Bancarotta fraudolenta preferenziale: sul compenso dell'amministratore di una società
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Cassazione penale sez. V, 11/05/2023, n.36416

In tema di bancarotta fraudolenta, spetta al giudice di merito verificare se, in assenza di una delibera assembleare o di una quantificazione statutaria del compenso per l'attività svolta, cui ha diritto il soggetto che abbia ritualmente accettato la carica di amministratore di una società di capitali, il prelevamento da parte di quest'ultimo di denaro dalle casse della società in dissesto configuri il delitto di bancarotta preferenziale o, diversamente, quello di bancarotta fraudolenta per distrazione, a seconda che il diritto al compenso sia correlato o meno a una prestazione effettiva e il prelievo sia o meno congruo rispetto all'impegno profuso.

La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Firenze, con la sentenza emessa il 14 giugno 2022, ha confermato quella del Tribunale di Siena, che aveva accertato la responsabilità penale di C.L., condannandolo alle pene di giustizia, in relazione al delitto di bancarotta fraudolenta impropria patrimoniale per aver effettuato prelevamenti per Euro 22.703,85 dalle casse sociali della (Omissis) S.r.l., della quale era amministratore unico dalla costituzione - intervenuta il 19 febbraio 2009 - fino al (Omissis), data del fallimento.

2. Il ricorso per cassazione, proposto nell'interesse di C.L., consta di due motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p..

3. Il primo motivo deduce violazione degli artt. 216, comma 1, n. 1 L. Fall. e 59 c.p..

La Corte di appello avrebbe errato nel non riconoscere che C.L. ebbe a effettuare i prelevamenti di quanto gli spettava, incorrendo nell'errore di aver agito in assenza di delibere assembleari o di previsione statutarie che lo autorizzassero a tanto, trattandosi di amministratore unico e titolare della quasi totalità delle quote sociali.

4. Il secondo motivo lamenta violazione dell'art. 216, comma 1, n. 1 L. Fall. rilevando come la Corte di appello non abbia applicato l'orientamento giurisprudenziale che richiede che i prelievi effettuati siano stati idonei a integrare il pericolo concreto per il patrimonio posto a garanzia dei creditori.

5. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale, ha depositato requisitoria e conclusioni scritte - ai sensi dell'art. 23 comma 8, D.L. 127 del 2020 - con le quali ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

6. Il ricorso è stato trattato senza intervento delle parti, ai sensi dell'art. 23, comma 8, D.L. n. 137 del 2020, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto dell'art. 7, comma 1, D.L. n. 105 del 2021, la cui vigenza è stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dall'art. 94 del decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 150, come modificato dall'art. 5-duodecies D.L. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato nei termini che seguono.

2. I due motivi, strettamente connessi, perché correlati al tema dell'assenza della delibera assembleare o della previsione statutaria in merito al compenso, vanno trattati congiuntamente.

2.1 La Corte di appello ha evidenziato come l'imputai:o avesse piena consapevolezza della illiceità della condotta posta in essere prelevando le somme dalle casse della società, senza che alcuna delibera rendesse liquidi e esigibili i crediti, in un momento nel quale la società medesima non era economicamente autosufficiente.

E' certamente noto a questa Corte che, come osserva la Procura generale, il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, come ritenuto dalle sentenze di merito in doppia conforme, sia integrato dalla condotta dell'amministratore che prelevi dalle casse sociali somme a lui spettanti come retribuzione, se tali compensi sono solo genericamente indicati nello statuto e non vi sia stata determinazione di essi con delibera assembleare, perché, in tal caso, il credito è da considerarsi illiquido, in quanto, sebbene certo nell'"an", non è determinato anche nel "quantum" (Sez. 5, n. 30105 del 05/06/2018, Pellegrini, Rv. 273767 01, mass. conf. N. 11405 del 2015 Rv. 263056 - 01, N. 50836 del 2016 Rv. 268433 - 01).

2.2 II primo motivo di ricorso evoca l'errore in cui sarebbe incorso l'imputato, ai sensi dell'art. 59, comma 4, c.p., nell'aver prelevato i compensi a lui spettanti in assenza di determinazioni societarie autorizzative - nell'atto costitutivo o a mezzo di delibere assembleari - in quanto essendo l'unico amministratore, oltre che titolare del 99% delle quote societare, risultando per altro l'1% attribuito alla compagna del ricorrente, si era ritenuto legittimato di fatto a operare i prelievi.

Il ricorrente prospetta di aver ritenuto di agire, effettuando i prelievi, ai sensi dell'art. 51 c.p. nell'esercizio di un diritto, cadendo in un errore tale da doversi escludere il dolo ai sensi dell'art. 59, comma 4, c.p..

