nè tale apoditticità risulta sanata dall'ulteriore riferimento effettuato al contenuto di alcune intercettazioni, non essendo stato nuovamente precisato per quali ragioni le stesse riguarderebbero lo specifico fatto di cui si tratta. Limitatamente dunque a tale contestazione la sentenza deve essere annullata con rinvio per nuovo esame.
4. Il secondo motivo del ricorso del F. e, per la parte relativa al medesimo oggetto, il terzo dei motivi nuovi sono infondati, ancorchè la motivazione della sentenza sul punto necessiti di alcune precisazioni.
4.1 Premesso che ai sensi dell'art. 1, comma 3, del Regolamento CEE 2137/1985 l'acquisizione della personalità giuridica negli ordinamenti interni da parte di un G.E.I.E. è scelta rimessa ai legislatori nazionali, stabilendo il suddetto Regolamento (art. 1 comma 2 e punto 9 del considerando) soltanto che l'ente, una volta costituito, assume a decorrere dall'iscrizione la capacità giuridica, deve osservarsi come i richiami operati tanto in sentenza, quanto nel ricorso, alle disposizioni del codice civile italiano sulle società di capitali è in ogni caso inconferente, nella misura in cui l'ordinamento di riferimento da cui dovrebbe eventualmente trarsi la disciplina integrativa di quella dettata dal suddetto Regolamento (anche ai fini dell'iscrizione) è quello britannico, essendo il Gruppo di cui si tratta nel caso di specie stato costituito in territorio inglese.
4.2 In realtà le questioni sul valore costitutivo dell'iscrizione (peraltro riconosciuto dalla sentenza impugnata) e sulla efficacia traslativa degli atti di conferimento degli immobili nel G.E.I.E sottoscritti dal socio prima della sua iscrizione, sulle quali il ricorso si dilunga, risultano irrilevanti. E' certamente vero che, se si dovesse riconoscere l'effetto traslativo della proprietà anche in difetto di iscrizione, ciò integrerebbe la distrazione contestata, ma non è altrettanto vero il contrario e cioè, come sostenuto dal ricorrente, che solo se la proprietà dei suddetti beni fosse stata formalmente trasferita potrebbe ritenersi configurabile la distrazione contestata nella seconda parte del capo 5).
4.2 La specifica offensività della condotta imputata, insita nella nozione di "distrazione", consiste infatti nel distogliere un'attività alla sua naturale funzione di garanzia della generalità creditori. E' peraltro pacifico, secondo l'insegnamento di questa Corte, che costituiscano "distrazione" anche le condotte che, pur non determinando fuoriuscita fisica o giuridica di cespiti o ricchezza dal patrimonio dell'impresa, determinano un vincolo per il patrimonio dell'impresa fallita, creando obbligazioni pertinenti alla destinazione di un bene o comunque idonee a ricadere sul patrimonio nella sua globalità. Parimenti è insegnamento costante quello per cui la condotta è integrata anche da quei comportamenti che, seppure tenuti nell'esercizio di facoltà legittime, si rivelino strumentali a rendere più difficoltosa la futura liquidazione del patrimonio aziendale e ciò in quanto la bancarotta patrimoniale è reato di pericolo per la cui configurabilità non è necessario si verifichi un effettivo pregiudizio per i creditori.
4.3 In tal senso il vincolo impresso ai beni della fallita mediante il contratto di costituzione del G.E.I.E. ha certamente generato un' obbligazione a carico del suo patrimonio nei confronti degli altri soci fondatori in grado di determinare un pericolo per gli interessi del ceto creditorio preesistente. Non di meno il tentativo di creare l'apparenza della già avvenuta estromissione dei suddetti beni dal patrimonio della fallita attraverso la trascrizione dell'atto costitutivo del G.E.I.E. nei registri immobiliari comunque comportamento idoneo - come ritenuto in sentenza - a realizzare un ostacolo alla realizzazione degli interessi creditori, posto che la verifica della sua eventuale inefficacia avrebbe richiesto agli organi concorsuali accertamenti da condurre all'estero.
5. Parzialmente fondati sono invece il terzo ed il quarto motivo ad oggetto i reati di bancarotta documentale (capo 5 ultima parte) e di occultamento o distruzione di scritture contabili (capo 6).
