Circostanze generiche: sulla valutazione, ai fini della graduazione della pena, di elementi e circostanze non espressamente previsti e tipizzati
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Cassazione penale sez. III, 29/02/2024, (ud. 29/02/2024, dep. 12/03/2024), n.10239

L'art. 62 bis, primo comma, cod. pen. individua le circostanze attenuanti generiche che possono essere prese in considerazione dal giudice al fine di diminuire la pena innanzitutto con una definizione in negativo rispetto alle circostanze attenuanti comuni già considerate dal legislatore: "il giudice, indipendentemente dalle circostanze previste nell'articolo 62, può prendere in considerazione altre circostanze diverse...", donde l'affermato carattere residuale, atteso che con tale disposizione si è introdotta nel sistema penale la possibilità di valutare, ai fini della graduazione della pena, elementi e circostanze non espressamente previsti e tipizzati che solo per questa via trovano accesso nel sistema.

La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 4 marzo 2022, la Corte di appello di Napoli, accogliendo parzialmente il gravame proposto da Am.Lu., confermandone la penale responsabilità, affermata in esito a giudizio abbreviato, per tre reati continuati ricondotti alla violazione dell'art. 73, comma 1, T.U. stup., ha ridotto ad anni 14 di reclusione la pena inflitta in primo grado quale rideterminazione del complessivo trattamento sanzionatorio riferito anche ad ulteriori reati in materia di stupefacenti, giudicati con altra sentenza irrevocabile, ritenuti avvinti dalla continuazione con quelli sub iudice.

2. Avverso la sentenza, a mezzo del difensore fiduciario, l'imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando, con il primo motivo, la violazione della legge processuale e l'omessa pronuncia su specifiche censure proposte con l'appello anche con riguardo alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, all'applicazione dell'art. 73, comma 5, T.U. stup. ed alla circostanza attenuante speciale di cui all'art. 73, comma 7, T.U. stup.

3. Con il secondo motivo si deducono inosservanza dell'art. 649 cod. proc. pen. e motivazione meramente apparente sull'eccepita violazione del principio del ne bis in idem per essere l'imputato già stato giudicato - con la sentenza irrevocabile sulla cui pena era stato quantificato l'aumento per la continuazione -anche per i medesimi reati qui sub iudice. Il processo già definito - si allega -era nato da uno stralcio della medesima, unica, indagine ed identico era il materiale investigativo confluito nei due procedimenti.

4. Con il terzo motivo di ricorso si lamentano la violazione dell'art. 62 bis cod. pen. e l'apparenza ed illogicità della motivazione sul diniego delle invocate circostanze attenuanti generiche, non essendo stato in alcun modo valutato il comportamento processuale post delictum, ed in particolare il radicale mutamento di vita che aveva condotto l'imputato a divenire collaboratore di giustizia ed a riferire all'autorità giudiziaria tutto quanto a propria conoscenza in ogni occasione in cui era stato interrogato o esaminato.

5. Con il quarto motivo si lamentano la violazione degli artt. 133 e 81 cod. pen. per non aver la Corte territoriale scorporato gli aumenti di pena determinati a titolo di continuazione con la menzionata sentenza irrevocabile per poi procedere, con riguardo a ciascuno dei reati satelliti, alla determinazione dei singoli aumenti sulla pena determinata per il più grave reato.

Si lamenta, inoltre, l'incomprensibilità dei criteri seguiti per la determinazione degli aumenti praticati a titolo di continuazione per i reati qui sub iudice, apparendo gli stessi eccessivi (anche con riguardo all'entità degli aumenti determinati per i reati satelliti dalla sentenza irrevocabile), non comprendendosi in quale misura era stata applicata la circostanza attenuante di cui all'art. 73, comma 7, T.U. stup. e ben potendosi applicare, come richiesto con l'appello, anche la diminuente, con la prima cumulabile, oggi codificata nell'art. 416 bis. 1, terzo comma, cod. pen.

