RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 18/1/2016 la Corte di appello di Messina ha confermato la sentenza del 13/11/2008 del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, appellata dall'imputato I.M.T., condannandolo alle ulteriori spese del grado.
La sentenza di primo grado aveva dichiarato l' I. responsabile dei reati ascrittigli (capo A): ex art. 216, comma 1, art. 223 L. Fall. per avere, quale legale rapp.te della società (OMISSIS) s.r.l., dichiarata fallita il (OMISSIS), distrutto totalmente i beni e le attrezzature della società, appiccando incendio ai locali aziendali il (OMISSIS); capo B) ex art. 217, comma 2 e art. 224 L. Fall. per aver omesso di tenere il libro giornale e il libro degli inventari; capo C) ex artt. 220 e 226 L. Fall. per aver omesso di depositare il bilancio aziendale alla data del fallimento ai sensi dell'art. 16, n. 3 L. Fall.), gli aveva riconosciuto le attenuanti generiche, aveva ritenuto il concorso formale tra il reato di cui al capo A) e quelli di cui ai capi A) e C) del procedimento definito con sentenza della Corte di appello di Messina del 22/2/2006, irrevocabile il 9/6/2006, aveva riconosciuto la continuazione con gli ulteriori reati di cui a tali procedimenti e aveva condannato l'imputato alla pena di anni 2, mesi 11 e giorni 10 di reclusione, revocando la sospensione condizionale in precedenza concessa e con le pene accessorie dell'inabilitazione all'esercizio dell'impresa e dell'incapacità di assumere uffici direttivi.
2. Ha proposto ricorso il difensore di fiducia dell'imputato, avv. Tommaso Calderone, con il supporto di sei motivi.
2.1. Con il primo motivo proposto ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) il ricorrente lamenta inosservanza o erronea applicazione della legge penale (art. 216 L. Fall., art. 43 c.p. e art. 192 c.p.p.) con riferimento al reato di cui al capo A).
Osserva il ricorrente che l'incendio doloso era stato appiccato nel 2003 quando la società versava ancora in buone condizioni economiche, mentre il fallimento era stato dichiarato solo il (OMISSIS), con la conseguente insussistenza dell'elemento psicologico del reato fallimentare.
2.2. Con il secondo motivo proposto ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) il ricorrente lamenta contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, sempre in riferimento all'art. 216 L. Fall., art. 43 c.p. e art. 192 c.p.p. e al reato di cui al capo A).
Secondo il ricorrente, se è pur vero che ai fini del reato di bancarotta è sufficiente il dolo generico e la consapevolezza che la propria condotta espone a rischio la garanzia patrimoniale dei creditori sociali, era altrettanto vero che al momento dell'incendio, posto in essere ai fini di tentare un truffa assicurativa, i creditori sociali ancora non esistevano e l'imputato neppure si era posto il quesito di un loro pregiudizio.
2.3. Con il terzo motivo proposto ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) il ricorrente lamenta inosservanza o erronea applicazione della legge penale e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in riferimento agli art. 216 L. Fall., artt. 43 e 83 c.p. e art. 192 c.p.p., sempre con riferimento al reato di cui al capo A).
L'incendio finalizzato alla truffa nel 2003, nel contesto di una società priva di assilli economici, non poteva produrre una sorta di progressione naturale e prevedibile nel 2005 sino alla bancarotta fraudolenta, che sarebbe stata semmai la conseguenza di una condotta superficiale e colposa.
2.4. Con il quarto motivo proposto ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) il ricorrente lamenta mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in riferimento agli art. 217, comma 2 e art. 224 L. Fall., e art. 192 c.p.p. e al reato di cui al capo B).
Il ricorrente con i motivi di appello aveva sostenuto che vi era prova insufficiente e contraddittoria in ordine alla mancanza della documentazione, avendo il Curatore dichiarato di non sapere se quanto mancante fosse stato consegnato al consulente contabile per la pratica di recupero del credito IVA presso l'Agenzia delle Entrate; la Corte non aveva fornito alcuna motivazione sul punto appoggiandosi a una motivazione meramente apparente.
2.5. Con il quinto motivo proposto ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) il ricorrente lamenta violazione di legge vizio motivazionale in ordine agli artt. 220 e 226 L. Fall. e art. 192 c.p.p. ancora con riferimento al reato di cui al capo B).
