RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Palermo, per quanto qui interessa, ha confermato la condanna di Sc.An. in ordine a reati fallimentari commessi in relazione vuoi al fallimento della Legno Market F.lli Sc. Srl (che aveva subito un incendio di vaste proporzioni tra il 7 e l'8 agosto 2001), vuoi al fallimento della Nuove Iniziative Srl.
Quanto al fallimento della Legno Market, dichiarato il 19 maggio 2010: - bancarotta impropria da reato societario (artt. 223, comma secondo, n. 1, legge fall, in relazione all'art. 2621 cod. civ.), ascritta all'imputato nella veste di amministratore di diritto dal 20 ottobre 1994 al 18 febbraio 2005 e consistita nella falsificazione dei bilanci in maniera da ritardare l'emersione della insolvibilità per consentire la prosecuzione dell'attività, così da esporre la società a ulteriori perdite, causandone il dissesto (capo 1). In particolare è stata ritenuta la responsabilità dell'imputato per avere: falsificato il bilancio relativo all'esercizio 2001 attraverso la rivalutazione parziale dei cespiti immobiliari per 5 miliardi di lire (in violazione dell'art. 2426, comma primo, cod. civ.); la mancata svalutazione della merce, a seguito dell'incendio, per euro 539.000,00, inserita solo nel bilancio del 2003 (capo la); falsificato il bilancio relativo all'esercizio 2005, attraverso l'iscrizione tra i proventi del conto economico, invece che come riserva di capitale, della rinuncia dei soci ai crediti per anticipazioni, pari ad euro 1.867.525,00 (capo le); falsificato i bilanci antecedenti all'esercizio 2007 attraverso l'omessa iscrizione di crediti in sofferenza per euro 67.178,00 (capo ld);
- bancarotta preferenziale (artt. 223, comma primo, in relazione all'art. 216, comma terzo, legge fall.), per avere favorito taluni creditori e in particolare i soci, provvedendo, nel corso dell'anno 2003, al rimborso, in loro favore, dei finanziamenti infruttiferi (capo 2);
- bancarotta impropria da reato societario, ascritta all'imputato come extraneus, per aver concorso con gli amministratori della fallita nella violazione dell'art. 2626 cod. civ., liberando il socio Pronto casa Srl (amministrata dall'imputato) dall'obbligo di conferimento della somma complessiva di 200mila euro dovuta in ragione dell'aumento di capitale deliberato in data 28 aprile 2004 (capo 4).
Quanto al fallimento della Nuove Iniziative, dichiarato il 27 febbraio 2009:
- bancarotta fraudolenta documentale (artt. 223, comma primo, in relazione all'art. 216, comma primo, n. 2, legge fall.), commessa nella veste di amministratore di fatto della fallita (capo 7);
- bancarotta preferenziale (artt. 223, comma primo, in relazione all'art. 216, comma terzo, legge fall.), per avere favorito taluni creditori, e in particolare numerosi fornitori, mediante il rilascio ingiustificato di note di credito per reso merci (capo 10).
Con la medesima sentenza la Corte di appello ha assolto l'imputato dal reato di cui al capo la) limitatamente alla condotta di iscrizione credito per indennizzo assicurativo; nonché dai reati di cui ai capi 5), 8) e 9), procedendo alla conseguente rideterminazione della pena.
2. Avverso l'indicata pronuncia ricorre l'imputato, tramite il difensore, articolando otto motivi.
2.1. Con il primo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo 1) con riguardo, segnatamente, alle condotte sub la).
Sostiene il ricorrente che:
- circa l'operazione di rivalutazione degli immobili, la Corte di appello: avrebbe travisato quanto risultante dalla sentenza civile n. 5264 del 20:15 che non avrebbe affatto dichiarato illegittima l'operazione, ma anzi avrebbe ritenuto attendibile il valore di 4.898.593,69 attribuito agli immobili sia in perizia sia nella relazione dei commissari giudiziali; non avrebbe fornito risposta al rilievo dei consulenti di parte, secondo cui la rivalutazione in deroga all'art. 2426 cod. civ. sarebbe stata lecita; non avrebbe motivato in ordine alla idoneità della rivalutazione a indurre in errore i terzi;
- circa la mancata iscrizione della svalutazione della merce: la società avrebbe tentato di immettere sul mercato la merce danneggiata dall'incendio e soltanto nel 2003 ne sarebbe emersa la non vendibilità con conseguente azzeramento del valore.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta analoghi vizi in relazione ai fatti di cui ai capi le) e ld).