6. Con l'ultimo motivo di ricorso si lamenta la violazione degli artt. 29 e 32 cod. pen. per essere state confermate le pene accessorie dell'interdizione legale a dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici benché l'aumento di pena inflitto per i reati oggetti del presente procedimento fosse stato limitato a soli due anni di reclusione.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile per assoluta genericità, non essendo state in alcun modo specificate - in detto motivo, e salvo quanto più oltre si dirà analizzando i motivi terzo e quarto - quali doglianze, proposte con l'appello, non avrebbero avuto risposta.

Va qui ribadito, difatti, il principio secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione i cui motivi si limitino a lamentare l'omessa valutazione, da parte del giudice dell'appello, delle censure articolate con il relativo atto di gravame, rinviando genericamente ad esse, senza indicarne il contenuto, al fine di consentire l'autonoma individuazione delle questioni che si assumono irrisolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità, dovendo l'atto di ricorso contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica (Sez. 3, n. 35964 del 04/11/2014, dep. 2015, B. e a., Rv. 264879; Sez. 3, n. 8065 del 21/09/2018, dep. 2019, C., Rv. 275853-02; Sez. 2, n. 13951 del 05/02/2014, Caruso, Rv. 259704; Sez. 2, n. 9029 del 05/11/2013, dep. 2014, Mirra, Rv. 258962).

2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza e genericità.

2.1. In diritto va premesso che nella giurisprudenza di questa Corte è consolidato l'orientamento secondo cui, ai fini della preclusione connessa al principio ne bis in idem, l'identità del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona (Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005, Donati e a., Rv. 231799). La preclusione non opera, invece,, ove tra i fatti già irrevocabilmente giudicati e quelli ancora da giudicare sia configurabile un'ipotesi di concorso formale di reati, potendo in tal caso la stessa fattispecie essere riesaminata sotto il profilo di una diversa violazione di legge, fatta salva l'ipotesi in cui nel primo giudizio sia stata dichiarata l'insussistenza del fatto o la mancata commissione di esso da parte dell'imputato, poiché in questo caso l'evento giuridico considerato successivamente si pone in rapporto di inconciliabilità logica con il fatto già giudicato (Sez. 3, n. 50310 del 18/09/2014, Scandroglio, Rv. 261516; Sez. 3, n. 25141 del 15/04/2009, Ferrarelli, Rv. 243908). Quanto ai rapporti tra reato associativo e reati-fine, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, non può invocarsi il principio del ne bis in idem quando la partecipazione all'associazione venga desunta anche dalla commissione di altro reato per il quale sia già intervenuta condanna definitiva - ovvero, reciprocamente, quando il giudicato sia sceso sul delitto associativo e si proceda separatamente per il reato-fine - in quanto l'inammissibilità di un secondo giudizio impedisce al giudice di procedere contro lo stesso imputato per il medesimo fatto, già giudicato con sentenza irrevocabile, ma non gli preclude di prendere in esame lo stesso fatto storico e di valutarlo liberamente ai fini della prova di un diverso reato (Sez. 1, n. 3182.8 del 20/06/2018, dep. 2019, Rv. 276719-02; Sez. 2, n. 26725 del 01/03/2013, Natale e aa., Rv. 256724).

2.2. Facendo buon governo di tali principi, la sentenza impugnata attesta che, pur avendo la pronuncia divenuta definitiva accertato la responsabilità dell'imputato per reati connessi, tra cui il delitto associativo previsto dall'art. 74 T.U. stup., non aveva invece riguardato gli specifici addebiti contestati nei tre capi di imputazione formulati nel presente procedimento.

