Concorso di reati e non assorbimento nell'ipotesi di alterazione del luogo di custodia di un bene seguito da violenza
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Cassazione penale sez. II, 10/01/2024, n.5887

Nel caso in cui il luogo di custodia di un bene venga alterato, danneggiato o distrutto seguito da violenza contro una persona, sussiste un concorso di reati e non una ipotesi di assorbimento secondo l'articolo 84 del codice penale tra il reato di danneggiamento e quello di tentata rapina impropria.

La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Milano, con sentenza in data 12 aprile 2023, confermava la pronuncia del medesimo tribunale del 29-9-2022 che aveva condannato Lo.Ot. alle pene di legge in quanto ritenuto colpevole dei delitti di tentata rapina e danneggiamento; il Lo.Ot., dopo avere infranto il deflettore di una autovettura, tentava di impossessarsi di una sacca custodita all'interno del mezzo, non riuscendovi per l'intervento della persona offesa, proprietario di entrambi i beni, nei cui confronti reagiva violentemente cercando di assicurarsi l'impunità. Da qui la contestazione di tentata rapina impropria, per avere cercato di impossessarsi dei beni della vittima senza riuscirvi per fatti indipendenti dalla propria volontà, e danneggiamento della autovettura per avere infranto il deflettore della stessa rendendolo inservibile.

2. Avverso detta sentenza proponeva ricorso il difensore dell'imputato, avv.to Abbondanza, deducendo, con distinti motivi qui riassunti ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.:

- violazione dell'art. 606 lett. b) cod. proc. pen. in relazione al mancato riconoscimento del concorso apparente di norme tra l'ipotesi di tentata rapina impropria e quella di danneggiamento contestata al capo b) della rubrica; invero l'ipotesi di cui all'art. 635 cod. pen. doveva ritenersi assorbita ex art. 15 cod. pen. nella fattispecie di cui agli artt. 56,628 cod. pen. comprendendo questa seconda ipotesi più grave anche la condotta di minore gravità e dovendosi fare applicazione del principio del ne bis in idem sostanziale;

- violazione di legge e difetto di motivazione quanto alla omessa applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis cod. pen. mancando qualsiasi argomentazione in ordine alla gravità dell'offesa ed alla condotta susseguente il reato;

- violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla omessa concessione delle circostanze attenuanti di cui agli artt. 62 n. 4 e 62 bis cod. pen..

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo, che deduce l'applicazione del principio di cui all'art. 15 cod. pen. al caso del concorso tra danneggiamento e rapina commessi in occasione del medesimo episodio criminoso, è infondato e deve, pertanto essere respinto. Il tema dedotto con la predetta doglianza riguarda la sussistenza di una ipotesi di concorso apparente dì norme ovvero del concorso di reati nel caso in cui nell'esecuzione delle modalità di consumazione di un fatto di rapina, nella specie tentata rapina impropria, l'agente abbia anche danneggiato uno o più beni appartenenti alla stessa vittima; i giudici di merito, con valutazione conforme, hanno escluso l'applicabilità della disciplina dettata dall'art. 15 cod. pen. sul presupposto della avvenuta consumazione del danneggiamento prima ed autonomamente rispetto all'aggressione alla persona avvenuta successivamente l'intervento della persona offesa. A fronte di tale soluzione il ricorso lamenta l'errata applicazione della legge penale poiché tra danneggiamento commesso nelle fasi esecutive di una rapina ed il delitto di cui all'art. 628 cod. pen. vi è assorbimento e non concorso.

1.1 Orbene, sul tema dell'individuazione del campo operativo dell'art. 15 cod. pen. e del concorso apparente di norme si registrano in primo luogo diversi interventi delle Sezioni Unite nel tempo, tutti rilevanti per la decisione della questione controversa; secondo una prima pronuncia (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010 Cc. (dep. 19/01/2011) Rv. 248864 - 01 imp. Giordano) in caso di concorso di norme penali che regolano la stessa materia, il criterio di specialità (art. 15 cod. pen.) richiede che, ai fini della individuazione della disposizione prevalente, il presupposto della convergenza di norme può ritenersi integrato solo in presenza di un rapporto di continenza tra le norme stesse, alla cui verifica deve procedersi mediante il confronto strutturale tra le fattispecie astratte configurate e la comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definirle. In motivazione la predetta pronuncia precisa che nell'ambito della problematica di più ampia portata del concorso apparente di norme l'ordinamento positivo è ispirato al principio di specialità, consacrato nell'art. 15 cod. pen., il quale prevede che "quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito". Si definisce tradizionalmente norma speciale quella che contiene tutti gli elementi costitutivi della norma generale e che presenta uno o più requisiti propri e caratteristici, che hanno appunto funzione specializzante, sicché l'ipotesi di cui alla norma speciale, qualora la stessa mancasse, ricadrebbe nell'ambito operativo della norma generale; è necessario, cioè, che le due disposizioni appaiano come due cerchi concentrici, di diametro diverso, per cui quello più ampio contenga in sé quello minore, ed abbia, inoltre, un settore residuo, destinato ad accogliere i requisiti aggiuntivi della specialità".