Verrebbero in rilievo condotte non ascrivibili all'imputato perché poste in essere dopo il 18 febbraio 2005, cioè dopo che questi era cessato dalla carica di amministratore della fallita.
Inoltre la contestazione di cui al capo ld) sarebbe generica.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce, in relazione al capo 2), l'insussistenza del dolo specifico richiesto dalla fattispecie di bancarotta preferenziale.
Assume che il rimborso in favore dei soci avrebbe avuto carattere eccezionale e limitato temporalmente fino alla percezione dell'indennizzo, per i danni da incendio, da parte della Compagnia Generali.
2.4. Con il quarto motivo contesta la propria responsabilità in ordine al reato sub 4).
La liberazione di Pronto Casa dall'obbligo di conferimento della somma di 200mila euro è frutto di una decisione assunta dagli organi della fallita il 31 dicembre 2006 quando l'imputato aveva da tempo dismesso la carica di amministratore della fallita.
A fronte di uno specifico motivo di appello sul punto la Corte distrettuale - modificando il titolo di responsabilità e incorrendo, quindi, nella violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza - avrebbe ritenuto Sc.An. concorrente extraneus nel reato, quale amministratore della Pronto Casa Srl.
Senza, peraltro, fornire risposta alla deduzione difensiva che invocava l'assenza di una dolosa preordinazione.
2.5. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione sull'elemento oggettivo e soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta documentale di cui al capo 7).
In base alle stesse dichiarazioni del consulente del Pubblico ministero, le scritture contabili della società hanno consentito di ricostruire il movimento degli affari, tanto da far emergere la violazione di alcuni principi contabili (OIC Ile OIC 19).
2.6. Con il sesto motivo il ricorrente deduce, in relazione al capo 10), l'insussistenza del dolo specifico richiesto dalla fattispecie di bancarotta preferenziale.
Al fine di evitare il fallimento, la società avrebbe tentato di restituire le merci a tutti i fornitori, riuscendovi con la maggior parte di essi.
In tale situazione difetterebbe l'intenzione di favorire taluni creditori a discapito degli altri.
2.7. Con il settimo motivo il ricorrente lamenta il difetto di motivazione sul riconoscimento della recidiva.
Con l'ottavo denuncia analogo vizio in punto di determinazione degli aumenti di pena per la continuazione.
3. Il ricorso è stato trattato, senza intervento delle parti, nelle forme di cui all'art. 23, comma 8 legge n. 176 del 2020 e successive modifiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato nei limiti di seguito indicati.
2. I primi quattro motivi si appuntano sui reati connessi al fallimento della Legno Market fratelli Sc.An..
2.1. Occorre muovere da un sintetico inquadramento dedicato al delitto di bancarotta societaria.
L'art. 223, comma secondo, n. 1 legge fall, punisce gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori di società dichiarate fallite, i quali hanno cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto della società, commettendo alcuno dei fatti previsti dagli articoli 2621 e seguenti del codice civile.
Viene in rilievo un reato proprio (non esclusivo) o a "soggettività ristretta" (come la gran parte dei reati fallimentari) che richiede la partecipazione di almeno un soggetto rientrante nelle categorie codificate dalla norma.
In forza dell'art. 110 cod. pen. anche Vextraneus può concorrere nel reato con il soggetto qualificato fornendo un consapevole contributo morale (es. istigazione, determinazione, rafforzamento dell'altrui proposito criminoso) o materiale (es. predisposizione del bilancio falso) alla realizzazione dell'illecito, in presenza della necessaria componente soggettiva.
2.2. I reati societari specificamente indicati - i quali, a loro volta, sono reati propri - rappresentano un elemento costitutivo della fattispecie di bancarotta in esame (cfr. Sez. 5, n. 37264 del 19/06/2023, Austa, non massimata per esteso).
Il reato societario deve perfezionarsi in tutte le sue componenti oggettive e soggettive. Invero i reati societari sono richiamati con tutti i loro estremi, anche psicologici, come definiti dal codice civile: per "fatti" deve intendersi la "tipicità" del reato, vale a dire l'insieme degli elementi fattuali descritti dal legislatore nell'ambito di una singola disposizione incriminatrice, all'interno della quale, dunque, trova posto anche il dolo (vedi in motivazione Sez. 5 n. 28508 del 12/04/2013, Mannino; Sez. 5, n. 46689 del 30/06/2016, Coatti).