Il ricorrente assume che lo stesso ragionamento articolato con i primi tre motivi valeva anche per il reato di cui al capo B); inoltre dopo l'incendio del 2003 non era stata espletata più alcuna attività e i libri non potevano esserci per gli anni 2004 e 2005 poichè l'attività era cessata con l'incendio e con la mancata percezione dell'introito della tentata truffa assicurativa.
2.6. Con il sesto motivo proposto ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio motivazionale in relazione agli artt. 220 e 226 L. Fall. e art. 192 c.p.p.: con i motivi di appello era stata sostenuta la tesi dell'assorbimento quanto al reato di cui al capo C) e la Corte aveva risposto fuori tema, poichè, una volta accertata la mancata tenuta delle scritture contabile, risultava inesigibile l'obbligo di consegnarle.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I primi tre motivi sono strettamente connessi e possono essere esaminati congiuntamente.
Con il primo, infatti, il ricorrente deduce violazione di legge con riferimento al reato di cui al capo A), assumendo che l'incendio doloso era stato appiccato nel 2003 quando la società versava ancora in buone condizioni economiche, mentre il fallimento era stato dichiarato solo il (OMISSIS), con la conseguente insussistenza dell'elemento psicologico del reato fallimentare; con il secondo motivo il ricorrente lamenta allo stesso proposito vizio motivazionale, in ordine al ravvisato dolo generico del reato di bancarotta fraudolenta, consistente nella consapevolezza che la propria condotta espone a rischio la garanzia patrimoniale dei creditori sociali, poichè al momento dell'incendio e della tentata truffa assicurativa, i creditori sociali non esistevano ancora; con il terzo motivo il ricorrente ulteriormente lamenta violazione di legge e vizio motivazionale poichè l'incendio finalizzato alla truffa nel 2003, nel contesto di una società priva di assilli economici, non poteva produrre una sorta di progressione naturale e prevedibile sino al disseto concretatosi nel 2005.
I motivi così sviluppati appaiono manifestamente infondati.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, richiamato dalla sentenza impugnata e dallo stesso ricorrente, in tema di elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale è sufficiente la consapevole volontà di imprimere al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (ex plurimis: Sez. 5, n. 33268 del 08/04/2015, Bellocchi, Rv. 26435401; Sez. 5, n. 51715 del 05/11/2014, Rebuffo, Rv. 26173901; Sez. 5, n. 35093 del 04/06/2014, P.G. in proc. Sistro, Rv. 26144601; Sez. 5, n. 40981 del 15/05/2014, Giumelli, Rv. 26136701). Secondo tale orientamento giurisprudenziale con il reato di bancarotta fraudolenta, propria e impropria, la legge punisce "l'imprenditore che ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato" e non già l'imprenditore che ha cagionato il fallimento; si intende infatti reprimere la condotta distrattiva per la sua pericolosità per la tutela del bene giuridico protetto, anche prima dell'intervento del giudice che emette la sentenza di fallimento, a tutela degli interessi della massa dei creditori pregiudicati dall'ingiustificato depauperamento della funzione di garanzia del patrimonio dell'imprenditore o della società. La condotta peculiare e connotativa del reato, di mera condotta e di pericolo, di bancarotta fraudolenta patrimoniale è costituita da quei comportamenti descritti nella norma, idonei a porre in pericolo gli interessi dei creditori. In definitiva, quindi, l'elemento soggettivo del reato va colto nella consapevole volontà di imprimere al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alle finalità dell'impresa e di compiere atti suscettibili di arrecare danno ai creditori. Di qui la definizione del dolo generico del reato in termini di consapevolezza e volontà di determinare, col proprio comportamento distrattivo o dissipativo, un "pericolo di danno per i creditori" non essendo sufficiente la sola consapevolezza e volontà del fatto distrattivo.
L'assunto in fatto proposto dal ricorrente a supporto della propria argomentazione è totalmente apodittico e quindi aspecifico, visto che non indica da quali atti processuali opportunamente indicati ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), emergerebbe la prova delle buone condizioni economiche della società al momento in cui nel 2003 il ricorrente aveva appiccato l'incendio doloso nell'intento di frodare la propria assicurazione.
