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Reati fallimentari

Bancarotta patrimoniale: l'aggravante del danno di rilevante gravità si configura anche in caso di più condotte distrattive

Bancarotta patrimoniale: l'aggravante del danno di rilevante gravità si configura anche in caso di più condotte distrattive

Norme di riferimento

La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza dell'11/5/2016, la Corte d'Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Monza del 16/5/2014, riduceva la pena nei confronti di G.R. ad anni quattro e mesi due di reclusione per i reati di cui all'art. 110 c.p., L. Fall., artt. 216,219 e 223, per avere quale nella sua qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Microchips Trading Group Srl, dichiarata fallita dal Tribunale di Monza in data 7/8/2007, distratto plurime somme di denaro con l'aggravante di avere cagionato un danno di rilevante entità. 2. Avverso la sentenza della Corte d'Appello di Milano l'imputato ha proposto ricorso a mezzo del suo difensore di fiducia, affidato a cinque motivi di ricorso, lamentando: - con il primo motivo, l'omessa motivazione circa le doglianze rappresentate con la memoria difensiva depositata in cancelleria il 3/5/2016; invero, l'aver trascurato la suddetta memoria difensiva, tesa a giustificare le presunte distrazioni di cui al terzo punto dell'imputazione, ha comportato la violazione dell'art. 546 c.p.p., lett. e), determinando un atto conclusivo del processo, viziato nella motivazione per il mancato apprezzamento degli argomenti apportati da una delle parti processuali proprio attraverso la memoria; - con il secondo motivo, l'errata interpretazione ed applicazione della legge in ordine all'applicata aggravante "di più fatti" non contestata dal P.M., con omessa motivazione sul punto circa i relativi motivi di doglianza; infatti, ai fini della configurazione dell'aggravante di cui all'art. 219, comma 2, n. 1, i giudici di secondo grado, scrivendo in motivazione che risulta sufficiente la mera pluralità degli episodi distrattivi, si sono sottratti ad un confronto con le argomentazioni difensive in ordine alla violazione dell'art. 517 c.p.p. sulla contestazione esplicita delle aggravanti da parte del pubblico ministero, discostandosi da quell'orientamento giurisprudenziale che non riconosce l'aggravante "di più fatti", laddove si accerti in concreto la ricorrenza delle stesse condotte, poste in essere in continuità temporale e aventi ad oggetto lo stesso bene, come il denaro; -con il terzo motivo, l'errata applicazione dell'art. 603 c.p.p. e motivazione apparente circa la mancata rinnovazione del dibattimento, essendo stata ritenuta tardiva la relativa richiesta, potendo il teste indicato essere citato in primo grado; in relazione, poi, ad uno dei testi che si chiedeva di esaminare, tale D.B. Giovanni, legale rappresentante della società Bratek s.r.l., è stato affermato in sentenza l'impossibilità di reperirlo stante la mancata indicazione di un suo indirizzo, quando invece, come evidenziato nell'atto d'appello, data la sua qualifica, l'indirizzo dove inviare l'atto di citazione sarebbe stato quello della sede legale della società; - con il quarto motivo, l'assenza di motivazione in ordine alla richiesta di riduzione delle spese a favore della parte civile, come liquidate dal primo giudice, essendo tale somma stata determinata in maniera globale, senza distinzione tra onorari, competenze e spese, in modo tale da non consentire alle parti di verificare il rispetto dei limiti tariffari e di controllare l'eventuale onerosità; - con il quinto motivo, l'illogicità della motivazione, laddove non è stata applicata una minore pena circa il singolo aumento per l'aggravante del danno grave, stante la rideterminazione delle somme distratte; infatti, ad una riduzione delle somme distratte non è corrisposta una riduzione dell'aumento di pena, dovuto all'applicazione dell'aggravante del danno grave: l'aumento è stato sempre pari a tre mesi, sia nel giudizio di primo che in quello di secondo grado. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso non merita accoglimento. 1. Il primo motivo è infondato. Ed invero, questa Corte ritiene di condividere l'orientamento di legittimità, secondo cui l'omessa valutazione di memorie difensive non può essere fatta valere in sede di gravame come causa di nullità del provvedimento impugnato, ma può influire sulla congruità e correttezza logico - giuridica della motivazione che definisce la fase o il grado nel cui ambito siano state espresse le ragioni difensive (Sez. 6, n. 269 del 05/11/2013 - dep. 07/01/2014, Cattafi, Rv. 258456). Il diverso indirizzo sostenuto da alcune pronunce di questa Corte (Sez. 6, n. 13085 del 03/10/2013 - dep. 20/03/2014, Amato e altri, Rv. 259488; Sez. 1, n. 37531 del 07/10/2010 dep. 20/10/2010, Pirozzi, Rv. 248551) non può essere condiviso, alla luce del rilievo che "dalla omessa considerazione di una memoria difensiva non consegue di per sè alcuna nullità, non trattandosi di ipotesi prevista dalla legge", sicchè "le ragioni difensive vanno attentamente considerate dal giudice cui vengono rivolte, siano esse espresse in un motivo di impugnazione, in una memoria scritta o nell'ambito di un intervento orale, ma le conseguenze di una mancata considerazione rifluiscono sulla congruità e correttezza logico-giuridica della motivazione della decisione che chiude la fase o il grado nel cui ambito tali ragioni, eccezioni, o motivi di impugnazione siano stati espressi" (Sez. 6, n. 18453 del 28/02/2012 - dep. 15/05/2012, Cataldo e altri, Rv. 252713). La motivazione della sentenza impugnata si presenta invece- anche per quanto si dirà congrua e non illogica, sicchè non si ravvisa il dedotto vizio motivazionale. Peraltro, come rilevato dallo stesso ricorrente, in sede di legittimità non è censurabile la sentenza, per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame, quando questa risulti disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, essendo sufficiente, per escludere la ricorrenza del vizio previsto dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della prospettazione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa (Sez. 5, n. 607 del 14/11/2013). 