La stessa pronuncia aggiunge successivamente che ai fini della applicazione dei principi dettati dall'art. 15 cod. pen. la giurisprudenza prevalente e più recente prende posizione a favore di un raffronto meramente strutturale delle fattispecie considerate, prescindendo dall'analisi del fatto storico e abbandonando la soluzione di combinare criteri tra loro diversi (Sez. U, n. 35 del 13 dicembre 2000, dep. 15/01/2001, Sagone; Sez. U, n. 8545 del 18/12/2002, dep. 20/02/2003, Scuncia, Rv. 223395), ed afferma che il criterio di specialità "presuppone una relazione logico - strutturale tra norme. Ne deriva che la locuzione "stessa materia" va intesa come fattispecie astratta - ossia come settore, aspetto dell'attività umana che la legge interviene a disciplinare - e non quale episodio in concreto verificatosi sussumibile in più norme, indipendentemente da un astratto rapporto di genere a specie tra queste"; ed ancora si concludeva affermando che deve, pertanto, affermarsi che il criterio di specialità è da intendersi in senso logico-formale, ritenendo, cioè, che il presupposto della convergenza di norme, necessario perché risulti applicabile la regola sulla individuazione della disposizione prevalente posta dal citato art. 15, possa ritenersi integrato solo in presenza di un rapporto di continenza tra le stesse, alla cui verifica deve procedersi attraverso il confronto strutturale tra le fattispecie astratte rispettivamente configurate, mediante la comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definire le fattispecie stesse.

Già con la predetta pronuncia del 2010 imp. Giordano le Sezioni Unite, ai fini della distinzione tra concorso apparente di norme e concorso di reati, negavano ingresso al criterio della consunzione, secondo cui al di là del principio di specialità" il concorso materiale dei reati deve essere escluso "alla luce di una manifestata volontà normativa di valutare in termini di unitarietà le pur omogenee fattispecie così che lo scopo della norma che prevede un reato minore sia chiaramente assorbito da quello relativo ad un reato più grave, il quale esaurisca l'intero disvalore del fatto ed assorba l'interesse tutelato dall'altro, in modo che appaia con evidenza inammissibile la duplicità di tutela e di sanzione in relazione al principio di proporzione tra fatto illecito e pena, che ispira il nostro ordinamento, osservando che "i criteri di assorbimento e di consunzione sono privi di fondamento normativo, perché l'inciso finale dell'art. 15 cod. pen. allude evidentemente alle clausole di riserva previste dalle singole norme incriminatrici, che, in deroga al principio di specialità, prevedono, sì, talora l'applicazione della norma generale, anziché di quella speciale, considerata sussidiaria"; "inoltre i giudizi di valore che i criteri di assorbimento e di consunzione richiederebbero sono tendenzialmente in contrasto con il principio di legalità, in particolare con il principio di determinatezza e tassatività, perché fanno dipendere da incontrollabili valutazioni intuitive del giudice l'applicazione di una norma penale".

1.2 I principi affermati dalla pronuncia del 2010 che richiamavano la necessità di fare riferimento per la soluzione della questione in esame al solo criterio di specialità trovavano conferma nella successiva pronuncia delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 20664 del 23/02/2017, Rv. 269668 - 01 imp. Stalla) secondo cui nella materia del concorso apparente di norme non operano criteri valutativi diversi da quello di specialità previsto dall'art. 15 cod. pen., che si fonda sulla comparazione della struttura astratta delle fattispecie, al fine di apprezzare l'implicita valutazione di correlazione tra le norme, effettuata dal legislatore.

In motivazione si è precisato che l'esame sulla fondatezza dell'una o dell'altra soluzione interpretativa deve prendere le mosse dalla considerazione dei principi vigenti sul concorso apparente di norme che ricorre ove, attraverso un confronto degli elementi strutturali, più fattispecie risultino applicabili al medesimo fatto, e che è regolamentato dall'art. 15 cod. pen., secondo cui: "Quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito". Da tale norma si trae il principio generale che, ove si escluda il concorso apparente, è possibile derogare alla regola del concorso di reati solo quando la legge contenga l'espressione delle c.d. clausole di riserva, le quali, inserite nella singola disposizione, testualmente impongono l'applicazione di una sola norma incriminatrice prevalente che si individua seguendo una logica diversa da quella di specialità. Sul rapporto di specialità si fonda anche la comparazione, e quindi l'applicazione delle componenti accessorie del reato, posto che le disposizioni di cui agli artt. 68 e 84 cod. pen. informano le correlazioni tra gli elementi eventuali del reato nei medesimi termini previsti dall'art. 15, i cui principi sono volti ad evitare l'addebito plurimo di un accadimento, ove unitariamente valutato dal punto di vista normativo: condizione che si porrebbe in contrasto col principio del ne bis in idem sostanziale. Con la pronuncia del 2017 imp. Stalla le Sezioni Unite ripercorrevano ancora il tema affermando che: "È noto che sul punto sussiste un ampio e risalente dibattito in dottrina tendente ad ampliare il concorso apparente di norme alle figure dell'assorbimento, della consunzione e dell'ante-fatto o post-fatto non punibile: classificazioni ritenute tuttavia prive di sicure basi ricostruttive, poiché individuano elementi incerti quale dato di discrimine, come l'identità del bene giuridico tutelato dalle norme in comparazione e la sua astratta graduazione in termini di maggiore o minore intensità, di non univoca individuazione, e per questo suscettibili di opposte valutazioni da parte degli interpreti. In particolare, la loro applicazione quale criterio ermeneutico è stata ripetutamente negata dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite per la mancanza di riferimenti normativi che consentano un collegamento di tale ricostruzione alla voluntas legis".