5.1 In realtà manifestamente infondate e generiche sono le censure concernenti la porzione di condotta antecedente al settembre del 2011 e cioè al momento della sostanziale cessazione dell'attività da parte della fallita. La sentenza impugnata, contrariamente a quanto eccepito dal ricorrente, ha risposto ai rilievi svolti con il gravame di merito, senza travisarne il senso. Infatti, la Corte territoriale ha evidenziato come la copia informatica della contabilità rinvenuta presso Meda Service fosse ampiamente incompleta e come, pertanto, per la effettiva e completa ricostruzione delle vicende contabili si fosse reso necessario compiere accertamenti presso gli istituti bancari ed i clienti della fallita, in tal modo implicitamente rilevando l'inconferenza dell'obiezione sul difetto del dolo del reato alla luce della sostanziale irrilevanza della conservazione della suddetta copia delle registrazioni contabili. Obiezione comunque manifestamente infondata - soprattutto con riguardo al reato tributario contestato posto che la citata Meda Service non era il soggetto delegato alla tenuta della contabilità, bensì solo alla gestione del software applicativo che l'ha generata e dunque la consapevolezza dell'esistenza della copia non era incompatibile con la volontà di occultare agli organi fallimentari ed al fisco la contabilità ufficiale mai rinvenuta, tanto più che per consolidata giurisprudenza l'impossibilità di ricostruire il reddito o il volume d'affari non è esclusa per il solo fatto dell'acquisibilità presso terzi della documentazione mancante (Sez. 3, n. 13212/17 del 6 dicembre 2016, Giovinazzo, Rv. 269258).
5.2 Sono invece fondate le doglianze relative alla condotta successiva al settembre 2011, qualificata dal giudice dell'appello come omessa tenuta dei libri e delle scritture contabili.
5.2.1 Tale condotta, per l'oramai consolidato insegnamento di questa Corte, integra il reato di bancarotta fraudolenta documentale a condizione che sia sostenuta dalla specifica volontà di recare pregiudizio ai creditori (Sez. 5, n. 25432 del 11 aprile 2012, De Mitri e altri, Rv. 252992). Ed è sotto quest'ultimo profilo, però, che la motivazione della sentenza risulta carente, nella misura in cui, pur riconoscendo la sostanziale inattività della fallita nel periodo considerato, non ha precisato per quali ragioni dovrebbe ritenersi che la volontà dell'imputato abbia assunto la coloritura richiesta per la sussistenza del reato, piuttosto che atteggiarsi in altro modo eventualmente rilevante ai fini della configurabilità della meno grave fattispecie di cui alla L.Fall. art. 217, comma 2. Limitatamente alla porzione del fatto descritta ed in riferimento alla contestazione di bancarotta fraudolenta documentale, dunque, la sentenza deve essere annullata con rinvio per nuovo esame.
5.2.2 Quanto alla contestazione del medesimo fatto ai sensi del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10, la sentenza deve invece essere annullata senza rinvio perchè lo stesso non è previsto dalla legge come reato. Sebbene in passato anche in relazione alla fattispecie tributaria la giurisprudenza di legittimità abbia sostenuto la tipicità della condotta di omessa tenuta delle scritture contabili (v. ad es. Sez. 3, n. 28656 del 4 giugno 2009, Pacifico, Rv. 244583; Sez. 3, n. 3057/08 del 14 novembre 2007, Lanteri, Rv. 238614), più di recente è giunta a conclusioni diametralmente opposte, escludendo che nell'ambito di tipicità della stessa rientrino condotte meramente omissive, quale è quella ritenuta in sentenza (tra le altre v. Sez. 3, n. 19106 del 2 marzo 2016, Chianese e altro, Rv. 267102; Sez. 3, n. 38224 del 7 ottobre 2010, Pmt e P.G. in proc. Di Venti, Rv. 248571). Orientamento questo che il collegio ritiene di dover condividere, in quanto in relazione a tale fattispecie non è riproducibile il percorso esegetico seguito per affermare la tipicità dell'omessa tenuta in riferimento a quella di bancarotta documentale. Infatti, non solo la legge fallimentare prende in considerazione uno spettro di condotte più ampio di quello contemplato dal citato art. 10 (comprendendo anche la falsificazione), ma espressamente punisce (all'art. 217) anche l'omessa tenuta dei libri e delle scritture obbligatorie, il che ha autorizzato la giurisprudenza a ritenere implicitamente ricompresa nell'incriminazione di cui all'art. 216, comma 1, n. 2 anche tale condotta, qualora per l'appunto finalizzata a recare pregiudizio ai creditori. Nel sistema di incriminazioni tributarie non è invece rinvenibile alcuna disposizione analoga che consenta di ricostruire nel senso indicato la volontà legislativa. Deve anzi osservarsi come, con il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10, lo stesso legislatore, nel rimodulare le fattispecie penali tributarie, abbia provveduto ad abrogare la L. n. 516 del 1982, art. 1 comma 6, - che in precedenza puniva proprio l'omessa tenuta di scritture contabili manifestando così l'intenzione di escludere dall'intervento repressivo in subiecta materia fatti solo prodromici all'evasione fiscale. Non solo quello tributario, a differenza di quello fallimentare, è reato con evento di danno - rappresentato dalla sopravvenuta impossibilità di ricostruire ai fini fiscali mediante i documenti i redditi o il volume degli affari - la cui determinazione è vincolata alla condotta commissiva, talchè non è nemmeno ipotizzabile la sua consumazione mediante una condotta meramente omissiva presupponendo l'effettiva pregressa istituzione delle scritture contabili e la altrettanto effettiva produzione di un reddito e di un volume d'affari. Conseguentemente la selezione delle condotte operata nell'art. 10 non appare suscettibile di interpretazioni estensive funzionali a ricomprendere nell'area di tipicità della norma incriminatrice la condotta ritenuta in sentenza.