Il ricorso - in ciò irrimediabilmente generico - non si confronta con questa attestazione e si limita ad affermare che i reati qui ascritti sarebbero "speculari alle contestazioni già effettuate nel processo Acerra ed altri ed ove è stata riportata condanna anche per i medesimi reati fine". In spregio al principio di autosufficienza del ricorso, tuttavia, il ricorrente nulla aggiunge a tale lapidaria asserzione, smentita dall'accertamento del giudice di merito, e non trascrive nel ricorso - né allo stesso allega - le imputazioni formulate nel separato procedimento già definito per dimostrare l'assunto, così rendendo impossibile a questa Corte ogni valutazione.

3. Il terzo motivo di ricorso è infondato.

3.1. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema di circostanze attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899).

Del resto, premesso che in tema di attenuanti generiche, la meritevolezza dell'adeguamento della pena, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni del fatto o del soggetto, non può mai essere data per presunta, ma necessita di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio (Sez. 1, n. 46568 del 18/05/2017, Lamin, Rv. 271315), quando la relativa richiesta non specifica gli elementi e le circostanze che, sottoposte alla valutazione del giudice, possano convincerlo della fondatezza e legittimità dell'istanza, l'onere di motivazione del diniego dell'attenuante è soddisfatto con il solo richiamo alla ritenuta assenza dagli atti di elementi positivi su cui fondare il riconoscimento del beneficio (Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015, dep. 2016, Piliero, Rv. 266460).

3.2. Nel caso di specie, con l'appello l'imputato si era doluto dell'immotivato mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche da parte del primo giudice, invocate "al fine di adeguare la pena alla concreta entità del fatto ed alla personalità del reo", nonché "per la pronta e proficua collaborazione con la magistratura" - indice di seria resipiscenza - e "per il buon comportamento processuale".

3.3. La sentenza impugnata - reputa il Collegio - ha confermato la decisione del primo giudice con una motivazione corretta in diritto e non contraddittoria, né illogicamente argomentata.

La sentenza premette che l'attenuazione sanzionatoria connessa alla diminuente in parola "deve essere ancorata a precisi profili ambientali e comportamentali della vicenda, considerata nel suo complesso ed incastonata in un peculiare ambito cronologico, spaziale e storico, o anche ad aspetti della personalità del reo che lo rendano concretamente meritevole di attenuazione del rigore sanzionatorio". Applicando il riportato principio - corretto ed in linea con gli enunciati ermeneutici predicati in materia - essa valuta sfavorevolmente "la vita anteatta dell'imputato", reputando tale dato già sufficiente ad escludere il riconoscimento dell'invocato beneficio, ed aggiunge che nello stesso senso depongono "le modalità della condotta poste in essere dall'imputato ... sintomatiche di una spiccata propensione a delinquere dello stesso, tenuto conto in particolar modo del coinvolgimento di altri soggetti, del collegamento con questi ultimi e della sussistenza di una forma di organizzazione".

La motivazione, dunque, non è contradditoria, né insufficiente, avendo il giudice di merito - nella sua libera discrezionalità, in questa sede non sindacabile - ritenuto di dare prevalenza agli elementi concernenti la gravità del reato e, nell'ambito della valutazione della capacità a delinquere, ai precedenti penali ed alla condotta anteatta. È ben vero che non si valutata la condotta susseguente al reato - di cui, in altra parte, la sentenza dà conto, riferendo dell'importante collaborazione data dall'imputato all'accertamento dei fatti ascritti a sé medesimo come ad altri - ma, alla luce degli enunciati principi e di quanto immediatamente di seguito si dirà, la ritenuta soccombenza, nel complessivo giudizio, di quei pochi aspetti favorevoli della condotta susseguente al reato che già non sono stati presi in considerazione per riconoscere la circostanza attenuante di cui all'art. 73, comma 7, T.U. stup. non presta il fianco a critiche in questa sede di legittimità.

3.4. Occorre considerare, infatti, che la positiva condotta resipiscente e collaborativa successiva al reato è stata autonomamente valorizzata, e premiata, per riconoscere la circostanza attenuante ad effetto speciale da ultimo richiamata ed i profili di cui in ricorso si lamenta l'omessa considerazione sono sostanzialmente riconducibili a quest'ultima.