Per altro verso, appare evidente che la totale distruzione del locale ove veniva esercitata l'attività aziendale e di tutti i beni e le attrezzature della società comportava l'annichilazione del patrimonio e quindi della garanzia da questo apprestata alle ragioni di terzi e creditori ex art. 2740 c.c., evento questo che non poteva non essersi rappresentato e al contempo accettato per l'eventualità, per non dire la certezza, del suo verificarsi, colui che si accingeva ad appiccare l'incendio allo stabilimento, sia pur auspicando di conseguire per effetto di tale condotta un illecito vantaggio economico in danno della compagnia assicuratrice, in concreto naufragato (come rimarcato dalla Corte territoriale a pagina 5, primo periodo, della sentenza impugnata).
V'è da aggiungere che anche a questo proposito, la circostanza implausibile della totale inesistenza di creditori sociali il (OMISSIS) è meramente prospettata da parte del ricorrente, senza indicare, come sarebbe stato necessario ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), gli atti processuali che fornirebbero la prova asseritamente travisata. Parimenti, anche il fatto che l'incendio truffaldino del (OMISSIS) fosse stato provocato quando la società era economicamente sana non è comprovato da alcuna evidenza processuale, opportunamente allegata. Al contrario, la sentenza di primo grado, conforme a quella d'appello, ha ritenuto inverosimile tale circostanza, non suffragata automaticamente dalla affermata esistenza di un credito IVA per Euro 23.000,00=, e comunque contrastante sia con l'intento dell'imputato di truffare l'assicurazione, interpretato come segno evidente di malessere dell'attività aziendale, sia con la cessazione di fatto delle attività successivamente all'incendio.
Il fatto che vi sia stata una progressione naturale e prevedibile sino al fallimento del 2005 sembra del tutto naturale e scontato poichè con l'incendio è stato distrutto l'intero complesso aziendale senza incassare alcun indennizzo assicurativo.
In ogni modo, nella struttura del reato di bancarotta fraudolenta, nel caso per distruzione, la dichiarazione di fallimento (e il dissesto che la determina) entra a far parte della struttura del reato come elemento costitutivo o addirittura come vera e propria condizione oggettiva di punibilità secondo il più recente arresto giurisprudenziale di questa Sezione (Sez. 5, udienza 8/2/2017, Santoro), ma non certamente come evento naturalistico dell'attività depauperativa, sicchè l'elemento soggettivo del reato va colto nella consapevole volontà di imprimere al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alle finalità dell'impresa e di compiere atti suscettibili di arrecare danno ai creditori (da ultimo Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli e altro, Rv. 26680501).
Quanto al richiamo, comunque generico, all'art. 83 c.p., in tema di aberratio delicti, manca una idonea e specifica censura della motivazione della Corte di appello, secondo la quale l'evento storicamente verificatosi era unico, ovvero l'incendio del locale e la distruzione delle merci ivi contenute, anche se con la medesima azione si perseguiva l'intento diverso di frodare l'assicurazione, e indirettamente (anche a costo di) quello di vanificare, attraverso la distruzione dei beni aziendali, le ragioni dei creditori, senza che vi fosse stato alcun errore nell'uso dei mezzi di esecuzione del reato, nè si fosse cagionato un evento diverso da quello voluto.
2. Con il quarto motivo il ricorrente deduce vizio motivazionale, con riferimento al reato di cui al capo B), relativo alla bancarotta semplice documentale.
Il ricorrente lamenta la mancata risposta alla propria censura svolta con l'appello in ordine alla prova insufficiente e contraddittoria circa la mancanza della documentazione, poichè il Curatore aveva dichiarato di non sapere se quel che mancava era stato consegnato al consulente contabile per la pratica di recupero del credito IVA presso l'Agenzia delle Entrate.
La censura non coglie il segno.
Il reato è stato contestato con riferimento alla mancata tenuta del libro giornale nel periodo dal (OMISSIS) (e quindi in data successiva all'incendio) e del libro inventari negli anni 2002 e 2003 (e quindi in parte prima e in parte dopo l'incendio).
A prescindere dal fatto che la Corte territoriale ha evidenziato che, almeno per i libri anteriori al (OMISSIS), la contestazione della bancarotta semplice si risolveva in favore dell'imputato, che ben avrebbe potuto essere chiamato a rispondere del più grave reato di bancarotta fraudolenta documentale per il fatto della loro distruzione, il motivo sembrerebbe attenere alla consegna della documentazione mancante al consulente contabile per curare una pratica di recupero IVA.