6. Il sesto motivo è infondato e per molti aspetti inammissibile.
6.1 Innanzi tutto deve rilevarsi come il ricorrente non si sia confrontato compiutamente con il ragionamento sviluppato nella motivazione della sentenza, la quale ha logicamente desunto la sussistenza del dolo specifico del reato e la natura fraudolenta degli atti contestati dal fatto che questi ultimi sono stati posti in essere in sequenza subito dopo la notifica di una cartella esattoriale, ricorrendo per di più ad operazioni prive di una effettiva ragione economica (in particolare quella relativa alla costituzione del G.E.I.E.), nelle quali sono stati coinvolti parenti e dipendenti e che sono state realizzate mediante la improvvisa e strumentale costituzione di persone giuridiche ad opera dello stesso F.. In tal senso il ricorso, nel limitarsi a rivendicare la legittimità di tali operazioni rivela un approccio parcellizzato ai fatti e al relativo materiale probatorio che ne evidenzia l'intrinseca genericità.
6.2 Con riguardo al conferimento dei beni immobili nel G.E.I.E. è poi sufficiente richiamare quanto illustrato in precedenza nel p. 4 a proposito della loro distrazione ed in particolare quanto osservato in merito all'idoneità di tale operazione ad ostacolare ogni forma di esecuzione (condotta più che sufficiente ad integrare il reato contestato) ed alla sua intrinseca natura fraudolenta, comprovata proprio dalla trascrizione dell'atto costitutivo nei registri immobiliari e dalla contestuale mancata iscrizione dell'ente.
6.3 Generici sono invece i rilievi svolti in merito alla cessione della partecipazione nella Tansini, che si risolvono nella denunzia del vizio di travisamento per omessa considerazione di risultanze processuali solo evocate nel ricorso, ma non indicate con la dovuta specificità, nè riportate o allegate dal ricorrente.
6.4 Quanto infine all'affitto dei due rami d'azienda della fallita le censure del ricorrente sono infondate ed inammissibili. Anche laddove, infatti, dovesse ritenersi congruo il canone d'affitto stipulato in favore della fallita, è lo stesso ricorrente ad evidenziare come l'operazione fosse intrinsecamente fraudolenta laddove insiste sullo scopo di garantire la continuità aziendale, all'evidenza frapponendo ostacoli formali ad una tempestiva aggressione dei beni aziendali, nel loro complesso di valore superiore a quello realizzabile dall'Erario attraverso l'espropriazione del canone percepito. Ed in tal senso il ricorso non si è confrontato con le dichiarazioni del teste C., invece logicamente valorizzate dalla sentenza proprio per evidenziare la strumentalità della costituzione della FG Gomme e con quelle del L.T. (sulle quali si tornerà in seguito), correttamente ritenute idonee, insieme agli altri elementi evidenziati in sentenza, a dimostrare come la FG Gomme fosse amministrata di fatto dallo stesso F.. Con riguardo poi alle valutazioni compiute dalla Corte territoriale in merito ai tempi ed alle modalità di costituzione della suddetta società ed al significato del suo affidamento a due dipendenti della fallita, le censure del ricorrente si rivelano versate in fatto. Manifestamente infondate sono invece le obiezioni sul presunto travisamento in cui sarebbe caduta la Corte territoriale in merito all'affitto degli immobili. Infatti la sentenza ha tenuto distinto tale aspetto da quello dell'affitto dei rami aziendali al fine di evidenziare come la proprietà degli stessi in realtà fosse sempre stata riconducibile al F. attraverso la Tansini ed è sempre agli stessi (non ai rami d'azienda) che si riferisce per sottolineare la strumentalità del loro successivo conferimento nel G.E.I.E..
7. I motivi che invocano l'assorbimento dei reati fiscali previsti al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 10 e 11, nei corrispondenti illeciti di bancarotta fraudolenta documentale e bancarotta fraudolenta patrimoniale (compreso il quinto dei motivi nuovi) sono infondati.
