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Reati fallimentari

Cash pooling e bancarotta tra società infragruppo: le condizioni per evitare il reato

Cash pooling e bancarotta tra società infragruppo: le condizioni per evitare il reato

Febbraio 2024 - Cassazione penale sez. V, 22/02/2024, n.23910

In materia di bancarotta tra società infragruppo, i pagamenti in favore della controllante non configurino necessariamente il reato di bancarotta e possano essere ricondotti all'operatività del contratto di cash pooling, ma a condizione che ne ricorra la formalizzazione e la puntuale regolamentazione dei rapporti giuridici ed economici interni al gruppo e che, dunque, i consigli di amministrazione delle società interessate abbiano deliberato il contenuto dell'accordo, definendone l'oggetto, la durata, i limiti di indebitamento, le aliquote relative agli interessi attivi e passivi e le commissioni applicabili.

Norme di riferimento

La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza in data 11 settembre 2023, la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Monza in data 4 aprile 2022 con la quale Te.Li. era stata condannata alla pena di 3 anni e 8 mesi di reclusione, con le pene accessorie di legge, in quanto riconosciuta colpevole, con le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti contestate, dei reati previsti dagli artt. 223, 216, comma 1, nn. 1 e 2, 219, comma 2, r.d. 16 marzo 1942, n. 267, perché, nella sua qualità di amministratrice unica della Fresia Srl dichiarata fallita dal Tribunale di Monza con sentenza del 12 gennaio 2016: con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, teneva i libri e le scritture contabili in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della società fallita; distraeva, eseguendo numerosi prelievi ingiustificati, la somma complessiva di 446.441,09 euro; distraeva, eseguendo ingiustificatamente numerosi bonifici ed emettendo assegni circolari a proprio favore, la somma complessiva di 421.003,30 euro; con l'aggravante di aver commesso più fatti tra quelli previsti dalla legge fallimentare; in Monza, il 12 gennaio 2016. 2. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione la stessa Te.Li. a mezzo del difensore di fiducia, avv. Davide Ventrella, deducendo cinque distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 2.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 216, comma 1, n. 2 e 217, comma 2, legge fall., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione al delitto di bancarotta documentale. Mentre il Giudice di primo grado aveva ritenuto sussistente la prima delle due ipotesi previste dall'art. 216, comma 1, n. 2, legge fall., delitto a dolo specifico, la Corte di appello ha ricondotto i fatti contestati nell'alveo della seconda ipotesi, punita a titolo di dolo generico, senza però affrontare direttamente quanto dedotto con i motivi d'appello in merito alla mancata dimostrazione che l'imputata avesse sottratto od occultato le scritture contabili con l'intento di rendere impossibile la ricostruzione delle vicende della società e da arrecare un grave pregiudizio ai creditori e in merito alla riqualificazione dei fatti nell'ipotesi di bancarotta semplice. 2.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 192,530, comma 2, 544,546 cod. proc. pen. e 216 e 217, 219 e 223 legge fall., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione al dolo della bancarotta fraudolenta patrimoniale, non avendo il Giudice di appello considerato correttamente le operazioni di cash pooling che miravano a fornire ad altre società del gruppo le risorse accumulate dalla società più capiente. Secondo la sentenza di primo grado, infatti, "(...) Fresia altro non è che una delle diverse società, tutte riferibili all'odierna imputata, aventi analogo oggetto sociale e caratterizzate dalla appartenenza a un gruppo - definito sinteticamente "gruppo Te.Li." - contrassegnato (...) da una holding". La motivazione della Corte di appello, nel ritenere che sarebbe dirimente l'assenza di una formalizzazione negoziale del ed. cash pooling, ometterebbe illogicamente di valutare la situazione della società e del gruppo nella sua interezza, senza considerarne quantomeno le ricadute sull'elemento soggettivo della bancarotta fraudolenta. Nel limitarsi a confermare la sentenza di primo grado, la Corte di appello avrebbe individuato dei sicuri indici di colpevolezza nelle dichiarazioni del curatore, le quali tuttavia contrasterebbero con il compendio probatorio acquisito, con violazione dell'art. 192 cod. proc. pen. Allo stesso modo, il Giudice di appello avrebbe violato l'art. 530, comma 2, cod. proc. pen., escludendo la sussistenza di un ragionevole dubbio circa l'affermazione di responsabilità del ricorrente, come riconosciuto anche dal Pubblico ministero in sede di requisitoria orale. 