Rileva, al proposito, il Collegio che l'art. 62 bis, primo comma, cod. pen. individua le circostanze attenuanti generiche che possono essere prese in considerazione dal giudice al fine di diminuire la pena innanzitutto con una definizione in negativo rispetto alle circostanze attenuanti comuni già considerate dal legislatore: "il giudice, indipendentemente dalle circostanze previste nell'articolo 62, può prendere in considerazione altre circostanze diverse...", donde l'affermato carattere residuale, atteso che con tale disposizione si è introdotta nel sistema penale la possibilità di valutare, ai fini della graduazione della pena, elementi e circostanze non espressamente previsti e tipizzati che solo per questa via trovano accesso nel sistema (Sez. 4, n. 2288 del 29/01/1998, Reale, Rv. 210396). L'art. 62 bis, primo comma, cod. pen. aggiunge che la circostanza residuale "può anche concorrere con una o più delle circostanze indicate nel predetto articolo 62".

Posto che il riferimento fatto dalla norma alle circostanze attenuanti comuni di cui all'art. 62 cod. pen., stante la chiara valenza di principio generale, ben può essere esteso alle diminuenti previste da altre disposizioni, da esso si ricava l'ontologica differenza e l'autonomia concettuale tra le circostanze attenuanti comuni (o speciali) e quelle generiche di cui all'art. 62 bis cod. pen., con l'inevitabile conseguenza che laddove sussistano elementi che integrano le diverse ipotesi circostanziate le stesse concorrono, mentre se i fattori considerati sono idonei ad integrare una circostanza attenuante comune o speciale si deve comunque ritenere la sussistenza di quest'ultima, quand'anche - secondo una tesi non incontroversa - i medesimi elementi possano magari essere valorizzati, in un complessivo giudizio che deve tuttavia necessariamente prendere in considerazione ulteriori elementi non ancora valutati, pure al fine di concedere le circostanze attenuanti generiche.

Ed invero, dalla giurisprudenza di questa Corte sul punto, affermata a proposito del rapporto tra le circostanze attenuanti generiche e la circostanza attenuante ad effetto speciale oggi codificata nell'art. 416-bis.1, terzo comma, cod. pen. - con riguardo all'ipotesi del ravvedimento attuoso assai simile, per struttura, a quella prevista dall'art. 73, comma 7, T.U. stup. - emerge una linea interpretativa maggioritaria giusta la quale gli elementi posti a fondamento dell'attenuante ad effetto speciale non possono essere utilizzati per giustificare anche il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (Sez. 1, n. 7184 del 15/11/2022, dep. 2023, Prestieri, Rv. 284374; Sez. 6, n. 43890 del 21/06/2017, Aruta e aa., Rv. 271099; Sez. 6, n. 49820 del 05/12/2013, Billizzi e aa., Rv. 258136). Trattandosi di circostanze che si fondano su distinti e diversi presupposti, la ricorrenza dell'una non esclude, ma non necessariamente implica, il riconoscimento anche dell'altra (Sez. 2, n. 27808 del 14/03/2019, Furnari, Rv. 276111-02). Anche secondo l'orientamento giusta il quale gli elementi costitutivi di una circostanza attenuante, comune o speciale, possono essere valutati pure ai fini del più ampio giudizio che concerne il riconoscimento delle attenuanti generiche di cui all'art. 62 bis cod. pen. (Sez. 3, n. 10084 del 21/11/2019, dep. 2020, Solarino, Rv. 278535; Sez. 1, n. 9950 del 06/05/1994, Licata, Rv. 199739), è tuttavia necessario che queste ultime si giustifichino per qualche ragione ulteriore rispetto alla valutazione dei favorevoli elementi già considerati ai fini della prima, essendo invece consentito disattendere la richiesta quando l'elemento favorevole già valutato (per l'integrazione di altra attenuante, ovvero di una figura criminosa di minor gravità) costituirebbe la preponderante ragione per sorreggerne il riconoscimento (cfr., con riguardo al rapporto con la fattispecie di reato di lieve entità di cui all'art. 73, comma 5, T.U. stup., Sez. 3, n. 31832 del 04/05/2018, Ozzimo, Rv. 273763). Per quanto sopra osservato, è quel che è accaduto nel caso di specie.