1.3 I criteri stabiliti dalle pronunce del 2010 e del 2017, imp. Giordano e Stalla, hanno trovato conferma in altra successiva e più recente pronuncia (Sez. U, n. 38402 del 15/07/2021 Rv. 281973 - 01, Pg. c. Magistri) che in motivazione ha precisato come la giurisprudenza delle Sezioni Unite ha da tempo chiarito che la sussistenza dell'identità della materia regolata da più disposizioni della legge penale, che costituisce il presupposto normativo dell'operatività dell'istituto del concorso apparente, non può essere valutata alla luce di criteri diversi dal principio di astratta specialità fra le norme. L'ipotesi dell'esclusiva applicabilità di una sola delle norme incriminatrici ricorre pertanto unicamente ove, all'esito del confronto strutturale fra le fattispecie astratte configurate e della comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definirle, sia da escludere il presupposto della convergenza di norme.

Sul punto, si è precisato che deve definirsi norma speciale quella che contiene tutti gli elementi costitutivi della norma generale e che presenta uno o più requisiti propri e caratteristici, in funzione specializzante, sicché l'ipotesi di cui alla norma speciale, qualora la stessa mancasse, ricadrebbe nell'ambito operativo della norma generale (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, cit.). In tale ambito ricostruttivo, si è chiarito che il criterio di specialità deve intendersi e applicarsi in senso logico-formale. Il presupposto della convergenza di norme, necessario perché risulti applicabile la regola sulla individuazione della disposizione prevalente posta dall'art. 15 cod. pen., risulta integrato solo in presenza di un rapporto di continenza tra fattispecie, alla cui verifica deve procedersi attraverso il confronto strutturale tra le norme incriminatrici astrattamente configurate, mediante la comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definire le fattispecie di reato.

Orbene, deve in primo luogo osservarsi, che l'applicazione del principio di stretta specialità sancito dalle indicate pronunce delle Sezioni Unite Giordano, Stalla e Pg. Magistri porta ad escludere che tra danneggiamento e rapina sussista un rapporto di specialità; invero dal confronto astratto tra le fattispecie risulta evidente che la rapina, essendo costituita dalle condotte di impossessamento del bene altrui e dalla violenza in danno della vittima, non contiene tutti gli elementi costitutivi l'ipotesi del danneggiamento che attiene invece alla alterazione della natura funzionale del bene ed alla distruzione dello stesso. L'elemento del danno alla cosa, peraltro nel caso in esame anche diversa da quella oggetto di apprensione, non è elemento costitutivo della rapina cosi che tra 628 e 635 cod. pen. non sussiste rapporto di specialità. Deve osservarsi che l'ipotesi di cui all'art. 628 cod. pen. è composta dal furto semplice e dalla violenza; se si legge l'art 624 ("Chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per se' o per altri") in parallelo con l'art. 628 ("Chiunque, per procurare a se' o ad altri un ingiusto profitto, (mediante violenza alla persona o minaccia), s'impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene") è facile avvedersi che si tratta di due norme perfettamente uguali con l'unica differenza che l'art. 628 cod. pen. contiene un ulteriore reato (violenza) in aggiunta al furto semplice di cui all'art. 624 cod. pen. senza però che un qualsiasi riferimento al danneggiamento del bene sia contenuto nell'ipotesi della rapina che non è quindi norma speciale rispetto al danneggiamento.

