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Concorso tra falso in atto pubblico e frode assicurativa: esclusione dell'assorbimento tra i reati

Falso ideologico

Cassazione penale sez. V, 14/11/2023, n.1147

È configurabile il concorso materiale e non l'assorbimento tra il delitto di falso in atto pubblico e quello di frode assicurativa, in quanto la falsificazione di un documento richiesto per la stipulazione di un contratto di assicurazione non rappresenta un elemento costitutivo o una circostanza aggravante del delitto di cui all'art. 642 c.p., ma solo una particolare modalità di realizzazione del fatto tipico.

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La sentenza integrale

FATTI DI CAUSA 1. I fatti oggetto dell'imputazione hanno avuto origine da attività investigative svolte in relazione ad un presunto incidente stradale verificatosi in Via Na., nel Comune di Ba., la sera del 14 dicembre 2015, alle h. 23.40, fra un ciclomotore e un'autovettura che vedeva coinvolti Mi.Nu.Na. e Gi.Mo., da una parte, e tale Pa. Du., dall'altra. Acquisita la notitia criminis, all'esito delle investigazioni svolte, agli odierni ricorrenti è stato contestato, oltre al delitto di cui all'art. 642, commi primo e secondo, cod. pen. (in relazione al quale è intervenuta remissione di querela da parte della compagnia assicuratrice), anche il delitto di cui agli artt. 110, 81 cpv., 61 nr. 2), 476 - 479 cod. pen., perché, in concorso tra loro, Ca.Mo. quale istigatore, Mi.Nu.Na. e Gi.Mo. quali concorrenti morali, Cl.Ru. quale esecutore materiale, al fine di commettere il reato di cui al predetto art. 642 cod. pen. e conseguirne il profitto, falsificavano materialmente ed ideologicamente, il contenuto dell'ordine di servizio nr. 77/12-2015 del 14 dicembre 2015 dell'Aliquota Radiomobile Carabinieri di Ba. e il verbale di rifiuto di intervento riportante, apparentemente, la medesima data; entrambi atti fidefacienti. Le falsità sarebbero consistite nell'aver attestato un intervento sul luogo del sinistro, mai effettuato, e la presenza sul medesimo luogo di persone che, al momento del fatto, erano altrove e nell'aver apposto, sul predetto verbale, firme apocrife, apparentemente riconducibili ai soggetti coinvolti nel sinistro. La prospettazione accusatoria è stata integralmente confermata tanto in primo, quanto in secondo grado e avverso la sentenza emessa dalla corte d'appello di Napoli ricorrono per cassazione tutti gli imputati. 2. La difesa di Ca.Mo. articola cinque motivi d'impugnazione. Il primi tre sono formulati sotto il profilo del vizio di motivazione e deducono che la Corte territoriale, pur a fronte di uno specifico motivo di censura prospettato con la proposizione dell'appello, avrebbe omesso di indicare gli elementi sulla base dei quali la condotta contestata al ricorrente poteva ritenersi dimostrata, limitandosi a indicare, quale unico elemento logico ulteriore rispetto all'insufficiente criterio del cui prodest, il tentativo del Ca.Mo. (evincibile dalla registrazione di un colloquio e dal contenuto di alcune conversazioni intercettate) di convincere il suo collega D'Am. a "coprire" le falsità commesse dal Cl.Ru. Un tentativo, tuttavia, realizzato ben nove mesi dopo le asserite falsificazioni (e, quindi, privo di forza inferenziale rispetto alla ritenuta partecipazione del Ca.Mo. nella formazione dell'atto falso), e, comunque, frutto di un'errata interpretazione delle dichiarazioni registrate o intercettate, dalle quali, al contrario, emergerebbe, da un canto, che le affermazioni del Mo.Ca. erano meramente ipotetiche e, dall'altro, che, comunque, presupponevano l'effettivo verificarsi del sinistro. Tutto ciò, peraltro, senza considerare le esplicite dichiarazioni delCl.Ru., asserito esecutore materiale, che, nel corso del suo interrogatorio, ha sempre escluso ogni istigazione da parte del mar. Ca.Mo. Il quarto è formulato sotto il profilo della violazione di legge (in relazione alla prospettata inosservanza degli artt. 56 e 378 cod. pen., da un canto, e 476 - 479 cod. pen., dall'altro) e attiene all'esatta qualificazione della condotta posta in essere dal ricorrente. Condotta che, secondo la prospettazione difensiva, se consistita solo nell'aver tentato di indurre l'app. D'Am. ad affermare il falso, in quanto diretta ad evitare il coinvolgimento del figlio, avrebbe dovuto qualificarsi in termini dì tentativo di favoreggiamento personale (ai sensi degli artt. 56 e 378 cod. pen.) e non già di concorso nel reato presupposto, da altri precedentemente commesso. Il quinto, in ultimo, formulato sotto il profilo della violazione di legge (in relazione all'art. 62-bis cod. pen.) attiene al trattamento sanzionatorio e, in particolare, al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, negate, sostiene la difesa, alla luce di un dato (la qualità di pubblico ufficiale rivestita dal ricorrente) radicalmente illogico, in quanto ontologicamente connesso alla stessa struttura normativa della fattispecie contestata. Tanto più a fronte della brillante carriera del ricorrente, della sua incensuratezza e delle pacifiche finalità perseguite (favorire il figlio). 