7.1 In premessa va osservato che, in applicazione di principi di diritto ormai consolidati, nel decidere tra concorso apparente di norme o concorso formale (o materiale) di reati non operano criteri valutativi diversi da quello di specialità previsto dall'art. 15 c.p., il quale è unicamente incentrato sulla comparazione della struttura astratta delle fattispecie al fine di apprezzare l'implicita valutazione di correlazione tra norme effettuata dal legislatore (ex multis e più di recente Sez. Un., n. 20664 del 23 febbraio 2017, Stalla ed altri, Rv. 269668). Ne discende non solo l'estromissione dei criteri valoriali della sussidiarietà e della consunzione da quelli legittimamente impiegabili nella valutazione che ci occupa, in quanto intrinsecamente ambigui e fondati su considerazioni arbitrarie che finirebbero per assegnare al giudice una discrezionalità esorbitante e contraria al principio di legalità (ex multis Sez. Un., n. 47164 del 20 dicembre 2005, Marino, Rv. 232302-4), ma anche del criterio della c.d. specialità in concreto, che ammette il concorso apparente di norme laddove queste concorrano a sanzionare il medesimo fatto o gruppo di fatti storici (e ciò per l'assorbente considerazione per la quale non ha senso far dipendere da un fatto concreto l'instaurarsi di un rapporto di genere a specie tra due norme: la specialità o esiste già in astratto o non esiste neppure in concreto - cfr. in motivazione Sez. Un. n. 1963 del 21 gennaio 2011, Di Lorenzo). Non rileva quindi nè la omogeneità dei beni giuridici tutelati dalle diverse fattispecie incriminatrici (salvo quanto si dirà a proposito della clausola di riserva prevista dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10), nè il loro contingente convergere sul medesimo avvenimento concreto. E' invece decisivo che sussista tra di esse un rapporto di specialità in astratto, tale per cui, dal loro confronto strutturale, emerga che l'una contiene gli stessi elementi dell'altra ad eccezione di alcuni, presenti in una soltanto e perciò detti "specializzanti".
7.2 Venendo ora allo specifico esame delle ipotesi d'assorbimento invocate nel ricorso, senz'altro è da escludere che il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte rimanga assorbito nel delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale. Infatti alla conclusione del concorso apparente non può pervenirsi all'esito di un confronto strutturale tra le fattispecie, ma soltanto attraverso la considerazione che, stando all'id quod plerumque accidit, la sottrazione al pagamento delle imposte può essere il momento di una complessa strategia distrattiva, volta consapevolmente a danneggiare chi sui beni sottratti avrebbe titolo per soddisfarsi (cfr. Sez. 5, n, 42156 del 29 settembre 2011, Borsano, Rv. 251698). Tuttavia, il carattere "eventuale" che contrassegna tale situazione è già indicativo del fatto che un simile indirizzo (per vero rimasto isolato nella giurisprudenza di legittimità) ricorre in realtà al criterio della c.d. specialità in concreto, facendo dipendere dalla convergenza delle due norme sul medesimo fatto storico l'instaurarsi di un nesso di specialità tra esse. Dalla comparazione strutturale delle fattispecie emerge invece una chiara diversità nella soggettività dell'illecito fallimentare rispetto a quello tributario (dal primo possono infatti essere raggiunti soltanto gli imprenditori falliti, dal secondo invece tutti i contribuenti) e una altrettanto chiara diversità dell'elemento psicologico nell'uno e nell'altro reato (il dolo è infatti generico nella bancarotta fraudolenta per distrazione, specifico nella sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte). Elementi che dimostrano il porsi le due norme in rapporto di specialità reciproca tra loro: speciale è infatti tanto l'oggetto del dolo della norma tributaria rispetto a quella fallimentare, quanto lo spettro dei destinatari di quest'ultima rispetto alla prima (in senso conforme, Sez. 3, n. 3538/2016 del 20 novembre 2015, Cepparo, e Sez. 5, n. 1843 del 10 novembre 2011, Mazzieri).
7.3 Identica soluzione deve valere in relazione ai rapporti tra il delitto di bancarotta fraudolenta documentale e quello di cui al D.Lgs, n. 74 del 2000, art. 10.
7.3.1 A riguardo non è però irrilevante la valutazione dei rispettivi interessi tutelati, posto che il disposto della norma tributaria ha mantenuto la clausola di riserva che, invece, al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11 è stata soppressa dalla L. n. 122 del 2010. Ed è costante insegnamento di questa Corte di legittimità il principio secondo il quale in presenza della clausola di riserva "salvo che il fatto costituisca più grave reato", la maggiore o minore gravità dei reati concorrenti presuppone che entrambi siano posti a tutela dello stesso bene giuridico (ex multis Sez. 2, n. 25363 del 15 maggio 2015, Belleri, Rv. 265045).