Per ritenere l'art. 635 cod. pen. assorbito nella fattispecie di rapina dovrebbe farsi riferimento alle figure della consunzione o dell'ante-fatto o post-fatto non punibile; ed invero l'alterazione del luogo di custodia del bene successivamente appreso in sede di rapina impropria potrebbe essere ritenuto, alla luce della teoria dell'ante-fatto, non punibile perché interamente assorbito nella ipotesi più grave di cui all'art. 628 cod. pen. che ne esaurisce l'intero disvalore; e però, come già ripetutamente riferito, essendo quelli della consunzione, dell'ante fatto e del post fatto criteri che, secondo la conforme interpretazione delle Sezioni Unite Giordano, Stalla e Pg. Magistri, attribuiscono valore decisivo a dati incerti di discrimine ed a giudizi di valore del giudice che procede, sono stati negati quali parametri di riferimento per la soluzione delle problematiche del concorso apparente di norme ovvero del concorso di reati da parte della giurisprudenza del massimo consesso di legittimità. Non vi è dubbio, quindi, che la rigorosa applicazione del criterio di specialità secondo cui le due disposizioni devono apparire come due cerchi concentrici, di diametro diverso, per cui quello più ampio contenga in sé quello minore, ed abbia, inoltre, un settore residuo, destinato ad accogliere i requisiti aggiuntivi della specialità, esclude la ricorrenza dell'art. 15 cod. pen. tra danneggiamento e rapina poiché, come già anticipato, non può sostenersi che la fattispecie di cui all'art. 628 cod. pen. contenga il danneggiamento della cosa, essendo costituita dall'apprensione del bene e dalla violenza o minaccia alla persona.

2. La Corte costituzionale ha avuto modo di interessarsi al tema del rapporto tra concorso apparente di norme e concorso di reati; in un caso di concorso tra illecito amministrativo e illecito penale, si è affermato che l'applicazione del principio di specialità ex art. 15 cod. pen. implica la "convergenza su di uno stesso fatto di più disposizioni, delle quali una sola è effettivamente applicabile, a causa delle relazioni intercorrenti tra le disposizioni stesse", dovendosi confrontare "le astratte, tipiche fattispecie che, almeno a prima vista, sembrano convergere su di un fatto naturalisticamente unico" (Corte cost., sent. n. 97 del 1987). In seguito la stessa Corte ha affermato che "per aversi rapporto di specialità ex art. 15 cod. pen. è indispensabile che tra le fattispecie raffrontate vi siano elementi fondamentali comuni, ma una di esse abbia qualche elemento caratterizzante in più che la specializzi rispetto all'altra" (Corte cost., ord. n. 174 del 1994). Sul rapporto tra diverse fattispecie incriminatrici è poi più recentemente intervenuta la stessa Corte costituzionale (sent. n. 200 del 2016), la quale si è soffermata sul tema della comparazione tra fatto già giudicato definitivamente e fatto oggetto di una nuova azione penale nei confronti del medesimo soggetto, ai fini delle operatività del divieto di cui all'art. 649 cod. proc. pen. Il ragionamento, non di meno, involge il tema del rapporto strutturale tra fattispecie di reato, secondo il principio di specialità, se pure colto nella dimensione dinamica del fenomeno, derivante dalla instaurazione di un secondo giudizio, per lo stesso fatto e a carico del medesimo imputato. Nella sentenza richiamata si osserva che soltanto qualora il giudice abbia escluso che tra le norme incriminatrici viga un rapporto di specialità (ex artt. 15 e 84 cod. pen.), ovvero che esse si pongano in concorso apparente, in quanto un reato assorbe interamente il disvalore dell'altro, è dato attribuire all'imputato tutti gli illeciti che sono stati consumati attraverso un'unica condotta commissiva o omissiva, se pure il fatto sia il medesimo sul piano storico-naturalistico. Il Giudice delle leggi si è in primo luogo soffermato sulla portata dell'art. 4 del Protocollo n. 7 CEDU, ove è stabilito: "Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato". La Corte costituzionale, richiamando la sentenza della Grande Camera del 10/02/2009 Zolotukhin c. Russia, ha ritenuto che la CEDU individua la portata dell'effetto preclusivo, rispetto alla celebrazione di un secondo giudizio, sulla base del più favorevole criterio dell'idem factum.

Ciò posto, si è rilevato che la CEDU impone certamente agli Stati membri di applicare il divieto di bis in idem in base ad una concezione naturalistica del fatto, senza peraltro collocare quest'ultimo nella sfera della sola azione o omissione posta in essere dall'agente e trascurando l'evento naturalistico verificatosi per effetto della condotta ed il relativo nesso di causalità.