3. Il ricorso proposto nell'interesse di Gi.Mo.si compone di quattro motivi. Il primo e il terzo sono sostanzialmente sovrapponibili ai corrispondenti motivi prospettati nell'interesse di Ca.Mo., con la precisazione, tuttavia, che, a carico di Gi.Mo., oltre al criterio logico del cui prodest, non esisterebbe alcun ulteriore dato probatorio: la firma apposta in calce al verbale è pacificamente falsa (e nella sua falsificazione, all'evidenza, non potrebbe logicamente concorrere) e le sue generalità, utilizzate per la formazione degli atti falsi, sono state fornite al Cl.Ru. dal Mi.Nu.Na. Il secondo, invece, formulato sotto ii profili dell'inosservanza di norma processuale e del connesso vizio di motivazione, deduce - alla luce della disciplina introdotta dall'art. 1, comma 1 -bis, del d.l. n. 132 del 2021 - l'inutilizzabilità dei tabulati telefonici relativi all'utenza in uso al Mi.Nu.Na. (dai quali si sarebbe accertata la posizione del coimputato) e, conseguentemente, la mancanza di prova della falsità del sinistro. Il quarto, in ultimo, attiene al trattamento sanzionatone e censura la radicale mancanza di motivazione in relazione alla richiesta di un diverso giudizio di bilanciamento delle (pur riconosciute) circostanze attenuanti generiche. 4. Nell'interesse diMi.Nu.Na.sono stati proposti due distinti ricorsi, uno a firma dell'avv. Roberto Borgogno e l'altro a firma dell'avv. Dario Vannetiello. 4.1. Il ricorso proposto dall'avv. Borgogno si compone di tre motivi. Il primo, formulato in termini di violazione di legge (in relazione agli artt. 476 e 479 cod. pen.) e connesso vizio di motivazione, deduce che l'affermazione di responsabilità sarebbe fondata essenzialmente sulla valutazione dei tabulati telefonici che, in coincidenza con l'ora del sinistro, avrebbero consentito di collocare il telefono cellulare del ricorrente ad una distanza di 20 km dal luogo dell'incidente. Tale motivazione, tuttavia, non solo non tiene conto del parallelo dato rappresentato dal consulente tecnico in ordine alle ragioni per cui un telefono cellulare aggancia una cella piuttosto che un'altra (non sempre riconducibili ad un criterio spaziale, ma spesso connesse ad esigenze di gestione di dati), ma nulla dice in ordine alle concrete modalità di partecipazione del ricorrente nella fase ideativa o esecutiva del reato. Tanto più che il verbale falsificato non recherebbe la firma autografa del Mi.Nu.Na. (che, in ipotesi, pur avrebbe avuto interesse ad apporre). In tale contesto, il criterio del cui prodest e, quindi, la strumentalità del falso rispetto all'ipotizzato interesse del Mi.Nu.Na. a lucrare il risarcimento per un incidente mai verificatosi, legittimerebbe un concorso di quest'ultimo nel reato di cui all'art. 642 cod. pen. (originariamente contestato al capo B), ma rimarrebbe del tutto inconferente rispetto al diverso reato di falso, oggetto della residua imputazione. Né, sotto tale profilo, sarebbero rilevanti i richiami alle intercettazioni telefoniche contenuti nella sentenza di primo grado (riferite ad una conversazione tra Mi.Nu.Na. e il proprietario dell'automobile coinvolta nel sinistro), chiaramente afferenti all'andamento delle indagini e non alla partecipazione del Mi.Nu.Na. al reato contestato. Il secondo motivo, anche questo formulato in termini di violazione di legge e connesso vizio di motivazione, attiene al rigetto della richiesta difensiva di riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 114 cod. pen., illogicamente esclusa, sostiene la difesa, alla luce di argomentazioni riferibili al solo diverso reato di cui all'art. 642 cod. pen. (non più procedibile per remissione di querela). Il terzo, in ultimo, attiene al trattamento sanzionatorio e lamenta la mancanza di motivazione in ordine all'invocata riduzione di pena e al connesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. 4.2. Il ricorso a firma dell'avv. Vannetiello si compone di cinque motivi. Il primo è formulato in termini parzialmente sovrapponibili al primo motivo del ricorso a firma dell'avv. Borgogno e deduce, oltre all'illogicità della motivazione offerta a sostegno dell'affermazione di responsabilità (in quanto fondata su due elementi, la valutazione dei tabulati telefonici e il vantaggio economico conseguito, privi di autonoma forza probante), anche la mancanza di uno specifico accertamento (pure richiesto con i motivi di appello) in ordine alla falsità o meno delle firme apposte, apoditticamente affermata sia in primo che in secondo grado. E, comunque, dato che Cl.Ru. avrebbe confessato di aver redatto il verbale solo in un secondo momento, la mancanza di sottoscrizione ben potrebbe essere letta come conferma dell'assoluta estraneità del Mi.Nu.Na. rispetto al reato di falso commesso dal soloCl.Ru. Il secondo motivo attiene alla sussistenza dell'aggravante di cui al secondo comma dell'art. 476 cod. pen., quanto alla ritenuta fidefacienza degli atti oggetto materiale di falsificazione, l'ordine di servizio e il verbale di rifiuto di intervento. Il primo sarebbe riconducibile all'originario "foglio di servizio" di cui all'art. 219 del regolamento generale del corpo dei Carabinieri, privo delle caratteristiche proprie dell'atto penale fidefaciente; il secondo, redatto in ragione dell'assenza di danni fisici riportati dalle persone coinvolte nell'incidente, sarebbe un atto inutile e privo di valenza documentativa o probatoria, atteso che la veridicità e l'esattezza della ricostruzione degli accadimenti ben potrebbe essere accertata a prescindere dall'intervento dei Carabinieri e senza ricorrere alla querela di falso. Il terzo ed il quarto motivo attengono alla sussistenza dell'attenuante di cui all'art. 114 cod. pen. (il terzo) e di quelle generiche (il quarto) e sono formulati in termini sostanzialmente sovrapponibili ai paralleli motivi articolati nel ricorso a firma dell'avv. Borgogno, con l'ulteriore profilo della prospettata contraddittorietà interna quanto al differente trattamento sanzionatorio irrogato ai coimputati. Il quinto, in ultimo, attiene alla sussistenza dell'aggravante teleologica (in relazione alla quale, comunque, mancherebbe ogni motivazione in ordine all'entità della pena irrogata in aumento), da escludere, secondo la prospettazione difensiva, in ragione del fatto che la condotta falsificatoria sarebbe elemento caratterizzante anche il diverso reato di cui all'art. 642 del codice penale. 