Bancarotta preferenziale: la compensazione volontaria può integrare il delitto
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Cassazione penale sez. V, 26/04/2022, n.26412

In tema di bancarotta preferenziale, la compensazione volontaria, pur consentita dagli artt. 1252 c.c. e 56 l. fall., può integrare il delitto di cui all'art. 216, comma 3, l. fall. nei casi in cui l'accordo sia raggiunto durante la fase di insolvenza e sia finalizzato a favorire alcuni creditori con danno per gli altri.

La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata del 22 giugno 2021, la Corte d'appello di Catania ha confermato la decisione del Tribunale di Caltagirone del 16 giugno 2015, con la quale F.F. è stata condannata alla pena ritenuta di giustizia per i reati di bancarotta patrimoniale, preferenziale e documentale, alla medesima ascritti ai capi a), b) e c) della rubrica, nella qualità di legale rappresentante di (OMISSIS) s.r.l., dichiarata fallita con sentenza del 7 luglio 2010.

2. Avverso la sentenza indicata ha proposto ricorso l'imputata per mezzo del difensore, Avv. C., affidando le proprie censure a quattro motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.

2.1. Con il primo motivo, si deduce vizio della motivazione in riferimento all'elemento psicologico richiesto per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui al capo a) ed al conseguente diniego di qualificazione giuridica del fatto ex art. 217 L. Fall., in difetto di prova della volontà di distrazione e della "consapevolezza che le operazioni che si compiono sul patrimonio sociale siano idonee a cagionare un danno ai creditori". Sul punto, la Corte territoriale ha - ad avviso del ricorrente - trascurato la sostanziale ingenuità delle condotte dell'imputata, pur rilevata dal Tribunale, svolgendo valutazioni del tutto presuntive e meramente reiterative dell'iter giustificativo rassegnato in primo grado.

2.2. Con il secondo motivo, si articolala analoga censura quanto al reato di bancarotta preferenziale sub b) per avere, anche sul punto, la Corte territoriale sterilizzato le deduzioni difensive, rivolte alla dimostrazione della finalità di prosecuzione dell'attività d'impresa sottesa alla contestata operazione di cessione dei crediti in compensazione de pagamento dei canoni di locazione dei locali aziendali, con conseguente apodittica affermazione della sussistenza del dolo specifico di fattispecie, peraltro ritenuto in forma eventuale. Per altro verso, la motivazione sostenuta per la ricostruzione del dolo eventuale s'appalesa illogicamente rappresentata, nella misura in cui è orientata a sostenere l'irrilevanza del requisito finalistico richiesto per la bancarotta preferenziale, sovrapponendo piani invece di segno contrario ed in tal modo sterilizzando lo scopo salvifico perseguito attraverso l'adempimento.

2.3. Con il terzo motivo, si deduce l'estinzione del reato di cui al capo b), già prescritto alla data di deliberazione della sentenza impugnata.

2.4. Con il quarto motivo, si articola vizio della motivazione in relazione alla fattispecie documentale, contestata ai sensi dell'ultima parte dell'art. 216, comma 1, n. 2 L. Fall., per avere la Corte territoriale depotenziato il rinvenimento presso la sede sociale, in sede di inventario, del registro dei beni ammortizzabili e del libro degli inventari, in tal guisa trascurando la mera negligenza dell'imputata e, in conseguenza, incorrendo in errore sulla qualificazione giuridica del fatto, anche tenuto conto che alla F. non è stato contestato di aver omesso la consegna della contabilità, come invece ritenuto nella sentenza impugnata. Per altro verso, si deduce come proprio siffatta discrasia nella ricostruzione del fatto addebitato giustificasse la richiesta di rinnovazione dell'istruttoria ex art. 603 c.p.p., ingiustificatamente respinta.

RITENUTO IN DIRITTO
La sentenza impugnata deve essere annullata, d'ufficio, limitatamente ai punti relativi alla durata delle pene accessorie fallimentari ed all'incremento di pena determinato, ai sensi dell'art. 81 c.p., comma 2.

Il solo motivo afferente il reato sub b) supera il vaglio di ammissibilità ed impone, in conseguenza, il rilievo della prescrizione, maturata - e non rilevata dalla Corte d'appello - il 7 maggio 2018, tenuto conto della sospensione, pari a giorni 180, in seguito a rinvii disposti su istanza di parte.

Nel resto, il ricorso è inammissibile.