4. Il quarto motivo di ricorso è per certi versi infondato e per altri inammissibile perché in parte proposto per motivi preclusi e per genericità.

4.1. Va innanzitutto disattesa la doglianza fondata sul mancato "scorporo" dei reati satelliti giudicati con la sentenza già divenuta definitiva e rispetto ai quali è stato in essa effettuato l'aumento a titolo di continuazione sul reato ritenuto più grave - quello associativo - come tale confermato anche rispetto ai reati ancora sub iudice. In primo luogo deve osservarsi come la giurisprudenza invocata in ricorso non sia pertinente perché riferita al diverso caso in cui lo scorporo dei reati riuniti nel vincolo della continuazione in sentenze passate in giudicato, ciascuna delle quali per più violazioni già unificate a norma dell'art. 81 cod. pen., si renda necessario ai fini della rideterminazione della pena in sede esecutiva, ciò che comporta l'individuazione del reato più grave e, sulla pena come determinata per quest'ultimo dal giudice della cognizione, la necessità di operare autonomi aumenti per i reati satellite, compresi quelli già riuniti in continuazione con il reato posto a base del nuovo computo (Sez. 1, n. 21424 del 19/03/2019, Scanferla, Rv. 275845; Sez. 5, n. 8436 del 27/09/2013, dep. 2014, Rv. 259030).

In secondo luogo - ed il rilievo à comunque assorbente - nel caso di specie, questo "scorporo" non era necessario poiché, una volta riconosciuta la violazione più grave nel delitto associativo già giudicato, con conseguente intangibilità della pena base per esso fissata, il giudice di merito di primo grado ha confermato gli aumenti per la continuazione fissati per i reati satelliti già giudicati, ritenendone implicitamente la congruità, ciò che lo stesso ricorrente non contesta, anzi, dolendosi del più elevato aumento praticato per i reati sub iudice, indica quei diversi, più contenuti, aumenti di pena quale risultato di un corretto esercizio del potere di dosimetria.

Va inoltre osservato che dalla sentenza non risulta - e il ricorrente non lo ha specificamente contestato - che con l'appello ci si era doluti della integrale conferma del trattamento sanzionatorio fissato per i reati già giudicati, sicché, in parte qua, la doglianza proposta in ricorso è in radice inammissibile per la preclusione di cui all'art. 606, comma 3, ult. parte, cod. proc. pen.

4.2. Quanto agli aumenti di pena individuati per i reati satelliti contestati nel presente processo, la determinazione di anni uno di reclusione di aumento per ciascun capo - operata dalla Corte territoriale in riduzione della maggior pena irrogata in primo grado - non è in questa sede censurabile.

Ed invero, il ricorrente al proposito lamenta che non sarebbero chiari i criteri utilizzati per la determinazione e che la stessa appare comunque eccessiva.

La quantificazione, tuttavia, è stata operata in sentenza con riferimento al profilo della "congruità", vale a dire con implicito richiamo dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen. e nella specie la motivazione è adeguata, tenendo conto che si tratta di aumenti non elevati, ben lontani, anche complessivamente considerati, non solo dal limite massimo pari al triplo della pena inflitta per il reato più grave, ma pure dall'aumento medio complessivo sulla base di tale limite individuabile.