2.3 A ben vedere la previsione di cui all'art. 2389 c.c. stabilisce che la misura del compenso degli amministratori di società di capitali, qualora non sia stabilita nello statuto, debba essere determinata con delibera assembleare.

Pertanto, ciò in cui incorre l'imputato non è un errore di fatto, bensì un errore di diritto, che non rileva ai fini del dolo, in quanto "allorché l'autore del fatto illecito abbia erroneamente inteso la normativa applicabile in ordine ad una situazione di fatto rispondente alla realtà, si tratta di un mero errore di diritto, che non vale ad escludere la punibilità perché concettualmente non può sotto alcun profilo essere configurato come errore di fatto. Esso si risolve in un errore sulla liceità del comportamento, dovuto ad una inesatta conoscenza degli obblighi giuridici derivanti dall'ordinamento" (Sez. 1, n. 276 del 11/10/1972, dep. 22/01/1973, Alberganti, Rv. 122949 - 01).

D'altra parte, C., quale operatore in ambito societario obbligato ad acquisire informazioni circa la specifica normativa applicabile, qualora deduca la propria buona fede, lamentando come nel caso la natura "formalistica" dell'imputazione, anche in relazione all'art. 5 c.p., non può limitarsi ad affermare di ignorare le previsioni di detta normativa, ma deve dimostrare di aver compiuto tutto quanto poteva per osservare la disposizione violata (in tema di disciplina dei rifiuti, Sez. 3, n. 18928 del 15/03/2017, Valenti, Rv. 269911 - 01).

Pertanto, quanto a tale profilo il motivo è infondato.

2.4 Non di meno, però, sempre il primo motivo rappresenta comunque che l'imputato, amministratore unico della società a responsabilità limitata titolare del 99% delle quote, residuando come evidenziato solo la titolarità dell'1% in capo alla compagna del predetto, avrebbe ben potuto deliberare senza alcuna difficoltà il proprio compenso. Il secondo motivo, inoltre, contesta la qualificazione di bancarotta fraudolenta patrimoniale, rilevando al fol. 7 come l'attività di prelievo personale per 22.703,35 Euro fosse corrispondente ad un compenso di 1420,00 Euro al mese, necessitato dal "bisogno" del C..

2.5 Deve evidenziare questa Corte come C. sia stato mandato assolto dal Tribunale in ordine alle originarie contestazioni clistrattive relative ai prelevamenti, tutti risultati giustificati, costituenti rimborso forfettario per le trasferte operate dall'amministratore per finalità aziendali.

Oltre a tale circostanza, va anche evidenziato come la sentenza del Tribunale di Siena ((Omissis)) confermava, citando anche la deposizione del curatore, che C. aveva prelevato l'importo di circa 1400,00 Euro al mese - ora contestato e ritenuto oggetto del delitto di bancarotta fraudolenta - "per il proprio sostentamento personale", che "ha utilizzato per vivere", "perché lui per un anno e mezzo ha lavorato, ha dovuto mangiare, ha dovuto, insomma, vivere" avendo "prestato anche la propria attività lavorativa a tempo pieno per la (Omissis) S.r.l.".

2.6 A fronte di tale presupposto, il ricorso che con i due motivi torna sul "formalismo" della decisione di condanna e sul sostanziale diritto al compenso da parte dell'imputato, è fondato nei termini che seguono.

Questa Corte rileva come l'orientamento al quale si sono rifatti i Collegi di merito risulti certamente solido: ma tale orientamento va calato nella concretezza della vita societaria e non può non confrontarsi con altro orientamento, che questa Corte ritiene di richiamare e condividere nel caso in esame, che sollecita una verifica su quale sia la causale del prelievo.

Difatti, il dato formale della assenza di una delibera assembleare o di una previsione statutaria, che fissi il compenso per l'amministratore della società di capitali, deve pur sempre confrontarsi con la circostanza che il prelievo possa essere comunque dovuto nell'"an" e essere congruo, se non addirittura necessitato da esigenze di sopravvivenza, nel quale caso la condotta risulta non più distrattiva, in quanto determinante il pericolo di una riduzione della garanzia patrimoniale per i creditori ma, a fronte della legittima sussistenza del credito, per così dire di necessità, deve ritenersi lesiva del principio della par condicio creditorum, integrando così la fattispecie della bancarotta preferenziale.