2.3. Con il terzo motivo, il ricorso denuncia, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione all'omessa motivazione circa la richiesta di riqualificare le condotte distrattive quale bancarotta semplice, avendo la Corte di appello motivato la richiesta soltanto in relazione alla bancarotta documentale. 2.4. Con il quarto motivo, il ricorso deduce, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 133,62-bis, 69 cod. pen., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione al mancato contenimento della pena base e alla mancata concessione delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle aggravanti, tenuto conto dell'atteggiamento processuale dell'imputata, che avrebbe reso un contributo apprezzabile alla rapida definizione della vicenda giudiziaria e sintomatico della maturata consapevolezza dell'illiceità della condotta contestata. 2.5. Con il quinto motivo, il ricorso lamenta, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 81 cod. pen. e 186 disp. att. cod. proc. pen., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla declaratoria di inammissibilità della richiesta, formulata con motivi nuovi e aggiunti all'atto d'appello ex art. 585, comma 4, cod. proc. pen., di riconoscimento della continuazione tra i reati oggetto di alcune sentenze. Secondo la difesa, esse sarebbero tutte passate in giudicato alla data di discussione dell'udienza in Corte di appello, benché per una di esse, la sentenza n. 2629 in data 28 marzo 2023 della Corte di appello di Milano, non fosse stata fornita l'attestazione del passaggio in giudicato. In realtà, dal momento che l'art. 186 disp. att. cod. proc. pen. dispone che "le copie delle sentenze o decreti irrevocabili, se non sono allegate alla richiesta prevista dall'art. 671 comma 1 del codice, sono acquisite d'ufficio", la Corte distrettuale avrebbe dovuto acquisire d'ufficio la sentenza in questione, su cui alla data di discussione dell'udienza in appello era già stata apposta l'attestazione di irrevocabilità. 3. In data 5 febbraio 2024 è pervenuta in Cancelleria una memoria a firma dell'avv. Ventrella, difensore dell'imputata, con la quale è stata prodotta copia della sentenza n. 2629 della Corte di appello di Milano datata 28 marzo 2023, recante l'attestazione di irrevocabilità sin dalla data del 27 luglio 2023. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto. 2. Il primo motivo è infondato. 2.1. Va premesso che i fatti di bancarotta documentale non sono controversi, essendo pacificamente emerso in dibattimento che il curatore non aveva potuto ricostruire la storia della società e le ragioni del fallimento a causa dell'assenza dei documenti e delle scritture contabili obbligatorie, che la stessa Te.Li. ha ammesso di non aver tenuto, con ciò chiaramente contribuendo a non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della fallita. 2.2. Quanto al profilo dell'elemento soggettivo, la difesa ha, invece, invocato la riqualificazione dei fatti in bancarotta documentale semplice, evidenziando come la stessa Corte territoriale avesse ritenuto, diversamente dal primo Giudice, che non sussistesse, nella specie, il dolo specifico. Tanto premesso, deve innanzitutto evidenziarsi che la bancarotta semplice e quella fraudolenta documentale si distinguono in relazione al diverso atteggiarsi dell'elemento soggettivo, che, ai fini dell'integrazione della prima fattispecie, prevista dall'art. 217, comma 2, legge fall., può essere indifferentemente costituito dal dolo o dalla colpa, ravvisabili quando l'agente ometta, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture contabili; e che, invece, ai fini della configurabilità del secondo delitto, previsto dall'art. 216, comma 1, n. 2), legge fall., deve essere individuato nel dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà dell'irregolare tenuta delle scritture e del fatto che tale circostanza renda impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell'imprenditore (Sez. 5, n. 2900 del 2/10/2018, dep. 2019, Pisano, Rv. 274630-01). 