5. Il ricorso proposto nell'interesse diCl.Ru. si compone di un unico motivo d'impugnazione, formulato sotto il profilo del vizio di motivazione ed afferente alla ritenuta innocuità del falso. Un profilo, sostiene la difesa, illogicamente escluso dai giudici del merito nonostante le chiare dichiarazioni rese dall'ispettore assicurativo in ordine all'irrilevanza del documento ai fini della definizione della pratica assicurativa. 6. Il 6 novembre 2023, l'avv. Vannetiello ha depositato una memoria difensiva con la quale, in replica alle conclusioni rassegnate dal Procuratore generale, si ribadiscono le argomentazioni evidenziate nel ricorso e si insiste per l'accoglimento dei relativi motivi di censura. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Il concorso nel reato di falso. Per come si è detto, i primi tre motivi dei ricorsi proposti nell'interesse di Ca.Mo. e del ricorso proposto nell'interesse di Gi.Mo. e il primo motivo di ciascun ricorso proposto nell'interesse del Mi.Nu.Na. contestano sotto plurimi profili, il giudizio di responsabilità al quale sono giunti, concordemente, i giudici di merito. Sia sotto il profilo dell'omessa indicazione di una concreta condotta di partecipazione imputabile a ciascuno dei concorrenti morali, sia in relazione alla valenza probatoria degli elementi logici e fattuali fondanti il giudizio di responsabilità. Le deduzioni sono tutte infondate. Va detto in premessa che, essendo stati rispettati ì parametri del richiamo della pronuncia di appello a quella di primo grado e dell'adozione dei medesimi criteri nella valutazione delle prove, in punto affermazione della penale responsabilità di tutti gli imputati, si è in presenza di una c.d. "doppia conforme"; con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente come un unico corpo decisionale (cfr., Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218). E va anche ricordato che eccede i limiti di cognizione della Corte di cassazione ogni potere di revisione degli elementi materiali e fattuali utilizzati per la decisione, trattandosi di accertamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice di merito, posto che il controllo sulla motivazione rimesso al giudice di legittimità è circoscritto, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. peri., alla sola verifica dell'esposizione delle ragioni giuridicamente apprezzabili che l'hanno determinata, dell'assenza di manifesta illogicità dell'esposizione e, quindi, della coerenza delle argomentazioni rispetto al fine che ne ha giustificato l'utilizzo e della non emersione di alcuni dei predetti vizi dal testo impugnato o da altri atti del processo, ove specificamente indicati nei motivi di gravame, requisiti la cui sussistenza rende la decisione insindacabile (Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, Rv. 284556). Tanto più in presenza di un articolato compendio probatorio, dove non è consentito limitarsi ad una valutazione atomistica e parcellizzata dei singoli elementi. Ebbene, i giudici di merito hanno concordemente ritenuto, innanzitutto, la falsità dell'incidente e della relativa documentazione, evidenziando una pluralità di dati logici e fattuali coerenti fra loro: le dichiarazioni rese dal Fi. (che ha riferito di aver inserito un rigo nell'ordine di servizio, di aver redatto in un secondo momento il verbale e di aver apposto le sottoscrizioni del collega D'Am., del Pa. e di Gi.Mo., ricevendo le generalità dal Mi.Nu.Na.; i tabulati telefonici relativi all'utenza in uso al Mi.Nu.Na. (attraverso i quali è stata accertata la relativa posizione al momento elei denunciato incidente); le cartelle cliniche di pronto soccorso (che danno conto, in assenza di evidenti lesioni oggettivamente riscontratili, dei soli sintomi riferiti dagli asseriti infortunati); le (inattendibili) dichiarazioni di Gi.Mo.(nella parte in cui non avrebbe riconosciuto il carabiniere intervenuto sul posto, il Cl.Ru., collega di lavoro del padre, che era solito presentarsi a casa sua per poi recarsi, insieme al padre, in caserma); le dichiarazioni (anch'esse inattendibili) dell'altro soggetto coinvolto (intrinsecamente ed estrinsecamente incoerenti) e dell'asserito testimone oculare (il Ca.). E ancora, quanto alla falsità degli atti: l'esame visivo dei documenti (il foglio di servizio reca un rigo manoscritto aggiunto tra altri due riferiti ad altro intervento cronologicamente anteriore e il verbale non reca la sottoscrizione del Mi.Nu.Na.); le dichiarazioni rese dallo stesso Cl.Ru. (che ha riferito di aver formato in un secondo momento il verbale apponendovi le firme apocrife in calce e di aver ricevuto dal Mi.Nu.Na. le generalità