2.3. Si tratta, infine, di reato di evento, nel senso che - a differenza delle ipotesi di bancarotta fraudolenta impropria di cui al primo comma dell'art. 223 legge fall., che sono reati di pericolo- nella fattispecie in rassegna il dissesto è evento naturalistico del reato che, come tale, deve essere causalmente ricollegabile al reato presupposto e investito del necessario coefficiente psicologico.
Quanto all'elemento oggettivo, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che integra il reato di bancarotta impropria da reato societario la condotta dell'amministratore che espone nel bilancio dati non veri al fine di occultare la esistenza di perdite e consentire quindi la prosecuzione dell'attività di impresa in assenza di interventi di ricapitalizzazione o di liquidazione, con conseguente accumulo di perdite ulteriori, poiché l'evento tipico di questa fattispecie delittuosa comprende non solo la produzione, ma anche il semplice aggravamento del dissesto (tra le altre Sez. 5, n. 42811 del 18/06/2014, Ferrante, Rv. 261759; Sez. 5 n. 1754 del 20/09/2021, dep. 2022, Bevilacqua, Rv. 282537).
Sotto il profilo soggettivo la giurisprudenza di legittimità richiede una consapevole rappresentazione della probabile diminuzione della garanzia dei creditori e del connesso squilibrio economico (tra le altre Sez. 5, n. 23091 del 29/03/2012, Baraldi, Rv. 252804; Sez. 5, n. 42257 del 06/05/2014, Solignani, Rv. 260356; Sez. 5, n. 35093 del 04/06/2014, Sistro, Rv. 261446; Sez. 5, n. 50489 del 16/05/2018, Nicosia, Rv. 274449).
2.4. Nella specie, in relazione al fallimento della Legno Market fratelli Sc.An., dichiarato il 19 maggio 2010, vengono in rilievo i reati di bancarotta societaria ancorati ai delitti presupposti di cui all'art. 2621 cod. civ. (capo 1) e all'art. 2626 cod. civ. (capo 4).
La crisi della società si verifica nel 2001 quando, nella notte tra il 7 e l'8 agosto, divampa un incendio che distrugge l'intero capannone.
Le condotte oggetto del capo 1) involgono diversi fatti di falso nei bilanci relativi agli anni 2001 al 2007 e sono ascritti a Sc.An. nella veste di amministratore della fallita, carica ricoperta sino al 18 febbraio 2005.
Quanto al capo 4), il reato di bancarotta societaria si aggancia a quello di indebita restituzione dei conferimenti (art. 2626 cod. civ.) e risulta ascritto a Sc.An. ai sensi dell'art. 110 cod. pen.. La Corte di appello ha qualificato il contributo del ricorrente come concorso dell'extraneus poiché, al momento dell'operazione illecita, l'imputato aveva dismesso la carica di amministratore della fallita.
3. Il primo motivo è infondato.
3.1. L'imputato è stato ritenuto responsabile del delitto di bancarotta societaria per avere, nel bilancio del 2001, "evitato di far apparire la riduzione del capitale al di sotto del minimo legale, scongiurando così gli obblighi di ricapitalizzazione ex art. 2447 cod. civ. o la liquidazione della società ai sensi dell'art. 2484 comma primo, n. 4 cod. civ.":
- mediante la rivalutazione parziale dei cespiti immobiliari per lire 5.043.000.000 in violazione del disposto dell'art. 2426, comma primo, n. 1, cod. pen. (capo la);
- omettendo di iscrivere la svalutazione della merce causata dall'incendio del capannone di via Perpignano per euro 539.000,00 (imputandola successivamente al bilancio per l'anno 2003).
Il ricorrente contesta che detti fatti possano integrare il reato di falso in bilancio in quanto:
- la rivalutazione degli immobili è stata effettuata in applicazione del principio di cui all'art. 2423 cod. civ. che consente una deroga alle regole sulla redazione del bilancio (nella specie a quella sancita dall'art. 2426 comma primo n. 1 cod. civ.) in presenza di "casi eccezionali", dovendo ritenersi che in tal novero rientri l'incendio;
- la svalutazione della merce è stata annotata nel bilancio relativo all'anno 2003 e quindi per la riconduzione a quello relativo al 2001 sarebbe stata sufficiente una mera rettifica; inoltre essa sarebbe dipesa dal tentativo della società di reimmettere sul mercato la merce, tentativo rivelatosi infruttuoso soltanto nel 2003.
3.2. La tesi difensiva non merita accoglimento.
3.2.1. Sulla scorta delle Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli la funzione del bilancio può essere così sintetizzata.