Delineata, così, la garanzia convenzionale del divieto di bis in idem, la Corte costituzionale ha escluso che una interpretazione dell'art. 649 cod. proc. pen., svincolata dalla sola condotta, ed estesa all'oggetto fisico di essa o all'evento in senso naturalistico, realizzi un contrasto con il vincolo derivante dalla CEDU. Ed ha richiamato l'insegnamento espresso dalle Sezioni Unite, in base al quale l'identità del fatto, ai fini preclusivi imposti dalla regola del ne bis in idem, sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi: condotta, evento, nesso causale e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona (Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005, Donati, Rv. 231799); in conclusione, la Corte costituzionale ha precisato che le valutazioni ora richiamate non impongono di applicare il divieto del bis in idem per la sola ragione che i diversi reati concorrano formalmente, in quanto commessi con una sola azione od omissione. L'autorità giudiziaria, infatti, nel verificare l'ambito di operatività della preclusione di cui all'art. 649 cod. proc. pen., deve porre a raffronto il fatto storico, secondo la conformazione identitaria che esso abbia acquisito all'esito del processo concluso con una pronuncia definitiva, con il fatto storico posto dal pubblico ministero a base della nuova imputazione; con la precisazione che, a tale scopo, non esercita alcuna influenza l'esistenza di un concorso formale dei reati. Anche le conclusioni cui è pervenuta la giurisprudenza costituzionale nelle indicate pronunce escludono, quindi, la violazione di qualsiasi norma di rango superiore nell'interpretazione che affermi la sussistenza del concorso di reati tra danneggiamento e rapina propria od impropria; posto infatti che anche per il giudice delle leggi l'identità del fatto, sussiste solo quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi: condotta, evento, nesso causale e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona, appare evidente come nell'ipotesi del danneggiamento del luogo di custodia di un oggetto seguito da apprensione del bene con violenza alla persona, gli eventi appaiono certamente diversi, uno consistendo nella alterazione definitiva di un bene e l'altro nell'apprensione di altro oggetto di valore.

2.1 Anche la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha preso in considerazione il tema; nella pronuncia KORNEYEVA contro Russia dell'8-10-2019 la corte testualmente affermava che: "Gli Stati dovrebbero poter legittimamente scegliere risposte giuridiche complementari a comportamenti socialmente offensivi (come il mancato rispetto delle norme sulla circolazione stradale o il mancato pagamento/evasione fiscale) attraverso procedure diverse che formano un insieme coerente, in modo da affrontare diversi aspetti del problema sociale in questione, a condizione che le risposte giuridiche accumulate non rappresentino un onere eccessivo per il singolo interessato. Nei casi che sollevano un problema ai sensi dell'articolo 4 del protocollo n. 7, occorre determinare se la misura nazionale specifica contestata comporti, nella sostanza o negli effetti, un doppio rischio in danno della persona o se è invece il prodotto di un sistema integrato che consente di affrontare in modo prevedibile e proporzionato i diversi aspetti dell'illecito formando un insieme coerente. L'articolo 4 del protocollo n. 7 ha lo scopo di impedire l'illegittima duplicazione di processo a carico di un medesimo soggetto per la stessa condotta criminalizzata. La disposizione in esame non preclude tuttavia agli ordinamenti giuridici nazionali di adottare un approccio integrato all'illecito in questione, in particolare prevedendo un sistema che comporta fasi parallele di procedimenti; difatti l'articolo 4 del protocollo n. 7 non esclude lo svolgimento di un duplice procedimento, purché siano soddisfatte alcune condizioni.

Più recentemente la Grande Sezione della Corte di Giustizia dell'U.E. nella pronuncia 8 marzo 2022 , C-205/20, ha affermato che il principio di proporzionalità del trattamento penale produce effetti diretti negli ordinamenti degli Stati membri, per cui il giudice interno, nell'àmbito del diritto europeo, potrà disapplicare la sanzione eccessivamente gravosa e adeguatamente ricalibrarla, al di là delle previsioni edittali: "il rispetto del principio di proporzionalità, che costituisce un principio generale del diritto dell'Unione, si impone agli Stati membri nell'attuazione di tale diritto, anche in assenza di armonizzazione della normativa dell'Unione nel settore delle sanzioni applicabili. Qualora, nell'ambito di una siffatta attuazione, gli Stati membri adottino sanzioni aventi carattere più specificamente penale, essi sono tenuti ad osservare l'articolo 49, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, a norma del quale le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato. Orbene, detto principio di proporzionalità (...) presenta carattere imperativo".

Anche l'applicazione dei sopra esposti principi al caso in esame comporta escludere che il concorso fra il reato di danneggiamento e quello di rapina impropria comporti una violazione delle norme convenzionali rientrando certamente nell'ambito della prevedibilità per l'agente la sottoposizione a distinte sanzioni penali in conseguenza della aggressione a beni materiali diversi e dei diversi eventi procurati dall'azione, consistita, dapprima, nella alterazione del luogo di custodia di oggetti di valore e, poi, nella sottrazione di beni differenti. Né appare sussistere violazione del collegato principio di proporzione posto che il regime dettato dall'art. 81 cod. pen. nella sua veste del concorso formale o del reato continuato comportando un deciso effetto mitigatore impedisce l'applicazione di carichi sanzionatori sproporzionati.

3. Escluso, quindi, che il principio di stretta specialità anche nella coniugazione convenzionale escluda l'ipotesi del concorso di reati fra le fattispecie di cui agli artt. 628 e 635 cod. pen., a conclusioni non differenti deve pervenirsi anche che si voglia fare riferimento alla disciplina dettata dall'art. 84 cod. pen. che, secondo le indicazioni fornite dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite indicate al paragrafo 2, costituisce sempre espressione del principio di specialità di cui all'art. 15 cod. pen. Si ricorda che secondo la suddetta norma: Le disposizioni degli articoli precedenti (sul concorso di reati) non si applicano quando la legge considera come elementi costitutivi, o come circostanze aggravanti di un solo reato, fatti che costituirebbero, per se' stessi, reato"; orbene, sotto tale profilo si pone la problematica di valutare se il reato di rapina che costituisce per definizione un reato complesso, essendo integrato dalle fattispecie di furto e di percosse, possa assorbire anche al suo interno la violenza sulle cose.