2.5 A tal riguardo va qui richiamato e condiviso l'orientamento sostenuto -oltre che da autorevole dottrina, che richiama il dato della effettività del credito e della congruità delle somme percepite, perché sia integrai:a la bancarotta preferenziale - anche da Sez. 5, n. 21570 del 16/04/2010, Di Carlo, Rv. 247964 - 01, che ha ritenuto che l'amministratore risponda di bancarotta preferenziale e non di bancarotta fraudolenta per distrazione allorché, pur senza autorizzazione degli organi sociali, si ripaghi dei suoi crediti verso la società in dissesto relativi a compensi per il lavoro prestato, prelevando dalla cassa sociale una somma congrua rispetto a tale lavoro.

Ha osservato Sez. 5, Di Carlo, come il diritto dell'amministratore ad un equo compenso non possa venire meno per l'assenza di una delibera assembleare che ne determini preventivamente l'ammontare, perché il credito matura quando sia stata offerta la prestazione professionale, trattandosi di amministratore ritualmente nominato alla carica ricoperta. La mancanza di approvazione dell'ammontare del compenso da parte dell'assemblea può, in verità, costituire un indice, unitamente ad altri elementi, della non regolarità dell'operazione (nello stesso senso, Sez. 5, n. 32378 del 12/04/2018" Fagiolo, Rv. 27:3576 - 01, che fa riferimento alla congruità del compenso). Anche Sez. 5, n. 48017 del 10/07/2015, Fenili, Rv. 266311 - 01 conferma come punto davvero centrale, per valutare se ricorra o meno il delitto di bancarotta fraudolenta, sia lo stabilire se la somma prelevata dalle casse sociali dall'amministratore sia o meno congrua rispetto al lavoro prestato, congruità che, evidentemente cileve essere valutata e stabilita dal giudice e non dagli organi societari: "Se, infatti, la somma prelevata corrisponda a quanto normalmente percepito dall'amministratore a titolo di compenso negli anni precedenti quando la società non trovatasi in stato di insolvenza o a quanto percepito dagli amministratori di società analoghe, non si può parlare di vantaggio indebito, avendo diritto chi abbia offerto una prestazione lavorativa al relativo compenso. La legittimità della apprensione del compenso deriva, peraltro, direttamente anche dall'art. 36 Cost., essendo, quindi, determinante non tanto la regolarità formale della operazione, quanto la corrispondenza tra la somma appresa e l'attività effettivamente svolta per la società. Ne' vale osservare che il credito può trovare soddisfazione soltanto quando sia certo, liquido ed esigibile, sia perché tali connotati sono necessari per opporre il credito in compensazione, ma non per vantare il diritto al compenso, sia perché il concetto di bancarotta fraudolenta è integrato dalla sottrazione del bene agli interessi dei creditori, finalità da escludersi nella ipotesi dell'amministratore che percepisca il compenso dovutogli. Insomma si tratta di una questione economico-patrimoniale alla quale risultano estranee le regole del diritto civile per la liquidazione di un credito. Bisogna, inoltre, osservare che il credito da lavoro è sempre esigibile ed il titolare di tale credito ha sempre la possibilità di insinuarsi nella massa passiva fallimentare. Il fatto che manchi una formale delibera degli organi sociali non pregiudica il diritto del lavoratore a percepire il suo compenso e, quindi, siffatta regolarità formale non può costituire un criterio per negare il diritto al prelievo e ravvisare il grave delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione" (cfr., in questo senso, Cass., sez. V, 2.10.2013, n. 5186, rv. 260196; Cass., sez. V, 16.4.2010, n. 21570, rv. 247964)" (così anche Sez. 5, Di Carlo).

2.6 E bene, condivide questa Corte il principio per cui il diritto al compenso consegua alla rituale accettazione della carica di amministratore: tale dato è pacifico anche nella giurisprudenza di questa Corte in sede civile che, seppur non ritiene riconducibile all'art. 36 Cost. il diritto dell'amministratore, non ne nega l'esistenza come conseguenza della mera accettazione della carica.