Il codice civile regolamenta la redazione del bilancio nella Sezione Nona, Capo Quinto, Titolo Quinto, Libro Quinto. Vengono in particolare rilievo gli articoli da 2423 a 2427. Il legislatore si fa carico di indicare la struttura e il contenuto del bilancio, detta i criteri di redazione dello stesso, impone canoni di valutazione e indica quale debba essere il contenuto della nota integrativa.
Il bilancio, in tutte le sue componenti (stato patrimoniale, conto economico, rendiconto finanziario, nota integrativa), è un documento dal contenuto essenzialmente valutativo, nel quale confluiscono dati certi, dati stimati e dati congetturali.
La funzione del bilancio è essenzialmente quella di informazione e comunicazione: "Attraverso il bilancio, si forniscono, infatti, notizie sulla consistenza e sulle prospettive di un'azienda e ciò, evidentemente, non solo a garanzia dei diretti (e attuali) interessati, vale a dire i soci e i creditori, ma anche a tutela dei futuri ed ipotetici soggetti che potrebbero entrare in contatto con la predetta azienda" (Sez. U, Passarelli, cit.).
I destinatari della informazione devono essere posti in grado di effettuare le loro valutazioni, vale a dire di valutare un documento, già in sé di contenuto essenzialmente valutativo. Ma tale "valutazione di una valutazione" non sarebbe possibile (ovvero sarebbe assolutamente arbitraria) se non esistessero criteri -obbligatori e/o largamente condivisi di riferimento. Tali criteri esistono e sono, in gran parte, imposti dallo stesso codice civile (cfr. i già citati articoli 2423 ss. cod. civ.) e dalla normativa sovra nazionale, ovvero sono frutto della elaborazione dottrinale nelle materie di competenza.
L'art. 2423 cod. civ. impone al redattore del bilancio la elaborazione di un documento che rappresenti "in modo veritiero e corretto" tanto la situazione patrimoniale e quella finanziaria della società, quanto il risultato economico dell'esercizio. La nota integrativa rappresenta, quindi, la chiave di lettura del bilancio e la esplicitazione dei criteri (e della eventuale deroga a tali criteri) di redazione dello stesso.
3.2.2. L'art. 2423 cod. civ., al suo originario quarto comma (divenuto quinto comma a seguito dell'innesto operato dal d. Igs. n. 139 del 2015), stabilisce che: "Se, in casi eccezionali, l'applicazione di una disposizione degli articoli seguenti è incompatibile con la rappresentazione veritiera e corretta, la disposizione non deve essere applicata. La nota integrativa deve motivare la deroga e deve indicarne l'influenza sulla rappresentazione della situazione patrimoniale, finanziaria e del risultato economico (...)".
Va ricordato che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza civile - così come accadeva per le "speciali ragioni" che, ai sensi dell'art. 2425, cod. civ., nel testo antecedente alle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 127 del 1991, permettevano di derogare ai criteri di valutazione degli elementi del bilancio d'esercizio delle società di capitali - i "casi eccezionali" si riferiscono a particolari situazioni inerenti, non già alla società, bensì ai beni oggetto di valutazione, con la conseguenza che deve ritenersi illegittima la rivalutazione dei beni immobili giustificata dall'esigenza di coprire perdite dell'esercizio (Sez. 1 civ., n. 9068 del 07/07/2000, Rv. 538308 - 01; Sez. 1 civ., n. 2538 del 08/02/2005, Rv. 579471 - 01; conf. in motivazione Sez. 1 civ. n. 23269 del 17/11/2005).
Ai fini della deroga devono ricorrere circostanze particolari tali da rendere il valore "legale" del tutto inadeguato, e perciò imponenti la rivalutazione sì da consentire di rilevare l'impresa nella sua dimensione effettiva.
È bene chiarire, inoltre, che la deroga in "casi eccezionali" deve essere giustificata, per espressa previsione normativa, dalla necessità di fornire una rappresentazione veritiera e corretta; quindi non potrà mai essere consentita per alterare l'effettiva situazione della società; inoltre deve trovare una specifica esplicazione nella nota integrativa, in modo da essere immediatamente evidenziata sia nella sua dimensione oggettiva sia nella più adeguata idoneità rappresentativa.
Come appalesa l'obbligo di ostensione delle motivazioni, la deroga deve trovare fondamento non nel soggettivo convincimento degli amministratori, ma in ragioni concrete, suscettibili di sindacato da parte del giudice sotto il duplice profilo della reale esistenza e della adeguata consistenza: aspetti che assumono rilievo ai fini dell'accertamento e della falsità della valutazione che ne è scaturita.