di Gi.Mo.); i paralleli disconoscimenti delle firme apposte in calce al verbale (ad opera di Gi.Mo. e dell'app. D'Am.). Accertata falsità del sinistro e della relativa documentazione, la concorrente partecipazione di ciascuno nella realizzazione del falso (per quel rileva in questa sede) è stata desunta dalle deposizioni del ten. Sa. e dell'app. D'Am. e dalle conversazioni intercettate e registrate, che hanno dato conto delle pressioni esercitate dal m.llo Ca.Mo. sul suo sottoposto (l'app. D'Am.), delle finalità della falsificazione stessa (diretta a favorire il figlio del maresciallo), dell'originaria conoscenza delle falsità da parte dello stesso m.llo Ca.Mo. e della sua diretta partecipazione (nella parte in cui, lamentandosi dell'indisponibilità del D'Am., riferisce che se avesse saputo del suo ostruzionismo, avrebbe firmato egli stesso quel foglio o l'avrebbe fatto fare ad un altro dei suoi sottoposti, dando conto dell'originaria predisposizione). La difesa, per come si è detto, ha lamentato l'omessa indicazione delle condotte di partecipazione concretamente imputate a ciascuno e l'inidoneità dei singoli elementi utilizzati dalla Corte nel complessivo impianto argomentativo. Il presupposto giuridico dal quale muove la difesa è corretto: il giudice di merito deve dare conto degli elementi fattuali dai quali ricavare l'esistenza di una reale partecipazione nella fase ideativa o preparatoria del reato, precisando sotto quale forma essa si sia concretamente manifestata e quale sia il rapporto di causalità efficiente con le attività delittuose poste in essere dagli altri concorrenti - morali o materiali che siano (Sez. 2, n. 43067 del 13/10/2021, Tagliartela, Rv. 282295; Sez. 1, n. 7643 del 28/11/2014, dep. 2015, Villacaro, Rv. 262310). Ma, in concreto, dalla valutazione unitaria delle sentenza emesse dai giudici di merito, emerge con evidenza il contributo inequivoco e concreto che, nella ricostruzione offerta dalla Corte territoriale, ciascuno dei ricorrenti ha offerto: Cl.Ru. quale esecutore materiale del reato; il m.llo Ca.Mo. in termini di istigatore dei suoi sottoposti già al momento della formazione dell'atto falso (circostanza da lui stessa implicitamente testimoniata nel corso della conversazione con ilD'Am. nei termini in precedenza evidenziati); Mi.Nu.Na.e Gi.Mo.nella concreta realizzazione (attraverso l'indicazione delle generalità e dei dati necessari per la formazione dell'atto, elementi autonomamente indiziari della partecipazione alla formazione dell'atto falso a prescindere dalla circostanza per cui tali dati risultano essere stati forniti al Cl.Ru. dal solo Mi.Nu.Na.). Tutte circostanze che, lette alla luce del sottostante interesse economico, assumono un significato univoco nei termini prospettati dai giudici di merito. E non è certamente questa, del sindacato di legittimità, la sede dove possa essere rimesso in discussione l'apprezzamento fattuale, riservato ai giudici del merito, sulle circostanze caratterizzanti la credibilità soggettiva e l'intrinseca affidabilità delle dichiarazioni rese o la complessiva ricostruzione del dato fattuale o, ancora, l'interpretazione del linguaggio adoperato nel corso delle intercettazioni (questione di fatto rimessa, com'è noto, alla valutazione del giudice di merito: Sez. U, n. 22471 del 26/2/2015, Sebbar, Rv. 263715). Tanto, peraltro, dà conto, anche, della indeducibilità delle altre singole censure prospettate quanto alla valenza probatoria degli elementi logici utilizzati nel procedimento argomentativo. Non solo perché dirette a censurare il singolo elemento probatorio (laddove i giudici di merito giungono al risultato probatorio attraverso una valutazione unitaria dei singoli elementi), rispetto al quale non si deduce la decisività, ma anche perché, in sé, manifestamente infondati. Le difese, in estrema sintesi, censurano: la sufficienza del criterio logico dell'interesse sottostante; l'utilizzabilità dei tabulati; il travisamento (per omissione) delle dichiarazioni rese dal Cl.Ru.; la rilevanza delle successive condotte del maresciallo e l'interpretazione delle dichiarazioni captate. Ebbene - il criterio del cui prodest è un elemento logico che ben può fondare un giudizio di responsabilità, purché supportato (come in concreto è avvenuto, alla luce delle precedenti osservazioni) da altri elementi di fatto di sicuro valore indiziante (Sez. 3, n. 15755 del 22/01/2020, Ventura, Rv. 279271; Sez. 5, n. 29877 del 15/09/2020, Stuflesser, Rv. 279699). E la falsificazione era effettivamente utile, in quanto avrebbe permesso, nel giudizio civile, di ritenere accertato (fino a querela di falso) l'effettivo verificarsi del sinistro e il coinvolgimento delle persone identificate, tutte circostanze (essenziali nel giudizio civile) che lo stesso funzionario redigente riferisce come viste, udite o compiute direttamente da lui; - l'ipotizzato travisamento (per omissione) non sussiste, in quanto il dato è stato implicitamente valutato dai giudici di merito e le relative argomentazioni debbono intendersi logicamente contenute e indirettamente svolte nelle considerazioni e nelle ragioni esposte per dar conto della soluzione adottata rispetto ad altra questione (Sez. 5, n. 24241 del 11/05/2004, Rv. 228107). La prospettazione offerta dalla difesa, infatti, confligge con il rilevato rapporto di subordinazione esistente tra Cl.Ru. e il m.llo Ca.Mo.; elemento che, percome