Il ricorrente, anche in questo caso, propone la doglianza in modo a-specifico, senza indicare da quale atto processuale consterebbe la dichiarazione attribuita al Curatore; e tuttavia, anche concedendo al ricorrente la veridicità della circostanza non documentata, la conclusione non muta, poichè, secondo lo stesso ricorrente, il Curatore si sarebbe limitato a dire di ignorare, del tutto comprensibilmente, un fatto a cui era del tutto estraneo e che semmai avrebbe dovuto essere l'imputato ad allegare compiutamente e a dimostrare.
3. Con il quinto motivo il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio motivazionale, ancora con riferimento al reato di cui al capo B).
Il ricorrente assume che lo stesso ragionamento articolato con i primi tre motivi, afferenti il reato sub A), valga anche per il reato di cui al capo B), ma tale considerazione appare in gran parte oscura e certamente non condivisibile.
L'accusa sub A) riguardava la distruzione del patrimonio aziendale avvenuta per frodare l'assicurazione, con accettazione del (sicuro) rischio di pregiudicare la garanzia patrimoniale dei creditori; l'accusa sub B) riguardava la mancata tenuta di libri e scritture contabili obbligatorie, in gran parte riferibili al periodo successivo all'incendio.
Per quel che riguarda la limitata parte della contestazione relativa alle scritture anteriori al (OMISSIS) (libro inventari) per le argomentazioni proposte con i primi tre motivi valgono le risposte illustrate nel p. 1: ossia quando l' I. ha distrutto le scritture per frodare l'assicurazione, nondimeno ha accettato il rischio certo di compromettere anche la loro funzione informativa a tutela dei creditori.
Per quel che riguarda la mancata tenuta delle scritture successivamente all'incendio, la totale inattività, comunque meramente allegata, non esonerava comunque l'impresa dalla tenuta dei libri, il cui obbligo cessa esclusivamente con la dichiarazione di fallimento. Infatti " L'obbligo di tenere le scritture contabili non viene meno se l'azienda non abbia formalmente cessato l'attività, anche se manchino passività insolute, ma viene meno solo quando la cessazione dell'attività commerciale sia formalizzata con la cancellazione dal registro delle imprese." (Sez. 5, n. 20911 del 19/04/2011, Gaiero e altro, Rv. 25040701; Sez. 5, n. 15516 del 11/02/2011, Di Mambro, Rv. 25008601; Sez. 5, n. 35168 del 11/07/2005, Scoyni, Rv. 23257201).
4. Con il sesto motivo proposto ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio motivazionale, quanto al reato di cui al capo C), in considerazione della risposta fuori tema offerta dalla Corte alla tesi dell'assorbimento nel reato di cui al capo B), sostenuta con i motivi di appello: una volta accertata la mancata tenuta delle scritture contabile risultava inesigibile l'obbligo di consegnarle al Curatore.
Il ricorrente invoca un principio esatto ma in modo non pertinente al caso concreto.
Un risalente orientamento giurisprudenziale di legittimità riteneva che, una volta intervenuta la sentenza dichiarativa di fallimento, il fallito subisse le conseguenze della mancata tenuta dei libri e delle altre scritture contabili, così come subiva la conseguenza del mancato deposito del bilancio, non potendo assurgere a fattore esimente la perpetrazione di un precedente illecito; pertanto l'omessa tenuta dei libri contabili prescritti dalla legge non poteva valere come causa impeditiva della formazione del bilancio e del deposito delle scritture di cui all'art. 16 L. Fall., così come l'omesso deposito del bilancio e delle altre scritture contabili obbligatorie non poteva nemmeno considerarsi continuazione della condotta antigiuridica del reato di bancarotta documentale semplice, dovendo essere punita come reato autonomo.
Secondo tale orientamento i reati previsti dall'art. 217, n. 2 e art. 220, in relazione al R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 16, n. 3, potevano concorrere tra loro e con i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, previsti dallo stesso decreto, in quanto tali reati hanno elementi costitutivi distinti e separati e tutelano ciascuno un autonomo interesse, non sussistendo sul punto un divieto normativo (Sez. 5, n. 14605 del 25/02/1977, Marzollo, Rv. 13734301; Sez. 5, n. 17557 del 19.12.1972, Mansoni, rv. 123402).