Per la soluzione della problematica deve innanzi tutto premettersi che l'ipotesi di furto aggravato dalla violenza sulle cose (artt. 624-625 n. 2 cod. pen.) costituisce, a sua volta, un'ipotesi di reato complesso, in quanto il danneggiamento viene considerato come circostanza aggravante del furto, nel quale il delitto previsto e punito dall'art 635 cod. pen. viene assorbito (Sez. 2, n. 1617 del 08/06/1976 Rv. 135183 - 01 ed altre). Orbene proprio tale particolare natura del reato di furto aggravato dalla violenza sulle cose (artt. 624-625 n. 2 cod. pen.) deve portare ad escludere l'ipotesi dell'assorbimento dello stesso nel reato di rapina ai sensi della disciplina dettata dall'art. 84 cod. pen.; difatti le disposizioni sul reato complesso prevedono che un reato sia assorbito in altro qualora ne costituisca elemento costitutivo o circostanza aggravante ma non anche che un reato complesso sia a sua volta assorbito da altra fattispecie complessa. La ratio dell'art. 84 cod. pen. è quella di evitare che in applicazione del principio di specialità un'ipotesi di reato che è costituita a sua volta da più reati possa comportare l'applicazione delle pene sul concorso di reati ma non anche quella di impedire che si applichino le norme sul concorso dei reati quando un'ipotesi complessa contenga a sua volta altra ipotesi di reato eventualmente complessa, poiché in questo secondo caso l'esenzione non si giustifica in ragione della diversa oggettività giuridica ovvero della diversità dei beni giuridici tutelati dalle diverse norme così che vanno proprio applicati i principi del concorso formale o del reato continuato. E così il reato di rapina è integrato dalla consumazione del solo reato di furto semplice aggiunta l'ipotesi della violenza alla persona ma non anche dall'ipotesi di furto aggravato. Come già anticipato a tale conclusione si perviene innanzi tutto sulla base dell'analisi del raffronto delle norme; ed invero se si legge l'art 624 ("Chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per se' o per altri") in parallelo con l'art. 628 ("Chiunque, per procurare a se' o ad altri un ingiusto profitto, (mediante violenza alla persona o minaccia), s'impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene") è facile avvedersi che si tratta di due norme perfettamente uguali con l'unica differenza che l'art. 628 cod. pen. contiene un ulteriore reato (violenza) in aggiunta al furto semplice di cui all'art. 624 cod. pen..

3.1 Il principio per cui l'unico delitto di furto assorbito nell'ipotesi della rapina è quello di furto semplice e non anche l'ipotesi aggravata, risulta affermato dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento ad una ipotesi di concorso di norme parzialmente diverse e pur tuttavia analoghe; invero, prima dell'introduzione della specifica aggravante della rapina di cui all'art. 628 comma 3 n. 3 bis cod. pen. della consumazione del fatto all'interno dei luoghi di privata dimora, la Corte di cassazione si era interrogata sulla possibilità di ritenere il concorso apparente di norme ex art. 15 cod. pen., sub specie di art. 84 cod. pen., ovvero il concorso di reati nel caso di consumazione di una rapina all'interno del luogo di abitazione. Si era sostenuto cioè che in caso di violazione di domicilio seguita da rapina il primo reato fosse assorbito ex art. 84 cod. pen. nel secondo, nel presupposto che il reato complesso di rapina possa essere costituito anche da un'ipotesi di furto aggravato come quello ex art. 625 n. 1 cod. pen. nella formulazione dapprima vigente; orbene, tale ipotesi, che risulta sostanzialmente del tutto speculare a quella oggi in esame, era stata proprio esclusa da più pronunce che avevano tutte affermato come il delitto di violazione di domicilio è assorbito nell'aggravante del furto ex art. 625 n. 1 cod. pen., ma non nel delitto di rapina, in cui il furto, che entra nella composizione complessa di detto reato, non è qualificato da alcuna aggravante (Sez. 2, n. 7089 del 18/03/1988 Rv. 178620 -01); ed ancora sullo stesso tema si affermava che il reato di violazione di domicilio non resta assorbito, ai sensi dell'art. 84 cod. pen., in quello di rapina impropria, in quanto non può considerarsi né elemento costitutivo né circostanza aggravante della rapina (Sez. 2, n. 4992 del 14/01/1985, Rv. 169346 - 01), che qualora una rapina si attui previa introduzione in luogo di abitazione, l'avvenuta violazione di domicilio non può considerarsi come circostanza di una specifica ipotesi di rapina aggravata, ex art 84 cod. pen. ma è fonte di autonoma e distinta responsabilità (Sez. 2, n. 7248 del 14/11/1975 Ud. (dep. 19/06/1976) Rv. 133893 - 01), che il reato di rapina, previsto dall'art 628 cod. pen. può concorrere con quello di violazione di domicilio (art 614 stesso codice) in quanto quest'ultimo non costituisce né elemento costitutivo, né circostanza aggravante specifica della rapina e non può ritenersi in questa assorbito (ex art 84 cod. pen.), anche se i due reati si siano immediatamente susseguiti e siano legati da un nesso teleologico a norma dell'art 61 n 2 cod. pen. (Sez. 2, n. 5877 del 01/03/1974, Rv. 127869 -01), che il delitto di violazione di domicilio non costituisce né elemento costitutivo né circostanza aggravante specifica della rapina, onde non può venire in questa assorbito ai sensi dell'art 84 cod. pen. (Sez. 1, n. 3743 del 21/12/1972, Rv. 124075 - 01).