7.3.2 In tal senso non è in dubbio che le due norme tutelino beni giuridici differenti. Quella penal-tributaria è posta a presidio dell'interesse statale alla trasparenza fiscale del contribuente in funzione del corretto e completo adempimento dell'obbligo tributario (Sez. 3, n. 3057 del 14 novembre 2007, Lanteri, Rv. 238613), mentre quella fallimentare, invece, protegge l'interesse dei creditori del fallito alla conoscenza documentata e giuridicamente utile delle vicende dell'impresa in funzione della concreta realizzazione degli obiettivi della liquidazione concorsuale. E' dunque evidente come la prima norma incriminatrice sia posta a presidio di interessi di carattere pubblico strettamente connessi ai valori costituzionali che informano il sistema fiscale, laddove la seconda tutela interessi eminentemente privati. Nè in senso contrario potrebbe obiettarsi che in definitiva anche l'Erario è un creditore del fallito, giacchè la tutela rafforzata di cui gode il suo credito è conseguenza proprio della peculiarità dell'interesse collettivo che viene garantito attraverso la sua realizzazione. Tale conclusione, seppure a volte impropriamente raggiunta in materia di ne bis in idem processuale, risulta pacifica in giurisprudenza (cfr. Sez. 3, n. 18927 del 24 febbraio 2017, Signò; Sez. 5, n. 32367 del 29 novembre 2016; Sez. 3, n. 3539 del 20 novembre 2015 Rv. 266133; Sez. 3, n. 38725 del 26 settembre 2012, Meli) e giustifica da sola, a prescindere dunque dalle molteplici divergenze strutturali che pur esistono tra le due fattispecie, l'inoperatività della clausola e l'impossibilità di ricorrere al criterio di sussidiarietà.
7.3.3 Divergenze che è comunque necessario segnalare per affermare in positivo il concorso di reati. Intanto un problema di eventuale sovrapposizione si pone unicamente in relazione alle condotte di sottrazione o distruzione previste dall'art. 216 comma 1 n. 2, in quanto le condotte di falsificazione e di tenuta in guisa tale da non consentire la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari non trovano corrispondenti nel D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10. Ma anche a voler limitare il confronto a tali ipotesi specifiche, emerge che: 1) diverge l'oggetto materiale degli illeciti, nell'uno limitato alle scritture contabili o documenti di cui è obbligatoria la conservazione a fini fiscali, nell'altro invece comprensivo di tutte scritture contabili richieste dalla natura e dalle dimensioni dell'impresa indipendentemente dall'obbligo di conservazione fiscale;
2) divergono i destinatari del precetto penale, posto che l'uno è indirizzato a chiunque o meglio al "contribuente", mentre l'altro unicamente all'imprenditore dichiarato fallito;
3) diverge l'oggetto del dolo specifico ("fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di consentire l'evasione a terzi" contra "procurare a sè o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori"); 4) diverge l'effetto lesivo delle condotte poste in essere (da una parte non consentire la ricostruzione del patrimonio e del "movimento" degli affari, dall'altra precludere la ricostruzione dei redditi e del "volume" d'affari).
7.3.4 Da quanto detto ne deriva che la norma fiscale è speciale rispetto a quella fallimentare in relazione all'oggetto materiale delle condotte e alla specie di lesione da esse procurata, nonchè, probabilmente, in relazione all'oggetto del dolo specifico. Mentre è generale con riguardo ai soggetti destinatari dell'incriminazione, potendosi la stessa applicare anche all'imprenditore non fallito e, persino, al contribuente non imprenditore. Ad ogni modo, quel che è chiaro è che le due possono concorrere, trovandosi in rapporto di specialità reciproca.
8. L'ottavo motivo è infondato al limite dell'inammissibilità. E' infatti indubitabile che quello di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, sia un reato proprio del rappresentante legale della persona giuridica contribuente, ma non di meno è configurabile il concorso nel reato di colui che - pur essendo estraneo e non rivestendo cariche nella società a cui si riferisce la dichiarazione fraudolenta - abbia, in qualsivoglia modo, partecipato a creare il meccanismo fraudolento che ha consentito all'amministratore della società, sottoscrittore della dichiarazione fraudolenta, di avvalersi della documentazione fiscale fittizia. Ed in tal senso questa Corte ha avuto modo di precisare come tale responsabilità concorsuale ricorra, ad esempio, proprio nell'ipotesi in cui il concorrente extraneus abbia dato un decisivo e volontario contributo alla realizzazione dell'illecito, commissionando egli ad una terza persona i documenti da utilizzare nelle dichiarazioni fiscali, indicandone i destinatari e gli importi (Sez. 3, n. 14815/17 del 30 novembre 2016 - dep. 27/03/2017, Palmiero, Rv. 269650). Correttamente la sentenza ha dunque affermato il concorso del F. nella frode fiscale commessa nell'interesse di FG Gomme attraverso la dichiarazione sottoscritta dal suo amministratore sulla base delle dichiarazioni rilasciate dal L.T. - e non contestate dal ricorrente - in merito al fatto che fu proprio l'imputato a commissionargli le fatture false necessarie alla consumazione del reato. Dichiarazioni che peraltro la Corte territoriale ha in maniera logica valorizzato - come già ricordato - congiuntamente ad altri elementi (i tempi di costituzione della società, il travaso nella stessa delle attività operative della fallita, l'affidamento dell'amministrazione formale ad un dipendente di quest'ultima) per riconoscere al F. il ruolo di amministratore di fatto della FG Gomme.