2.3. Nel caso di specie, la Corte secondo grado ha ritenuto sussistente l'ipotesi prevista dalla seconda parte dell'art. 216, comma 1, n. 2, consistente nella tenuta dei libri o delle scritture contabili in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, all'uopo ravvisando la sussistenza del dolo generico. Nel dettaglio, il Collegio di merito ha fondato tale accertamento a partire dal numero e dalla gravità delle irregolarità riferibili alla gestione dell'imputata, dall'arco temporale in cui le stesse si sono manifestate, nonché dalla durata della carica gestoria assunta dalla Te.Li. e dal ruolo preminente da costei rivestito all'interno della società, quale amministratore di diritto dalla sua costituzione al momento del fallimento. E dal momento che, in tale arco temporale, erano stati accertati dei cospicui prelevamenti di somme di denaro, occultati proprio attraverso l'omissione dei relativi dati contabili (cfr. ultimo capoverso di pag. 17 della sentenza impugnata), la sentenza impugnata è giunta a ritenere, in maniera non manifestamente illogica, che tali irregolarità contabili fossero funzionali proprio a impedire la ricostruzione delle illecite movimentazioni e l'avvenuto drenaggio delle risorse economiche della società. E una volta ritenuto configurabile il dolo generico in luogo del dolo specifico ravvisato dal primo Giudice, la Corte territoriale ha correttamente ritenuto che ciò non dovesse necessariamente comportare la riqualificazione del fatto alla stregua della bancarotta semplice documentale, come invece richiesto dalla difesa. 3. Il secondo e il terzo motivo sono inammissibili. 3.1. Quanto all'elemento psicologico del delitto di bancarotta per distrazione, la difesa svolta in sede di merito e ribadita con l'odierno ricorso assume che l'imputata avesse in realtà tentato di evitare il fallimento della società attraverso pagamenti infragruppo, secondo il sistema del ed. cash pooling, che ricorre quando le società che fanno parte di un medesimo gruppo (c.d. partecipants), con un atto negoziale sottoscritto da ciascuna di esse, accentrano in capo ad un unico soggetto giuridico (cd. pooler, generalmente individuato nella holding o nella finanziaria del gruppo) la gestione delle disponibilità finanziarie del gruppo, nell'ambito di una gestione unitaria e coordinata della tesoreria aziendale, che confluisce in un conto corrente unico e accentrato. Ciò al fine di fronteggiare eventuali squilibri delle singole realtà del gruppo anche attraverso forme di finanziamento delle sue società esposte sul piano debitorio o in crisi di liquidità, senza dover andare incontro ai costi legati agli interessi passivi da corrispondere agli istituti di credito e con un significativo decremento del carico fiscale in capo alle società. In questo modo, la gestione delle finanze delle singole imprese consente, invero, di compensare i saldi passivi di alcune società con i saldi attivi delle altre (così Sez. 5 n. 37062 del 24/05/2022, Lavina, in motivazione; Sez. 5, n. 34457 del 5/04/2018, Castiglioni, in motivazione). 3.1.1. In argomento, giova ricordare che la giurisprudenza di legittimità ha affermato come, in materia di bancarotta tra società infragruppo, i pagamenti in favore della controllante non configurino necessariamente il reato di bancarotta e possano essere ricondotti all'operatività del contratto di cash pooling, ma a condizione che ne ricorra la formalizzazione e la puntuale regolamentazione dei rapporti giuridici ed economici interni al gruppo (Sez. 5, n. 34457 del 5/04/2018, Castiglioni, Rv. 273625-01) e che, dunque, i consigli di amministrazione delle società interessate abbiano deliberato il contenuto dell'accordo, definendone l'oggetto, la durata, i limiti di indebitamento, le aliquote relative agli interessi attivi e passivi e le commissioni applicabili (Sez. 5, n. 39139 del 23/06/2023, Simeone, Rv. 285200-02). Inoltre si è, ulteriormente, affermato che il passaggio di risorse da una società ad un'altra, anche facente parte dello stesso gruppo, deve essere qualificato come distrazione rilevante in presenza di una situazione di conclamata sofferenza della società deprivata, quando non vi sia garanzia di restituzione dei valori trasferiti e al di fuori di un credibile programma di riassestamento del gruppo, rivolto a superare, prioritariamente, le problematiche dell'ente in sofferenza (Sez. 5, n. 22860 del 1/03/2019, Chiaro, Rv. 276634-01; in termini anche Sez. 5, n. 51473 del 24/09/2019, Falco, in motivazione). E ciò in quanto l'intera operazione di cash pooling può ritenersi inoffensiva in ragione dell'esistenza di compensazioni comunque realizzate per effetto della partecipazione della singola società apparentemente "depredata" al raggruppamento, secondo la logica dei vantaggi compensativi, essendovi evidenti benefici derivanti dal far parte di un gruppo di imprese legate da un rapporto di natura sinallagmatica (Sez. 5, n. 37062 del 24/05/2022, Lavina, Rv. 283661-02). In particolare, nell'affermare che una visione unitaria dei rapporti e dei saldi debba essere sostenuta, sul piano formale, da una precostituita e trasparente gestione finanziaria accentrata, e, sul versante sostanziale, dall'affermazione per cui una siffatta modalità di gestione sia funzionale alla massimizzazione della competitività delle società del