Sebbene i suddetti interventi giurisprudenziali abbiano perso attualità in relazione all'ipotesi specifica, perché a seguito della previsione contenuta nell'art. 2 della L. 26 marzo 2001 n. 126 l'aggravante di cui al n. 1 dell'art. 625 cod. pen. veniva eliminata con la contestuale creazione della fattispecie autonoma di cui all'art. 624 bis cod. pen., il principio di riferimento, costituito dalla affermazione secondo cui l'unica ipotesi di furto assorbita nella fattispecie complessa dell'art. 628 cod. pen. è quella semplice prevista dall'art. 624 cod. pen. e non anche quella aggravata, rimane attuale e vigente. Così che anche nell'ipotesi di danneggiamento seguito da rapina, propria od impropria, tentata o consumata, la contestazione di cui all'art. 628 cod. pen. non assorbe quella di cui all'art. 635 cod. pen. e ciò essenzialmente perché l'ipotesi di furto assorbita ex art. 84 cod. pen. è solo quella semplice e non anche quella aggravata dalla violenza sulle cose ex art. 625 n. 2 cod. pen..

3.2 La soluzione che vorrebbe, richiamare alla figura del reato complesso .l'ipotesi del danneggiamento eventualmente commesso in occasione della consumazione della rapina, con assorbimento del primo nella seconda, non sembra trovare accoglimento neppure da parte della dottrina; si è difatti osservato che perché sussiste il reato complesso è necessario che una norma di legge abbia operato la fusione in un'unica figura criminosa di fatti costituenti reati autonomi, mentre la semplice connessione non fa scattare l'ipotesi di cui all'articolo 84 codice penale.

Secondo la lettera e lo spirito dell'articolo 84 citato si ha, quindi, reato complesso solo quando il reato assorbito è contenuto per intero nei suoi elementi obiettivi e soggettivi, nel reato assorbente, appunto complesso che è composto anche da quello assorbito. E si afferma ancora che perché sia configurabile il reato complesso è necessario che uno dei reati, convergendo per volontà legislativa nell'altro quale elemento costitutivo o circostanza aggravante, perda la propria autonomia, fondendosi, per l'identità dell'elemento oggettivo e di quello soggettivo, in un solo reato. Il che significa che, per la configurabilità del reato complesso previsto dall'articolo 84 codice penale, non basta che più fatti, i quali isolatamente considerati costituirebbero altrettanti reati, abbiano qualche elemento in comune, ma è necessario che uno di essi converga interamente in un'altra figura criminosa tanto da perdere la sua autonomia e diventare elemento costitutivo o circostanza aggravante dell'altro. Sottolinea la stessa dottrina che non integra, invece, la figura del reato complesso l'esistenza di elementi comuni fra due reati, né la circostanza che un reato sia il presupposto di un successivo reato o che il primo sia stato consumato allo scopo di realizzare un secondo reato, potendo configurarsi, in tale ultimo caso, semplicemente un rapporto teleologico fra i due illeciti che non solo non esclude il concorso, ma integra la circostanza aggravante di cui all'articolo 61, comma 1, numero 2 codice penale.

Così che l'applicazione dei suddetti principi porta ad escludere l'ipotesi della configurabilità del reato complesso nel caso di danneggiamento seguito da rapina e ciò perché il danneggiamento non è assorbito nella fattispecie astratta di rapina che non ne contiene gli elementi oggettivo e soggettivo ed altresì poiché i due reati (628 e 635 cod. pen.) non appaiono uno convergere interamente nell'altro bensì avere soltanto possibili elementi comuni. Difatti sia l'elemento oggettivo del deterioramento, distruzione od alterazione del bene sia quello soggettivo della volontà di arrecare nocumento all'oggetto, che costituiscono gli elementi tipici del danneggiamento, sono del tutto estranei alla rapina in astratto che è caratterizzata dalla apprensione della cosa con violenza o minaccia, sia essa precedente o successiva l'apprensione, e dall'impossessamento del bene altrui con il fine di trarne profitto.