9. Anche il ricorso proposto nell'interesse della G.C. è fondato nei limiti di seguito esposti.
9.1 Come già accennato la ricorrente è l'intestataria del bene immobile di cui è stata disposta la confisca per equivalente ai sensi della L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 143, del profitto dei reati tributari contestati al marito, ai quali la stessa è totalmente estranea essendo stata infine assolta (proprio in appello) anche da quello di cui al capo 4) per il quale invece era stata condannata in primo grado. E' dunque fuor di dubbio che la G.C. sia ai sensi ed agli effetti dell'art. 240 c.p., comma 3, persona estranea ai reati in riferimento ai quali è stata applicata la misura ablatoria.
9.2 Versandosi in ipotesi di confisca di valore è peraltro irrilevante l'obiezione coltivata con il ricorso per cui il bene sarebbe stato acquistato in epoca antecedente alla consumazione dei reati in relazione ai quali la confisca è stata disposta. La possibilità di espropriare beni estranei al reato e acquisiti in qualunque momento dal reo anche lecitatamente costituisce, infatti, il contenuto "proprio" della confisca per equivalente, la quale, proprio per tale ragione, assume, per consolidato insegnamento di questa Corte, natura sanzionatoria. Ai fini dell'applicazione dell'istituto è dunque irrilevante l'accertamento di qualsivoglia nesso di pertinenzialità tra il bene confiscato e il reato che ha generato il profitto illecito ed, anzi, un vincolo di tal genere deve potersi escludere, che altrimenti il bene dovrebbe essere confiscato in via diretta quale profitto dello stesso reato ovvero come suo surrogato.
9.3 La esclusiva titolarità del diritto di proprietà del bene da parte del terzo estraneo al reato non è poi, contrariamente a quanto dimostra di credere la ricorrente, circostanza di per sè ostativa alla sua espropriazione, atteso che l'art. 322 - ter c.p. (cui la norma in precedenza citata rinvia) prevede che, nel caso di impossibilità di procedere alla confisca diretta del profitto del reato, sia consentita l'ablazione di beni corrispondenti al suo valore di cui l'autore dell'illecito abbia la "disponibilità". Termine quest'ultimo che, per consolidata giurisprudenza, evoca una relazione tra il reo e il bene che prescinde dalla sua intestazione o dai diritti formalmente esercitabili sul medesimo. In tal senso si è quindi chiarito che quella di disponibilità è una relazione effettuale con il bene, connotata dall'esercizio dei poteri di fatto corrispondenti al diritto di proprietà, talchè lo stesso, se anche sia formalmente intestato a terzi estranei al reato, deve ritenersi nella disponibilità del reo quando, sulla base di elementi specifici e dunque non meramente congetturali, rientri nella sfera dei suoi interessi economici, ancorchè il potere dispositivo su di esso venga esercitato per il tramite dei suddetti terzi (Sez. 2, n. 22153 del 22 febbraio 2013, Ucci e altri, Rv. 255950; Sez. 3, n. 15210 del 8 marzo 2012, Costagliola ed altri, Rv. 252378; Sez. 5, n. 40286 del 27 giugno 2014, Cucci, Rv. 260305). Non è poi in dubbio che la suddetta relazione possa avere ad oggetto esclusivamente una quota del bene e non lo stesso nella sua interezza.
9.4 Quanto alla prova dell'effettiva disponibilità in capo al reo di beni formalmente intestati a terzo estraneo al reato, si è invece precisato che, anche quando questi sia un prossimo congiunto del primo, non sussiste alcuna presunzione di intestazione fittizia, incombendo sul giudice l'onere di dimostrare situazioni da cui desumere concretamente l'esistenza di una discrasia tra intestazione formale e disponibilità effettiva del cespite (Sez. 3, n. 14605 del 24 marzo 2015, Zaza e altro, Rv. 263118).
9.5 In applicazione dei richiamati principi la Corte territoriale ha ritenuto raggiunta la prova della disponibilità in capo al F. quantomeno del 50% dell'immobile intestato alla ricorrente sulla base del fatto che parte della provvista necessaria al suo acquisto sarebbe stata fornita dallo stesso imputato, nonchè della circostanza per cui egli avrebbe il pieno godimento del bene medesimo.