1. Il secondo motivo è infondato.

1.1. Questa Corte ha già affermato come la compensazione volontaria, pur consentita in linea generale dall'art. 1252 c.c. e dall'art. 56L. Fall., può integrare il reato di cui all'art. 216, comma 3, L. Fall. nei casi in cui l'accordo sia raggiunto durante la fase di insolvenza e sia finalizzato a favorire alcuni creditori con danno per gli altri (Sez. 5, n. 16983 del 05/03/2014, Liori, Rv. 262903); e, nel caso in esame, la cessione di beni a F.S., a titolo di compensazione del credito dal medesimo vantato per i canoni di locazione della sede sociale, è stata ritenuta sorretta - al pari del versamento della somma di oltre 22.0000,00 in favore di F.S.B. - dal prescritto dolo specifico, in considerazione non solo del momento di irriducibile criticità aziendale (in prossimità della fase liquidatoria di (OMISSIS) s.r.l.), ma anche alla riconducibilità delle società coinvolte al medesimo nucleo familiare; il che, oltre ad escludere una più che ragionevole finalizzazione salvifica delle operazioni, rende ragione del dolo specifico di fattispecie, consistente nella volontà di recare un vantaggio al creditore soddisfatto, con l'accettazione della eventualità di un danno per gli altri secondo lo schema del dolo eventuale (Sez. 5, n. 54465 del 05/06/2018, M., Rv. 274188).

1.2. A fronte di siffatta argomentazione, la ricorrente adduce la necessità delle predette operazioni preferenziali perché volte, in via esclusiva o prevalente, alla salvaguardia della attività sociale o imprenditoriale, ma non contrasta il momento in cui gli atti dispositivi sono stati posti in essere, né si confronta con la prossimità degli enti beneficiati, in tal modo eludendo la formulazione di un giudizio predittivo, in termini di ragionevolezza, del risultato di evitare il fallimento.

Le censure, pertanto, non colgono nel segno, né introducono, con la necessaria evidenza, circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputata e la sua rilevanza penale, sì da legittimare la pronuncia di una statuizione liberatoria a norma dell'art. 129 c.p.p., comma 2, (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274).

Si impone, pertanto, in relazione al capo b) l'immediata declaratoria di estinzione del reato per prescrizione.

2. Il primo ed il secondo motivo sono proposti fuori dei casi previsti dalla legge.

2.1. In riferimento alla bancarotta patrimoniale sub a), la ricorrente assume che la prova del dolo sarebbe stata risolta nella mera consistenza del passivo, laddove, invece, le conformi sentenze di merito hanno rimarcato come nei cinque anni della gestione dell'imputata alcuna posta attiva, rinveniente dai beni risultanti dal bilancio, fosse stata contabilizzata; ed alla continuità e sistematicità della condotta distrattiva è stato ricondotto il dolo generico, consistente nella consapevole volontà di imprimere al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passerelli, 266805), con motivazione corretta in diritto e che non evidenzia cadute di logicità, rilevanti in questa sede. Per altro verso, è proprio la sistematica distrazione dei beni annotati in bilancio e non rinvenuti, ovvero del corrispettivo derivante dalla alienazione, a rendere del tutto ultroneo, nel caso al vaglio, il ricorso ad ulteriori indici di fraudolenza (Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, Sgaramella, Rv. 270763), trattandosi di condotta del tutto idonea, secondo massime di consolidata esperienza commerciale, a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell'integrità del patrimonio dell'impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall'altro, all'accertamento in capo all'agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa.

Del tutto ragionevolmente è stata, pertanto, esclusa l'ipotesi di bancarotta semplice, in presenza di operazioni dismissive che hanno comportato, in totale assenza di vantaggi, un notevole depauperamento economico-finanziario della società, dichiarata poco dopo fallita, atteso che le operazioni imprudenti, realizzate pur sempre nell'interesse dell'impresa, sono quelle in tutto o in parte aleatorie o frutto di scelte avventate, tali da rendere palese a prima vista che il rischio affrontato non è proporzionato alle possibilità di successo (Sez. 5, n. 34292 del 02/10/2020, Olivieri, Rv. 279973); caratteri, questi ultimi, esclusi ex se dalla sistematica sottrazione di beni o del loro corrispettivo.

Né il discorso giustificativo soffre cadute di logicità nella misura in cui - sul punto della personalizzazione del trattamento sanzionatorio - s'è rilevata l'Ingenuità" dell'imputata, trattandosi di notazione che - se esclude la artata pianificazione della decozione - nondimeno s'appalesa non incoerente con la consapevolezza della pericolosità della sistematica distrazione e con la volontà di destinazione a fini extrasociali delle utilità.

2.2. La correlazione con la bancarotta patrimoniale sub a) esplicita, altresì, nella complessiva motivazione della sentenza impugnata, anche il dolo del reato di cui al capo 4).