gruppo, la giurisprudenza di legittimità ha individuato il necessario ricorso di una duplice condizione. In primis, i trasferimenti di risorse fra partecipants e pooler devono essere eseguiti in presenza di "una antecedente puntuale regolamentazione contrattuale dei rapporti interni al gruppo, dovendosi stipulare un contratto con indicazioni relative alle modalità e ai termini con cui i saldi dei conti correnti periferici delle consociate devono essere trasferiti al conto corrente accentrato, nonché alle modalità e ai termini entro i quali il pooler deve restituire la liquidità ricevuta sul conto accentrato di cui è titolare, e anche all'ammontare dei tassi in base ai quali maturano gli interessi attivi e passivi, sui crediti annotati nel conto comune, alle modalità con cui gli interessi verranno corrisposti ed all'eventuale commissione spettante al pooler per lo svolgimento dell'attività di tesoriere". In secondo luogo, l'accordo deve inscriversi all'interno della logica dei già ricordati c.d. vantaggi compensativi, propria dell'operatività di un gruppo di imprese, e in base alla quale operazioni che, isolatamente considerate, evidenziano margini di rischio per una persona giuridica, possono trovare giustificazione nei vantaggi che la medesima società riceve da scelte gestionali poste in essere a suo beneficio da altri enti del medesimo gruppo o dalla holding che dirige il raggruppamento di imprese (cosi Sez. 5, n. 37062 del 24/05/2022, Lavina, in motivazione e Sez. 5, n. 39139 del 23/06/2023, Simeone, in motivazione; sostanzialmente in termini Sez. 5, n. 34457 del 5/04/2018, Castiglione in motivazione). 3.1.2. Nel caso in esame, i Giudici di merito hanno evidenziato la totale assenza di prova circa l'utilizzo di tale sistema, non avendo la difesa prodotto alcun documento idoneo a comprovare l'esistenza del suddetto negozio di conto corrente intersocietario, con puntuale regolamentazione dei rapporti giuridici e economici interni al gruppo. E ponendo in evidenza che, in concomitanza con i prelievi bancari, Fresia Srl aveva continuato a mostrare una situazione di sofferenza economica, già emersa a partire dal 2008 (allorché erano emersi debiti per 561.000,00 euro), senza che vi fosse alcuna garanzia di restituzione dei valori trasferiti e al di fuori di un credibile programma di riassestamento del gruppo, volto a superare prioritariamente le problematiche dell'ente in sofferenza. Tali profili, invero, sono stati totalmente obliterati dal ricorso, che si è limitato a ipotizzare il venir meno del dolo per effetto della ritenuta convinzione, in capo all'imputata, che le varie operazioni distrattive rientrassero nel sistema del cash pooling. Un'affermazione, questa, che è stata, però, prospettata in maniera del tutto assertiva, senza nemmeno spiegare per quale ragione un soggetto che aveva esercitato, per anni, l'attività di gestione di una pluralità di società e che, dunque, aveva certamente acquisito una non modesta esperienza di imprenditore, potesse essere convinto della liceità di operazioni poste in essere senza rispettare le condizioni stabilite dall'ordinamento per escluderne il carattere distrattivo. Su tali premesse, anche il lamentato contrasto tra le dichiarazioni del curatore e il compendio probatorio acquisito, così come la violazione del canone dell'oltre ogni ragionevole dubbio circa l'affermazione di responsabilità dell'imputata si configurano come doglianze del tutto generiche, non supportate da adeguata esplicazione delle ragioni che le sostengono. 3.2. Quanto, infine, alle censure articolate con il terzo motivo di ricorso, con cui la difesa ha dedotto l'omessa motivazione circa la richiesta di ricondurre le condotte distrattive allo schema della bancarotta semplice ai sensi dell'art. 217, comma 1, nn. 3 e 4, legge fall., (relativi al caso in cui l'imprenditore "ha compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento" ovvero "ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa"), deve ritenersi che la sentenza impugnata abbia implicitamente ritenuto l'infondatezza della prospettazione contenuta nell'atto di appello. Ciò in quanto, una volta rimasta priva di conferma la tesi difensiva secondo cui i sistematici prelievi operati dall'imputata dai conti della Fresia Srl fossero giustificati dalle esigenze delle altre società del gruppo, i Giudici di merito hanno coerentemente concluso nel senso della natura distrattiva delle operazioni in questione, rimaste sostanzialmente sine causa. 4. Il quarto motivo è anch'esso infondato. 