evidenziato dai giudici di merito, non solo spiega le stesse ragioni che hanno spinto il Ruto a commettere i falsi, ma giustifica (implicitamente) anche la valutazione di attendibilità della dichiarazione invocata dalla difesa (ben suscettibile di valutazione frazionata in quanto non legata inscindibimente con le altre ritenute attendibili dalla Corte territoriale); - ogni accertamento in ordine alla falsità della sottoscrizione apparentemente riconducibile al Mi.Nu.Na. confligge non solo con le dichiarazioni rese dal Cl.Ru., ma con lo stesso disconoscimento da parte del Mi.Nu.Na. E, comunque, appare, all'interno 'del complesso impianto argomentativo, circostanza francamente recessiva e dà conto dell'inutilità di ogni ulteriore accertamento sul punto; -le dichiarazioni rese dal Cl.Ru. non danno conto solo delle pressioni poste in esse e dal m.llo Ca.Mo. sui suoi subordinati, ma - nella parte in cui lo stesso m.llo Ca.Mo., rammaricandosi, si pente di non aver previsto un suo intervento personale o quello di altro militare - rendono implicita testimonianza anche della sua diretta partecipazione fin dalle fasi iniziali del reato. Tanto dà ragione non solo della logicità del dato evidenziato dalla Corte (da inserire necessariamente all'interno del complessivo compendio probatorio acquisito), ma anche della corretta 'qualificazione dei fatti (contestata con il quarto motivo del ricorso proposto nell'interesse di Ca.Mo.): poiché il Ca.Mo.non si è limitato a convincere l'app. D'Am., ma ha, fin dall'inizio, partecipato alla sua Realizzazione, la sua condotta non è di solo favoreggiamento personale, ma di più ampia partecipazione al reato presupposto (di falso); - l'interpretazione del linguaggio adoperato nel corso delle intercettazioni è questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito (Sez. U, n. 22471 'del 26/2/2015, Sebbar, Rv. 263715); - i tabulati sono pienamente utilizzabili. La norma invocata dalla difesa (secondo motivo del ricorso proposto nell'interesse di Gi.Mo.), infatti, attiene alla disciplina transitoria della nuova disciplina di acquisizione dei tabulati e prevede, in deroga al principio del tempus regit actum e secondo uno schema di valutazione probatoria mutuato dall'art. 192, comma 3, cod. proc. pen., che l'acquisizione dei tabulati del traffico telefonico avvenuta secondo la previgente disciplina continua a poter essere utilizzata come prova a carico dell'imputato se i reati contestati rientrano nella categoria già delineata "per il futuro" dal D.L. n. 132 del 2021 e solo "unitamente ad altri elementi di prova", (Sez. 2, n. 11283 del 03/02/2023, Gallone, Rv. 284600). Gli "altri elementi di prova" che, ai sensi della norma transitoria, devono confortare i ed. dati "esteriori" delle conversazioni ai fini del giudizio di colpevolezza possono essere di qualsiasi tipo e natura, in quanto non predeterminati nella specie e nella qualità, sicché possono ricomprendere non solo le prove storiche dirette,, ma anche quelle indirette, legittimamente acquisite e idonee, anche sul piano della mera consequenzialità logica, a corroborare il mezzo di prova ritenuto ex lege bisognoso di conferma (Sez. 5, n. 8968 del 24/02/2022, Fusco, Rv. 282989, che riprende sul punto, Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, Rv. 255145). Ebbene, in concreto, la sentenza impugnata soddisfa pienamente la nuova regola di valutazione dell'efficacia probatoria dei tabulati telefonici, avendo inserito i dati esteriori del traffico telefonico (desunti dal tabulato) all'interno di una pluralità di altri elementi di prova, diretti e indiretti, autonomamente rilevanti proprio in relazione al reato di falso: la falsità degli atti (per come esplicitamente riconosciuta dal Cl.Ru.); le cartelle cliniche di pronto soccorso (che danno conto, in assenza di evidenti lesioni oggettivamente riscontrabili, dei soli sintomi riferiti dagli asseriti infortunati); le (inattendibili) dichiarazioni di Gi.Mo.(nella parte in cui non avrebbe riconosciuto il carabiniere intervenuto sul posto, il Cl.Ru., collega di lavoro del padre, che era solito presentarsi a casa sua per poi recarsi, insieme al padre, in caserma); le dichiarazioni (anch'esse inattendibili) dell'altro soggetto coinvolto (intrinsecamente ed estrinsecamente incoerenti) e dell'asserito testimone oculare (il Ca.). - i dati di geolocalizzazione ricavati dall'acquisizione dei tabulati telefonici sono liberamente valutati dal giudice anche con riferimento all'attendibilità del loro significato probatorio; valutazione che deve essere operata alla luce di tutte le eventuali ulteriori acquisizioni, ivi compresa gli esiti di una consulenza tecnica. Ebbene, i giudici, alla luce di tutte le ulteriori acquisizioni istruttorie in precedenza evidenziati, hanno aderito al dato documentale ritenendo inattendibile la tesi difensiva, da un canto, per l'inverosimiglianza di un prospettato surplus di traffico telefonico alle 23,40 ad Av. (con la conseguente deviazione del segnale) e, dall'altro, per la radicale mancanza di prova in ordine ad una pure allegata manutenzione. Ebbene, questa Corte non deve stabilire la maggiore o minore attendibilità scientifica delle acquisizioni esaminate dal giudice di merito (ma solo se la spiegazione fornita sia razionale e logica), né può operare una differente valutazione degli esiti di una consulenza, trattandosi di un accertamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivato (Sez. 5, n. 6754 del 07/10/2014, dep. 2015, Scardaccione, Rv. 262722). E la motivazione non è manifestamente illogica e, quindi, in quanto tale, insindacabile in questa sede; tanto più che, nelle conclusioni, il consulente tecnico si limita a dare atto dell'astratta possibilità di una non coincidenza della cella servente con quello fisicamente più vicina al telefono e, in concreto, dell'aggancio, in un'occasione, di due celle, distanti tra loro oltre 20 km, avvenuto nel giro di pochi secondi, senza però nulla dire in ordine alla loro compatibilità con il luogo del sinistro. 