Tale orientamento è stato superato da un più moderno ed ormai consolidato filone giurisprudenziale, secondo cui la previsione di cui all'art. 217 L. Fall. che punisce l'omessa tenuta dei libri e delle scritture contabili, ricomprende in sè come norma di più ampia portata la cui sanzione, più grave, esaurisce l'intero disvalore oggettivo e soggettivo delle condotte di riferimento - anche la previsione di cui all'art. 220, e art. 16, n. 3 della medesima legge, e ciò in quanto, una volta accertata la mancata tenuta delle scritture, risulta inesigibile l'obbligo, da queste ultime norme penalmente sanzionato, di consegna delle stesse al curatore fallimentare (cfr. Sez. 5, 17/02/2011, n. 13550, D. F., rv. 250211; Sez. 5, n. 42260 del 08/06/2006, Di Meo, Rv. 23536001; Sez. 5, 05/12/2005, n. 5504, rv. 233756). Anche l'inosservanza dell'obbligo di deposito delle scritture contabili è stata ritenuta assorbita dalla fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale, commessa mediante sottrazione del compendio contabile, risultando del tutto omogenea la struttura e l'interesse sotteso ad entrambe le figure di reato, ma più specifica, in ragione dell'elemento soggettivo, la seconda (cfr.Cass., sez. 5, 02/12/2010, n. 4550, F. rv. 249261; Sez. 5, n. 13550 del 17/02/2011, Di Feo, Rv. 25021101; Sez. 5, n. 2809 del 12/11/2014 - dep. 2015, Ronchese, Rv. 26258901).
Questa Corte ha però ravvisato un preciso limite a tale fenomeno di assorbimento del reato di inosservanza dell'obbligo di deposito delle scritture contabili, previsto dalla L. Fall., art. 220 e art. 16, n. 3, in quelli di bancarotta fraudolenta documentale, di cui all'art. 216, comma 1, n. 2), L. Fall. e di bancarotta semplice documentale, di cui all'art. 217, comma 2, L. Fall. ammettendone il concorso tutte le volte in cui la condotta di bancarotta non consista nella sottrazione, distruzione ovvero nella mancata tenuta delle scritture contabili, ma nella tenuta irregolare o incompleta delle stesse ovvero in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari (Sez. 5, n. 49789 del 25/06/2013, Cinquepalmi e altro, Rv. 25782901).
A tal proposito, infatti, è stato osservato che "l'obbligo di deposito delle scritture contabili, se può considerarsi inesigibile nei casi in cui la bancarotta, semplice o patrimoniale, si sia concretizzata nella omessa tenuta ovvero nella distruzione o nella sottrazione delle scritture contabili, non può definirsi tale nel caso, come quello in esame, in cui queste ultime siano state invece tenute, ma in modo tale da non consentire la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari della società fallita. In tale evenienza, infatti, la messa a disposizione nei termini di legge delle scritture contabili agevola, comunque, l'attività degli organi del fallimento, che sulla base della documentazione ad essi consegnata saranno in grado di formulare una tempestiva e compiuta valutazione sulla situazione attiva e passiva dell'impresa, nonchè sulle eventuali responsabilità nella sua gestione da parte di chi in essa svolgeva i compiti di amministratore".
Nella specie, tuttavia, la contestazione elevata sub C) attiene esclusivamente al mancato deposito del bilancio sociale alla data del fallimento e non già al mancato deposito delle scritture distrutte nell'incendio o comunque non tenute, oggetto della contestazione sub B).
L'oggetto considerato nei due capi di imputazione è quindi diverso, con la conseguente esclusione del fenomeno dell'assorbimento; ne deriva che la risposta della Corte di appello, basata sulla distinzione fra il bilancio come comunicazione sociale per eccellenza volta a dar contezza interna ed esterna della situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società e le scritture contabili sulla base delle quali lo stesso è redatto, è puntuale ed appropriata.
5. L'inammissibilità del ricorso per cassazione preclude la possibilità di rilevare d'ufficio, ai sensi dell'art. 129 c.p.p. e art. 609 c.p.p., comma 2, l'estinzione del reato per prescrizione maturata in data anteriore alla pronuncia della sentenza di appello (nel caso quanto ai reati di cui capi B e C della rubrica), ma non rilevata nè eccepita in quella sede e neppure dedotta con i motivi di ricorso. (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015 - dep. 2016, Ricci, Rv. 26681801)
6. Il ricorso, proposto sulla base di motivi manifestamente infondati o inammissibili, va quindi dichiarato inammissibile; ne consegue la condanna del ricorrente ai sensi dell'art. 616 c.p.p. al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 2.000,00= in favore della Cassa delle ammende, così equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere il ricorrente in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. 13/6/2000 n.186).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00= a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2017.
Depositato in Cancelleria il 27 marzo 2017