3.3. Nella specie il reato di falso in bilancio risulta integrato.
3.3.1. Dalla ricostruzione fattuale della vicenda, compiuta dai giudici di merito, emerge quanto segue.
La crisi della società poi fallita, secondo la stessa prospettazione difensiva, è conseguita all'incendio verificatosi nel corso del 2001.
La società ha chiuso l'esercizio relativo a quell'anno con una perdita di complessivi euro 3.186.461,80. L'importo della perdita viene fatta coincidere con la quota parte dei danni non coperta dall'indennizzo assicurativo.
Nonostante la perdita, il capitale della società non viene ridotto al di sotto del minimo legale (art. 2447 cod. civ.) e, pertanto, non si procede alla ricapitalizzazione né alla trasformazione in altro tipo giuridico né allo scioglimento della stessa società.
L'entità della perdita viene compensata grazie alla riserva insorta per effetto della rivalutazione cui sono stati assoggettati i beni immobili (pari a 5.043 miliardi di lire).
Tale ammontare corrisponde esattamente all'importo residuo della perdita non coperto dalle riserve già esistenti nel patrimonio netto.
3.3.2. Le ragioni che, in astratto, possono autorizzare la rivalutazione degli immobili nel nostro impianto normativo sono: la deroga "in casi eccezionali" (di cui si è riferito sopra al paragrafo 3.2.2.) e la previsione di leggi speciali.
Nella fattispecie in esame, anche se sulla base della legislazione speciale vigente all'epoca era possibile procedere alla rivalutazione degli immobili anche in difetto di eventi eccezionali (opzione che però comportava l'immediato pagamento di un'imposta sostitutiva sulla plusvalenza), la società ha preferito procedere alla rivalutazione di cui al comma quinto dell'art. 2423 cod. civ.
Sostiene la difesa che l'incendio costituirebbe evento eccezionale idoneo a consentire la tale rivalutazione, appostando i beni ad un valore superiore al costo storico.
In realtà, come già anticipato, non è possibile abbandonare il criterio del costo ed effettuare rivalutazioni dei beni considerando "caso eccezionale" l'incendio e la conseguente notevole perdita del capitale, poiché sono "eccezionali" unicamente quegli eventi che si riferiscono ai beni oggetto di appostazione; quegli eventi, cioè, che modifichino sostanzialmente la natura o la destinazione economica dei beni nell'ambito dei processi produttivi d'impresa e non quelli inerenti alle vicende dell'impresa (cfr. in motivazione Sez. 5, n. 9832 del 19 giugno 1992, Farina).
Deriva che, da un lato, non hanno presa i rilievi difensivi che insistono nella legittimità della rivalutazione, dall'altro altro è pienamente rispondente ai principi generali la decisione dei giudici di merito secondo cui l'incendio in questione, pur essendo stato un evento di portata catastrofica per l'azienda, non giustifica la soluzione adottata dall'organo amministrativo di rivalutare i beni allo scopo di evitare, nella impossibilità di ricostituire il capitale sociale, lo scioglimento e la liquidazione della società.
Osservano correttamente i giudici di merito che la presenza di perdite durevoli che sarebbero conseguite all'incendio avrebbe dovuto inibire detta rivalutazione suggerendo, piuttosto, di procedere a una eventuale svalutazione degli immobili. Né il ricorrente ha saputo indicare in che termini l'evento eccezionale oggetto di contestazione avrebbe in qualche modo inciso sul valore degli immobili non ai ribasso bensì al rialzo, dimostrando così l'assoluta arbitrarietà e strumentalità dell'operazione contabile.
A fronte di tanto non può revocarsi in dubbio che la rivalutazione dei cespiti mirasse non a fornire una rappresentazione più veritiera della situazione patrimoniale, contabile, finanziaria della società (come imposto dall'art. 2343 cod. civ. per le deroghe nei casi eccezionali), ma solo a coprire le perdite, sì da evitare l'adozione delle iniziative previste per legge.
3.4. Ulteriore addebito mosso al ricorrente, sempre con riferimento al bilancio 2001, attiene alla sovrastima delle rimanenze finali di merce, iscritte in bilancio per l'ammontare di euro 4.400.00,00 euro.
3.4.1. La sovrastima viene ricavata dalla successiva svalutazione che le stesse merci hanno subito prima nel bilancio 2003 (euro 539.000) poi nel bilancio 2005 (euro 1.650.127).