2. Infondato si presenta, altresì, il secondo motivo di ricorso, con il quale l'imputato contesta l'applicazione dell'aggravante di cui all'art. 219, comma 2, n. 1, non formalmente contestata, ed il consequenziale aumento di pena. Quanto alla contestazione in fatto dell'aggravante di cui alla art. 219, comma 2, n. 1 è sufficiente richiamare i principi più volte affermati dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, ai fini della contestazione di una aggravante, non è necessaria la specifica indicazione della norma che la prevede, essendo sufficiente la chiara e precisa enunciazione "in fatto" della stessa e che l'imputato abbia piena cognizione degli elementi di fatto che la integrano (Sez. 6, n. 40283 del 28/09/2012). Orbene nella fattispecie in esame risulta indubbia, dalla indicazione delle singole operazioni distrattive compiute, la descrizione della pluralità dei fatti di cui alla norma citata, sicchè nessuna violazione del diritto di difesa risulta comunque configurabile. 2.1. Manifestamente infondata è poi la deduzione, secondo la quale non troverebbe applicazione l'ipotesi di cui alla L. Fall., art. 219, comma 2, n. 1 in parola in presenza di condotte, poste in essere in continuità temporale e aventi ad oggetto lo stesso bene, come il denaro, non legittimando il chiaro disposto normativo - che fa riferimento a più fatti - ad interpretazioni diverse da quella letterale per le quali occorrerebbe tener conto della natura omogenea o meno del bene distratto. Peraltro le S.U. di questa Corte hanno ribadito che in tema di reati fallimentari, nel caso di consumazione di una pluralità di condotte tipiche di bancarotta nell'ambito del medesimo fallimento, le stesse mantengono la propria autonomia ontologica, dando luogo ad un concorso di reati, unificati, ai soli fini sanzionatori, nel cumulo giuridico previsto dalla L. Fall., art. 219, comma 2, n. 1, disposizione che pertanto non prevede, sotto il profilo strutturale, una circostanza aggravante, ma detta per i reati fallimentari una peculiare disciplina della continuazione derogatoria di quella ordinaria di cui all'art. 81 c.p. (Sez. U, n. 21039 del 27/01/2011). 3. Manifestamente infondato si presenta il terzo motivo di ricorso con il quale l'imputato censura la mancata rinnovazione del dibattimento attraverso l'escussione dei testi indicati. Ed invero, la Corte territoriale con motivazione immune da censure, ha evidenziato come la richiesta di riapertura dell'istruttoria non fosse accoglibile, non solo perchè i testi avrebbero potuto essere citati in primo grado, ma anche perchè la richiesta risulta formulata solo ad explorandum. Tale valutazione ha fatto corretta applicazione dei principi più volte affermati da questa Corte, secondo cui nel giudizio di appello, di cui all'art. 603 c.p.p., comma 1, può ricorrersi solo quando il giudice ritenga "di non poter decidere allo stato degli atti", sussistendo tale impossibilità unicamente quando i dati probatori già acquisiti siano incerti, nonchè quando l'incombente richiesto sia decisivo, nel senso che lo stesso possa eliminare le eventuali incertezze, ovvero sia di per sè oggettivamente idoneo ad inficiare ogni altra risultanza (Sez. 6, n. 20095 del 26/02/2013). In particolare, può essere censurata la mancata rinnovazione in appello dell'istruttoria dibattimentale qualora si dimostri l'esistenza, nell'apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi all'assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (Sez. 6, n. 1400 del 22/10/2014). 4. Manifestamente infondato si presenta il quarto motivo di ricorso, avendo nella sostanza la Corte territoriale ritenuto adeguata la liquidazione delle spese di parte civile da parte del primo giudice, in mancanza di specificazioni da parte dell'appellante circa gli elementi denotanti l'incongrua determinazione. Peraltro in tema di ricorso per cassazione, non costituisce causa di annullamento della sentenza impugnata il mancato esame di un motivo di appello riguardante una violazione di legge, ribadita in seno al ricorso medesimo, che risulti manifestamente infondato (Sez. 6, n. 47983 del 27/11/2012), o, comunque, privo di specificità. 5. Manifestamente infondato si presenta, infine, il quinto motivo di ricorso, con il quale è stata censurata la misura dell'aumento di pena per l'aggravante del danno grave, stante la rideterminazione delle somme distratte, atteso che l'individuazione dell'aumento dovuto per la continuazione è rimessa alla discrezionalità del giudice di merito, il quale non è tenuto a motivare, particolarmente se esso è contenuto in misura media (Rv. n. 106986; Rv. n. 165739; Rv. n. 164037; Rv. n. 162112). 6. Il ricorso va in definitiva respinto ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 16 maggio 2017. Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2017
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