2. La natura degli atti e del relativo falso. Come si è detto, la difesa del Mi.Nu.Na., con il secondo motivo del ricorso proposto dall'avv. Vannetiello, contesta la sussistenza dell'aggravante di cui al secondo comma dell'art. 476. Anche questa censura è infondata. Va premesso che i criteri di individuazione della categoria degli atti pubblici fidefacenti si fondano, essenzialmente, sulla necessità di una specifica attribuzione al pubblico ufficiale del "potere di documentazione fidefacente", ravvisandosi nella fidefacenza "un grado maggiore del potere-dovere di certificazione del pubblico ufficiale", che porta all'eliminazione della possibilità di impugnare tali atti, giungendo a "lambire" i connotati tipici della prova legale. Un potere che può essere esplicitamente attribuito da una specifica previsione normativa o implicitamente desunto dal sistema, anche alla luce di eventuali particolari modalità prestabilite alle quali pubblico ufficiale deve attenersi (cfr. Sez. 6, n. 35219 del 28/04/2017, Re, Rv. 270855, in motivazione) e che, sotto il profilo contenutistico, attiene solo a quei fatti che lo stesso funzionario redigente riferisce come visti, uditi o compiuti direttamente da lui (Sez. 5, n. 39682 del 04/05/2016, Franchi, Rv. 267790; Sez. 6, n. 10414 del 12/12/1989, dep. 1990, Bettinelli, Rv. 184934). Ciò considerato, l'oggetto materiale del reato in contestazione è rappresentato da due documenti: l'ordine di servizio n. 77/12-2015 del 14 dicembre 2015 dell'Aliquota Radiomobile Carabinieri di Baiano e il verbale di "rifiuto" di intervento riportante, apparentemente, la medesima data. L'ordine di servizio è un documento nel quale si registrano i comandi impartiti ai militari e i servizi, interni o esterni, loro assegnati e, successivamente, si annota il loro effettivo svolgimento da parte del pubblico ufficiale a cui l'ordine è rivolto. In quanto tale, non solo è un atto pubblico (Sez. 5, n. 14902 del 29/01/2009, Boccia, Rv. 24360; Sez. 5, n. 14718 del 18/11/1999, Simionato, Rv. 215192), ma è un atto pubblico fidefaciente, poiché contiene attestazioni destinate a provare, seppur nei rapporti interni (ma tanto non incide sulla qualificazione dell'atto: Sez. 5, n. 15901 del 15/02/2021, Pizzuto, Rv. 281041), gli ordini impartiti e gli adempimenti svolti dai singoli militari coinvolti, precludendo ogni altra forma probatoria non coerente con la predetta documentazione; alternativa possibile solo all'esito della dichiarazione di falsità (e conseguente eliminazione giuridica) del documento. Analoghe considerazioni valgono anche per il verbale, per il quale l'attribuzione di un potere certificativo privilegiato non solo è desumibile logicamente dal sistema (in termini analoghi a quanto detto in precedenza), ma trova la sua fonte esplicita anche nell'art. 127 della Istruzione sul carteggio per l'Arma dei Carabinieri del 1967, nella parte in cui definisce il verbale come quell'atto con cui l'ufficiale o - nei casi consentiti dalla legge - anche l'agente di polizia giudiziaria "fa fede" delle singole operazioni compiute nell'esercizio delle funzioni a lui attribuite dalla legge. E la circostanza che in esso si dia conto della "liberatoria" delle parti rispetto ad un successivo (e, in realtà, doveroso, ai sensi dell'art. 12 del codice della strada) intervento dei militari non ne altera la natura o il contenuto. Né l'alterazione o la falsificazione ideologica in concreto realizzata può considerarsi innocua, come sostenuto dalla difesa del Cl.Ru. con il suo unico motivo di ricorso. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, il falso può considerarsi "innocuo" solo nei casi in cui l'infedele attestazione (nel falso ideologico) o l'alterazione (nel falso materiale) siano del tutto irrilevanti ai fini del significato dell'atto e non esplichino effetti sulla sua funzione documentale, non dovendo l'innocuità essere valutata con riferimento all'uso che dell'atto falso venga fatto, ma avendo riguardo all'idoneità dello stesso ad ingannare comunque la fede pubblica (Sez. 5, n. 5896 del 29/10/2020, dep. 2021, Brisciano, Rv. 280453; Sez. 5, n. 47601 del 26/05/2014, Lamberti, Rv. 261812). Ebbene, se l'ordine di servizio documenta le attività svolte dai militari comandati e il verbale fa fede delle operazioni compiute, la falsa attestazione, nell'ordine di servizio, di aver svolto un'attività mai eseguita e, nel relativo verbale, di aver eseguito operazioni (l'accertamento del verificarsi di un sinistro, con la relativa indicazione delle persone coinvolte, e la rilevazione dell'accordo intervenuto tra le parti), incide sulla funzione documentale dei singoli atti rappresentando un dato (che l'atto stesso è chiamato a provare) in modo non corrispondente alla realtà dei fatti. Il falso, quindi, alla