Con particolare riferimento alla svalutazione di euro 539.000, i giudici di primo e secondo grado hanno evidenziato come sia inverosimile che nella relazione sulla gestione al bilancio 2003 si annoveri quale causa di tale svalutazione i danni che le stesse merci avrebbero subito in occasione dell'incendio occorso nel 2001, rendendole invendibili.
Tale indicazione porta a ritenere che la svalutazione effettuata nel 2003 avrebbe già dovuto trovare spazio nel bilancio 2001 e che pertanto la stima del 2001 non fosse corrispondente al vero.
Il ragionamento compiuto dal giudice di merito non soffre cadute logiche: si è ragionevolmente ritenuto che la svalutazione della merce causata dall'incendio sia stata imputata soltanto al bilancio 2003 per non appesantire i bilanci 2001 e 2002 già gravati, soprattutto il primo, da ingenti costi.
A differenza di quanto sostenuto dalla difesa, non si tratta di una mera rettifica, ma di un ulteriore artificio adottato allo scopo di non gravare il bilancio del 2001 di eccessive perdite, diluendole nel tempo.
3.5. Le false rappresentazioni in rassegna, esposte nel bilancio relativo all'esercizio 2001, si collegano causalmente all'aggravamento del dissesto (punto non contestato), dando luogo, così, al delitto di bancarotta impropria da reato societario. Vale al riguardo il principio, in premessa ricordato, secondo cui incorre nel reato di bancarotta impropria da reato societario l'amministratore di società che esponga nel bilancio dati non veri al fine di occultare la sostanziale perdita del capitale sociale, evitando così che si palesasse la necessità di procedere al suo rifinanziamento o alla liquidazione della società, provvedimenti la cui mancata adozione determinava l'aggravamento del dissesto di quest'ultima (cfr. tra le altre Sez. 5, n. 28508 del 12/04/2013, Mannino, Rv. 255575).
4. Il secondo motivo è fondato.
4.1. Le ulteriori condotte di falso in bilancio di cui ai capi le) e ld) riguardano fatti - oggetto di accertamento - successivi alla dismissione della carica di amministratore da parte di Sc.An. (intervenuta il 18 febbraio 2005).
La Corte di appello conferma la condanna osservando che all'imputato "non vengono contestate singole ipotesi di reato previste dall'art. 2621 cod. civ. (...) la contestazione fa riferimento alla condotta punita dall'art. 223, secondo comma, n. 1 legge fall, (reato di bancarotta impropria) e cioè avere proseguito l'attività mascherando le difficoltà economiche attraverso una falsa rappresentazione, già a partire dall'esercizio del 2001, della situazione economica e Finanziaria della società" (pag. 27).
Quindi "non vi è dubbio, stante la sussistenza delle criticità già dal 2011, che anche Sc.An. risponda del reato in esame" (pag. 28).
4.2. Dal ragionamento, non perspicuo, sembra di capire che secondo il giudice di secondo grado l'imputato, pur non avendo commesso il reato di falso con riguardo ai bilanci successivi al 2004, dovrebbe comunque rispondere del reato di bancarotta poiché, partecipando alla redazione del primo bilancio falso, avrebbe innescato la serie causale delle falsità successive.
Una siffatta conclusione muove da premesse interpretative non condivisibili.
Nello schema del delitto di bancarotta societaria è richiesta la partecipazione nel delitto societario presupposto dal quale derivi il dissesto o anche solo l'aggravamento del dissesto.
Quindi, per commettere il delitto di cui all'art. 223, comma secondo, n. 1 legge fall., occorre quantomeno concorrere nel delitto societario che ne rappresenta un elemento costitutivo; mentre non si può rispondere di un fatto commesso da altri.
È vero che integra il reato di bancarotta impropria la condotta dell'amministratore che, esponendo nel bilancio dati non corrispondenti al vero, eviti che si manifesti la necessità di procedere ad interventi di rifinanziamento o di liquidazione, in tal modo consentendo alla fallita la prosecuzione della attività di impresa con accumulo di ulteriori perdite negli esercizi successivi (Sez. 5, n. 42272 del 13/06/2014, Alfano, Rv. 260394 - 01), ma questo significa solo che, una volta dichiarato il fallimento della società, l'amministratore che commette il reato di falso in bilancio è responsabile del delitto di bancarotta societaria quando a quel falso si riconnetta causalmente anche solo un aggravamento del dissesto.
Non vuol dire, invece, che l'amministratore risponde anche delle condotte di falso in bilancio perpetrate da altri dopo di lui.