Anche per tale interpretazione dottrinale, pertanto, il concorso tra il reato di danneggiamento, quello di furto aggravato con violenza sulle cose e la successiva violenza alla persona, non integra un'unica ipotesi di rapina impropria bensì il concorso dei reati di danneggiamento e rapina, in cui nell'ipotesi di cui all'art. 628 cod. pen. resta assorbita soltanto la violenza alla persona ed il furto del bene mobile ma non anche la condotta di danneggiamento che le precede.

3.3 Del resto anche la giurisprudenza della Corte, di cassazione ha ripetutamente affermato il concorso tra il reato complesso di rapina e ulteriori ipotesi delittuose consumate pur contestualmente alla stessa, senza fare applicazione della disciplina dettata dall'art. 84 cod. pen. al di fuori delle tassative ipotesi di furto semplice e percosse; così si è affermato che il reato di sequestro di persona è assorbito in quello di rapina aggravata di cui all'art. 628, comma terzo, n. 2 cod. pen. solo quando la violenza usata per il sequestro si identifica e sì esaurisce col mezzo immediato di esecuzione della rapina stessa, non quando invece ne preceda l'attuazione con carattere di reato assolutamente autonomo, anche se finalisticamente collegato alla rapina ancora da porre in esecuzione o ne segua l'attuazione per un tempo non strettamente necessario alla consumazione (Sez. 2, n. 18913 del 28/04/2022, Rv. 283182 - 01); ancora che il delitto di resistenza a pubblico ufficiale, previsto dall'art. 337 cod. pen., non resta assorbito nel reato complesso di rapina, stante la diversa caratteristica della esercitata violenza. Ne consegue che si ha violazione, con unica azione, di due diverse disposizioni di legge, relative a distinte oggettività giuridiche protette e quindi si è in presenza di un concorso formale eterogeneo di reati (Sez. 1, n. 1696 del 03/12/1982 Ud. (dep. 25/02/1983) Rv. 157610 - 01); ed ancora che l'uso dell'arma, costituente aggravante della rapina, è fatto oggettivamente distinto dal porto abusivo di arma, il quale costituisce un reato di mero pericolo, il cui elemento materiale non può, pertanto, considerarsi assorbito, in base alla normativa del reato complesso, nell'obiettività del delitto di rapina, tanto più che questo può essere aggravato, a norma dell'art. 628, primo comma, n. 1 cod. pen., anche quando l'arma impiegata non risulti detenuta e portata illegalmente (Sez. 2, n. 8999 del 18/11/2014 Ud. (dep. 02/03/2015) Rv. 263229 - 01). In tutti i suddetti casi si verte proprio in ipotesi di condotte che, pur funzionali all'esecuzione della rapina, vengono ritenute arrecare pregiudizio a beni giuridici diversi e, pertanto, giustificano l'applicazione delle norme sul concorso di reati pur se un'applicazione dei principi di in tema di consunzione, ante-fatto o post-fatto non punibile avrebbe potuto portare all'assorbimento ex art. 84 cod. pen., che si esclude però in ragione della rigorosa interpretazione delle Sezioni Unite Giordano, Stalla e Pg. C. Magistri già richiamate al paragrafo 2 della presente motivazione.

In conclusione l'applicazione dei sopra esposti principi al caso in esame deve portare ad affermare il seguente principio di diritto: "nell'ipotesi di alterazione, deterioramento o distruzione del luogo di custodia di un bene seguito da violenza alla persona vi è concorso e non assorbimento ex art. 84 cod. pen. tra il reato di danneggiamento e quello di tentata rapina impropria e ciò perché l'unica ipotesi di furto assorbita nella fattispecie di cui all'art. 628 cod. pen. è quella semplice e non anche quella aggravata ex art. 625 n.2 cod. pen.".

Alla luce delle predette considerazioni, pertanto, il motivo di ricorso deve essere respinto.

4. Manifestamente infondati appaiono i restanti motivi poiché il giudice di appello con precisi argomenti di fatto ha negato sia l'esclusione dell'ipotesi della particolare tenuità di cui all'art. 131 bis cod. pen. che della attenuante di cui all'art. 62 n. 4 cod. pen. collegando tale valutazione al particolare valore dei beni che si intendeva sottrarre al titolare (un p.c. ed alcuni libri).

Analogamente del tutto esente da vizi appare la valutazione operata in termini di equivalenza tra attenuanti generiche già concesse e recidiva posto che il giudizio di bilanciamento rientra nella discrezionalità del giudice di merito e non è censurabile in sede di legittimità ove riferito, come nel caso in esame, a specifiche circostanze del fatto e della personalità. Alla luce delle predette considerazioni pertanto, i restanti motivi rispetto alla prima doglianza appaiono inammissibili.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Roma, 10 gennaio 2024.

Depositata in Cancelleria il 9 febbraio 2024.

Concorso di reati e non assorbimento nell'ipotesi di alterazione del luogo di custodia di un bene seguito da violenza

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