luce delle superiori considerazioni, non può dirsi innocuo in quanto la circostanza che l'atto non sia stato "utile" ai fini del giudizio risarcitorio non esclude la rilevanza penale della condotta realizzata perché non incide sull'oggettiva lesione al bene giuridico tutelato dalla norma. Ciò considerato, comunque, anche a voler valutare la sola utilità dell'atto ai fini del giudizio risarcitorio (pur contestata dalle difese, anche ai fini della sussistenza di un interesse economico sottostante), l'assunto difensivo è comunque infondato, in quanto non tiene conto che la riscontrata fidefacienza, per come si è detto in precedenza, avrebbe permesso, nel giudizio civile, di ritenere accertato circostanze fattuali essenziali nel giudizio risarcitorio (l'effettivo verificarsi del sinistro e il coinvolgimento delle persone identificate). 3. Il trattamento sanzionatorio. 3.1. Il quinto motivo del ricorso proposto nell'interesse di Ca.Mo., il quarto motivo del ricorso proposto nell'interesse di Gi.Mo.e, per il Mi.Nu.Na., il terzo motivo del ricorso a firma dell'avv. Borgogno e il quarto del ricorso a firma dell'avv. Vannetiello attengono al profilo sanzionatorio e, segnatamente, al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (per il primo e il terzo) e al relativo giudizio di bilanciamento (per il secondo, al quale, invece, sono state riconosciute, seppur in termini di equivalenza alle aggravanti contestate). Va premesso che - la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 del codice penale. Ne discende, quindi, l'inammissibilità di ogni censura che, in sede di legittimità, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Rv. 259142); - il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, non deve necessariamente prendere in considerazione tutti gli elementi dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, poiché è sufficiente che faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi da tale valutazione (ex multis Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Rv. 259899). Valutazione che ben può essere desunta dalle argomentazioni offerte in altro punto della decisione, in relazione al quale sussiste comunanza di criteri (cfr. Sez. 4, n. 34754 del 20/11/2020, Abbate, Rv. 280244) o, comunque, mediante il raffronto con le considerazioni poste a fondamento del loro avvenuto riconoscimento, riguardo ad altre posizioni esaminate nella stessa sentenza, quando gli elementi oggetto di apprezzamento siano gli stessi la cui mancanza ha assunto efficacia determinante nell'ambito di una valutazione generalmente negativa (Sez. 6, n. 14556 del 25/03/2011, Belluso, Rv. 249731). - il giudizio di bilanciamento tra le aggravanti e le attenuanti costituisce esercizio di un potere valutativo riservato al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, ove congruamente motivato. Un giudizio che, per il suo carattere globale, non necessita della specifica indicazione delle ragioni che hanno indotto il giudice a dichiarare l'equivalenza piuttosto che la prevalenza delle une o delle altre circostanze, se non nell'ipotesi in cui vi sia stata specifica richiesta della parte con l'indicazione di circostanze di fatto tali da legittimare la richiesta stessa (Sez. 7, n. 11210 del 20/10/2017, Rv. 272460). In concreto, la Corte territoriale, seppur sinteticamente, ha evidenziato le ragioni della decisione adottata, rilevando: - per Ca.Mo., la gravità della condotta posta in essere ai danni dei suoi due subordinati e l'assenza di segni dimostrativi di una revisione critica; - per il Mi.Nu.Na., seppur implicitamente, con riferimento ad altro punto della decisione (in relazione al diniego dell'invocata attenuante), la gravità del fatto in ragione del ruolo assunto nella formazione dell'atto falso e del suo successivo uso (circostanze che, simmetricamente, hanno condotto al riconoscimento, seppur in termini di equivalenza, per Gi.Mo.); - per Gi.Mo., nel negare l'invocata prevalenza, la congruità della pena irrogata; circostanza che dà conto dell'adesione del secondo giudice alla valutazione operata in primo grado, nella parte in cui il pur rilevato ruolo marginale, è stato ritenuto (nell'esercizio del predetto potere discrezionale) equivalente alla gravità evidenziata nella circostanza aggravante. Una valutazione che, alla luce di quanto si è evidenziato, in quanto sorretta da una motivazione non manifestamente illogica, è insuscettibile di sindacato in questa sede. E tanto dà conto dell'inammissibilità dei relativi motivi. 4.2. Sempre sotto il profilo sanzionatorio, la difesa del Mi.Nu.Na. (con il secondo motivo del ricorso a firma dell'avv. Borgogno e il terzo motivo a firma dell'avv. Vannetiello) invoca, poi, l'applicazione dell'attenuante di cui all'art. 114 cod. pen., illogicamente esclusa, si sostiene, alla luce di argomentazioni riferibili al solo diverso reato di cui all'art. 642 cod. pen. (non più procedibile per remissione di querela). La deduzione è manifestamente infondata. Per l'integrazione dell'attenuante della minima partecipazione di cui all'art. 114 cod. pen., non è sufficiente una minore efficacia causale dell'attività prestata da un correo rispetto a quella realizzata dagli altri, in quanto è necessario che il contributo si sia concretizzato nell'assunzione di un ruolo del tutto marginale, ossia di efficacia causale così lieve, rispetto all'evento, da risultare trascurabile nell'economia generale del crimine commesso (Sez. 4, n. 26525 del 07/06/2023, Malfarà, Rv. 284771). Ebbene, la Corte non ha evidenziato il solo dato (pur rilevante) della partecipazione complessiva del Mi.Nu.Na. all'intera operazione economica (rispetto alla quale, si ricorda, il falso era strumentale), ma ha dato atto anche dello specifico ruolo da lui assunto "nella costruzione di un evento mai verificatosi". Un contributo che, proprio in quanto consistito nell'indicazione delle generalità e dei dati necessari per la formazione dell'atto, ha integrato una parte essenziale nella formazione dell'atto falso. 