9.6 La motivazione di tali conclusioni è contraddittoria per la ricorrente innanzi tutto nella misura in cui la sentenza avrebbe comunque escluso che si versi in ipotesi di intestazione fittizia. Ritenere, infatti, che il F. è contitolare sostanziale del bene, comporta inevitabilmente che, per la porzione imputatagli, la moglie ne è solo fittiziamente l'intestataria. Tale contraddizione è in realtà solo apparente, giacchè la sentenza si è limitata ad escludere che la G.C. si sia fittiziamente interposta al F. nella titolarità integrale del bene, riconoscendo l'effettività dell'intestazione della quota corrispondente alla metà del medesimo.
9.7 Colgono invece nel segno le critiche mosse dal ricorso in merito al valore sintomatico delle circostanze evidenziate nella sentenza impugnata per sostenere le illustrate conclusioni.
9.7.1 L'orientamento di questa Corte è nel senso per cui la prova che l'acquisto sia stato compiuto con provvista fornita in tutto o in parte dall'indagato, costituisce presunzione iuris tantum della natura fittizia dell'intestazione alla quale il formale intestatario può opporsi adducendo elementi indicativi della riconducibilità del cespite alla sua disponibilità e alla sua sfera di interesse economico (Sez. 3, n. 11497 del 11 febbraio 2015, Trotta e altro, Rv. 262695). Principio questo che va condiviso, ma che necessita di alcune precisazioni. Indubbiamente l'acquisto del bene intestato a soggetto privo di risorse sufficienti ad effettuarlo finanziato mediante provvista integralmente fornita dal reo costituisce una qualificata base per presumere la sua disponibilità da parte di quest'ultimo, spettando al terzo vincere tale presunzione. Qualora però alcuni dei parametri considerati risultino meno univoci, è onere del giudice individuare le specifiche ragioni che consentano di conservare la validità della presunzione, eventualmente in forza della convergenza di ulteriori elementi sintomatici della disponibilità del bene in capo allo stesso finanziatore.
9.7.2 Nel caso di specie la sentenza ammette - tanto appunto da escludere l'integrale intestazione fittizia - che la provvista necessaria all'acquisto del bene sia stata fornita almeno in parte dalla G.C. e che dunque lo stesso, solo in maniera altrettanto parziale, sia stato finanziato dal F., assumendo in definitiva che si sia trattato di un acquisto congiunto - seppure mascherato dietro l'intestazione esclusiva dell'immobile ad uno solo dei coniugi - imputabile per il 50% ad ognuno di essi. Sempre la sentenza riconosce inoltre che la ricorrente ha provveduto a rimborsare una parte delle rate del mutuo acceso con il marito per finanziare l'operazione ed a sostenere parte dei costi di ristrutturazione dell'immobile. In tal senso la Corte territoriale ha ritenuto provato l'acquisto congiunto proprio in ragione del fatto che il mutuo venne contratto da entrambi i coniugi e che sul conto a loro cointestato sul quale venivano addebitate le relative rate il F. versò nel tempo una cifra di gran lunga superiore a quella sborsata dalla moglie.
9.7.3 Con il gravame di merito la ricorrente aveva in realtà eccepito di aver versato all'atto del preliminare la maggior parte del prezzo dell'immobile, anticipando risorse proprie senza attingere al mutuo non ancora erogato, nonchè di aver provveduto, sempre con risorse proprie e per circa due anni, al rimborso delle rate di quest'ultimo ed al sostenimento di parte delle spese di ristrutturazione. Circostanze che, come detto, i giudici dell'appello non hanno contestato, ma nemmeno valutato nel loro potenziale significato.
9.7.4 Non è dubbio che l'operazione di acquisto dell'immobile deve certamente essere valutata nella sua interezza e non può essere frammentata - come sostanzialmente pretendono, seppure a fini diversi, tanto la ricorrente quanto la Corte territoriale - nei singoli segmenti di cui si compone e che invece sono all'evidenza interdipendenti. In tal senso non è decisivo nè che la G.C. abbia anticipato di tasca propria gran parte del prezzo pagato per l'acquisto dell'immobile (il cui valore dichiarato non è contestato dalla sentenza), nè che il F. abbia versato sul conto cointestato ingenti risorse (la cui entità è invece contestata, seppure in maniera assertiva, dalla ricorrente). Infatti ciò che rileva è la destinazione delle risorse - superiori al prezzo di acquisto del bene - acquisite dai coniugi mediante il mutuo bancario. Se infatti queste fossero state utilizzate in tutto o in larga parte per ricostituire il capitale anticipato dalla G.C. e dovesse concludersi che la stessa abbia contribuito alla restituzione del prestito solo in parte effettivamente limitata, allora la presunzione di acquisto congiunto dovrebbe ritenersi fondata. Si tratta però di aspetti non approfonditi dalla sentenza impugnata, che dunque deve ritenersi abbia risposto alle confutazioni difensive in maniera solo apparente, risultando altresì apodittica nell'attribuire alla provvista versata dal F. sul conto cointestato il compito di remunerare la maggior parte del costo d'acquisto dell'immobile (peraltro ampiamente inferiore). Quanto alle spese di ristrutturazione (la cui entità non è peraltro precisata in sentenza) parimenti i giudici dell'appello non hanno spiegato in che termini sono state ritenute parte dell'operazione e, soprattutto, se per la parte non pagata dalla G.C. le stesse sono state saldate mediante la provvista fornita dall'imputato.