Vale, invero, il principio giusta il quale la determinazione della pena tra il minimo ed il massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito (Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv. 256197), sicché può essere censurata in sede di legittimità soltanto sul piano del soddisfacimento dell'obbligo di motivazione, per assolvere il quale, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, basta il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all'art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv. 256197). È quindi sufficiente che il giudice di merito dia conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro e a., Rv. 271243). Del resto, in tema di reato continuato, il giudice di merito, nel calcolare l'incremento sanzionatorio in modo distinto per ciascuno dei reati satellite, non è tenuto a rendere una motivazione specifica e dettagliata qualora individui aumenti di esigua entità, essendo in tal caso escluso in radice ogni abuso del potere discrezionale conferito dall'art. 132 cod. pen. (Sez. 6, n. 44428 del 05/10/2022, Spampinato, Rv. 284005). Che, nella specie, l'aumento di pena di anni uno di reclusione per ciascun capo non fosse eccessivo, lo si ricava dalla considerazione degli elevati limiti edittali di pena previsti, tra l'altro per reati tutti aggravati, mentre è assolutamente generico, e comunque in alcun modo decisivo, il riferimento al minor aumento (pari, mediamente, a tre mesi di reclusione) effettuato per i reati satelliti giudicati dalla sentenza irrevocabile: per un verso, il ricorrente non specifica quali fossero le contestazioni in allora mosse, sicché questa Corte non può compiere al riguardo alcuna valutazione; per altro verso, trattandosi di aumenti che, ove ritenuti modesti, non si sarebbero potuti incrementare in sede d'appello proposto dal solo imputato, il confronto non potrebbe in alcun modo determinare una contraddizione nella struttura della sentenza impugnata.

4.3. Quanto al fatto che su ogni aumento non sia stata specificata l'incidenza della riconosciuta circostanza attenuante di cui all'art. 73, comma 7, T.U. stup., osserva il Collegio come si tratti di operazione non necessaria, peraltro nella specie coerentemente non seguita neppure con riguardo alle riconosciute circostanze aggravanti, non essendo neppure necessario, con riguardo alla determinazione della pena dei reati satelliti, operare il giudizio di bilanciamento di cui all'art. 69 cod. pen. (cfr. Sez. 1, n. 13369 del 13/02/2018, D'Agostino, Rv. 272567, secondo cui, nel reato continuato, il giudizio di comparazione fra circostanze trova applicazione con riguardo alle sole aggravanti ed attenuanti che si riferiscono al fatto considerato come violazione più grave, dovendo tenersi conto di quelle relative ai reati "satellite" esclusivamente ai fini dell'aumento di pena ex art. 81 cod. pen; conforme, Sez. 3, n. 26340 del 25/03/2014, Di Maggio e a., Rv. 260057).

4.4. Da ultimo, il riferimento al mancato riconoscimento della circostanza attenuante oggi contenuta nell'art. 416-ò/s.l, terzo comma, cod. pen. è assolutamente generico e non si confronta in alcun modo con la motivazione della sentenza impugnata, che ne ha escluso la sussistenza sul corretto rilievo che i reati sub iudice non rientrano tra quelli indicati nella disposizione, per i quali soltanto opera la diminuente in esame.

5. Il quinto motivo di ricorso è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza.

Ed invero, il ricorrente si limita a reiterate le doglianze già proposte con l'appello senza confrontarsi con la motivazione della sentenza impugnata, che, nel rigettare l'identico motivo di gravame, ha osservato come le pene accessorie previste ex lege dipendessero dal fatto che per il reato associativo più grave era stata applicata una pena detentiva superiore a cinque anni di reclusione, sicché la loro applicazione in sede di rideterminazione del complessivo trattamento sanzionatorio - peraltro disposta per una durata anche inferiore al dovuto quanto all'interdizione legale - si riferisce a quella violazione e non già agli aumenti di pena inflitti per i reati oggetto di contestazione nel presente processo.

6. Il ricorso, nel complesso infondato, dev'essere pertanto rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 29 febbraio 2029.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2024.

Circostanze generiche: sulla valutazione, ai fini della graduazione della pena, di elementi e circostanze non espressamente previsti e tipizzati

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