4.3. Così come è manifestamente infondata anche la censura (formulata nell'interesse del Mi.Nu.Na., nel quarto motivo del ricorso a firma dell'avv. Vannetiello) relativa ad una prospettata contraddittorietà della determinazione quantitativa rispetto al differente trattamento sanzionatolo riservato ai coimputati. Va premesso che il diverso trattamento sanzionatolo riservato, nel medesimo procedimento, ad altri imputati, anche se correi, non implica un vizio di motivazione della sentenza, salvo che il giudizio di merito sul diverso trattamento di situazione prospettata come identica sia sostenuto da asserzioni irragionevoli o paradossali (Sez. 3, n. 9450 del 24/02/2022, Palladino, Rv. 282839). Ebbene, in concreto il trattamento sanzionatorio è stato determinato alla luce di argomentazioni ampie ed articolate che, in particolare, per Mi.Nu.Na. (al quale è stata irrogata, come per Ca.Mo., la pena di anni tre e mesi tre di reclusione), sono state fondate sulla rilevanza (sotto il profilo sanzionatorio) del "bieco intento di profitto economico" e sulla parallela inosservanza "dei doveri di probità e lealtà che devono informare l'esercizio della professione forense". E il differente trattamento sanzionatorio riservato al Fi. (anni due di reclusione) e a Gi.Mo.(anni uno e mesi otto di reclusione) è stato giustificato, per il primo, in ragione del vincolo di subordinazione in forza del quale si è determinato ad agire e, per il secondo, in considerazione del ruolo residuale da lui assunto nella vicenda in esame (essendo, per come emerge sempre dalla lettura sistematica del complessivo impianto argomentativo delle due sentenze, il solo Mi.Nu.Na. ad avere avuto contatti con ilCl.Ru.). 4.4. La difesa del Mi.Nu.Na. (con il quinto motivo di ricorso a firma dell'avv. Vannetiello) contesta anche la sussistenza dell'aggravante teleologica, deducendo da un canto che la condotta falsificatoria sarebbe elemento caratterizzante anche il diverso reato di cui al richiamato art. 642 e, in ogni caso, mancherebbe ogni argomentazione a sostegno del relativo aumento di pena irrogato a titolo di continuazione. La censura è infondata. Il falso non rappresenta elemento costitutivo o circostanza aggravante della frode assicurativa, ma solo una particolare modalità di realizzazione, in concreto, del fatto tipico (Sez. 5, n. 21409 del 05/02/2008, Rv. 240081; il principio è dettato in tema di truffa, ma, all'evidenza, è applicabile anche alla frode assicurativa) e, comunque, alcun assorbimento può prospettarsi anche per la radicale differenza della rispettiva oggettività giuridica (l'art, 642 cod. pen. è inteso a tutelare il patrimonio dell'assicuratore nel contesto di un rapporto contrattuale di assicurazione; laddove, com'è noto, i reati di falso tutelano l'interesse collettivo alla fede pubblica: Sez. 6, n. 25911 del 02/03/2021, Natti, Rv. 281688). Tanto più che la circostanza aggravante del nesso teleologico, non richiedendo una alterità di condotte quanto piuttosto la specifica finalizzazione dell'un reato alla realizzazione dell'altro, è configurabile anche in ipotesi di concorso formale di reati (Sez. 5, n. 34504 del 12/10/2020, H., Rv. 280122). Quanto alla motivazione da porre a sostegno degli aumenti irrogati a titolo di continuazione, va ribadita, in linea generale, per come si è detto, l'inammissibilità di ogni censura che, in sede di legittimità, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Rv. 259142). E sotto tale profilo, deve ritenersi adempiuto l'obbligo di motivazione del giudice di merito sulla determinazione in concreto della misura della pena allorché siano indicati nella sentenza gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell'ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all'art. 133 cod. pen. (Sez. 6, n. 9120 del 02/07/1998, Rv. 211582; Sez. 1, n. 3155 del 25/09/2013, dep. 2014, Rv. 258410). Tanto più che tale onere si attenua quanto più la determinazione sia prossima al minimo edittale (come nel caso in esame, dove l'aumento di pena, in relazione all'aggravante oggetto della censura, è stato determinato in un mese di reclusione), rimanendo, in ultimo, sufficiente il semplice richiamo al criterio di adeguatezza, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all'art. 133 cod. pen. (Sez. 2, n. 28852 del 08/052013, Rv. 256464). E ciò, a maggior ragione, con riferimento agli aumenti indicati in conseguenza dell'applicazione della disciplina della continuazione (Sez. 3, n. 24979 del 22/12/2017, dep. 2018, Rv. 273533). 5. In conclusione, i ricorsi devono essere rigettati e i ricorrenti condannati, in solido, al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 14 novembre 2023. Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2024.
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