4.3. In relazione ai capi in rassegna, deve rilevarsi che, secondo gli stessi giudici di merito, l'imputato non ha commesso il reato presupposto come intraneo, né viene individuato un eventuale apporto concorsuale, morale o materiale, come estraneo.
Deriva l'annullamento senza rinvio della sentenza in relazione ai capi le) e ld), perché l'imputato non li ha commessi.
5. Il terzo motivo, che riguarda il delitto di bancarotta preferenziale di cui al capo 2), è inammissibile.
Sc.An. è stata ritenuto responsabile, nella veste di amministratore della fallita, del delitto di cui all'art. 223, comma primo, in relazione all'art. 216, comma terzo, legge fall, per avere provveduto, nel corso del 2003, al rimborso ai soci dei finanziamenti infruttiferi (quasi lOOmila euro in favore di Sc.Ni., oltre 600mila euro in favore di Sc.Ro., quasi 600mila euro in favore di Sc.An.).
Il giudice di merito ha accertato che il cospicuo rimborso è stato effettuato impiegando il saldo dell'indennizzo assicurativo incassato dalla società nel corso dello stesso anno (pag. 28 sentenza impugnata).
Il ricorrente si limita a sostenere l'assenza del dolo specifico (l'intento perseguito sarebbe stato quello di far fronte, in via eccezionale e temporalmente limitata, "a debiti scaduti nei confronti dei terzi (...) fino alla percezione dell'indennizzo da parte della Compagnia generali"), ma la censura si esaurisce in un'affermazione generica e assertiva del tutto avulsa dagli esiti processuali.
6. Il quarto motivo, che involge la bancarotta societaria di cui al capo 4), è infondato.
6.1. Secondo la ricostruzione offerta dai giudici di merito, l'operazione, oggetto di addebito, è stata così realizzata: riduzione del capitale sociale in data 31 dicembre 2006 e stralcio del credito di 200.000 euro spettante nei confronti di Pronto casa Srl (pag. 29)
La condotta si colloca nel 2006, quando Sc.An. non rivestiva ormai più la carica di amministratore.
Tuttavia il reato di bancarotta societaria connesso a tale operazione viene ugualmente ascritto, dalla Corte di appello, al ricorrente a titolo di extraneus, quale legale rappresentante della Pronto casa Srl che si era vista cancellare il debito.
6.2. L'eccezione di violazione del principio di corrispondenza tra accusa è sentenza è infondata.
Secondo ius receptum non integra la violazione del princìpio di correlazione tra reato contestato e reato ritenuto in sentenza (art. 521 cod. proc. pen.), la decisione con la quale sia condannato un soggetto quale concorrente esterno in un reato di bancarotta fraudolenta, anziché quale amministratore, qualora, come nella specie, rimanga immutata l'azione in concreto contestata (Sez. 5, n. 13595 del 19/02/2003, Leoni, Rv. 224842; Sez. 5, n. 4117 del 09/12/2009, dep. 2010, Prosperi, Rv. 246100; Sez. 5, n. 18770 del 22/12/2014, Runca, Rv. 264073 - 01).
Tanto più che nel caso in esame la responsabilità del ricorrente risulta espressamente contestata ai sensi dell'art. 110 cod. pen..
6.3. La sentenza impugnata espone una adeguata motivazione in punto di responsabilità concorsuale, ponendo in luce la partecipazione dell'imputato alla dolosa preordinazione e realizzazione dell'operazione, sottolineando vuoi le scansioni che lo hanno coinvolto sin dal 2004 quando era ancora amministratore della fallita, vuoi l'appartenenza della Pronto Casa alla galassia di società gestite dai fratelli Sc.An. (cfr. pag. 30).
7. Il quinto e il sesto motivo riguardano rispettivamente i reati di bancarotta fraudolenta documentale (capo 7) e di bancarotta preferenziale (capo 10) connessi alla società Nuove Iniziative Srl, dichiarata fallita il 27 febbraio 2009
7.1. Il quinto motivo è generico.
I rilievi sollevati nell'atto di impugnazione riproducono, senza elementi di novità, le medesime censure già valutate e superate dalla Corte di appello.
II giudice di merito evidenzia tutti i riscontrati interventi manipolativi sulle scritture contabili della fallita (pagg. 34 e 35) integranti il delitto di bancarotta fraudolenta documentale nella forma c.d. "generica".