Difatti, per un verso si è affermato - come ricorda da ultimo Sez. 1 civ., Ordinanza n. 3657 del 13/02/2020, Rv. 657070 - 01 - da parte delle Sezioni Unite che l'amministratore unico o il consigliere di amministrazione di una società per azioni è legato alla stessa da un rapporto di tipo societario che, in considerazione dell'immedesimazione organica tra persona fisica ed ente e dell'assenza del requisito della coordinazione, non è compreso in quelli previsti dal n. 3 dell'art. 409 c.p.c. (Cass. Sez. U. 20 gennaio 2017, n. 1545; nello stesso senso Sez. L, n. 329 del 12/01/2002, Rv. 551519 - 01, che ritiene la qualità di amministratore di una società di capitali compatibile con la qualifica di lavoratore subordinato della medesima solo ove sia accertata l'attribuzione di mansioni diverse dalle funzioni proprie della carica sociale rivestita; cfr. Sez. 1, n. 19714 del 13/11/2012, Rv. 624428 - 01, per la quale il rapporto tra l'amministratore di una società di capitali e la società medesimà va ricondotto nell'ambito di un rapporto professionale autonomo e, quindi, ad esso non si applica l'art. 36, comma 1, Cost., che riguarda il diritto alla retribuzione in senso tecnico, e non il diverso diritto al compenso professionale dell'amministratore).

Non di meno, però, è altrettanto pacifico che sussista il diritto al compenso, rinunciabile perché disponibile, a differenza di quello correlato al rapporto di lavoro subordinato (art. 2113, comma 1, c.c.), il che è espresso anche dall'insegnamento consolidato per cui nelle società di capitali deve considerarsi legittima la clausola statutaria che preveda la gratuità dell'incarico (Cass. Civ., 9 gennaio 2019, n. 285; Cass. Civ. 1 aprile 2009, n. 7961 e Cass." Civ. 26 febbraio 2002, n. 2861, in tema di società cooperative a responsabilità limitata).

Quindi, il presupposto di tale rinunciabilità è la sussistenza del diritto al compenso, conseguente all'accettazione della carica di amministratore di società (cfr. in tema di società di capitali, Sez. 6 - 1 Civ., Ordinanza n. 24139 del 03/10/2018, Rv. 650610 - 01; Sez. L., n. 15382 del 21/06/2017, Rv. 644785 01; Sez. 1, n. 243 del 26/01/1976, Rv. 378897 - 01; quanto alla società di persone, nello stesso senso, Sez. L, n. 3236 del 28/05/1985, Rv. 440908 - 01; Sez. L, n. 5747 del 13/11/1984, Rv. 437418 - 01).

2.6 Questa Corte, quindi - prendendo atto della sussistenza del diritto al compenso per l'attività prestata, come conseguenza dell'accettazione della carica di amministratore, seppur non qualificabile come diritto alla retribuzione del lavoratore subordinato - rileva come sia condivisibile l'orientamento che esclude si verta in tema di bancarotta fraudolenta nel caso di auto-attribuzione del compenso, anche in assenza di delibera o previsione statutaria.

Ovviamente, l'assenza della delibera e della disposizione statutaria in relazione alla quantificazione del compenso, onera il giudice di merito di verificare la congruità del compenso prelevato dall'amministratore per se stesso, sia rispetto alla prestazione assicurata, sia in ordine alla funzionalizzazione della stessa all'interesse della società.

In tale prospettiva, se per un verso l'assenza di delibera e di previsione statutaria può costituire un indice di fraudolenza, in sé insufficiente però a dimostrare la distrazione con frode, la congruità (o meno) del prelievo a titolo di compenso costituisce un indice di non fraudolenza (o meno), riconducendo la condotta ora alla dinamica preferenziale, ora a quella distrattiva, nei termini in precedenza indicati.

2.7. Pertanto deve affermarsi il principio per cui, a seguito dell'accettazione rituale della carica di amministratore di una società di capitali, quest'ultimo ha diritto al compenso per l'attività svolta e spetta al giudice del merito verificare se, anche in assenza di delibera assembleare o di previsione statutaria in merito alla quantificazione dello stesso, ricorra il delitto di bancarotta preferenziale piuttosto che quello di bancarotta fraudolenta per distrazione, a seconda che il diritto al compenso sia correlato ad una prestazione effettiva o meno e che il prelievo dalle casse sociali sia o meno congruo rispetto all'impegno profuso.

2.8. La sentenza impugnata va quindi annullata e il giudice del rinvio dovrà, attenendosi al principio indicato, procedere a verificare se sussista una ragione di contestazione in ordine al diritto dell'amministratore a vedersi corrispondere il compenso e se quanto prelevato a titolo di compenso risulti effettivamente congruo rispetto all'attività svolta nell'interesse della società. In caso di verifica positiva sui due profili indicati, dovrà riqualificarsi la condotta in quella di bancarotta preferenziale.

Ogni ulteriore censura in ordine al dolo del delitto di bancarotta fraudolenta è da intendersi assorbita, quindi da valutarsi, se del caso, alla luce della sussistenza (o meno) di indici di fraudolenza e dell'esclusione della natura fraudolenta dei prelievi effettuati per le trasferte.

P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Firenze.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2023.

Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2023

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