4.1. Quanto all'entità del trattamento sanzionatorio, va premesso che in sede di concreta commisurazione della pena, il giudice esercita, alla stregua di una valutazione globale degli indici di commisurazione di cui all'art. 133 cod. pen., un ampio potere discrezionale che si sottrae, in quanto riconducibile ad apprezzamento di merito, a qualunque sindacato da parte del giudice di legittimità, fatto salvo l'ordinario controllo sulla congruità della motivazione. A questo proposito, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che l'applicazione di una pena base in misura pari o superiore alla media edittale richiede una specifica indicazione dei criteri soggettivi e oggettivi elencati dall'art. 133 cod. pen., valutati e apprezzati tenendo conto della funzione rieducativa, retributiva e preventiva della pena (Sez. 3, n. 10095 del 10/1/2013, Monterosso, Rv. 255153-01); mentre, al contrario, tutte le volte in cui la scelta del giudice risulti contenuta, come avvenuto nel caso in esame, in una fascia "medio bassa" rispetto al regime edittale della pena, non è neppure necessaria una specifica motivazione (Sez. 4, n. 41702 del 20/9/2004, Nuciforo, Rv. 230278-01). Fermo restando che, in tali casi, è comunque sufficiente "il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all'art. 133 cod. pen." (Sez. 4, n. 46412 del 5/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283-01), ovvero l'utilizzo di espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (Sez. 2, n. 36245 del 26/6/2009, Denaro, Rv. 245596-01). Nel caso di specie, la Corte territoriale, nel determinare una pena base che si discostava dal minimo edittale di soli otto mesi, ha adeguatamente motivato la propria decisione attraverso la condivisione della valutazione del primo Giudice secondo cui la condotta tenuta dall'imputata non poteva ritenersi di modesta rilevanza, tenuto conto sia delle gravi irregolarità delle scritture contabili acquisite e delle conseguenti difficoltà incontrate dal curatore nella loro ricostruzione, sia dei prelievi dalle casse sociali, mai reintegrati, che avevano condotto la fallita a uno stato irreversibile di insolvenza e a un significativo danno al fallimento. 4.2. Quanto, poi, al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle aggravanti, va premesso che il giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell'equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/2/2010, Contaldo, Rv. 245931-01). Condizione, questa, che deve ritenersi riscontrata nella specie, avendo la Corte territoriale sottolineato come il comportamento processuale dell'imputata sia stato valutato dal primo Giudice nel riconoscere il regime di equivalenza con la contestata aggravante, ostando al giudizio di prevalenza la negativa personalità dell'imputata suggerita dal certificato del casellario giudiziale in atti, attestante l'esistenza, a suo carico, di plurime condotte per reati specifici. 5. Con l'ultimo motivo, infine, la difesa si duole della mancata acquisizione d'ufficio della sentenza n. 2629 emessa in data 28 marzo 2023 dalla Corte di appello di Milano, con la quale era stata riconosciuta la continuazione tra i fatti oggetto di tale pronuncia e i reati oggetto della sentenza n. 4938/2022 della Corte di appello di Milano, che a sua volta aveva riconosciuto la continuazione tra i relativi reati e quelli oggetto della sentenza n. 984/2021, che, a sua volta, aveva riconosciuto la continuazione di essi con i reati oggetto della sentenza n. 2025/2019 della Corte di appello di Milano. La Corte di appello, investita della questione con i motivi aggiunti ex art. 585, comma 4, cod. proc. pen., ha ritenuto inammissibile la richiesta, censurando l'omessa produzione, da parte della difesa, dell'attestazione dell'avvenuta irrevocabilità della pronuncia. Osserva, sul punto, il Collegio che l'accertamento del vincolo della continuazione è necessariamente condizionato alla irrevocabilità della sentenza avente ad oggetto i fatti cui la richiesta si riferisce, rispetto alla quale l'imputato ha un onere di adeguata allegazione, essendo tenuto ad indicare non solo la condanna per il reato rispetto al quale viene sollecitato il riconoscimento della continuazione, ma anche ad indicare tutti gli elementi necessari a giustificare l'affermazione del vincolo stesso. Correttamente, dunque, la Corte di appello, dopo avere verificato che la sentenza n. 2629 del 2023 non risultava dal certificato del casellario giudiziale aggiornato, ha ritenuto che la difesa non avesse offerto alcuna dimostrazione dell'avvenuta irrevocabilità della pronuncia; e, su tale presupposto, ha ritenuto che l'istanza di continuazione fosse, allo stato, inammissibile, ben potendo l'istanza essere riproposta in sede esecutiva. 6. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in data 22 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 14 giugno 2024.
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