Sul tema della bancarotta documentale - reputata sussistente a ragione del rinvenimento, postumo e casuale, del libro giornale, del libro mastro e del libro degli inventari, peraltro tenuti in modo incompleto - il correlativo motivo di ricorso non si confronta in alcun modo con la complessiva e specifica condotta accertata e con la ratio decidendi esplicata nella sentenza impugnata, rivendicando anche stavolta un profilo di mera colpa che è, invece, argomentativamente smentito dalla relazione funzionale tra omessa consegna della contabilità ed occultamento delle risorse distratte, il che sostanzia - nel caso al vaglio - la descrizione di un vero e proprio dolo specifico, anche ultroneo rispetto alla fattispecie contestata ai sensi della seconda ipotesi dell'art. 216, comma 1 n. 2, L. Fall..

Anche al riguardo, il ricorso rivendica un profilo di colpa che è logicamente escluso dalle strumentali condotte distrattive e che finisce per assegnare una valenza retroattiva al rinvenimento successivo della contabilità, irregolarmente tenuta e mai consegnata dall'imputata, nella consapevolezza che quantomeno le modalità della tenuta (annotazioni discontinue; parti mancanti) potesse rendere impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio. Sicché del tutto incensurabile si rivela, altresì, il provvedimento reiettivo della perizia che, nel giudizio di appello, può essere disposta soltanto se il giudice ritenga di non essere in grado di decidere allo stato degli atti (Sez. 3, n. 7259 del 30/11/2017, dep. 2018, S., Rv. 273653).

Il primo ed il quarto motivo sono, pertanto, aspecifici, in quanto finiscono per risolversi nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, nella misura in cui omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822).

3. E', invece, illegalmente determinato il complessivo trattamento sanzionatorio.

Non dipendendo l'inammissibilità del ricorso dalla sua tardività (n. 47766 del 26/06/2015, Butera, Rv. 265106), la Corte deve rilevare d'ufficio l'illegalità tanto della determinazione della pena, che delle sanzioni accessorie.

3.1. Quanto alla determinazione della pena principale, già il dispositivo della sentenza di primo grado (nonché, in linea con esso, la motivazione della decisione) ha applicato l'istituto della continuazione tra i reati di bancarotta, in luogo dell'aggravante della cd. continuazione fallimentare ex art. 219, comma 2, n. 1), L. Fall.; di conseguenza, pur applicando le circostanze attenuanti generiche, le ha sottratte al giudizio di comparazione ed ha, comunque, erroneamente operato sulla pena base l'aumento a norma dell'art. 81 c.p..

Si verte, dunque, in ipotesi di "pena illegale", che ricorre - non già qualora il trattamento sanzionatorio sia di per sé complessivamente legittimo e il vizio attenga al percorso argomentativo attraverso il quale il giudice è giunto alla conclusiva determinazione dell'entità della condanna - ma quando, come nel caso di specie, la pena, così come indicata nel dispositivo, non sia per legge irrogabile (Sez. 2, n. 22136 del 19/02/2013, Nisi, Rv. 255729; conf. Sez. 6, n. 20275 del 07/05/2013, Rv. 257010; Sez. U, n. 40986 del 19/07/2018; con specifico riferimento all'ipotesi in esame, Sez. 5, n. 48361 del 17/09/2018, Rv. 274182).

Di conseguenza, in parte qua, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Catania che, fermo il divieto di reformatio in peius, determinerà la pena principale eliminando la quota riferita alla disciplina dettata dall'art. 81 c.p., restando l'assorbimento del disvalore aggiuntivo espresso dalla pluralità dei fatti di cui all'art. 219, comma 2, n. 1), L. fall. (Sez. U, n. 21039 del 27/01/2011, Loy).

3.2. Per gli stessi motivi, la Corte deve rilevare d'ufficio l'ulteriore profilo di illegalità, che investe la determinazione della durata delle pene accessorie.

Invero, la sentenza n. 222 del 2018 della Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 216, u.c., (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa), nella parte in cui dispone: "la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa per la durata di dieci anni l'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa", anziché: "la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa l'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a dieci anni".

Si verte in ipotesi di pena illegale rilevabile d'ufficio dal giudice di legittimità, in quanto, indipendentemente dal fatto che le pene concretamente irrogate rientrino nella cornice edittale della norma così come manipolata dal giudice delle leggi, il procedimento di commisurazione si è basato su una norma dichiarata incostituzionale (cfr. Sez. U, n. 33040 del 26/02/2015,.lazouli, Rv. 264205; Sez. U, n. 37107 del 26/02/2015, Marcon, Rv. 264857).

Dopo la pronuncia della Corte costituzionale, sono intervenute, a chiarirne la portata, le Sezioni unite, che, hanno affermato il principio in forza del quale le pene accessorie per le quali la legge indica un termine di durata non fissa devono essere determinate in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all'art. 133 c.p. (Sez. U., n. 28910 del 28/02/2019, Suraci).

4. La sentenza impugnata deve essere, pertanto, annullata con rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Catania.

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al reato di cui al capo b), estinto per prescrizione. Annulla la medesima sentenza, quanto al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Catania. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, il 26 aprile 2022.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2022

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