9.7.5 Infine la ricorrente ha eccepito il travisamento dei rilievi relativi all'imputazione di quest'ultima all'intenzione del F. di effettuare una donazione in favore della moglie. Dalla sentenza non emerge che la Corte territoriale abbia effettivamente travisato l'obiezione, giacchè rilevando l'omessa documentazione della suddetta donazione non ha certo voluto identificare l'oggetto del presunto atto di liberalità con l'immobile stesso, pacificamente venduto alla G.C. che dunque lo ha ricevuto direttamente dal precedente proprietario. E non è dubbio che spettasse alla ricorrente fornire la prova che il contributo finanziario del F. fosse una donazione, a meno che questo non debba essere ridimensionato a tal punto da poter essere credibilmente ricondotto all'alveo delle liberalità consuetudinarie tra coniugi.
9.8 Alle evidenziate lacune della motivazione della sentenza non è poi possibile supplire attraverso l'altro elemento valorizzato dalla sentenza. In tal senso deve infatti escludersi che possa avere rilevanza decisiva per sanare eventuali difetti di univoca significatività dell'esborso attribuito al F., il fatto che questi coabitasse con la moglie in costanza di matrimonio, posto che i giudici dell'appello hanno solo evocato la circostanza per cui presso l'immobile confiscato egli avesse esclusivamente il domicilio, senza spiegare le ragioni della ritenuta significatività della stessa. Va in ogni caso precisato che lo ius utendi del bene può essere in astratto ritenuto sintomatico anche dello ius abutendi, purchè vengano evidenziati i precisi elementi fattuali che giustifichino tale conclusione, tanto più qualora, come nel caso di specie, il suo godimento rientra nell'ordinarietà del rapporto coniugale.
9.9 In definitiva, anche in relazione al capo relativo alla confisca, la sentenza deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Bologna per nuovo esame, rimanendo il giudice del rinvio libero di confermare la decisione annullata purchè attraverso percorsi argomentativi in grado di sanare le lacune rilevate e nel rispetto dei principi fissati da questa Corte.
10. In conclusione la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte d'appello di Bologna, per quanto riguarda la posizione del F., limitatamente al capo 5) in riferimento alla distrazione conseguente al pagamento delle fatture emesse da GECO s.r.l. ed al reato di bancarotta documentale riguardante l'omessa tenuta della contabilità della fallita nel periodo successivo al settembre 2011; per quanto riguarda la posizione della G.C. con riguardo alla confisca del 50% dell'immobile a lei intestato. Sempre con riguardo alla posizione del F., la sentenza deve essere annullata invece senza rinvio con riguardo al reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10, limitatamente ai fatti successivi al settembre 2011, poichè gli stessi non sono previsti dalla legge come reato. Conseguentemente sarà compito del giudice del rinvio rideterminare la pena inflitta all'imputato in conseguenza di tale ultima statuizione. Nel resto il ricorso del F. deve essere rigettato e di conseguenza deve ritenersi definitiva l'affermazione della sua responsabilità in merito ai reati per i quali la decisione impugnata non è stata annullata con o senza rinvio e dunque anche per quelli di bancarotta fraudolenta documentale e di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10, in relazione ai fatti consumati fino al settembre 2011 ed a quello di bancarotta fraudolenta patrimoniale ad eccezione del fatto relativo alla menzionata distrazione delle somme versate a GECO s.r.l..
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di F.M. limitatamente al capo 5), relativamente alla distrazione conseguente al pagamento delle fatture emesse dalla società GECO, con rinvio per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte d'appello di Bologna.
Annulla la medesima sentenza nei confronti dello stesso imputato relativamente al capo 5) e con riferimento alla bancarotta fraudolenta documentale e limitatamente ai fatti successivi al settembre 2011, con rinvio per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte d'appello di Bologna.
Annulla la medesima sentenza relativamente al F., con riguardo al reato di cui al capo 6) limitatamente ai fatti successivi al settembre 2011, senza rinvio perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato.
Rigetta nel resto il ricorso di F.M..
Annulla la sentenza impugnata, relativamente alla confisca dell'immobile intestato a G.C.P., con rinvio per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte d'appello di Bologna.
Così deciso in Roma, il 20 giugno 2017.
Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2017