L'obiezione secondo cui le scritture contabili della società avrebbero comunque consentito di ricostruire il movimento degli affari non ha pregio, dato che nel delitto di bancarotta fraudolenta documentale l'interesse tutelato non è circoscritto ad una mera informazione sulle vicende patrimoniali e contabili della impresa, ma concerne una loro conoscenza documentata e giuridicamente utile; ne consegue che il predetto delitto sussiste, non solo quando la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari del fallito si renda impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono state tenute, ma anche quando gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, siano stati ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza (Sez. 5, n. 10423 del 22/05/2000, Piana, Rv. 218383; Sez. 5, n. 21588 del 19/04/2010, Suardi, Rv. 247965; Sez. 5, n. 1925 del 26/09/2018, dep. 2019, Cortinovis, Rv. 274455).
8. Il sesto motivo non è inammissibile, pertanto va preso atto dell'intervenuto decorso del termine prescrizionale.
8.1. Viene in rilievo il delitto di bancarotta preferenziale (capo 10), che il giudice di merito ha ravvisto nella circostanza che nel 2006 la fallita aveva registrato note di credito per reso merci che l'amministrazione aveva attuato per favorire il rapporto commerciale con i fornitori così riducendo, per compensazione, il credito che diversi fornitori vantavano nei confronti della Nuove Iniziative Srl (pagg. 39 e 40).
Il ricorrente contesta la configurabilità del dolo specifico richiesto dalla norma incriminatrice e giustifica tale condotta con lo scopo di evitare il fallimento: la società avrebbe tentato di restituire le merci a tutti i fornitori, riuscendovi con la maggior parte di essi.
Tale prospettazione difensiva non è manifestamente infondata, posto che, secondo l'insegnamento della Corte di cassazione, deve escludersi il dolo specifico laddove l'imprenditore soddisfi taluni debiti al solo fine di evitare il pericolo della presentazione di istanze di fallimento o, comunque, nella certezza o nella fondata convinzione di poter riuscire a far fronte, anche se in un secondo momento, a tutte le posizioni debitorie (Sez. 5, n. 29874 del 29 luglio 2021, n.m.).
8.2. Deve allora rilevarsi che è maturato il termine massimo di prescrizione del reato (anche tenendo conto della recidiva, pur investita da motivo di ricorso):
- reato commesso il 27 febbraio 2009, punito con la pena edittale massima di cinque anni di reclusione;
- prescrizione massima considerata la recidiva ex art. 99, comma quarto, cod. pen. (che incide sia sul termine ordinario ex art. 157 cod. pen., come circostanza aggravante ad effetto speciale, sia sul termine massimo secondo la previsione dell'art. 161 cod. pen.) anni 13, mesi 6, giorni 20 (anni 157 cod. pen. anni cinque aumentata di due terzi per aggravante 99 comma quarto cod. pen. anni otto e mesi quattro; 161 + due terzi ex art. 161 cod. pen.);
- termine massimo di prescrizione: 19 settembre 2022;
- cui si aggiunge un periodo di sospensione per complessivi 250 giorni: 84 giorni dal 25 giugno 2018 al 17 settembre 2018 per adesione astensione; 60 giorni per rinvio udienza del 17 settembre 2018 per legittimo impedimento; 42 giorni dal 8 gennaio 2020 al 19 febbraio 2020 per adesione astensione; 64 giorni c.d. Covid per rinvio udienza del 1 aprile 2020.
- 19 settembre 2022 + 250 giorni = 27 maggio 2023
Non vi sono parti civili costituite per detto capo di imputazione.
9. Il settimo motivo è fondato.
La sentenza impugnata non espone alcuna motivazione circa la sussistenza della recidiva, che era stata contestata con un apposito motivo di appello a fronte di una altrettanta carenza motivazionale della pronuncia di primo grado.
L'ottavo motivo, sulla entità degli aumenti applicati a titolo di continuazione, rimane assorbito.
11. In conclusione la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente ai reati di cui ai capi le) e ld) perché l'imputato non li ha commessi e al reato di cui al capo 10), perché estinto per prescrizione.
Per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio occorre rinviare al giudice di merito, che provvederà anche a sanare il vizio motivazionale in punto di recidiva e a rispondere all'ottavo motivo rimasto assorbito.
Nel resto il ricorso va rigettato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ai reati di cui ai capi le) e ld) perché l'imputato non li ha commessi.
Annulla senza rinvio la medesima sentenza limitatamente al reato di cui al capo 10), perché estinto per prescrizione.
Annulla la stessa sentenza limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Palermo.
Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso il 13 febbraio 2024.
Depositato in Cancelleria l'11 marzo 2024.